Marco alzò gli occhi al cielo, mentre Enrico continuava freneticamente
a ingolfarsi di cibo, le fauci piene, che quasi non riuscivano a masticare.
Cristina e Leonida erano arrivati da mezzo secondo e già avevano invaso la casa
di urla, schiamazzi e risate! Possibile che quei due non cambiassero mai?
Spesso Marco si chiedeva come fosse riuscito a stringere un’amicizia tanto
salda e preziosa con due tipi casinari come quelli, lui che era sempre rigido,
tutto d’un pezzo, che amava la compostezza e detestava ogni qualsivoglia tipo
di confusione. Di solito, tutte quelle urla, quegli schiamazzi, quelle risate
stupide per un nonnulla, gli davano sui nervi, ma con Cristina e Leonida era
diverso. Sì, a volte il casino che facevano lo infastidiva e non poco, ma
doveva ammettere di non riuscire proprio a stare senza la loro compagnia e non
ne capiva il perché. Era stranamente contento che fossero arrivati e che
durante l’arco di quel mese in cui non si erano visti, non fossero cambiati di
una virgola. O forse sì. Stavano decisamente peggiorando. Ogni volta che li
vedeva, facevano sempre più casino.
“Chi c’è?” esclamò la voce argentina di Cristina, mentre Leonida
sbatteva sonoramente la porta d’ingresso con un calcio per chiuderla.
Con molta grazia e delicatezza.
“Ci siamo tutti”, rispose Marco in maniera piatta.
“Poggiamo le valigie in camera e vi raggiungiamo!” disse Cristina,
mentre si dirigeva con il fratello gemello verso le rispettive camere.
Anche loro, come Marco, scaricarono i bagagli nelle proprie stanze, si
lavarono le mani in bagno e raggiunsero gli amici in cucina.
“Eccoci qui! Ciao a tutti e ben trovati!” salutò Cristina, entrando in
cucina.
Marco abbozzò un sorriso, vedendola. Era sempre la stessa, con quella
faccetta tutto pepe e gli occhi neri furbi che ne sapevano una più del diavolo,
eppure ogni volta che la vedeva, il suo sorriso splendeva sempre di più. Era
impossibile non farsi contagiare dal suo perenne buonumore e perpetuo
ottimismo. Tra lei e il fratello, non si sapeva chi avesse più vitalità. Quei
due erano semplicemente instancabili e... Inseparabili! Come tutti i gemelli,
del resto.
Ed ecco anche l’immancabile Leonida che faceva il suo plateale
ingresso in cucina.
“BUONASERA A TUTTI! ED ECCOCI QUI! TUTTA LA GANG AL COMPLETO!” esclamò
gasatissimo, spalancando le braccia in maniera teatrale. “Come stai, Marco?”
domandò poi all’amico che si alzò per salutarlo.
“Tutto bene, grazie. Sono appena tornato da Dresda. Sono andato con i
miei genitori a trovare i nonni.”
Leonida gli diede una bella pacca sulla schiena, in segno di
confidenza, mentre Cristina si allungò per abbracciarlo. Marco ricambiò
freddamente l’abbraccio, dal momento che lui detestava essere abbracciato, così
come non gli andava a genio nessun’altra forma di manifestazione d’affetto, ma
come ci si poteva arrabbiare con Cristina e Leonida? Come si poteva rimanere
indifferenti alla loro fresca spontaneità?
“Come stanno i tuoi nonni?” gli domandò Cristina dolcemente.
“Stanno benissimo. Sono sempre in ottima forma e sembrano non
invecchiare di un anno.”
“Bene! Mi fa molto piacere!”
“E voi? Sempre in ritardo come al solito, vedo!”
“Ma noi siamo puntualissimi!” protestò Leonida. “Dopotutto, le lezioni
cominciano solo domani mattina, no?”
Marcò sollevò un sopracciglio. “Sì, ma conoscendovi, sareste potuti
persino arrivare a lezioni iniziate.”
Leonida ammiccò e si scambiò uno sguardo complice con la gemella.
“Giàààà... Non lo neghiamo, caro Marco. Assolutamente, non lo neghiamo.”
Marco lanciò loro uno sguardo indecifrabile, tipico della sua
personalità chiusa e introversa, poi lanciò un’occhiataccia a Enrico, che
continuava indisturbato a ingolfarsi come un maiale, senza degnare di uno
sguardo gli amici appena arrivati. “E tu? Quale discorso stai portando avanti
con tutto quel cibo? Non vedi che sono arrivati i nostri amici?” si alterò
gelidamente, lo sguardo disgustato e pieno di commiserazione verso quel suino
insaziabile.
