sabato 17 marzo 2018

UN MANIGOLDO PER GENERO - 2° STAGIONE - 10° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli



Hilary se ne stava in soggiorno a leggere un buon libro, tranquilla e rilassata, quando suo marito vi fece irruzione con armi e bagagli, accompagnato un grugno di frustrazione dovuta alla sconfitta e all’umiliazione subìta dell’esser dovuto per forza tornare a casa, perché cacciato da sua madre.
“Albert! Finalmente sei tornato!” esclamò Hilary contenta di vederlo. Gli andò incontro e lo abbracciò caldamente.
“Non per mia libera scelta, Hilary”, grugnì Albert con un certo disappunto.
Un ghigno di sadica vittoria si disegnò sul volto di Hilary. “E perché mai? Tua madre ti ha forse cacciato, perché anche lei ha perso la testa per Alex?”
Albert si morse il labbro per riuscire a tener ancora cuciti insieme i suoi deboli nervi. Detestava perdere e tanto più essere umiliato. Soprattutto quando di mezzo c’era quell’Alex dei suoi stivali.
“Già”, ammise controvoglia.
“Bene. Spero che tu abbia avuto modo di riflettere sul tuo insulso comportamento verso quei due.”
Albert prese aria e alzò l’indice per iniziare a discutere a mo’ di predica, quando sua figlia si precipitò entusiasta giù dalle scale.
“Papà! Oh papà, finalmente sei tornato!” gli corse incontro, abbracciandolo.
Tale e inaspettato slancio di affetto da parte di Elizabeth nei suoi confronti lo aveva senza dubbio spiazzato. Era così spaesato e confuso che si irrigidì a tal punto da non riuscire nemmeno a ricambiare l’affettuoso abbraccio di sua figlia. Quando la ragazza si staccò, gli regalò un bellissimo sorriso, così radioso da poter addirittura far invidia al Sole in persona. Ciò lo spiazzò ancora di più.
“SALVE CAPO!” lo raggiunse la solita, familiare, insolente e irriverente voce dalle scale.
“Che cosa? Cosa ci fai tu qui, in casa mia? DI GRAZIA!” s’innervosì subito Albert.
“Su via, Capo, non si scaldi tanto. Io sono il fidanzato di Elizabeth, quindi questa ormai è anche casa un po’ mia! Posso cominciare a chiamarla papà?”
“GIAMMAI!” si infuriò Albert, scaraventando con violenza verso il muro un altro soprammobile.
“Oh no! Un altro soprammobile della zia Luigina!” gridò Hilary disperata.
“Me ne frego io di quella vecchia bacucca! Ora se permetti, vado in camera a disfare le valigie e a guardare un po’ di tv!”
“Bene, papà. Io e Alex ce ne torniamo di sopra.”
“CHE COSA?”
“Sì, papà, siamo in camera mia, a lavorare sulla coreografia di un pezzo lento di Alex. Da oggi, io sono la prima ballerina ufficiale della band.”
Albert si sentì quasi mancare e fu costretto a sedersi, sprofondando sulla poltrona, dal momento che le sue ginocchia avevano ceduto di schianto. “Mio Dio! Tutti quegli anni di studio e di fatica per diventare una ballerina professionista e per ballare nei migliori teatri del mondo!” si disperò Albert.
Come sarebbe riuscito a fermare sua figlia? Le cose tra Alex ed Elizabeth correvano troppo, troppo in fretta. E lui non aveva alcun potere umano di poterli bloccare. Stava perdendo sua figlia tra le grinfie di un manigoldo di strada da quattro soldi. Confuso e perso, non sapeva più che fare.
“Questo è meglio, papà. Perché io amo Alex e grazie a lui, ho finalmente trovato il mio stile artistico di ballo e insieme a lui posso dar sfogo a tutte le mie idee e a tutta la mia creatività per le coreografie. Io voglio ballare ed essere me stessa e con Alex posso esserlo. Noi ci amiamo profondamente e siamo l’uno fonte d’ispirazione per l’altra e viceversa.”
“Io... Vado in camera”, ribadì Albert con tono afflitto, distrutto, annientato. Si chiuse dentro e si sedette sul letto, con la testa tra le mani. “Povero me. Povera figlia mia. Che cosa dirò a Emile?”
Pianse, pianse davvero tanto, all’insaputa di tutti. Nessuno sarebbe mai stato in grado di immaginare quali pensieri sul disonore si fossero impossessati della sua mente medioevale e contorta. Soffriva davvero e nessuno sarebbe mai stato in grado di comprendere fino a che punto. L’unico modo per lenire quel lacerante dolore e risaldare i suoi nervi saltati era costituito dalla titanica e quasi utopistica impresa di fargli cambiare mentalità.
