sabato 4 novembre 2017

Un manigoldo per genero - 8° puntata - di Ambra Tonnarelli


“Dai, vieni, Elizabeth. Entriamo. I miei non ci sono. Lavorano. Andiamo su in camera, così mi racconti!” l’accolse la fidata Sandy, un’amica d’infanzia, sincera e fedele.
La migliore amica di Elizabeth. Una ragazza spontanea e cristallina, senza pregiudizi e senza pretese. Si conoscevano da quando erano bambine, avendo danzato insieme sin dalla tenera età. Erano come sorelle. Sandy, oltre che essere una talentuosa ballerina di danza classica, era anche una ragazza dalla genuinità fuori del comune, una persona in gamba in grado di comprendere ogni situazione e di offrire consigli senza criticare. Una ragazza sempre disposta ad aiutare gli altri, soprattutto gli amici. Perché amicizia significa rispetto e condivisione. Condivisione di ogni cosa, di ogni momento, sia esso positivo o negativo. Perché amicizia significa sostegno reciproco negli attimi di difficoltà. Affrontare le avversità della vita diventa più semplice con un vero amico accanto. Ridere e scherzare indossano altre vesti di bellezza in compagnia di un vero amico.
Elizabeth sentiva il forte bisogno di aprirsi con qualcuno riguardo ad Alex. Chi meglio di Sandy, della sua cara sorellona Sandy, avrebbe potuto ascoltarla e aiutarla? Era davvero una forza, Sandy. Capelli castano chiari, occhi vispi color nocciola e viso furbo si sposavano alla perfezione con la sua spiritosa e frizzante personalità tuttofare. Non si abbatteva mai e ogni giorno prendeva la vita così come veniva, con grande filosofia.
“Una cioccolata? Un tè?” le chiese Sandy.
“No, grazie Sandy”, le rispose Elizabeth con sguardo triste e serio.
“Allora, mi dici perché quella brutta cera? Hai un aspetto terribile in questi giorni! E non venirmi a dire che sei stanca! Puoi darla a bere a quel pacioccone di Emile o a tua madre, che è una bravissima persona, certo, ma che è un po’ ingenua in queste cose. Ma a me, no. Avanti parla! Sputa il rospo, la ranocchia e tutti i rospetti!” la spronò Sandy.
“Beh, ecco io... Oh mio Dio Sandy! Non so da dove cominciare!” si agitò Elizabeth, asciugandosi la prima lacrima.
“Eh, no! Le lacrimucce e i pianti isterici, proprio no! Lo sai che ti aiuterò, qualunque problema tu abbia!”
“Mi sono messa in un grosso guaio, Sandy!” piagnucolò di nuovo Elizabeth.
“Elizabeth, smettila. Asciugati le lacrime e parla. Tuo padre che dice di questo guaio?” tentò di rassicurarla Sandy in tono fermo e deciso, senza però perdere simpatia e dolcezza.
“Nulla, Sandy. Anzi, se lo scoprisse, mi disconoscerebbe come figlia!”
“Eeeeeeeeh! Addirittura! Ma che cosa mai avrai fatto? Voglio dire, c’è soltanto un motivo per cui tuo padre ti disconoscerebbe come figlia. Ma quanto mai sarà grave ciò che ti è successo? Non sarai mica andata a letto col primo capitato, no?”
Elizabeth sollevò gli occhi lucidi, coperti da un sottile velo di lacrime, pronte a sgorgar giù a catinelle.
“No, Elizabeth. Io dicevo così per dire! Ma sul serio? Sei davvero stata con uno sconosciuto?” intuì Sandy, furba come una volpe e dolce come un cagnolino.
Elizabeth si asciugò gli occhi e riprese a parlare. “Sì. Sì, è così Sandy! Oddio!”
Sandy si precipitò al suo fianco e la strinse forte in un confortante abbraccio tra sorelle, battendole qualche colpetto sulla spalla. “Su, su! Non fare così. Raccontami tutto. Voglio sapere com’è accaduto!”
Elizabeth, rincuorata da quel caldo abbraccio colmo di affetto fraterno, limpido come il Sole, trasparente come l’acqua, prese un bel respiro e iniziò a raccontare della serata al locale, di come avesse visto Alex per la prima volta, di come egli l’avesse stregata col suo carismatico fascino magnetico, di come le avesse fatto battere il cuore con la sua allegra sicurezza e poi... Quell’aria da adorabile canaglia!
