sabato 5 maggio 2018

UN MANIGOLDO PER GENERO - 2° STAGIONE - 17° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli



Elizabeth se ne stava in camera, a ripiegare il pigiama pulito per rimetterlo in ordine. Alex al lavoro, allo studio di registrazione. Era uscita presto la mattina e aveva fatto una bella passeggiata con Alex, all’alba, per mantenere uno stile di vita sano e attivo. Il pancione era ormai davvero enorme e il suo peso, nonostante si facesse ben sentire, non le dava affatto fastidio. Elizabeth era davvero un fiore, proprio come la descriveva sempre Albert. Era serena e felice, consapevole delle piccola vita che stava portando in grembo. Sentiva il bambino muoversi dentro di lei e tirarle calcioni in continuazione. Ogni sera, prima di addormentarsi e ogni mattina, appena svegli, Alex non mancava mai di coccolare delicatamente il pancione di Elizabeth e sussurrare dolci frasi al piccolo. Voleva che sentisse l’affetto di entrambi. Addirittura, spesso gli cantava sottovoce con le labbra quasi appoggiati al pancione, la canzone che aveva scritto per Elizabeth.
“Ne sto componendo una anche per lui”, le aveva detto quel mattino stesso, prima di uscire.
Elizabeth, curiosa, non riusciva a smettere di chiedersi come sarebbe stata la canzone che Alex avrebbe dedicato a suo figlio. Ci stava pensando anche in quel momento, mentre con la sua unica grazia innata riponeva il pigiama pulito nell’armadio. Non aveva nemmeno richiuso il cassetto quando avvertì una forte fitta al basso ventre, che la portò quasi a piegarsi in due. E poi un’altra. E un’altra ancora e ancora. “Mamma! Mamma, vieni qui! Presto!” gridò in preda a un dolore fisico che nemmeno lei era mai riuscita ad immaginare.
Hilary, che si era presa un’aspettativa dalla sua scuola nell’ultimo mese, si precipitò come una furia nella stanza della figlia. Spalancò agitata la porta e trovò la figlia seduta a terra, ai piedi del letto, che si contorceva dal dolore.
“Elizabeth, tesoro! Che c’è?” le chiese, già conoscendo la risposta e gettandosi accanto a lei.
“Mi sa che ci siamo, mamma. Portami all’ospedale. Non ce la faccio già più.”
Hilary la aiutò ad alzarsi e scendere con estrema attenzione le scale. Contro ogni sua stessa aspettativa, riuscì a mantenere la calma. Guidò con altrettanta attenzione fino all’ospedale, dove Elizabeth fu immediatamente ricoverata, in attesa che giungesse il momento di far nascere il bambino. Hilary le rimase accanto, mentre lei si contorceva in preda a delle dolorosissime doglie, che le stavano facendo vedere le stelle.
“Sbrigati a uscire di lì, piccolo mio!” aveva addirittura sospirato Elizabeth tra le fitte.
“Chiamo Alex!” si affrettò Hilary, cercando il cellulare il borsa.
Dovette chiamarlo tre o quattro volte prima che rispondesse. Era in sala d’incisione, dopo tutto e questo, Hilary, lo sapeva bene.
“Pronto?” rispose finalmente dopo mille chiamate perse.
Hilary si riempì di sollievo quando sentì la sua familiare e calda voce al di là dell’apparecchio. “Alex! Alex, finalmente! Sono Hilary!”
“Ehi, cos’è tutta questa agitazione? Che succede?”
“Stai per diventare papà, Alex! Ci siamo quasi, Elizabeth è qui in ospedale, in travaglio!”
Un tuffo di strana e infinita gioia al cuore di Alex gli tolse per un istante il respiro. “ARRIVO! ARRIVO SUBITO! LO CHIAMO IO, IL CAPO!” gridò in preda all’entusiasmo più impensato.
“Alex, che succede?” gli chiese Christopher, non avendo ancora capito che cosa mai potesse essere successo.
“STO PER DIVENTARE PADRE! YUHU!!!! YUPPYYYY! EVVIVA! DEVO SCAPPARE! SUBITO!”
La band gioì con lui. Alex lanciò in aria tutti gli spartiti in preda all’euforia più pazza e folle di cui fosse mai stato vittima. Si precipitò verso l’uscita del nuovo e segreto studio di registrazione.
“Halt!” lo fermò Edward perentorio. “Non sei attualmente in grado di guidare. Sembra che ti sia scolato venti bottiglie di birra! Verremo anche noi. Tutti nel SUV! E guido io!”