Ma era impossibile.
Restò chiuso in camera tutto il pomeriggio, a ribollire di rabbia come una pentola a pressione pronta a esplodere, dovendo subire le grida e le risate divertite di Alex ed Elizabeth provenienti dall’altra stanza. Scese solo verso l’ora di cena, non per scelta propria, ma del suo stomaco, che reclamava il pasto con famelica inquietudine. Ma quando entrò in cucina, dovette sopportare di peggio, di molto peggio della sua fame. Sua moglie stava finendo di mettere in tavola la cena e Alex ed Elizabeth se ne stavano già seduti coi piatti a mangiare e a imboccarsi a vicenda, scambiandosi qualche tenero bacino e mille e mille dolci sorrisi.
“Mi fate venire il voltastomaco! Mi si è cariato un dente solo per vedere queste ipocrite smancerie, messe in atto solo per convincermi! Che ci fai tu qui, a casa mia, seduto alla mia tavola?” si infuriò subito Albert, come al suo solito.
“Alex cena con noi, papà. E anche tu!”
“No. Io, con questo vile manigoldo, non ci ceno. Non condividerò con lui lo stesso tavolo e il mio stesso pane. Mangerò in camera.”
Sua moglie lo picchiò stizzita con uno straccio da cucina. “Smettila con queste stupidaggini, Albert. Siediti e mangia con la tua famiglia e il fidanzato di tua figlia. VERGOGNATI!” lo rimproverò poi molto severamente.
“Su via, Capo! Non faccia il maleducato. Prego, mangi!” intervenne Alex col suo solito tono da presa in giro.
Albert si vide costretto a sedersi e mangiare con loro, molto controvoglia, in compagnia del suo perenne sguardo assassino e furibondo puntato sempre su Alex, che lo ignorò totalmente. Iniziò a fare le sue solite battute e il suo solito casino, andando così ad aumentare il livello di rabbia repressa nello stomaco di Albert, che non stava mangiando quasi nulla a causa della crescente ira, la quale stava per esplodere dentro di lui come una bomba a orologeria. E Alex, sempre affamato com’era, non ci mise niente di mezzo per scippare i piatti ad Albert proprio sotto il suo naso rosso di rabbia.
“Non lo mangia, Capo? Perfetto, allora lo mangio io!” ripeteva entusiasta ogni volta che aveva modo di rubargli il piatto.
“Mio Dio, Alex! Quanto mangi!” esclamò Hilary, ogni volta sempre più stupita dalla vorace fame di Alex.
“Ma Hilary,” –bofonchiò col boccone fra le fauci- “io sono sempre in movimento! Non è colpa mia se ho sempre fame!”
Elizabeth non aveva fatto altro che osservare Alex, divertita. Lo fissava con sguardo perso e incantato, colmo d’ammirazione e pieno d’amore. Gli prese il braccio e gli si accoccolò teneramente sulla spalla. Uno slancio d’affetto che bloccò la frenesia irrefrenabile di Alex. Smise improvvisamente di far baccano, incantato da tanto affetto nei suoi confronti. Ricambiò lo sguardo dolce e rapito di Elizabeth e la strinse forte a sé, teneramente, sotto gli occhi felici e inteneriti di Hilary e quelli dinamitici di Albert.
“Ti amo, Alex”, gli sussurrò Elizabeth, stretta tra le sue braccia.
“Anch’io ti amo, Elizabeth. Tanto.” Alex le scoccò un sonoro bacio sulla fronte, prima di appoggiare delicatamente le labbra su quelle rosee e soffici di lei.
Tale scena, per Albert disgustosa e indignitosa, fece esplodere la rabbia dinamitica che aveva dentro come una bomba a orologeria.
“ADESSO BASTA! NON C’E’ POSTO IN QUESTA PER TUTTI E DUE! SCEGLIETE: O ME O LUI!” scoppiò Albert iracondo, balzando in piedi e picchiando le mani sul tavolo.
Hilary ed Elizabeth si scambiarono un eloquente sguardo complice. “Lui”, gli risposero in coro, prendendolo a braccetto una, da un lato e l’altra, dall’altro.
Alex gli sfoggiò un sadico sorriso strafottente di vittoria e soddisfazione. La bomba atomica nello stomaco di Albert esplose definitivamente in un gelante urlo di furia. Afferrò un altro soprammobile e lo frantumò contro il muro.
“Oh no! Di nuovo il soprammobile della zia Luigina!” si disperò Hilary.
“Se andiamo avanti di questo passo, mamma, mi sa che non ci resterà neanche un ricordo della zia Luigina e dello zio Esmeraldo”, commentò Elizabeth sarcastica, ma con grande senso del realismo.
