Albert se ne stava in ufficio, zitto-zitto, a fissare il cielo
soleggiato fuori dalla finestra, ad attendere il testimone chiave, forse un
complice in una rapina manoarmata, che avrebbe dovuto a momenti interrogare.
Stava già pensando a quale tecnica adottare per far crollare quel vile
farabutto, trasgressore della legge, che aveva derubato un negozio e spaventato
decine di persone. Ne aveva sbattuti dentro tanti come lui. Era pronto a fare
il suo dovere, ciò che gli riusciva meglio. Catturare e far confessare i
malviventi. Qualcuno bussò.
Era il suo momento di gloria.
“Avanti!” gridò autoritario, sperando di incutere terrore al
malvivente che si accingeva a far confessare.
“Salve capo!”
Una voce familiare, canzonatoria e strafottente gli giunse
all’orecchio.
Albert si girò di scatto, sobbalzando per via della terribile sorpresa
che i suoi colleghi gli stavano portando. Alex, ammanettato e scortato da due
agenti, fece il suo irruento ingresso nell’ufficio di Albert.
“Ancora tu? Che ha fatto questa volta, agente?” chiese Albert, già
stizzito.
“Violazione di domicilio e danneggiamento di proprietà privata, Commissario.”
“Bene, questa volta ti sbatto dentro, caro il mio Alex!” sghignazzò
Albert con la gioia stampata in volto, sfregandosi le mani dalla soddisfazione.
“Grazie, agenti. Potete andare. Ora lo interrogo io, questo manigoldo! Barney!
Barney!” chiamò Albert.
Il fedelissimo Barney si catapultò nel suo ufficio in quattro e
quattro otto. “Eccomi, Commissario!” entrò, prendendo posto di fianco ad
Albert.
“Bene, ora possiamo cominciare! Che hai combinato questa volta, Alex?”
Alex, che fino a quel momento se ne era rimasto in silenzio, sfoggiò
il solito ghigno di scherno. “Ma niente di che, Capo! Stavo giocando a pallone
con i miei amici e ci è finito oltre un cancello. Così ho scavalcato e sono
andato a riprenderlo!”
“E che cosa mi dici del danneggiamento di proprietà privata?”
“Che paroloni, Capo! Per qualche siepe rovinata, qualche zolletta
sollevata e qualche ramo spezzato!”
“Ramo spezzato?” si sbigottì Albert, sobbalzando sulla sedia.
“Sì, Capo. Sono dovuto salire sull’albero della nonna per riprendermi
il pallone!”
“Ma non potevi suonare il campanello, eh, manigoldo? Io sto aspettando
un testimone chiave da interrogare e tu arrivi col pallone e mi fai perdere
tempo! Intanto ti sbatto dentro, poi procederò con la burocrazia. Barney,
arrestalo e portalo via!” ordinò perentorio e risoluto.
“Su via, Capo! Per una siepe!”
“E’ reato! Violazione di domicilio e danneggiamento di proprietà
privata. Questa volta ho davvero gli estremi per sbatterti dentro e per
tenertici un bel po’!” sghignazzò Albert in preda ad un attacco di sadica
soddisfazione e malsana gioia, mentre Barney già gli metteva le manette ai
polsi.
“Commissario!” interruppe un agente. “Commissario, mi scusi, ma
dobbiamo rilasciarlo.”
Albert balzò in piedi, furibondo, fuori di sé dalla rabbia. Aveva
appena ottenuto la gioia più grande della sua vita e già vedeva sfumarla come
vino in padella.
“Mi dispiace, Commissario, ma l’anziana signora non ha nessuna
intenzione di sporgere denuncia. L’abbiamo appena interrogata e dice che,
passato il primo momento di spavento per essersi trovata un intruso in
giardino, in fondo è stata solo una ragazzata e...” si interruppe titubante,
avendo paura della reazione di Albert, se avesse rivelato il seguito.
“Continui, agente. Continui pure”, lo esortò Albert.
“Non le farà piacere, Commissario, ma ha detto che il ragazzo è così
bello e sexy che assolutamente dietro le sbarre per colpa sua non ci può
stare!”