“Il punto, Sandy, è che mi ha cercata. E io non so perché non riesco a mandarlo via! E’ più forte di me! Ti prego, dimmi che devo fare!”
Sandy, che le aveva tenuto la mano per tutto il tempo per infonderle sicurezza, abbozzò un mezzo sorriso. “Elizabeth, ascolta, non hai fatto niente di male. Ci sono ragazze che lo fanno tutte le sere, quello che hai fatto tu e non c’è nulla di sbagliato in questo. Uno nella vita fa quello che vuole. Se a un ragazzo piace una ragazza e viceversa, si fa quello che hai fatto tu. Punto. Io non la vedo così grave. Posso capire che tu sia turbata perché non è da te, perché va contro l’educazione di tuo padre, ma non devi sentirti una poco di buono per questo. Non è l’essere stata con uno sconosciuto a spogliarti delle tue qualità come persona. Vivi un po’ più libera ed esci dalla tua cella. Evidentemente lui ti è piaciuto subito, ti ha trasmesso un qualcosa fuori del comune. Tu sei piaciuta a lui e avete fatto un bel pastrocchio, così come accade di solito. Ma se la sua compagnia è così piacevole come mi hai detto, perché vuoi respingerlo?” le chiese Sandy, dopo averle detto ciò che pensava e cercato di rassicurarla. Elizabeth sarebbe rimasta sempre Elizabeth. L’esser stata con uno sconosciuto non cambiava ciò che aveva dentro.
“Ma Sandy, non è nemmeno un bravo ragazzo! Mio padre...” si lagnò Elizabeth, prima di venire bruscamente interrotta.
“Tuo padre è un maniaco della legge e delle buone maniere! L’hai detto anche tu che questo Alex non è poi tanto male, in fondo! Te lo dico io cos’hai! Lui ti piace, ma dal momento che tuo padre vuole che tu gli stia lontana perché lo ritiene un mascalzone, tu lo rifiuti. E ti contraddici. Prima dici che non è male, poi ti rimangi le parole a causa di tuo padre. Ascolta il tuo cuore, Elizabeth!”
“Quindi io...”
“Sì, dovresti frequentarlo e conoscerlo meglio. Dopo tutto, per qualche momento sei stata sua. E’ un tuo diritto sapere a chi ti sei concessa, no? E poi, piantala con la storia dell’onore e del matrimonio! Vi siete piaciuti e l’avete fatto. Basta con tutti questi stereotipi e idee antiquate! Non fartene una malattia! Ormai è successo!” le disse Sandy con grande filosofia.
Elizabeth annuì con un cenno del capo, felice che qualcuno la stesse aiutando e capendo, senza giudicarla una sgualdrinella. “Grazie, Sandy. Sei un’amica!”
“Lo so! A che servono sennò le amiche! Piuttosto! Collegati a Facebook e fammi vedere questo Alex! Com’è? Un bel ragazzo?” le domandò poi Sandy con sguardo vispo e assai furbetto.
“Bello...” -esordì Elizabeth, mentre accendeva il pc e si collegava al suo profilo- “Bello. Bello e dannato, se così si può definire. Affascinante. Carismatico. E... Buffo! E’ un ragazzo molto particolare. Se lo trovo, te lo mostro!”
Ma Elizabeth non ebbe neppure bisogno di cercarlo. Sul suo profilo, già appariva la richiesta di amicizia proprio di Alex. Com’è che si dice? Parli del diavolo e spuntano subito le corna!
“Oh mio Dio! Mi ha trovata lui e mi vuole aggiungere! Ora che faccio Sandy?” si agitò di nuovo Elizabeth, dimenticandosi completamente delle parole dell’amica di pochi attimi prima. Non c’era proprio nulla da fare! Quando Elizabeth andava nel panico... Non esistevano parole che tenessero.
Sandy sospirò esasperata. “E che devi fare? Confermalo, no?” esclamò, premendo clandestinamente il tasto di accettazione.
“Ma che fai? Sei pazza? Giù le mani dal mio profilo!” si lagnò Elizabeth.
“Il profilo è tuo, ma il computer è mio!” rise Sandy, facendole una linguaccia. “Dai, ora fammi vedere le sue foto!”
