La prima settimana a Firenze volò in un lampo per Enrico. Aveva
trascorso ogni singolo giorno a fare provviste e soprattutto a mangiare,
mangiare e ancora mangiare. Aveva ingurgitato molto più cibo rispetto a quando si
trovava a casa sua e questo lo appagava più di qualsiasi altra cosa. Niente era
come il cibo. Pizze, pasta, pasta all’uovo, dolci di ogni genere, cibo da
fast-food... Che bella la vita universitaria! Ovviamente, aveva rifilato ai
suoi genitori un sacco di balle, dicendo loro che le lezioni erano già
cominciate (cosa non vera perché lui si era presentato a Firenze con una
settimana d’anticipo col solo scopo di fare provviste e mangiare) e che stava
seguendo rigorosamente la dieta. E quegli imbecilli ci credevano. Era troppo
facile dargliela a bere! Erano così ingenui!
Purtroppo, però, era già trascorsa una settimana e le lezioni
sarebbero davvero iniziate l’indomani. Era domenica sera ed Enrico ancora si
godeva la solitudine della casa. I suoi coinquilini non si erano ancora visti e
non c’era nulla di più bello! Mangiare indisturbato! Ma chissà perché non era
ancora arrivato nessuno? Pazienza e poco male! Sperava solo di poter finire la
cena in santa pace prima del loro imminente arrivo. Odiava essere interrotto
mentre gustava il suo amato cibo, qualunque esso fosse. Purtroppo per lui,
però, le cose non andarono esattamente come aveva sperato: infatti, sentì una
chiave infilarsi e rigirarsi nella porta. Enrico alzò gli occhi al cielo e si
sporse appena dalla cucina per vedere chi stesse entrando, ma dalla posizione
in cui era non ci riuscì. E dare una spintarella all’indietro alla sedia era
fin troppo faticoso. Era fuori discussione!
“Chi è?” bofonchiò ad alta voce col boccone fra le fauci fameliche.
“Sono Marco”, rispose freddamente una voce altrettanto fredda e
inespressiva.
Enrico alzò gli occhi al cielo. Era appena arrivato mister Sorriso in
persona. Marco non rideva quasi mai. Era un ragazzo tutto d’un pezzo, composto
e gelido come un blocco di ghiaccio. Ed era uno che andava puntando tutto ciò
che di storto aleggiava nell’aria. In compenso, però, era un amico fidato e
sincero. E certo che era sincero! Diceva tutto quello pensava senza mezzi
termini! Non parlava quasi mai, ma quando lo faceva, beh, sapeva come zittirti.
Rimaneva comunque un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle, molto vige al
dovere. Anche fin troppo vige. Non aveva mai conosciuto nessuno tanto
meticoloso e rigido nell’organizzazione della propria vita.
Marco portò le valigie in camera sua, quella che aveva già scelto, e
raggiunse Enrico in cucina.
“Ciao Enrico.”
“Ciao”, bofonchiò, sempre con la bocca stracolma di cibo.
Marco aprì distrattamente il frigorifero, senza badare minimamente a
Enrico, stanco del lunghissimo viaggio in auto che aveva dovuto affrontare.
“Cristina e Leonida?”
“Non sono ancora arrivati.”
Marco scosse il capo con fare rassegnato, mentre cercava qualcosa di
sano e nutriente nel frigorifero. “Sono sempre in ritardo, quei due. Non si
smentiscono mai”, commentò quasi disgustato, lui che era sempre più puntuale di
un orologio svizzero.
Enrico infilò in bocca un hamburger all'americana, pieno di ketchup e
salse varie. “Beh, anche tu non è che sia arrivato con largo anticipo.”
“Sono venuto qui direttamente da Dresda. Sono andato a trovare i nonni
con i miei genitori.”
“Ah. E come stanno?”
“Sempre in perfetta forma. Sembrano ancora dei ragazzini.” Marco
sospirò. “Vedo che hai fatto la spesa, come d’accordo, ma non è che tu abbia
comprato molte cose salutari. Sai che io non mangio tutte queste schifezze. Lo
sapevo che sarei dovuto partire prima da Dresda e pensarci io stesso.”
