Hilary se ne stava in soggiorno a leggere un buon libro, tranquilla e
rilassata, quando suo marito vi fece irruzione con armi e bagagli, accompagnato
un grugno di frustrazione dovuta alla sconfitta e all’umiliazione subìta
dell’esser dovuto per forza tornare a casa, perché cacciato da sua madre.
“Albert! Finalmente sei tornato!” esclamò Hilary contenta di vederlo.
Gli andò incontro e lo abbracciò caldamente.
“Non per mia libera scelta, Hilary”, grugnì Albert con un certo
disappunto.
Un ghigno di sadica vittoria si disegnò sul volto di Hilary. “E perché
mai? Tua madre ti ha forse cacciato, perché anche lei ha perso la testa per
Alex?”
Albert si morse il labbro per riuscire a tener ancora cuciti insieme i
suoi deboli nervi. Detestava perdere e tanto più essere umiliato. Soprattutto
quando di mezzo c’era quell’Alex dei suoi stivali.
“Già”, ammise controvoglia.
“Bene. Spero che tu abbia avuto modo di riflettere sul tuo insulso
comportamento verso quei due.”
Albert prese aria e alzò l’indice per iniziare a discutere a mo’ di
predica, quando sua figlia si precipitò entusiasta giù dalle scale.
“Papà! Oh papà, finalmente sei tornato!” gli corse incontro,
abbracciandolo.
Tale e inaspettato slancio di affetto da parte di Elizabeth nei suoi
confronti lo aveva senza dubbio spiazzato. Era così spaesato e confuso che si
irrigidì a tal punto da non riuscire nemmeno a ricambiare l’affettuoso
abbraccio di sua figlia. Quando la ragazza si staccò, gli regalò un bellissimo
sorriso, così radioso da poter addirittura far invidia al Sole in persona. Ciò
lo spiazzò ancora di più.
“SALVE CAPO!” lo raggiunse la solita, familiare, insolente e
irriverente voce dalle scale.
“Che cosa? Cosa ci fai tu qui, in casa mia? DI GRAZIA!” s’innervosì
subito Albert.
“Su via, Capo, non si scaldi tanto. Io sono il fidanzato di Elizabeth,
quindi questa ormai è anche casa un po’ mia! Posso cominciare a chiamarla
papà?”
“GIAMMAI!” si infuriò Albert, scaraventando con violenza verso il muro
un altro soprammobile.
“Oh no! Un altro soprammobile della zia Luigina!” gridò Hilary
disperata.
“Me ne frego io di quella vecchia bacucca! Ora se permetti, vado in
camera a disfare le valigie e a guardare un po’ di tv!”
“Bene, papà. Io e Alex ce ne torniamo di sopra.”
“CHE COSA?”
“Sì, papà, siamo in camera mia, a lavorare sulla coreografia di un
pezzo lento di Alex. Da oggi, io sono la prima ballerina ufficiale della band.”
Albert si sentì quasi mancare e fu costretto a sedersi, sprofondando
sulla poltrona, dal momento che le sue ginocchia avevano ceduto di schianto.
“Mio Dio! Tutti quegli anni di studio e di fatica per diventare una ballerina
professionista e per ballare nei migliori teatri del mondo!” si disperò Albert.
Come sarebbe riuscito a fermare sua figlia? Le cose tra Alex ed
Elizabeth correvano troppo, troppo in fretta. E lui non aveva alcun potere
umano di poterli bloccare. Stava perdendo sua figlia tra le grinfie di un
manigoldo di strada da quattro soldi. Confuso e perso, non sapeva più che fare.
“Questo è meglio, papà. Perché io amo Alex e grazie a lui, ho
finalmente trovato il mio stile artistico di ballo e insieme a lui posso dar
sfogo a tutte le mie idee e a tutta la mia creatività per le coreografie. Io voglio
ballare ed essere me stessa e con Alex posso esserlo. Noi ci amiamo
profondamente e siamo l’uno fonte d’ispirazione per l’altra e viceversa.”
“Io... Vado in camera”, ribadì Albert con tono afflitto, distrutto,
annientato. Si chiuse dentro e si sedette sul letto, con la testa tra le mani.
“Povero me. Povera figlia mia. Che cosa dirò a Emile?”
Pianse, pianse davvero tanto, all’insaputa di tutti. Nessuno sarebbe
mai stato in grado di immaginare quali pensieri sul disonore si fossero
impossessati della sua mente medioevale e contorta. Soffriva davvero e nessuno
sarebbe mai stato in grado di comprendere fino a che punto. L’unico modo per
lenire quel lacerante dolore e risaldare i suoi nervi saltati era costituito
dalla titanica e quasi utopistica impresa di fargli cambiare mentalità.
Ma era impossibile.