Elizabeth, inconsciamente più curiosa di Sandy, aprì le immagini che Alex aveva caricato. Eccolo lì, in tutta la sua trasgressione e aria ribelle. C’erano diverse foto al locale con delle ragazze, evidentemente tutte occasionali, foto sul palco, con gli amici e con la band. La più intrigante e carismatica, la foto del profilo. Lui in scena, che cantava circondato dalla perenne aura di fascino magnetico che lo caratterizzava.
“Mmmmmm”, commentò Sandy, compiaciuta. “Che bel ragazzo! Non mi sorprende che tu ci sia stata! E’ così figo che farebbe girare la testa anche a me! Complimenti!” se ne uscì Sandy in tono assai malizioso e furbetto.
“Ma guarda tutte quelle ragazze!” si lasciò cadere nello sconforto più totale la povera Elizabeth.
“E allora? Pensavi di essere stata l’unica?”
“No, però...”
 “Però sei gelosa. Ma stai tranquilla, dopo quella sera che è stato con te, non ci sono più foto di ragazze. E non mi dire che l’ha fatto apposta, perché mi sento che non è vero! Tu gli piaci! E visto e considerato come si comporta, direi anche che le sue intenzioni con te mi sembrano piuttosto serie”, la anticipò Sandy, sapendo ormai dove sarebbe andata a parare la sua amica. La conosceva bene. Anche fin troppo bene.
“Sentì un po’, Elizabeth. Ma in quella foto dove Alex sta sulla moto senza casco... E’ tuo padre quello col pungo alzato che si sporge dal finestrino della macchina della polizia?” riprese Sandy, ridacchiando a crepapelle. A più non posso.
Elizabeth ne rimase scioccata. “Oh mio Dio! L’ha postato anche su Facebook! Sai, credo che a questo punto lo faccia di proposito per farlo arrabbiare. Ma tu guarda che elemento mi doveva capitare! Un fuori legge, con la bottiglia di birra perennemente in mano!”
Sandy esplose in una buffa, divertita e sonora risata. Le sciocchezze che sparava la sua amica alle volte potevano risultare a dir poco sconcertante.
“BI-BIP!” suonò all’improvviso il computer, facendo sobbalzare Elizabeth, ma non Sandy.
“Oh mio Dio! Sandy, mi ha appena scritto!”
“E allora? Leggilo, no?”
Elizabeth aprì con esitazione la casella del messaggio.
“Ciao, mia dolce fatina! Spero di rivederti presto! Sappi che per due occhi incantati e fiabeschi come i tuoi, mi libererò in qualunque momento, per poter stare anche solo alcuni fugaci attimi insieme a te!” recitavano le poetiche parole di Alex.
“Però! Che romantico! Beh, che aspetti, Elizabeth? Rispondigli!” la spronò Sandy più gasata di lei.
“Ma che gli rispondo, io, adesso?”
“Semplice. Che vi vedete adesso!”
“Ma ora non posso! Sono qui!”
“E allora?” se ne uscì Sandy, buttandola giù dalla sedia e prendendo il suo postò davanti al pc. “Ci vediamo adesso! Al parco, come ieri!” si sbrigò a scrivere Sandy.
Alex, dall’altro capo del computer, rimase un po’ sconcertato. Elizabeth stava davvero accettando di vederlo senza far storie di alcun genere? “Ma ti senti bene?” le scrisse.
“Mai stata meglio in vita mia! Ti aspetto! Ciao!” gli rispose Sandy che ormai cominciava a far fatica a tenere a bada un’Elizabeth alquanto fuori di sé dallo sconforto. “Ora siediti, ché ti rifaccio il trucco, screanzata!” esclamò poi Sandy, rivolgendosi a Elizabeth.
“Ma Sandy! Sei impazzita? Io sono in crisi profonda e tu ti approfitti di me in questo modo?” piagnucolò Elizabeth.
“Sì, cara! Vedrai che un giorno mi ringrazierai!” si compiacque sadicamente Sandy.