“Hai ragione! Albert, smettila di distruggere i ricordi di nostra zia!”
“DI VOSTRA ZIA, NON MIA! NON M’IMPORTA UN ACCIDENTI DI QUESTI STUPIDI SOPRAMMOBILI!” E lo dimostrò distruggendone un altro.
“Mamma, quello era l’ultimo soprammobile che ci aveva regalato la zia Luigina”, le fece notare Elizabeth alquanto dispiaciuta. Teneva davvero ai ricordi dei suoi zii.
“Albert, sei un mostro! Elizabeth ha ragione! C’era rimasto solo quello!”
“CHI SE NE FREGA DI QUELLA VECCHIA BACUCCA! AL DIAVOLO LEI, I SUOI SOPRAMMOBILI E TUTTE QUELLE SUE IDEE MODERNE!”
“Albert!” tuonò Hilary, come aveva tuonato in vita sua. Ma il telefono la interruppe.
“Vado io, mamma!” si precipitò Elizabeth premurosa come sempre. “Pronto?”
“Elizabeth cara! Ciao tesoro! Come stai?”
Elizabeth trasalì di colpo e si girò a guardare sua madre con gli occhi sgranati e lo sguardo terrorizzato e smarrito. In pratica, le era preso un colpo. Come si dice? Parli del diavolo...
“Zia Luigina! Che sorpresa! Che magnifica sorpresa! Io sto benissimo e voi?” si sforzò di essere più allegra e contenta possibile, esagerando col tono della voce per sopprimere il suo disappunto.
“Anche noi, cara! Ho una notizia bellissima!” si gasò la pimpante vecchietta dall’altra parte del telefono.
“Dimmi pure zia!” la incitò Elizabeth, pregando con tutto il cuore che non le stesse per annunciare una cena di rimpatrio proprio a casa sua.
“Hanno rinnovato la patente allo zio Esmeraldo, perciò vi verremo a trovare presto! Questo sabato a cena, va bene?”
“Sabato, a cena?” ripeté Elizabeth, lanciando un interrogativo sguardo impaurito e spaesato a sua madre, che annuì con un cenno del capo. Tutte le sue speranze andate in frantumi. “D’accordo, zia! Noi ci siamo!”
“Benissimo cara! Voi cucinate, ché noi portiamo la torta!”
“Portane due, zia!”
“Va bene, tesoro! Ma come mai? Avete un ospite?”
“E’ una sorpresa, zia! Tu portane due! Ci vediamo sabato! E saluta anche lo zio Esmeraldo! Ciao!”
“A sabato, tesoro di zia!”
Elizabeth fu sollevata, quando finalmente poté riagganciare la cornetta.
Hilary fulminò suo marito con un gelido sguardo. “Sei contento adesso, Albert?” gli chiese con rabbia, rimanendo però fredda e pacata, andando a incutere ancora più timore.
Suo marito non l’aveva mai vista così. “Ne ricompreremo altri!”
“Devo dissentire, papà! Credi che non si accorgerà del fatto che non sono i suoi?” gli sibilò addosso Elizabeth con la linguaccia di una vipera.
“Sciocchezze! Non se ne accorgerà mai, quella vecchia bacucca!”
“Papà! La zia Luigina e lo zio Esmeraldo saranno anche anziani, ma sono ancora parecchio arzilli e lucidi! Tanto che allo zio Esmeraldo hanno rinnovato persino la patente!”
“Si salvi chi può!” esclamò suo padre sarcastico e neanche preoccupato.
“Sono proprio curioso di conoscerla questa zia Luigina!” intervenne Alex, interrompendo con intelligenza il litigio al momento giusto.
“Proprio per questo le ho chiesto di portare due torte! Sei libero sabato, amore?” gli domandò Elizabeth con cuore gonfio di speranza.
“Certo! Mi sono tenuto libero perché mi avevi detto di essere libera anche tu. Non perderei un sabato sera libero con te per niente al mondo. Perché ti amo troppo!”
“BASTA! IO NON NE POSSO PIU’! VADO A DORMIRE!” annunciò Albert col cuore esausto ed esasperato.
“Sì, va bene. Tanto tra poco ci andiamo anche noi, papà. Tu resti con me, vero Alex?”
“Ma che domande mi fai, amore? Ma certo che resto con te!”
“CHE COSA? TU DORMIRE NEL LETTO CON MIA FIGLIA?” tuonò Albert.
“Come se fosse la prima volta, Capo! Se lo ficchi bene in quella sua testaccia dura di legno. Io amo Elizabeth, Elizabeth ama me, siamo ufficialmente fidanzati e io la sposerò molto presto. Ho già chiesto la sua mano e lei mi ha risposto di sì.”