Restò chiuso in camera tutto il pomeriggio, a ribollire di rabbia come
una pentola a pressione pronta a esplodere, dovendo subire le grida e le risate
divertite di Alex ed Elizabeth provenienti dall’altra stanza. Scese solo verso
l’ora di cena, non per scelta propria, ma del suo stomaco, che reclamava il
pasto con famelica inquietudine. Ma quando entrò in cucina, dovette sopportare
di peggio, di molto peggio della sua fame. Sua moglie stava finendo di mettere
in tavola la cena e Alex ed Elizabeth se ne stavano già seduti coi piatti a
mangiare e a imboccarsi a vicenda, scambiandosi qualche tenero bacino e mille e
mille dolci sorrisi.
“Mi fate venire il voltastomaco! Mi si è cariato un dente solo per
vedere queste ipocrite smancerie, messe in atto solo per convincermi! Che ci
fai tu qui, a casa mia, seduto alla mia tavola?” si infuriò subito Albert, come
al suo solito.
“Alex cena con noi, papà. E anche tu!”
“No. Io, con questo vile manigoldo, non ci ceno. Non condividerò con
lui lo stesso tavolo e il mio stesso pane. Mangerò in camera.”
Sua moglie lo picchiò stizzita con uno straccio da cucina. “Smettila
con queste stupidaggini, Albert. Siediti e mangia con la tua famiglia e il
fidanzato di tua figlia. VERGOGNATI!” lo rimproverò poi molto severamente.
“Su via, Capo! Non faccia il maleducato. Prego, mangi!” intervenne
Alex col suo solito tono da presa in giro.
Albert si vide costretto a sedersi e mangiare con loro, molto
controvoglia, in compagnia del suo perenne sguardo assassino e furibondo
puntato sempre su Alex, che lo ignorò totalmente. Iniziò a fare le sue solite
battute e il suo solito casino, andando così ad aumentare il livello di rabbia
repressa nello stomaco di Albert, che non stava mangiando quasi nulla a causa
della crescente ira, la quale stava per esplodere dentro di lui come una bomba
a orologeria. E Alex, sempre affamato com’era, non ci mise niente di mezzo per
scippare i piatti ad Albert proprio sotto il suo naso rosso di rabbia.
“Non lo mangia, Capo? Perfetto, allora lo mangio io!” ripeteva
entusiasta ogni volta che aveva modo di rubargli il piatto.
“Mio Dio, Alex! Quanto mangi!” esclamò Hilary, ogni volta sempre più
stupita dalla vorace fame di Alex.
“Ma Hilary,” –bofonchiò col boccone fra le fauci- “io sono sempre in
movimento! Non è colpa mia se ho sempre fame!”
Elizabeth non aveva fatto altro che osservare Alex, divertita. Lo
fissava con sguardo perso e incantato, colmo d’ammirazione e pieno d’amore. Gli
prese il braccio e gli si accoccolò teneramente sulla spalla. Uno slancio
d’affetto che bloccò la frenesia irrefrenabile di Alex. Smise improvvisamente
di far baccano, incantato da tanto affetto nei suoi confronti. Ricambiò lo
sguardo dolce e rapito di Elizabeth e la strinse forte a sé, teneramente, sotto
gli occhi felici e inteneriti di Hilary e quelli dinamitici di Albert.
“Ti amo, Alex”, gli sussurrò Elizabeth, stretta tra le sue braccia.
“Anch’io ti amo, Elizabeth. Tanto.” Alex le scoccò un sonoro bacio
sulla fronte, prima di appoggiare delicatamente le labbra su quelle rosee e
soffici di lei.
Tale scena, per Albert disgustosa e indignitosa, fece esplodere la
rabbia dinamitica che aveva dentro come una bomba a orologeria.
“ADESSO BASTA! NON C’E’ POSTO IN QUESTA PER TUTTI E DUE! SCEGLIETE: O
ME O LUI!” scoppiò Albert iracondo, balzando in piedi e picchiando le mani sul
tavolo.
Hilary ed Elizabeth si scambiarono un eloquente sguardo complice.
“Lui”, gli risposero in coro, prendendolo a braccetto una, da un lato e l’altra,
dall’altro.
Alex gli sfoggiò un sadico sorriso strafottente di vittoria e
soddisfazione. La bomba atomica nello stomaco di Albert esplose definitivamente
in un gelante urlo di furia. Afferrò un altro soprammobile e lo frantumò contro
il muro.
“Oh no! Di nuovo il soprammobile della zia Luigina!” si disperò
Hilary.
“Se andiamo avanti di questo passo, mamma, mi sa che non ci resterà
neanche un ricordo della zia Luigina e dello zio Esmeraldo”, commentò Elizabeth
sarcastica, ma con grande senso del realismo.
“Hai ragione! Albert, smettila di distruggere i ricordi di nostra
zia!”