Elizabeth lo aspettava già da un po’. Era molto più vicina al parco di quanto non lo fosse Alex. Se ne stava lì, seduta sull’altalena dove avevano piacevolmente conversato il giorno prima. Era completamente estraniata dal mondo circostante. Osservava i bambini che si rincorrevano in qua e in là per il parco, la gente che passava, la gente che parlava e ancora! I bambini sullo scivolo, sulle casette, sul mini-quadro svedese in corda... Come se lei stesse vivendo in una bolla, in cui le immagini erano sfocate e i suoni ovattati. Li vedeva, ma non li guardava. Li sentiva, ma non li ascoltava. Lei era lì, seduta sull’altalena, ma non c’era realmente. Aveva paura. Ogni volta che doveva vedere Alex era una fiaba e una condanna al tempo stesso. Amava la compagnia di Alex. Temeva suo padre. Alex le piaceva. Ma andava contro tutto ciò che le era stato insegnato. Il che la faceva star molto più male di quanto non stesse già. Il suo umore oscillava inesorabilmente come un pendolo tra l’euforia e la disperazione e, il più delle volte, era proprio quest’ultima a vincere. In quel momento, era disperata. Finché in lontananza non comparve un razzo che sfrecciava a tutta birra proprio verso il parco. Alex. Sulla sua moto. Senza casco. Frenò a secco, incidendo la sgommata a terra per potersi fermare.
“Mio Dio!” esclamò Elizabeth in silenzio tra sé e sé. “E’ proprio spericolato! Per forza che non va affatto d’accordo con mio padre! Gli piace fare tutto quello che vuole, a discapito di ogni regola civile e sensata. Magari è anche un bravo ragazzo, in fondo in fondo, però... Non rispetta neanche una regola e fa tutto quello che gli passa per la testa! Mio Dio!”
Alex si avvicinò correndo all’altalena accanto alla sua, su cui non esitò a sedersi. “Ciao dolce fatina! Stai bene? Hai davvero accettato di vedermi così, su due piedi?” le domandò sconcertato e confuso.
“Veramente... Ero a casa di una mia amica collegata col mio profilo. E’ stata lei a risponderti. Mi ha buttato giù dalla sedia”, confessò Elizabeth, non riuscendo a mentirgli.
“Ah, ecco”, commentò Alex, sorpreso e deluso fino a un certo punto. “Mi sembrava che qualcosa non quadrasse!”
“Non ti sei offeso, vero?” si preoccupò stranamente Elizabeth.
“Ma no! Che dici? Tanto ormai ho capito come sei fatta. Magari ti avrei anche convinto. A fatica, ma ti avrei convinto. Spero. Ricordami di fare un bel regalo alla tua amica. Mi ha fatto uscire con te!”
Elizabeth gli sorrise dolcemente e si sforzò di non abbassare gli occhi, memore degli insegnamenti che Alex le aveva dispensato il giorno prima. Il suo sguardo si posò istintivamente sui capelli soffici e rossicci di Alex. Non li aveva mai osservati con tanta attenzione. “Che bel taglio di capelli che hai! Come sono scalati! Ma per niente femminili. Belli. Davvero belli.”
E in effetti, belli, lo erano sul serio. Erano davvero scalatissimi, corti al mento davanti e lunghi fino a metà schiena dietro, sfumati, sfilati e terminanti a punta.
“Fighi vero? Molto rock anni ‘80! Con un tocco personalizzato. E’ stata mia, l’idea!”
“Beh, bravo anche il parrucchiere che ha saputo accontentarti!” commentò Elizabeth, intuendo che non dovesse essere per nulla semplice accontentare Alex.
“La parrucchiera!” precisò lui.
“Sei stato anche con lei?” gli domandò scherzando Elizabeth, facendo allusione alle immagini su Facebook.
E Alex, geniale ed empatico com’era, lo intuì al volo. “Ah, stai facendo allusione alle mie scappatelle su Facebook, vero? Comunque, no la parrucchiera è grande, sposata con tanto di prole al seguito. Non mi permetterei mai di mettermi in mezzo a una famiglia. E che diamine! Stronzo, forse per qualcuna lo sono pure, ma non fino a questo punto.”
Elizabeth sorrise quasi intenerita dalla sua spontaneità. Era così alla mano e cristallino, che anche il linguaggio un po’ volgare che a volte usava passava in secondo piano.
“E comunque, essere stato con te, ho inspiegabilmente smesso di provarci con tutte quelle che mi passavano davanti agli occhi. Ho perfino rifiutato alcune avances. Sono in astinenza da parecchi giorni, ormai. E’ tutta colpa tua!”
Elizabeth non sapeva bene se fosse un segno positivo o negativo. Non sapeva se ridere o tornare seria. “Colpa mia?” si limitò a ribattere.
“Eh sì. Mi hai lasciato un bel segno”, le disse incisivo.
