sabato 24 febbraio 2018

UN MANIGOLDO PER GENERO - 2° STAGIONE - 7° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli



Alex era sul palco già da un po’ per una delle sue ultime serate al locale con la band. Con l’inizio del tour della città, si sarebbe aperto un nuovo capitolo nella carriera musicale dei ragazzi. Stavano suonando uno dei loro pezzi rock più scatenati, quando Albert fece il suo inaspettato ingresso in borghese nel locale. Aveva l’aria afflitta e distrutta e il cuore pieno rabbia ancora repressa. Ma cambiò decisamente d’umore, quando vide la confusione di cui si stava rendendo protagonista Alex sul palco scenico. Era una furia scatenata, urlava a squarciagola le parole, saltava e correva in qua e là, scuoteva la lunga chioma setosa a destra e a manca e sbatteva di continuo il poggia microfono a terra, facendolo anche girare in tondo con sé. Albert si schifò di fronte a tanta irruenza, a tanta sregolatezza, a tanta follia.
“E’ pazzo! E’ pazzo! Mia figlia è la fidanzata di un pazzo!” si ripeteva a macchinetta nella sua mente, mentre Alex continuava indisturbato a far casino sul palco.
Non si era neanche accorto della presenza di Albert, nonostante egli si fosse messo in una posizione ben in vista per farsi notare. La band suonò altre tre o quattro canzoni prima di concludere la serata.
“Grazie! Un grazie mille a tutti a nome mio e dei ragazzi! Non solo per il calore che ci avete trasmesso questa sera, ma soprattutto per ciò che ci avete dato durante tutto il periodo in cui abbiamo suonato qui! Non ci dimenticheremo mai di voi e torneremo sempre a suonare qui, se vi fa piacere! Per noi siete e resterete sempre il pubblico più bello e più caloroso del mondo nei nostri cuori. Grazie per il supporto e per aver capito e apprezzato per primi noi e la nostra musica. Perciò... Un grazie davvero di cuore da parte di tutti noi! Vi vogliamo bene ragazzi! Siete fantastici!”
Un’ovazione di proporzioni mastodontiche si levò tra il pubblico per applaudire e salutare Alex e i ragazzi.
Albert fu costretto a tapparsi le orecchie, tanto erano potenti il frastuono e il fracasso che si levarono intorno a lui. Rimase a dir poco sconvolto. Incredibile come un pubblico così ristretto riuscisse a fare tanto baccano.
Alex scese da palco con disinvoltura e fu accolto come un eroe. Si diresse dritto-dritto al bancone del bar e si prese la solita birra. Era così zuppo di sudore, che, come sempre, aveva i capelli che fuoriuscivano dalla fascia appiccicati al viso. Albert, dal momento che Alex non si era affatto accorto di lui, non poté far altro che farsi coraggio e avvicinarsi. Quando gli fu di fianco, si fece sfuggire un voluto colpo di tosse per attirare la sua attenzione. Alex, che si era già scolato mezza bottiglietta di birra, si girò sorpreso a guardare Albert in un misto di sorpresa e indifferenza.
“Salve Capo! Che ci fa lei qui?” lo salutò con fare strafottente.
Albert si appoggiò al bancone e ordinò un analcolico. “Devo parlare con te, Alex.”
“Ah. E che cosa vuole da me?”
Albert gli lanciò un supplichevole sguardo colmo di disperazione. “Voglio che lasci mia figlia.”
Alex sbuffò con strafottenza e rabbia. “No. E perché dovrei farlo?”
“Perché è un mio ordine, Alex.”
Il ragazzo gli rise con disprezzo in faccia. “Un suo ordine? Capo, io me infischio dei suoi ordini.”
“Lascia stare mia figlia”, gli intimò questa volta Albert.
“No. Non ci penso nemmeno. Io la amo”, gli rispose risoluto Alex.
“No. Tu non la ami. L’hai circuita e l’hai fatta innamorare di te solo per fare un grosso dispetto a me. E ci sei riuscito. Ma adesso, basta.”