Le guance di Albert iniziarono a mutar colore. Bolliva e si preparava
alla carica come un toro inferocito. Il fumo dalle narici e dalle orecchie.
“Hai capito, la nonna?!” intervenne Alex, esultando trionfante e
soddisfatto di sé.
“Gli tolgo le manette, Commissario?” chiese Barney con una certa
esitazione.
“Barney! Ancora parli? Parli, parli, parli a vuoto! Levagli quelle
manette e toglimelo dalla vista, prima che io lo ammazzi! Bello e sexy, tz! Ma
che cosa mi tocca sentire?! Mandalo via! VIAAAA!” esplose, prendendosela per
l’ennesima volta col povero Barney, che sempre doveva per forza star zitto e
incassare il colpo.
Alex si alzò trionfante, sfoggiando il suo strafottente ghigno da
canzonatura e alzando il solito dito ad Albert, prima di uscire dal suo ufficio.
“Arrivederci, Capo!”
Albert si buttò giù di peso sulla sedia, spezzando in due tutte le
matite che aveva nel portapenne, immaginando che fosse il collo di Alex.
Ma l’episodio non si concluse lì. Dalla porta del suo ufficio aperta, Albert
udì la vecchina tentare di flirtare con Alex.
“Ah, eccolo qui, quel bel giovanotto che ha rimodernato il mio
giardino!” esclamò la signora, felice di vederlo.
“Mi dispiace, nonna! Io volevo solo riprendermi in fretta il pallone!”
“Oh, non fa niente giovanotto! Sei così bello e attraente, che ti
perdonerei tutto! Certo che se avessi qualche anno in meno, ci farei proprio un
bel pensierino su di te!”
Alex e gli agenti, compreso Barney, non potevano far altro che
ridersela di gusto sotti i baffi. Mentre Albert, nel suo ufficio, non avrebbe
chiesto niente di meglio che sparare in testa ad Alex e tagliar la lingua alla
signora.
“Mi dispiace, nonna, ma anche se avesse avuto qualche anno in meno, io
non mi concederei mai. Sono fidanzato con una dolce fatina dei boschi e sono
innamorato pazzo di lei! Non la tradirei mai!”
Le parole di Alex toccarono la signora nel suo io più profondo,
inducendola istintivamente a portarsi una mano al cuore. “Che nobile cavaliere
che sei! Sei un bravo ragazzo e serio anche! Vieni a trovarmi qualche volta con
questa bella fanciulla. Vi preparerò una merenda coi fiocchi. Come si chiama la
principessa fortunata?”
“Eh, nonna questo non glielo posso proprio dire!”
“E perché no?”
“Perché c’è una persona qui dentro, anzi nell’altra stanza, che
vorrebbe sapere chi è solo per metterci i bastoni fra le ruote! Gliela
presenterò, quando verremo a trovarla”, spiegò Alex in tono irriverente,
alzando un po’ la voce, in modo da far sentire anche ad Albert. “La saluto
nonna!”
“Ciao! Vi aspetto, allora! Che adorabile canaglia!” commentò la
signora.
Prima di andarsene, la vecchina fece irruzione nell’ufficio di Albert
e sembrava anche piuttosto alterata. “Si vergogni, Commissario. Prendersela con
un così bravo figliolo, invece di dar la caccia ai mascalzoni! Si vergogni!”
grido, prima di uscire sbattendo la porta.
Albert ringhiò, in preda a un crollo nervoso molto più pesante del
solito. Fuori da ogni controllo umano, si alzò di scatto e ribaltò
violentemente la scrivania.
Col computer.
Poco meno di un paio d’ore dopo, Elizabeth s’incontrò con Alex e
lasciò che lui le raccontasse la disavventura della giornata col suo solito
modo di fare da canaglia, che tanto le faceva girare la testa. Di quel passo,
Alex non sarebbe mai e poi mai riuscito a entrare almeno nel Limbo della lista
d’attesa per le difficili grazie di Albert.