Elizabeth abbozzò un sorrisetto di circostanza, non sapendo come gestire la situazione. Doveva sentirsi onorata? Le faceva piacere sapere che per Alex, lei avesse significato qualcosa di speciale? Non ci voleva nemmeno pensare. Sperava soltanto che Alex cambiasse discorso in fretta. Cosa che, per sua fortuna, accadde. O non sarebbe più riuscita a gestire ciò che provava. La tempesta di emozioni che si agitava dentro di lei.
“Allora, Elizabeth. L’altra volta ti ho raccontato la mia storia. Ora raccontami la tua. Voglio saperne di più su di te!” se ne uscì Alex allegro ed entusiasta, avendo colto il suo imbarazzo.
“Oh beh, ecco, io...” balbettò lei. “Niente di speciale!”
Alex sbuffò divertito. “Ho capito. Allora te l’ha racconto io!”
Elizabeth incrociò le braccia, più divertita di lui. Voleva proprio scoprire fino a che punto fosse buffo Alex e che cosa sarebbe stato capace d’inventarsi il suo stravagante e geniale cervello da artista.
“Allora, sei nata qui a Los Angeles, famiglia ricca. Sei cresciuta con le baby-sitter e i domestici in casa...”
“Già qui ti sbagli!” lo interruppe lei. “Sono cresciuta nella scuola di danza, ballando fin da quando avevo due anni, perché mi divertivo. Mia madre non mi ha mai imposto niente, te l’assicuro! Quando guardavo i balletti, io... Ecco, io... Non lo so, mi perdevo tra i passi, la musica... Mi perdevo nell’arte. Per quanto riguarda i domestici in casa, vengono solo un paio di volte la settimana per le pulizie. Mio padre non ama avere tanta gente intorno. E poi, io non ho mai chiesto nulla ai camerieri, perché avevano così tanto da fare, che avevo paura di disturbarli. Ho sempre fatto tutto da me. Prego, continua.”
“Dunque, giocavi con le bambole di porcellana e suonavi il pianoforte...”
“No. Sbagliato di nuovo!” lo interruppe già per la seconda volta. “Non giocavo con le bambole di porcellana. Cioè, non giocavo proprio. Ballavo e basta. Anche in casa. Per me non esisteva nient’altro. Non è mai esistito nient’altro. La mia vita ruotava e ruota tutt’ora intorno alla danza classica. Per quanto riguarda il piano, sì. Lo so suonare, come ti dicevo l’altra volta! Fa parte dell’educazione classica che ho voluto ricevere. Prego, va’ pure avanti!”
“Sei diventata ben presto una grande ballerina, magari eri anche una bambina prodigio e ti ci sei mantenuta! Sei cresciuta con un’educazione rigida e all’antica. E magari tuo padre vuole anche farti fidanzare col primo ballerino!”
Elizabeth rise di gusto. Di nuovo. Alex era l’unico che ci riusciva. Stava davvero bene con lui. Si stava perfino dimenticando dei continui ammonimenti paranoici del padre. “Beh, la seconda parte l’hai azzeccata di più. La prima ha fatto acqua da tutte le parti. Però mi è piaciuto come l’hai raccontata”, disse, sorridendogli dolcemente.
Ma Alex si incupì all’improvviso, sotto lo sguardo interrogativo di Elizabeth. “Così tuo padre sarebbe contento se tu e quel Emile...” dedusse Alex con aria triste.
“Sì.” Elizabeth si innamorò perdutamente, senza neanche rendersene conto, di quella sua spontanea, cristallina e genuina gelosia.
“Ma ti piace?” le chiese lui, un po’ irritato e mogio-mogio.
“No. Non mi piace. E’ un bravo ballerino e pieno di talento. E’ un buon collega e un caro amico. Ma niente di più. E’ buffo, sai?”
“Che cosa?” le domandò Alex.
“E’ buffo, perché, nella mia mente, il ragazzo perfetto per me è sempre stato un cavalier cortese senza macchie e senza paura, gentile ed educato. Proprio come Emile. Ma nonostante egli rappresenti il mio ideale di uomo... Non mi piace.”
Alex ne sembrò assai sollevato, come se la grossa pietra tombale che gravava su di lui si fosse disintegrata in mille pezzi. “Sai, Elizabeth, a volte ci costruiamo tanti castelli in aria sul tipo di persona ideale che vorremmo avere accanto, ma... Al cuor non si comanda. Spesso e volentieri, va a finire che ci innamoriamo dell’esatto opposto!”
“Già, forse hai ragione. Non ci avevo mai pensato. Se ti sentisse mio padre! Lui sarebbe stato bene nel Medioevo, in una famiglia di nobili, in cui i matrimoni venivano combinati, non so se mi spiego!”