Alex continuò a sorseggiare la sua birra con fare assai sprezzante e strafottente, ignorando la crudele richiesta senza cuore di Albert. “Quello che lei dice è molto grave, Capo. Perché sarò quello sono, non sarò di certo uno stinco di santo, ma non mi permetterei mai di giocare con i sentimenti delle persone, tanto meno con quelli di una ragazza pura e innocente come sua figlia. Io amo Elizabeth. E la sposerò.”
La sicurezza e la determinazione di Alex, accompagnata da tanta pacatezza, spiazzò Albert, lasciandolo quasi indifeso.
"La sposerai, tz! E con quali soldi?” sbuffò Albert, prendendolo in giro.
“Abbiamo di che mantenerci, Capo. Perché sa, sua figlia è la ballerina più talentuosa e più espressiva che abbia mai visto e io mi sto facendo strada con la musica. Io e i ragazzi, qui, stiamo per incidere un album.”
Questa volta fu Albert a sghignazzare. “Ah sì? E che te lo comprerà? Qualche morto di fame come voi.”
Alex si alzò in piedi con fare minaccioso, ormai spazientito. “Stia attento a come parla. Noi non siamo morti di fame. Abbiamo sempre lavorato sodo e continueremo a farlo. Ora se non le dispiace...” gli fece cenno con la mano di andarsene.
Anche Albert si alzò. “Lascia stare mia figlia. Poni fine alla vostra relazione o ti sbatto dentro. Hai accumulato talmente tanti precedenti in così poco tempo, che mi basta un niente per arrestarti una volta per tutte.”
“No. Io non lascerò mai sua figlia. Io la amo. Darei la vita per Elizabeth. Non ho paura di lei, né tanto meno delle sue minacce di abuso di potere. Non ho mai avuto paura di lei e di niente. Io amo Elizabeth. E la sposerò. Che a lei piaccia o no. Le conviene accettare l’idea. E adesso, aria! Sciò!” lo cacciò Alex, facendogli di nuovo gesto con la mano.
Albert non aveva più armi per difendersi e fu costretto ad accettare quella per lui così pesante sconfitta. Si diresse a testa bassa verso l’uscita e se ne andò, sotto l’espressione vincitrice di Alex, più strafottente e sprezzante che mai.
Albert aveva fallito due volte.

“Eccolo, eccolo! Sh, silenzio! Sta arrivando!” bisbigliarono in un lieve vociare i poliziotti e i detective al distretto, quando videro Albert fare il suo ingresso qualche giorno dopo, accompagnato dal nero del suo umore e da una faccia da zombie degna di un horror.
Albert notò la serie di sorrisetti e sbuffi trattenuti, quando passò per il solito sentiero tracciato dalle sue scarpe per raggiungere l’ufficio.
“Barney! Barney!” gridò a squarciagola, gelido come il ghiaccio, facendo sussultare tutti gli agenti, gettando nel distretto un’inquietante ondata di terrore e paura.
“Eccomi! Eccomi, Commissario! Ben tornato, Commissario!” si precipitò il poveretto, richiudendo la porta dell’ufficio alle sue spalle.
“Vedo con piacere che hai già spifferato a tutto il dipartimento ciò che io avevo ordinato restasse segreto.”
“Ecco, vede, Commissario...” balbettò il poveretto.
“Silenzio!”
“Sì, signore”, si mortificò Barney, che era stato costretto a vuotare il sacco dai suoi colleghi, con la forza.
Albert decise che Alex e sua figlia fossero una priorità. Lasciò perdere. “Dunque, Barney... Tu hai Facebook?”
“Signore? No, mio figlio ce l’ha.”
“Bene, chiamalo e fatti dare subito username e password, ché abbiamo del lavoro da fare.”