Finalmente, finita in un angolino in fondo al frigo come se fosse in
punizione, Marco trovò una confezione sana di uova. Chiuse il frigo e la poggiò
sul tavolo. E finalmente notò l’enorme quantità di cibo e cibo spazzatura che
invadeva praticamente tutta la tavola. Non c’era posto nemmeno per un’altra
persona che volesse accomodarsi a tavola.
“Cos'è tutta quella roba? Hai forse invitato degli amici a cena?” gli
domandò Marco con sguardo truce e indagatore.
“No. Questa roba è tuuuutta per me!” esclamò Enrico soddisfatto.
“Ma sei impazzito?” lo seccò gelidamente Marco. “Non lo sai che quella
è la quantità di cibo per cinque persone? Cinque buone forchette, per giunta!”
“Ma io mangio sempre così!”
“Già. Si vede. Dovresti vergognarti. Questo non è affatto un buon modo
per condurre uno stile di vita sano ed equilibrato. Dovresti seriamente
prendere in considerazione l’idea di metterti a fare sport come si deve e a
mangiare come un atleta dovrebbe mangiare. Hai mai pensato di rimetterti in
riga?”
“Ma io conduco uno stile di vita attivissimo! Cammino molto durante il
giorno! Io sono così grosso, perché ho delle gravissime disfunzioni
metaboliche! Ma cammino così tanto, che devo mangiare così tanto! Altrimenti
svengo.”
“Piantala di dire stupidaggini!” tuonò gelidamente Marco. “Potrai
anche ingannare quei fessacchiotti dei tuoi genitori, ma non me. Perché non
ammetti almeno con i tuoi amici di lunga data che sei così grasso perché sei un
pigrone e un mangione?”
“Ma io non sono pigro! Io cammino tanto”, esclamò Enrico, convinto che
quei due passi al giorno che faceva dentro casa e dentro il super-mercato
fossero camminare tanto.
Marco sospirò e lo fulminò con lo sguardo. “Tanto non me la dai a
bere. Se vuoi morire, fai pure come ti pare.” Detto questo, prese una padella e
iniziò a cuocersi le uova. Se ne preparò ben quattro, le cosse a occhio di bue
e le insaporì con sale e pepe nero. Figurati se quel grassone non aveva comprato
le spezie, pensò.
Enrico fece spallucce, fregandosene altamente delle continue ramanzine
di Marco e continuò a mangiare indisturbato. Guardò con aria menefreghista
l’amico che si cuoceva quattro misere uova e mettersi seduto. I lineamenti
marcati, i capelli biondo platino, gli occhi azzurro ghiaccio e la carnagione
lattea, quasi albina, tradivano visibilmente le sue origini nordiche. Sua madre
era tedesca, il padre italiano, ma di quel pover uomo non aveva ereditato
proprio niente. Il nonno materno aveva prestato addirittura servizio militare
da giovane, pertanto Marco aveva ricevuto dalla madre la stessa educazione
rigida dell’esercito. Fin da bambino, era stato tirato su con la vecchia
filosofia hitleriana riguardo l’attività fisica, secondo la quale il corpo va
mantenuto in ottima salute e temprato a qualsivoglia tipo d’intemperia e
sofferenza. Poveraccio!, pensava sempre Enrico. Già da bambino era stato
costretto a sottoporsi ad attività fisiche e sportive estenuanti e massacranti,
venendo continuamente spinto a dare il massimo, il meglio di sé in ogni
occasione. Il carattere già introverso e perfezionista per natura, sommato alla
rigida educazione della madre, avevano fatto di lui una specie di nazista
dell’età moderna, epurato ovviamente di qualsivoglia ideologia razziale. Marco
era il genere di ragazzo che avrebbe potuto arruolarsi nel corpo speciale dei
Navy Seal americani e superare selezioni e addestramento senza il minimo
sforzo. Era abituato a tutto, quel ragazzo. Non sentiva la fatica, né soffriva
il caldo o il freddo. Era peggio di una macchina da guerra.
Enrico, però, doveva riconoscere che fosse uno dei migliori amici che
aveva, nonostante fosse freddo come un blocco di ghiaccio e perfezionista da
far paura. Marco era stato uno dei pochi che, se pur con qualche frecciatina,
l’aveva sempre accettato così com'era. Non l’aveva mai bullizzato o escluso.