Alex esplose in una sonora e divertita risata, per nulla sorpreso, né meravigliato, tanto bene conosceva il capo, come lo chiamava lui. “Ti spieghi, ti spieghi! Pensi che non lo conosca, tuo padre? Chissà perché non mi sorprende?”
I due risero di cuore e a crepapelle, fino alle lacrime. Elizabeth si stupì di come Alex riuscisse a farla ridere così gratuitamente, senza sforzarsi in alcun modo. Nessuno avrebbe potuto interrompere una reazione a catena tanto contagiosa, se non... Il telefono.
“E’ mio padre! Fa’ silenzio, quando rispondo. O ci ucciderà entrambi!” lo ammonì Elizabeth. “Pronto papà?” si sbrigò poi a rispondere alla chiamata.
“Elizabeth, rientro prima dal lavoro questa sera. Vieni a casa subito, ché andiamo tutti al ristorante!” “D’accordo papà!” annuì Elizabeth.
“Ma dove sei?”
“In giro. Ciao!” si sbrigò a dire, chiudendogli il telefono in faccia prima che potesse farle altre domande.
“In giro?” si ripeté Albert poco convinto. Elizabeth non gli aveva mai risposto in quel modo, né gli aveva mai sbattuto il telefono in faccia. Il che lo insospettì. Qualcosa non quadrava. Ma i suoi sospetti morirono, quando Elizabeth gli raccontò di essere andata a fare un giro con Sandy e che aveva dovuto chiudere bruscamente la chiamata, perché altrimenti avrebbero perso l’autobus. Stava imparando a mentire a suo padre davvero bene. E con grande disinvoltura e maestria.
“Devo andare, Alex. Mi dispiace. Mio padre vuole andare a cena al ristorante”, gli disse Elizabeth, colta da un improvviso sconforto nel dover andar via. Un inspiegabile, bizzarro e sconosciuto sconforto.
“Ok. Allora non ti trattengo. Ciao, mia dolce fatina.”
S’incamminarono, prendendo strade opposte.
Chissà quando si sarebbero rivisti? Elizabeth si rese all’improvviso conto che non poteva andar via così, senza sapere come, quando e dove avrebbe rivisto Alex. Fu più forte di lei. Più forte della paura. Più forte della razionalità. Più forte di tutto. Il desiderio incontrastato di rivedere Alex al più presto ebbe la meglio su tutti gli ostacoli presenti nel cuore tormentato di Elizabeth, persino su quelli più anticamente radicati.
“Alex!” lo richiamò lei all’improvviso, non riuscendo più a resistere.
Alex si voltò col Sole negli occhi, che accendeva il suo sguardo, già vispo per natura, di speranza.
“Ciao”, si limitò a dire Elizabeth, rivoltandosi, lasciando Alex mogio-mogio con l’amaro in bocca.
“Quando ci rivediamo?” gli chiese finalmente, dopo aver spinto a forza tutto il coraggio verso il diaframma e le corde vocali.
Il volto di Alex, che si era riempito di delusione a causa del suo semplice “ciao”, si illuminò di stelle. “Quando vuoi. Per te, un momento lo trovo sempre. Tanto ci sentiamo su Facebook, no?”
“Aspetta! Vieni qui”, gli disse Elizabeth, correndogli anche lei incontro. Sfilò la penna dalla borsetta e gli afferrò inaspettatamente la mano. “Non farmene pentire!” si raccomandò, mentre gli scriveva il numero sul palmo, come facevano una volta i ragazzini.
“Ne sono lusingato, Elizabeth. Ti manderò un messaggio più tardi. Così anche tu avrai il mio numero. Ciao Elizabeth!”
Le scoccò un tenero e dolce bacino sulla guancia, risalì in moto e, senza casco, schizzò via, scomparendo in un istante verso l’infinito orizzonte.
Elizabeth lo osservò sparire e rimase a fisare per qualche infinito istante il vuoto lasciato dalla sua moto.
Il cuore che batteva.
Forte.
La vita che la invadeva.
Sarebbe mai riuscita a liberarsi dalla paura e a seguire ciò che provava?
Non lo sapeva.
Avrebbe mai smesso di provare quello spasmodico desiderio di rivederlo?
Mai.
Avrebbe voluto continuare ad averlo accanto in maniera tanto inspiegabile, quanto folle?
Sempre.

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