I due si misero a scartabellare tra il profilo di Alex ed Elizabeth. Ciò che Albert trovò lo gettò ancora di più verso l’orlo del baratro della disperazione. Le foto che entrambi avevano pubblicato erano per lui un chiaro messaggio di sfida. Sapevano che le avrebbe cercate. Gli scatti li ritraevano insieme, abbracciati, mentre si baciavano... In altri c’era Elizabeth allo studio con Alex che provava a cantare e Alex che le teneva le mani sul diaframma per insegnarle a usarlo, altri ancora insieme al locale. In una foto in particolare, venivano ritratti insieme dopo una serata della band, con Alex a torso nudo con la sua inseparabile fascia, completamente pasticciato di sudore, con la solita bottiglia di birra nella mano, che abbracciava Elizabeth vestita di bianco, ma in maniera alquanto audace: minigonna e tacchi a spillo con una canottiera a spalla fina, talmente corta che le scopriva e metteva in risalto i meravigliosi e armoniosi addominali scolpiti. I capelli selvaggi, non più piastrati.
Albert si prese la testa con le mani e iniziò nuovamente a piagnucolare. “Mia figlia è diventata una puttana!” si disperò.
Lo stesso Barney si stupì del linguaggio del suo superiore. Gli mise una mano sulla spalla per tentare la titanica impresa di consolarlo. “Su, su, Commissario! Non esageri come al suo solito! E’ normale che sia così. A una ragazza piace un ragazzo e si veste in maniera provocante per attrarlo di più. Questo non fa di lei una puttana, no?”
Albert alzò su la testa e rovesciò la tazzina del caffè per sfogarsi. “Non per attrarre QUEL ragazzo!” gridò badando bene a sottolineare con cura il “quel.”
“Mi sa che quei sono un pezzo avanti, Commissario! Inutile arrabbiarsi, ormai!” gli fece ingenuamente, scioccamente notare Barney.
Albert lo spintonò in preda a uno dei suoi soliti crolli nervosi. “Insomma Barney! Continui sempre a parlare! PARLI, PARLI, PARLI E PORTI MALE!”
“Ma io non porto male! Sono solo lungimirante! Con tutto il rispetto, Commissario... Chissà quante volte sono stati insieme, quei due!” si lasciò maldestramente sfuggire il povero, malcapitato Barney.
Albert balzò in piedi, afferrò Barney per il colletto e lo tirò su di peso, appoggiandolo con forza alla parete. “BASTA, BARNEY! E’ UN ORDINE!”
Il poveraccio annuì con la testa e Albert lo rimise a terra. “Non rigirare il coltello nella piaga, Barney. Lo so che l’hanno fatto. Li ha sorpresi a letto mia moglie, in camera di Elizabeth e non mi ha detto niente perché quella sciagurata ha minacciato di andarsene e non farsi più vedere!”
“Accidenti, Commissario! Senta, io capisco perfettamente come si sente. Lei sente di aver fallito come poliziotto, ma soprattutto come padre, ma non è così. Sua figlia è una gran brava ragazza, di sani principi e con quel ragazzo fa sul serio. Purtroppo, per quanto noi genitori vogliamo il meglio per i nostri figli, alla fine sono loro a decidere cosa sia meglio per loro stessi e a fare le proprie scelte. Non siamo noi a poter comandare il loro cuore e dirgli per chi deve battere.”
Albert lo fulminò con lo sguardo e si avvicinò di nuovo minacciosamente a lui. Sempre con quel discorso del cuore e dei sentimenti!
Barney si riparò con le mani, temendo di aver di nuovo pronunciato qualche parola di troppo, ma non accadde nulla.
Albert si sedette di nuovo alla sua scrivania, come se stesse riflettendo su quanto detto dal suo collega. “Forse hai ragione, Barney. Lei farà anche sul serio, ma è di lui che non mi fido.”
“Le conviene accettare la cosa, Commissario. O Alex gliela porterà via.”
“Me l’ha già portata via!” pianse disperato Albert.
“Non è così. Elizabeth le vuole bene e lei lo sa. Commissario, ascolti, in fondo quell’Alex non è un vero e proprio delinquente, quindi sotto una guida come la sua e di sua figlia, beh, potrebbe anche mettere la testa a posto!”