Era davvero un buon amico. Anche se “un po’ fissato” con l’attività fisica.
Aveva un fisico invidiabile, vero, dal momento che era alto un metro e novanta
abbondante e aveva tutti i muscoli al posto giusto. Enrico, però, si chiedeva
se valesse davvero la pena fare tutti quei sacrifici per avere un bel corpo.
Per quanto ne sapeva, Marco si allenava due volte a settimana in piscina, due
in palestra, una alla corsa e una al ciclismo. E non disdegnava mai di sciare o
fare snowboard ogni qualvolta andasse in Germania dai nonni o in vacanza in
montagna. Per non parlare della rigida alimentazione a cui si sottoponeva per
rendere al massimo durante gli allenamenti e avere quel corpo impeccabile.
Secondo Enrico, Marco era pazzo da legare! Era da rinchiudere in una stanza al
manicomio con una camicia di forza addosso, buttando via la chiave. Non sapeva
che cosa si stesse perdendo.
Dal canto suo, Marco continuava a guardare Enrico con fare disgustato,
commiserandolo con tutto se stesso. Ma come era possibile ridursi in quello
stato? Grasso, gravemente obeso, a tal punto che a momenti si sarebbe
allettato! A occhio e croce, Marco stimò il suo peso attorno ai 200kg
abbondanti. Ma era forse impazzito? Mangiare senza freni tutte quelle
schifezze! Arricciò le labbra in una smorfia di disgusto, guardando la tavola
imbandita davanti a sé. Pizze a parte che cibo spazzatura non sono, il resto
era un vero e proprio schifo. Hamburger all'americana pieni di salse, patatine
fritte, pollo fritto preso al fast-food, salsicce, würstel... Ma come si
riusciva a mangiare tanto in un solo pasto? Lo stesso Marco era una buona
forchetta, ma quelle quantità di cibo lì erano... Da extraterrestre. Purtroppo,
non poteva fare a meno di chiedersi dove Enrico avesse la testa. Per lui
inconcepibile che non tenesse per niente alla cura del corpo e della salute,
lui che era stato cresciuto credendo nei benefici dell’attività fisica e in
un’alimentazione adeguata allo stile di vita che ognuno conduce. Quel grassone
aveva proprio bisogno di rimettersi in riga. Fosse stato per lui, lo avrebbe
messo a dieta ferrea seduta stante, a verdura e acqua, peggio dei carcerati, e
lo avrebbe sottoposto a sedute di allenamento che i comuni mortali non
immaginano nemmeno. Sarebbe stato un vero spasso ridurlo a uno straccio e
fargli passare la voglia di trattarsi così male. Anzi, Enrico non si stava solo
trattando male... Si stava uccidendo! Se avesse continuato così...
Meglio non pensarci, si disse Marco.
Ne avrebbe parlato con Cristina e Leonida, sempre che si fossero decisi
ad arrivare! Mai una volta nella loro vita che fossero stati puntuali. MAI!
Marco scosse il capo e sospirò.
“Scommetto che non hai comprato la verdura”, esordì Marco, lanciando
un’occhiataccia all'amico seduto di fronte a sé.
Enrico scosse il capo, avendo le fauci così piene, da non riuscire
neppure più a parlare. Aveva il viso soddisfatto e appagato.
“Avrei dovuto immaginarmelo. Ringrazia che io non sia tuo padre. Col
cavolo che ti avrei permesso di ridurti così.”
Enrico fece spallucce e continuò a ingozzarsi, ignorandolo. Stava
cercando di godersi il cibo in santa pace e Marco gli faceva le ramanzine! Bah!
Doveva ignorarlo e concentrarsi solo sul gusto impagabile della pizza e del
pollo fritto.
Ma gustarsi il cibo sarebbe diventata un’impresa sempre più ardua
quella sera.
Perché la serratura della porta d’ingresso scattò di nuovo e grida e
schiamazzi di ogni genere invasero ogni angolo della casa.
Ecco, pensò Enrico. Fine totale della pace.
Erano arrivati loro.
I terrori dei sette mari.
I sovrani del caos e della confusione.
Gli imperatori assoluti dei dispetti e delle canagliate.
Erano arrivati i gemelli.
Erano arrivati Cristina e Leonida.
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