“Alex! Ma sei sempre il solito! Non potevi suonare il campanello?” gli
chiese Elizabeth, rassegnata all’idea che Alex non sarebbe mai riuscito a
rimetter la testa a posto. E ciò la rese in un certo modo felice.
“Amore, avevo fretta di riprendere il pallone!” protestò Alex, molto
più che divertito.
Elizabeth scosse la testa con fare rassegnato e si strinse a lui, in
cerca delle sue passionali e dolci coccole. “Alex, Alex! Che farei senza di te!”
“Ti devo salutare ora, amore. Mi spiace.”
Elizabeth sollevò lo sguardo per posarlo nel suo, come se avesse
voluto dirgli “non te ne andare”, pur sapendo che quel pomeriggio avrebbe
dovuto.
“No, amore, no! Non guardarmi così! Devo assolutamente trovare un
nuovo manager per la band. Non riusciamo più a tirare avanti da soli.”
“Lo so, Alex. Sentirò la tua mancanza oggi, ma devi andare. Vai! E
torna con un bravo manager! Col migliore di tutti!”
Alex la baciò con passione, prima di salire in macchina. “Mi farò
perdonare molto presto, amore mio!”
I due si scambiarono un’occhiata complice alquanto birbante e loquace,
prima che Alex si infilasse dei fantastici occhiali da sole molto stile rock
anni ’80, dalla classica forma a goccia.
“Non vedo l’ora, mio Alex! Ti aspetterò con ansia!”
Alex le sorrise e sgommò via. “Ciao mia dolce fatina!” le gridò già in
corsia di marcia. E già con l’acceleratore pesantemente abbassato.
Tanto che un poliziotto dall’aria alquanto familiare lo fermò non molto
più lontano. E Alex accostò solo per poterlo sfottere.
“Patente e libretto di circolazione! Stiamo andando un po’ troppo
allegri, qui per i miei gusti”, lo ammonì il poliziotto.
Alex abbassò il finestrino. “Ancora lei, Capo? Ma perché deve sempre
rompermi le palle? Io sto ancora cercando un manager! Non ha nessun altro da
importunare?”
Albert iniziò a picchettare la testa contro lo sportello della
macchina di Alex. “No! No! Ma perché sempre a me!” piagnucolò, già sotto
esaurimento nervoso. Alex si era trasformato in un incubo fin troppo reale per
lui.
“Capo, la smetta di sbattere la zucca sulla mia auto, prima che mi
incolpi anche di aggressione a pubblico ufficiale!”
Albert si bloccò e lentamente si appoggiò al finestrino a guardare il
suo riflesso esasperato negli occhiali da sole di Alex. “Alex, ma che perché tu
proprio a me dovevi capitare! Che colpe ho, io, da espiare? Che cosa ho fatto
di male per AVERTI SEMPRE TRA I PIEDI, MANIGOLDO!” si lamentò, trasformando il
piagnucolio in un grido di isteria nervosa.
“Eh, Capo, Capo! Caro il mio capo, mi sa che presto io e lei ci
ritroveremo a passare molto tempo insieme, quindi ci faccia l’abitudine!”
constatò Alex, alludendo al fatto che fosse il fidanzato di Elizabeth. Fatto di
cui Albert era completamente oscuro.
“Che cosa? Io? Passare tempo con te? Ma per carità! Che ho fatto di
male?” si disperò Albert. “Guarda, pur di non passare altro tempo insieme, ti
lascio andare e non ti faccio neanche la multa! Fingerò di non averti mai
fermato. Basta che te tu ne vada!”
Il solito sorrisetto di scherno prese forma nel carismatico volto di
Alex. “Molto generoso, Capo. Davvero molto generoso!”
“SPARISCI, MANIGOLDO O T’AMMAZZO!” gridò Albert.
Com'è facile da immaginare, Alex non smentì neanche in quell'occasione
in cui Albert si era dimostrato così particolarmente magnanimo. Lo salutò col
solito piro e si rimise in carreggiata, sgommando a più non posso, alla ricerca
di un manager dalla testa fuori del comune.
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