Albert scosse la testa, rassegnato e con un certo disappunto. “Aspetta e spera, Barney. Quelli come lui non cambiano mai.”
“Allora, accetti la loro relazione. Ci provi. Gli dia almeno una possibilità, a quel ragazzo. In fondo... Non lo neghi! Come sono carini insieme!”
Albert si rizzò di nuovo in piedi.
Barney si rese conto di aver di nuovo parlato troppo. Accidenti alla sua boccaccia!
“BASTA, BARNEY! TI CI METTI ANCHE TU ADESSO? MANNAGGIA A TE, BARNEY! ANCHE TU SEI DALLA LORO PARTE!”
“Sì, Commissario! A questo punto, sì! Non c’è niente che si possa fare, ormai. Se non puoi batterli, unisciti a loro, no? Ehi, guardi lì!” esclamò indicando il computer, dove gli era caduto l’occhio.
Alex aveva letteralmente schiaffato su Facebook la foto che aveva scattato quel giorno in commissariato, in cui Albert lanciava il portapenne pieno viso a Barney.
“QUEL MANIGOLDO! VEDI, BARNEY? SI PRENDE GIOCO DI NOI! DI ME SOPRATTUTTO!”
Ma con grande sorpresa di Albert, Barney la prese piuttosto bene. La buttò sul ridere, iniziando a sghignazzare di gusto.
“Beh, però! Commissario, siamo venuti bene!”
“BASTA, BARNEY! BASTA! VATTENE VIA! E’ UN ORDINE! ESCI DA QUEST’UFFICIO! ORA!”
Fu, però, un toc-toc a salvare la situazione o forse... A peggiorarla. Ebbene sì! Proprio così! La situazione avrebbe anche potuto peggiorare.
“CHE C’E’?” tuonò Albert.
Un agente fece timidamente il suo ingresso nell’ufficio. “Buongiorno, Commissario, mi dispiace disturbarla. Ma è appena passato un ragazzo strano su una moto, coi capelli rossicci e lunghi e pieno di tatuaggi. Mi ha lasciato questa per lei”, spiegò il nuovo arrivato, consegnando una busta da lettere ad Albert.
“Capelli rossicci? Moto? Quell’Alex! Grazie agente. Può andare.”
Albert aprì la busta sotto lo sguardo incuriosito di Barney, che non se ne era ancora andato. “E questo?” Albert scorse con gli occhi dall’alto al basso il volantino del concerto della band di Alex, in cui si intravedeva sfocata e sfumata la figura di sua figlia.
“Commissario, ci sono anche questi!” indicò Barney.
“Dammi qua, ficcanaso!” Albert li guardò con cura, cercando di capire che cosa fossero. “Ah. Sono due biglietti per il concerto di quel manigoldo. Che faccia tosta!”
“Bene, Commissario! Ci andremo insieme!”
Albert lo guardò con la coda dell’occhio con un certo disappunto. “Andremo... Chi? Dove?”
“Al concerto, Commissario!”
“Potrei anche andarci con mia moglie! Ma non ci andrò!”
“Ma Commissario, sua moglie, avendoli appoggiati fin dall’inizio, avrà i posti d’onore. E poi… Come non ci va? Non è curioso di vederlo all’opera in un intero concerto?”
Albert ci pensò su, con una certa titubanza. “E ve bene, Barney. Tieni il tuo biglietto.”
“Oh, grazie Commissario! Sono curioso di vederli. Mio figlio, che è appassionato di musica rock, dice vanno forte e che non hanno nulla da invidiare alle grandi leggende rock della nostra generazione!”
Albert gli lanciò un’altra occhiataccia, quasi al limite della decifrabilità. Sembrava un misto di disappunto e divertimento da presa in giro. “Sì, certo. Come no, Barney!” li denigrò, infine.
Ma ormai aveva i biglietti. Quella di Alex era una sfida. E lui, le sfide, le accettava. Sempre. Soprattutto se in ballo c’era l’onore di sua figlia.
“Bene”, aggiunse, poi, risoluto. “Che concerto sia.”

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