Alex non ebbe neanche due secondi di tempo per protestare, che già i ragazzi lo stavano sollevando tutti insieme e caricando in macchina. Edward si mise tranquillamente al volante, col suo stile di guida selvaggio, sfrenato, ma sicuro, un po’ come quello di Alex.
“Con questo traffico, arriverò che è già nato!” protestò Alex, lanciando imprecazioni riguardo all’intenso traffico cittadino. “Fammi chiamare il capo, ché è meglio!” Afferrò il telefono, sfilandolo con abilità dalla tasca dei pantaloni neri in ecopelle lucidi come un utensile appena lustrato. La solita bandana in testa. “Salve Capo!” gridò non appena udì la voce burbera e autoritaria di Albert dall’altra parte del telefono.
“Alex! Che diavolo ti prende? Gridare in questo modo! Ma sei impazzito, forse?”
“No, Capo! Sono solo euforico! Io sto per diventare padre e lei sta per diventare nonno! Elizabeth sta per partorire!”
“Per Giove e Saturno, Alex! Arrivo immediatamente!”
“Ah questo è certo, se riesce a farsi largo in questo dannato traffico!” gli fece notare Alex.
“Accenderò la sirena!” se ne uscì a sorpresa Albert.
“Ma Capo! Questo è abuso di potere!”
“Fa’ silenzio, Alex! Mia figlia sta per partorire e io faccio l’abuso di potere che mi pare pur di arrivare da lei in tempo!”
“Così mi piace, Capo! Questo sì che è lo spirito giusto!” si complimentò Alex compiaciuto.
“Hai fatto diventare un manigoldo anche me!”
“Su via, non la faccia tanto lunga, Capo! Le ho già dimostrato che essere un po’ manigoldo ha i suoi vantaggi a volte! La saluto, Capo!” esclamò, sbattendogli il telefono in faccia.
La band si stava spaccando in due dalle risate. “Non cambi mai, eh, Alex? Neanche quando tua moglie sta per partorire! Gliel’hai cantata eh, al Capo!” commentarono.
“Già, proprio così!”
Edward si affrettò più che poté per arrivare in tempo all’ospedale.
“Dottore!” lo fermò Alex, una volta in ospedale, fiondandosi verso di lui. “Mia moglie Elizabeth Tennence, sta per partorire. E’ con la mamma.”
“Quarto piano, la stanza in fondo al corridoio”, lo liquidò piuttosto freddamente il malcapitato medico.
“Grazie dottore!”
Alex si precipitò verso gli ascensori, ma tutti erano occupati, così si catapultò come una furia su per le scale, seguito a ruota dagli altri cinque. Hilary si affacciava al corridoio di tanto in tanto per controllare se Alex o suo marito fossero in vista. Finalmente vide Alex.
“Hilary! E’ nato?” gridò lui, scorgendola sulla soglia della stanza.
“No, non ancora! Ti ha voluto aspettare, a quanto pare!”
Hilary si spostò per farlo entrare, mentre la band si fermò fuori della porta.
“Elizabeth! Amore mio! Sono qui!” le disse con le lacrime agli occhi per la gioia, sedendosi accanto a lei, vicino al letto.
“Alex, ci siamo quasi! Sta per venire il dottore, che mi porta in sala parto! Vieni anche tu, vero?” disse a fatica tra il dolore delle contrazioni.
“Ma certo! Voglio vedere mio figlio nascere!” Alex le scoccò un sonoro bacio sulla fronte.
“Ecco il dottore!” esclamò Hilary.
Il medico, un uomo autoritario, ma paziente, fece il suo pacato ingresso nella stanza di Elizabeth. “Lei è il padre?” domandò ad Alex.
“Sì, padre del bambino e marito della dolce fatina qui presente.”
Alex riuscì a strappare un sorriso di tenerezza anche al medico nel bel mezzo del suo lavoro. “Ci segua!” gli ordinò, portando via Elizabeth.
Hilary rimase coi ragazzi della band ad aspettare. Elizabeth si ritrovò in quattro e quattro otto in sala parto circondata dallo staff medico e l’ostetrica. Alex le strinse forte la mano e lei ricambiò la stretta. “Coraggio, amore mio!” le sussurrò dolcemente nell’orecchio.
“Molto bene. Inizi a spingere! Forza!” le ordinò il medico
 Elizabeth ubbidì e iniziò a spingere con tutta la forza che aveva in corpo.
“Coraggio amore! Spingi!” la incoraggiò Alex, stringendole la mano sempre più forte.