“DI VOSTRA ZIA, NON MIA! NON M’IMPORTA UN ACCIDENTI DI QUESTI STUPIDI
SOPRAMMOBILI!” E lo dimostrò distruggendone un altro.
“Mamma, quello era l’ultimo soprammobile che ci aveva regalato la zia
Luigina”, le fece notare Elizabeth alquanto dispiaciuta. Teneva davvero ai
ricordi dei suoi zii.
“Albert, sei un mostro! Elizabeth ha ragione! C’era rimasto solo
quello!”
“CHI SE NE FREGA DI QUELLA VECCHIA BACUCCA! AL DIAVOLO LEI, I SUOI
SOPRAMMOBILI E TUTTE QUELLE SUE IDEE MODERNE!”
“Albert!” tuonò Hilary, come aveva tuonato in vita sua. Ma il telefono
la interruppe.
“Vado io, mamma!” si precipitò Elizabeth premurosa come sempre.
“Pronto?”
“Elizabeth cara! Ciao tesoro! Come stai?”
Elizabeth trasalì di colpo e si girò a guardare sua madre con gli
occhi sgranati e lo sguardo terrorizzato e smarrito. In pratica, le era preso
un colpo. Come si dice? Parli del diavolo...
“Zia Luigina! Che sorpresa! Che magnifica sorpresa! Io sto benissimo e
voi?” si sforzò di essere più allegra e contenta possibile, esagerando col tono
della voce per sopprimere il suo disappunto.
“Anche noi, cara! Ho una notizia bellissima!” si gasò la pimpante
vecchietta dall’altra parte del telefono.
“Dimmi pure zia!” la incitò Elizabeth, pregando con tutto il cuore che
non le stesse per annunciare una cena di rimpatrio proprio a casa sua.
“Hanno rinnovato la patente allo zio Esmeraldo, perciò vi verremo a
trovare presto! Questo sabato a cena, va bene?”
“Sabato, a cena?” ripeté Elizabeth, lanciando un interrogativo sguardo
impaurito e spaesato a sua madre, che annuì con un cenno del capo. Tutte le sue
speranze andate in frantumi. “D’accordo, zia! Noi ci siamo!”
“Benissimo cara! Voi cucinate, ché noi portiamo la torta!”
“Portane due, zia!”
“Va bene, tesoro! Ma come mai? Avete un ospite?”
“E’ una sorpresa, zia! Tu portane due! Ci vediamo sabato! E saluta
anche lo zio Esmeraldo! Ciao!”
“A sabato, tesoro di zia!”
Elizabeth fu sollevata, quando finalmente poté riagganciare la
cornetta.
Hilary fulminò suo marito con un gelido sguardo. “Sei contento adesso,
Albert?” gli chiese con rabbia, rimanendo però fredda e pacata, andando a
incutere ancora più timore.
Suo marito non l’aveva mai vista così. “Ne ricompreremo altri!”
“Devo dissentire, papà! Credi che non si accorgerà del fatto che non
sono i suoi?” gli sibilò addosso Elizabeth con la linguaccia di una vipera.
“Sciocchezze! Non se ne accorgerà mai, quella vecchia bacucca!”
“Papà! La zia Luigina e lo zio Esmeraldo saranno anche anziani, ma
sono ancora parecchio arzilli e lucidi! Tanto che allo zio Esmeraldo hanno
rinnovato persino la patente!”
“Si salvi chi può!” esclamò suo padre sarcastico e neanche
preoccupato.
“Sono proprio curioso di conoscerla questa zia Luigina!” intervenne
Alex, interrompendo con intelligenza il litigio al momento giusto.
“Proprio per questo le ho chiesto di portare due torte! Sei libero
sabato, amore?” gli domandò Elizabeth con cuore gonfio di speranza.
“Certo! Mi sono tenuto libero perché mi avevi detto di essere libera
anche tu. Non perderei un sabato sera libero con te per niente al mondo. Perché
ti amo troppo!”
“BASTA! IO NON NE POSSO PIU’! VADO A DORMIRE!” annunciò Albert col
cuore esausto ed esasperato.
“Sì, va bene. Tanto tra poco ci andiamo anche noi, papà. Tu resti con
me, vero Alex?”
“Ma che domande mi fai, amore? Ma certo che resto con te!”
“CHE COSA? TU DORMIRE NEL LETTO CON MIA FIGLIA?” tuonò Albert.
“Come se fosse la prima volta, Capo! Se lo ficchi bene in quella sua
testaccia dura di legno. Io amo Elizabeth, Elizabeth ama me, siamo
ufficialmente fidanzati e io la sposerò molto presto. Ho già chiesto la sua
mano e lei mi ha risposto di sì.”
“Sposarvi? Questa poi! E con quali soldi, sentiamo?”