“Sposarvi? Questa poi! E con quali soldi, sentiamo?”
“Capo, io sto incidendo il mio album con la band. E presto gireremo il video di lancio che trasmetteranno anche in televisione!”
“Voglio proprio vedere chi te lo compra, il cd. E comunque non hai il mio consenso per sposare mia figlia. Non ve lo darò mai!”
“E io me lo prendo lo stesso. Anzi, noi ce lo prendiamo lo stesso. Io amo Elizabeth e la sposerò, che a lei piaccia o no.” Alex concluse la frase con tono più che determinato e accompagnò la voce con un eloquentissimo sguardo colmo di sicurezza che traboccava dai suoi magnetici occhi grigioverdi.
Albert si vide sconfitto per l’ennesima volta. Si alzò da tavola e se ne tornò in camera. Anche Elizabeth e Alex salirono poco dopo e si chiusero a chiave. Albert, avendo sentito la chiave girare nella serratura, si alzò dal letto e si precipitò silenziosamente senza ciabatte davanti alla porta di sua figlia, per tentare di udire uno o qualche rumore sospetto. Ma nulla. Silenzio di tomba. Elizabeth e Alex si erano messi a dormire sul serio, dopo aver sghignazzato un po’, in maniera alquanto complice.
“Tanto non resterà qui tutta la notte!” le aveva sussurrato Alex nell’orecchio con un fil di sensuale voce, facendole correre i brividi lungo la schiena.
Ed eccoli lì, entrambi pronti a sfidare Albert.
Infatti, Albert resistette un paio d’ore a far la sentinella di vedetta di fronte alla porta. Si era persino beccato un altro sguardo di sprezzante e schifato disappunto da sua moglie, quando questa salì per andare a dormire. Dal momento che le luci erano tutte spente e non si udiva alcun rumore, se ne andò. Elizabeth si svegliò nel cuore della notte, precedendo Alex, andando contro ogni legge naturale. Di solito era abituata a dormire come un ghiro e non svegliarsi mai, al contrario di Alex che era un vero e proprio nottambulo e amante delle ore piccole. L’euforia di averlo accanto a sé, il suo sensuale odore tra le lenzuola, le fece inconsciamente respingere l’idea di averlo nel letto con lei e starsene lì a dormire buona-buona, anche se suo padre era nelle vicinanze più prossime. Schiavò con fare felino la porta, verificò che non ci fosse nessuno fuori e richiuse a chiave così come silenziosamente aveva aperto.
“Alex! Alex, amore!” lo chiamò lei, scuotendolo delicatamente.
Il ragazzo udì il dolce sussurro quasi ovattato di Elizabeth come se fosse stata la sveglia più potente che avesse mai sentito in vita sua. Si rizzò a sedere sul letto come se fosse sveglio ormai da ore.
“E’ andato via?” le chiese ansioso.
Elizabeth annuì con radioso sorriso entusiasta e lasciò che Alex le saltasse addosso con silenziosa foga e audace passione.
Il mattino seguente, i due impudenti e intraprendenti innamorati uscirono di buonora, molto prima che Albert si svegliasse. Alex aveva lasciato un irriverente biglietto di sfida davanti alla porta della sua camera. Quando Albert lo lesse... Beh, inutile dirlo.
“SALVE CAPO! SPERO CHE IL SUO BUONGIORNO POSSA ESSERE MIGLIORE DEL MIO! ANCHE SE LO RITENGO DEL TUTTO IMPOSSIBILE. ELIZABETH MI HA FATTO VEDERE LE STELLE QUESTA NOTTE E IO NON SONO STATO DA MENO! ABBIAMO AVUTO UNA NOTTATA MOOOOLTO MOVIMENTATA. LA SALUTO, CAPO!” Aveva persino disegnato una mano col dito alzato al termine della frase, sul post scriptum.
Albert stracciò il biglietto, rosso di rabbia, con il gravoso proiettile dell’umiliazione e della sconfitta conficcato nello stomaco. “MALEDIZIONE, ALEX! TI DISTRUGGERO’! TI DISINTEGRERO’ E TI FARO’ IN MILLE PEZZI!” gridò a squarciagola, saltando sul pavimento come un bimbo nel bel mezzo di un capriccio.
“Albert, smettila di fare tutto questo baccano e fammi dormire ancora un po’! Smettila con queste pagliacciate!” lo rimproverò sua moglie, per niente contenta di esser stata buttata giù dal letto l’unica mattina in cui avrebbe potuto dormire.
Albert scese di sotto e si preparò un buon caffè. Anche se forse non era proprio una buona idea...
Il caffè, Albert... Un binomio da evitare.
Yoga, Albert... Quello sì, che era un binomio da incoraggiare. Così come era un’utopia.

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