Elizabeth continuò a spingere, finché non sentì il bambino uscire e iniziare a piangere.
“Eccolo!” esclamò l’ostetrica, afferrandolo e avvolgendolo subito in un asciugamani bianco.
Elizabeth tirò un sospiro di sollievo e liberazione. Si sentiva finalmente libera da quel grosso peso che si portava nel ventre. L’ostetrica glielo porse. Elizabeth lo prese amorevolmente tra le braccia, con la premura e l’affetto che solo le mamme hanno. Alex si chinò su di lei, a coccolare anche lui il piccolo.
“Ciao” lo salutò dolcemente Elizabeth, quando il bambino aprì a stento gli occhi. “Così eri tu che mi tiravi i calcioni, vero?” gli disse, sorridendogli.
“Ciao patatino!” lo saluto poi anche Alex, facendogli delle carezze sul viso con un dito. “Io sono il tuo papà. E questa dolce fatina è la tua mamma, che ti ha portato nel pancione per tutto questo tempo.” Le lacrime agli occhi.
Alex ed Elizabeth si scambiarono un intensissimo e tenerissimo sguardo, colmo di emozione e gioia.
“E’ bellissimo. Somiglia tutto a te”. commentò Elizabeth, guardando Alex.
Alex si commosse ancora di più, quando finalmente realizzò che Elizabeth aveva ragione. “Sono contento. E lo sarei stato anche se avesse somigliato a te.”
Il piccolo assunse un’espressione dolce e rilassata. Alex ed Elizabeth si baciarono, non curanti dei medici.
“Bene, ora ci pensiamo noi. Ve lo riportiamo tra poco.” L’ostetrica lo prese con sé e se lo portò momentaneamente via.
“Congratulazioni”, disse loro il medico.
Alex ed Elizabeth si sorrisero di nuovo dolcemente. Elizabeth si sentiva a dir poco stremata, senza più forze. Aveva gli occhi neri e gonfi per lo sforzo fisico a cui aveva dovuto sottoporsi, eppure Alex pensò che non fosse mai stata più bella in vita sua. Il suo sguardo dolce rivolto al bambino, con quei suoi intensissimi occhi d’acqua da gatta, profondi come l’oceano, lo aveva trafitto. E lo stava trafiggendo ancora. Lo sguardo di Elizabeth era rimasto lo stesso da quando aveva preso in braccio il bambino.
“Sei... Bellissima, amore mio”, le sussurrò guardandola dritta negli occhi.
“No, non è vero”, piagnucolò Elizabeth, con un filo di voce, stanchissima, stremata, ma felice. La felicità le traboccava dagli occhi come una cascata che si getta impetuosa dalla rupe.
“Sei bellissima, Elizabeth. Non ti sto prendendo in giro. Ti amo.”
Il volto di Elizabeth si riempì di un lampo di luce che illuminò la stanza. Il suo sorriso colmo di amore e felicità trafisse il cuore di Alex ancora una volta. “Ti amo anch’io, mio Alex.” E non di meno, si baciarono di nuovo, come se fosse la prima volta.

“Eccomi! Sono qui! Già fatto?” esclamò Albert ansimando, mentre entrava di corsa nella stanza. Due ore dopo. Non si era neanche reso conto di quanto tempo avesse impiegato per raggiungere l’ospedale. La scena, che gli si presentò una volta entrato, lo spiazzò completamente. Elizabeth seduta sul letto, meravigliosamente trasfigurata, con in braccio un tenero fagottino, Alex seduto sulla sponda accanto a lei, che riempiva di coccole sia lei che il piccolo e sua moglie seduta a fianco del letto che li osservava dolcemente, piangendo, commossa, lacrime di gioia.
“Salve Capo! Ce ne ha messo di tempo! Si è forse perso?” si burlò di lui Alex, col suo solito sorriso beffardo stampato in faccia.
“Guarda Alex, lascia perdere! Stupido traffico!” si lamentò Albert, nervoso.
“Ma Capo, lei non doveva fare abuso di potere e accendere la sirena?” gli rammentò Alex con tono ed espressione canaglieschi.
“L’ho fatto, ma un tamponamento a catena mi ha tenuto bloccato non so neanch’io quanto tempo! Mi sono saltati tutti i nervi!”
Alex sghignazzò apertamente, coinvolgendo anche Elizabeth. “Ah, non ne dubito, Capo! Piuttosto però, ora si calmi e guardi qui che capolavoro abbiamo fatto io ed Elizabeth!”