“Capo, io sto incidendo il mio album con la band. E presto gireremo il
video di lancio che trasmetteranno anche in televisione!”
“Voglio proprio vedere chi te lo compra, il cd. E comunque non hai il
mio consenso per sposare mia figlia. Non ve lo darò mai!”
“E io me lo prendo lo stesso. Anzi, noi ce lo prendiamo lo stesso. Io
amo Elizabeth e la sposerò, che a lei piaccia o no.” Alex concluse la frase con
tono più che determinato e accompagnò la voce con un eloquentissimo sguardo
colmo di sicurezza che traboccava dai suoi magnetici occhi grigioverdi.
Albert si vide sconfitto per l’ennesima volta. Si alzò da tavola e se
ne tornò in camera. Anche Elizabeth e Alex salirono poco dopo e si chiusero a
chiave. Albert, avendo sentito la chiave girare nella serratura, si alzò dal
letto e si precipitò silenziosamente senza ciabatte davanti alla porta di sua
figlia, per tentare di udire uno o qualche rumore sospetto. Ma nulla. Silenzio
di tomba. Elizabeth e Alex si erano messi a dormire sul serio, dopo aver
sghignazzato un po’, in maniera alquanto complice.
“Tanto non resterà qui tutta la notte!” le aveva sussurrato Alex
nell’orecchio con un fil di sensuale voce, facendole correre i brividi lungo la
schiena.
Ed eccoli lì, entrambi pronti a sfidare Albert.
Infatti, Albert resistette un paio d’ore a far la sentinella di
vedetta di fronte alla porta. Si era persino beccato un altro sguardo di
sprezzante e schifato disappunto da sua moglie, quando questa salì per andare a
dormire. Dal momento che le luci erano tutte spente e non si udiva alcun
rumore, se ne andò. Elizabeth si svegliò nel cuore della notte, precedendo
Alex, andando contro ogni legge naturale. Di solito era abituata a dormire come
un ghiro e non svegliarsi mai, al contrario di Alex che era un vero e proprio
nottambulo e amante delle ore piccole. L’euforia di averlo accanto a sé, il suo
sensuale odore tra le lenzuola, le fece inconsciamente respingere l’idea di
averlo nel letto con lei e starsene lì a dormire buona-buona, anche se suo
padre era nelle vicinanze più prossime. Schiavò con fare felino la porta,
verificò che non ci fosse nessuno fuori e richiuse a chiave così come
silenziosamente aveva aperto.
“Alex! Alex, amore!” lo chiamò lei, scuotendolo delicatamente.
Il ragazzo udì il dolce sussurro quasi ovattato di Elizabeth come se
fosse stata la sveglia più potente che avesse mai sentito in vita sua. Si rizzò
a sedere sul letto come se fosse sveglio ormai da ore.
“E’ andato via?” le chiese ansioso.
Elizabeth annuì con radioso sorriso entusiasta e lasciò che Alex le
saltasse addosso con silenziosa foga e audace passione.
Il mattino seguente, i due impudenti e intraprendenti innamorati uscirono
di buonora, molto prima che Albert si svegliasse. Alex aveva lasciato un irriverente
biglietto di sfida davanti alla porta della sua camera. Quando Albert lo
lesse... Beh, inutile dirlo.
“SALVE CAPO! SPERO CHE IL SUO BUONGIORNO POSSA ESSERE MIGLIORE DEL
MIO! ANCHE SE LO RITENGO DEL TUTTO IMPOSSIBILE. ELIZABETH MI HA FATTO VEDERE LE
STELLE QUESTA NOTTE E IO NON SONO STATO DA MENO! ABBIAMO AVUTO UNA NOTTATA
MOOOOLTO MOVIMENTATA. LA SALUTO, CAPO!” Aveva persino disegnato una mano col
dito alzato al termine della frase, sul post scriptum.
Albert stracciò il biglietto, rosso di rabbia, con il gravoso
proiettile dell’umiliazione e della sconfitta conficcato nello stomaco.
“MALEDIZIONE, ALEX! TI DISTRUGGERO’! TI DISINTEGRERO’ E TI FARO’ IN MILLE
PEZZI!” gridò a squarciagola, saltando sul pavimento come un bimbo nel bel
mezzo di un capriccio.
“Albert, smettila di fare tutto questo baccano e fammi dormire ancora
un po’! Smettila con queste pagliacciate!” lo rimproverò sua moglie, per niente
contenta di esser stata buttata giù dal letto l’unica mattina in cui avrebbe
potuto dormire.
Albert scese di sotto e si preparò un buon caffè. Anche se forse non
era proprio una buona idea...
Il caffè, Albert... Un binomio da evitare.
Yoga, Albert... Quello sì, che era un binomio da incoraggiare. Così
come era un’utopia.
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