Enrico aveva querelato tutti, tutti quanti.
Si era procurato un buon avvocato tramite la facoltà
e lì si erano svolti i loro appuntamenti. Avevano steso insieme una bella
querela per violenza, percosse e sequestro di persona contro i suoi
coinquilini, i genitori e il dottor Bartolini, che lo aveva operato contro la
sua volontà. Eppure, le cose non sarebbero potute andare peggio. Perché, invece
di vedere il terrore nei loro occhi, i genitori lo avevano ignorato, il dottore
se ne era altamente fregato e i suoi amati coinquilini gli avevano riso in
faccia.
E la sua vita non era cambiata di una virgola,
perché nessuno sembrava preoccuparsi della querela in corso. A quanto pareva,
tutti sembravano convinti che l’avrebbero spuntata, ma, mentre si allenava in
palestra sotto l’inflessibile sorveglianza di Marco, Enrico era certo che così
non sarebbe stato e che presto avrebbe avuto giustizia. Ciò che aveva subito da
parte loro, tutte quelle violenze fisiche, psicologiche e verbali, tutte quelle
angherie erano troppo, troppo gravi. Nessun giudice sarebbe passato sopra dei
simili scempi, NESSUNO!
Allora, perché erano tutti così tranquilli? Certo,
andava bene essere convinti delle proprie idee e azioni, ma un conto era essere
convinti e l’altro rendersi conto di come stavano realmente le cose. Possibile
che quei cretini non si fossero resi conto di niente? Era inutile che facessero
tanto i gradassi, che fischiettassero sereni e beati dalla mattina alla sera,
ridendogli in faccia! Loro sarebbero andati in galera e lui sarebbe finalmente
tornato a essere libero come un fringuello. Già pregustava il momento in cui
avrebbe ricominciato a mangiare la pizza, un po’ per volta, piano-piano,
spicchio dopo spicchio, fino a tornare nel giro di qualche mese a mangiarne tre
a fila. Se stava sopportando tutta la fatica dell’allenamento sotto il ghigno
beffardo di Marco, era soltanto perché sapeva che presto, molto presto, la sua
vita sarebbe tornata alla normalità. E i suoi malfattori sarebbero stati tutti
puniti.
Giustizia sarebbe stata finalmente fatta.
Concluse l’esercizio alla pressa, letteralmente
sfiancato, i capelli madidi di sudore e la faccia rossa come un peperone per l’eccessivo
sforzo fisico, e lanciò uno sguardo disperato all’orologio, sbuffando. Quando
si accorse che una ragazza lo stava fissando. Il che lo fece arrossare ancora
di più. Di solito le ragazze non lo guardavano, non con quell’espressione tanto
compassionevole. Di solito, la gente rideva di lui o lo sprezzava. Ma a lui non
importava un fico secco. Come poteva, però, ignorare uno sguardo tanto dolce? E
una ragazza tanto bella per giunta! Altezza media, fisico statuario e muscoli
scolpiti, aveva il viso delicato da bambolina, incorniciato da dei corti
ricciolini d’oro, e gli occhi verdi come smeraldi. Aveva appena finito di
eseguire l’ultima serie di squat con un pesantissimo bilanciere sulle spalle e
Enrico la vide posarlo a terra con movimenti coordinati ed esperti, come se
stesse rimettendo a terra un cuscino.
E, all’improvviso, sentì le farfalle nello stomaco.
“Dura la vita, eh!” esordì Enrico per attaccar
discorso, sfiancato come non mai.
Lei sorrise e ammiccò divertita. “Non per me!”
scherzò. “Con quanto la fai, la pressa?”
“Ehm, con una trentina di chili! È dura, sai? Tu con
quanto la fai?”
“Con 120 chili”, rispose la ragazza con nonchalance,
come se gli avesse detto in che modo beveva il latte la mattina.
“COOOOSA?” sbottò Enrico, sentendosi nettamente
inferiore a lei.
E anche svantaggiato nel corteggiamento.
“Beh, ci puoi arrivare anche tu! Basta allenarsi!
Non sei molto in forma, dico bene?”
Enrico scosse il capo. “Devo ammetterlo. Sono un po’
in sovrappeso.”
Era la prima volta che ne prendeva coscienza, a dire
il vero. Era sempre stato convinto di star bene come stava.
“Beh, finalmente dalla tua boccaccia esce qualcosa
di sensato!” Marco si avvicinò a braccia conserte e li raggiunse, compiaciuto. “Non
ha mai voluto ammetterlo.”
“Chi ha una dipendenza da cibo, difficilmente si
rende conto della reale situazione in cui si trova”, disse la ragazza.
Era davvero carina. Gentile e rispettosa.