Albert si chinò sul bambino ed Elizabeth glielo porse un momento. Qualche lacrima di commozione e gioia rigò incontrollata il viso stranamente intenerito di Albert. “Congratulazioni. E’ bellissimo”, farfugliò a fatica tra i singhiozzi, mentre lo porgeva ad Alex. “E tu Elizabeth? Come ti senti?” le chiese poi, mentre si asciugava le lacrime e recuperava il suo ferreo e rigido autocontrollo.
“Come uno straccio. Sono distrutta, ma sto bene. E sono tanto felice!”
Il suo sorriso era così brillante che quasi accecò anche Albert. Elizabeth non aveva mai sorriso così prima di allora. La gioia di essere mamma e di aver avuto il figlio dal ragazzo che amava le aveva donato un aspetto insolitamente e bizzarramente bello, indescrivibile a parole. La gioia di aver dato alla luce una nuova vita insieme ad Alex.
“Mi fa piacere vederti così. Solo che... Sei così giovane per fare la mamma e noi così giovani per fare i nonni!”
“Meglio, Capo! Così il bambino, ce lo godiamo di più e avremo tutti più energie per seguirlo nella sua crescita!”
“Forse hai ragione, Alex.”
Elizabeth sfoggiò un altro dei suoi abbaglianti sorrisi. “Ce la caveremo bene, papà. Vedrai.”
“Lo so, tesoro. Lo so. E... come avete deciso di chiamarlo?”
“Cody. L’ha scelto Alex e a me è piaciuto subito da morire!” gli spiegò Elizabeth.
“E’ molto carino! Cody...”, ripeté, Albert, sorridendo intenerito. Ormai mantenere il suo ferreo autocontrollo era diventata una mastodontica e titanica impresa, fuori dalla sua portata.
“Hai visto, papà? Somiglia tutto ad Alex!” gli fece notare compiaciuta Elizabeth.
“Eh, lo so. Purtroppo me ne sono accorto. Avrei preferito che assomigliasse alla mamma, così magari essendo simili i tratti somatici, avrebbe potuto essere simile anche il cervello!”
“Cos’ha il mio cervello che non va, Capo?” s’intromise Alex, facendo il finto tonto.
“Eh, Alex, Alex! Tu sei un tipo piuttosto vivace... Un manigoldo!”
“Ex-manigoldo, Capo!” puntualizzò Alex, prestando particolare enfasi alla particella ex.
“No, no! Manigoldo sei nato e manigoldo resti!”
Alex scoppiò a ridere. “Lo prendo come un complimento in senso affettivo, Capo!”
“Fai un po’ come ti pare!” si rassegnò Albert alla fine, tornando ad ammirare intenerito il fagottino in braccio a Elizabeth.
Il piccolo Cody sembrava un tipetto alquanto vispo. Il carattere di Alex si intravedeva già.
“Guardi, Capo! Adesso invece della cuffietta, gli metto la bandanina da rock star!” esclamò Alex, tirando fuori una piccola fascia stile rock, che aveva fatto fare su misura per il piccolo.
Albert ricadde subito nelle sue vecchie abitudini nervose. “Non ti azzardare, sai! Non è un bambolotto! Né un pagliaccio! Che cosa siamo, al circo?”
Ma Alex lo ignorò completamente e diede quel tocco di classe rock al look del bambino. Il piccolo, per tutta risposta, stupì tutti quanti. Invece di piangere per il fatto che Albert avesse alzato la voce e avesse assunto un’espressione cattiva e austera, sfoggiò il sorriso di una vera e propria canaglia in miniatura. Degno di Alex.
Albert assunse di colpo le sembianze di un fantasma. “Oh mio Dio! Che elemento ci è capitato! E’ proprio come Alex, anche nel carattere! Oh poveri noi!”
“Non vedo l’ora che inizi a scorrazzare per casa e nel suo ufficio!” scherzò Alex.
Albert si sentì mancare e scappò gridando aiuto spaventato lungo il corridoio. Rientrò solo dieci minuti dopo e fu accolto dalle risate beffarde di Alex, Elizabeth e sua moglie. E del bambino. Lo stesso giorno in cui nacque Cody, uscì anche il primo album della band, che raggiunse subito la vetta delle classifiche musicali e ricevette dalla critica l’opinione che aveva sempre desiderato, quella a cui la band ambiva da quando si era formata. Una competenza e originalità artistica degna delle grandi leggende del rock degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Un giorno da ricordare. Un giorno magico. Il più magico di tutti.

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