“E tu come fai a sapere che ce l’ho?” si sbigottì
Enrico.
“Non ci vuole una laurea! A vederti, peserai circa...
130 chili?” suppose lei.
“128, per l’esattezza”, precisò Marco.
“Ne pesavo duecento circa tre mesi fa! Ho fatto l’intervento
per dimagrire! Il bypass gastrico! È stato il grande dottor Bartolini a
operarmi! E soprattutto, devo ringraziare questo mio carissimo amico!” proseguì
Enrico, abbracciando Marco. “E gli altri due miei coinquilini e amici d’infanzia,
i gemelli Cristina e Leonida Guaiotti!”
“Ah, sì! Li conosco! Chi è in città che in questi
mesi non ha conosciuto i gemelli Guaiotti!” esclamò la ragazza.
“Sono dei miei carissimi amici! Insieme a Marco,
ovviamente! Loro, insieme, mi hanno fatto sconfiggere la dipendenza da cibo e
mi stanno aiutando a rimettermi in forma! È stata dura, lo ammetto! Ed è dura!
Ma cerco di combattere la voglia di pizza e dolci, lavorando sodo qui, in
palestra!” si pavoneggiò Enrico, nella speranza che lei rimanesse colpita dalla
sua forza di volontà e dal pensiero che presto anche lui sarebbe stato in forma
come lei.
Si vedeva che era una ragazza a cui piaceva condurre
una vita sana e che teneva molto alla cura del corpo. E anche lui doveva
dimostrare di tenerci, se voleva sperare di far colpo.
“Ottimo! Bravo! Non è da tutti impegnarsi tanto! A
proposito, sono Rebecca!” si presentò lei.
“Enrico!” disse lui, stringendole la mano. Nella
speranza che non fosse rimasta colpita dal fisico statuario di Marco.
“Piacere di conoscerti, Enrico! Bene, io riprendo l’allenamento,
non vorrei freddarmi troppo. Allora, ci rivediamo qui in palestra, d’accordo?”
“Volentieri! Ciao!”
Rebecca si allontanò e si diresse verso un altro
attrezzo.
Marco tossicchiò, le braccia conserte, attirando l’attenzione
di Enrico.
Enrico si voltò di scatto, cercando di nascondere la
faccia da pesce lesso che gli era venuta fuori, e divenne rossi di vergogna per
la faccia tosta che aveva avuto.
Marco, ovviamente, non aveva detto nulla. Aveva
capito benissimo che a Enrico piaceva quella ragazza e che voleva far colpo,
pertanto aveva fatto come se nulla fosse mai accaduto per non fargli fare
brutta figura. Magari, era la volta buona che quel lurido grassone avrebbe
messo la testa a posto! Il fatto che gli piacesse una bella ragazza sportiva e
palestrata come quella non poteva essere altro che un motivo di sprono a
dimagrire e a tenere di più alla sua salute.
“Marco... Che ne pensi?” gli domandò Enrico, nella
speranza di capire se anche a Marco piaceva quella Rebecca.
“Che ne penso? Penso che sia una gran bella ragazza.”
Poi, si avvicinò al suo orecchio, ammiccando. “Ma a me, piace Cristina.”
Enrico sgranò gli occhi, esterrefatto. A uno tutto d’un
pezzo come Marco, piaceva una casinara come Cristina?
“Stammi a sentire, lurido grassone. Facciamo un
patto. Io non racconto niente a quella ragazza dei tuoi sciocchi e meschini
comportamenti degli ultimi mesi e tu non vai da Cristina a dirle che mi piace.
Sono stato chiaro?” gli sibilò Marco.
Sapeva già cosa fare in caso di rifiuto del
grassone.
Ma Enrico, ancora terrorizzato dal suo fucile ad
aria compressa e intuendo che cosa lo aspettava, pensò che fosse meglio
accettare una tregua. “Affare fatto!” esclamò, stringendogli la mano.
“Ottimo, lurido grassone! E, adesso, al lavoro!”
“Signorsì, Signore!” obbedì Enrico, riprendendo la
serie alla pressa come un posseduto.
E fu così che si allenò durante tutta la seduta in
palestra.
Come un posseduto.
Sudò come un maiale e diede il massimo, fin quasi a
sentirsi male, fino allo stremo delle forze.
Perché voleva impressionare quella ragazza.
E perché, adesso, finalmente, voleva davvero
dimagrire.
In un solo istante, Rebecca aveva cancellato tutto,
tutto quanto.
Le pizze, i dolci, la pasta, le fritture... Ora gli
sembravano solo concetti vuoti.
Sì.
Enrico voleva dimagrire.
E ci sarebbe riuscito.
E avrebbe conquistato quella ragazza, costasse quel
che costasse!