“Sì, sì”, bofonchiò con le fauci piene di hamburger e le labbra sudice
di ketchup e salse varie. Allungò la mano verso una salsiccia e se la cacciò in
bocca, nonostante non ci fosse quasi più posto per nient’altro. “Questo lo
vedo. Ben trovati, ragazzi”, concluse a stento con nonchalance, ignorandoli
completamente.
Cristina e Leonida ammiccarono, scambiandosi l’ennesimo sguardo
complice.
“Caro, caro Enrico!” esclamò Leonida in tono deridente, mettendosi a
massaggiargli le spalle. “Vedo che sei sempre in splendida forma! Con il fisico
scultoreo che hai, potresti benissimo finire sulla copertina di una rivista di
fitness!”
Ma Enrico lo ignorò, cacciandosi in bocca un’ala di pollo fritta,
tranquillo e beato. Doveva far presto prima che a uno dei due venisse in mente
di...
“Che carino, Enrico! Hai ordinato la cena anche per noi!” esclamò
Cristina, afferrando i due cartoni di pizza.
“NOOOO!!!!” bofonchiò Enrico, scattando in piedi come una molla con
un’agilità non naturale per la sua stazza. Quando c’era di mezzo il cibo...
“Tranquillo, Enrico, non ti scomodare! Ci serviamo da soli!” lo prese
in giro Cristina, mentre Marco già rideva sotto i baffi, dopo aver ripreso il
suo posto a tavola.
Adorava quelle buffe scenette di cui Cristina e Leonida si rendevano
protagonisti. Erano soliti fregare il cibo a Enrico, dal momento che era meno
dispendioso sottrarlo a lui, piuttosto che andarselo a comprare… Oltre che
molto più divertente!
Enrico emise una serie di versi a bocca chiusa, non riuscendo più
nemmeno a parlare per quanto l’aveva piena, ma nessuno capì che cosa stesse
tentando di dire... O, perlomeno, finsero di non capire...
“Ma cosa dice?” domandò Cristina, facendo l’occhiolino al fratello.
“Ovvio, no? Ci sta dicendo che è stato un piacere per lui ordinare la
pizza anche per noi! Non è vero, Enrico?”
Enrico bofonchiò ancora suoni gutturali e incomprensibili, sbraitando
agitatamente come se non ci fosse un domani.
“Oh, su! Non farla tanto lunga! Lo sappiamo dove sono le posate per
tagliarla! Ecco, rimettiti seduto!” Leonida lo rimise a sedere con una leggera
spinta sul petto che lo fece sbilanciare e centrare dritto-dritto la sedia. “Ce
la tagliamo da soli, non temere! Tu continua pure a mangiare! Saranno di nostro
gradimento, vedrai! Noi siamo di bocca buona! Mangiamo tutto!”
Enrico prese a masticare freneticamente nel disperato tentativo di
deglutire il cibo ed evitare che quei due si spartissero le sue amate pizze.
Cristina, nel frattempo, socchiuse prima un cartone, poi l’altro per
vedere come fossero quelle pizze e il suo sguardo s’illuminò di gioia
inaspettata e lo stomacò gioì con lei. “Mmmm! Leonida, quale vuoi? Abbiamo una
pizza con asparagi, bacon e uova, e una con fiori e alici! Mica male!”
Leonida diede una forte gomitata affettuosa e deridente a Enrico,
facendogli andare parte del boccone di traverso. “E tu che ti preoccupavi che
non fossero di nostro gradimento, compare! Vada per asparagi, bacon e uova per
me!” concluse, poi, Leonida, rivolgendosi alla sorella. “A te va bene?”
“A me va benissimo! Una vale l’altra, ho talmente fame!”
“Ottimo!”
I gemelli si sedettero vicino a Marco, l’uno accanto all’altra, dal
momento che Enrico e il suo cibo occupavano una fiancata di tavolo intera.
Finalmente Enrico riuscì nel disperato intento di deglutire e partì
all’attacco, proprio mentre i gemelli erano intenti a tagliare le pizze. “Ma
che cosa avete capito, cretini! Quelle non sono per voi! Sono per me!”
“Per te?” risposero i due in coro, assumendo senza volerlo la medesima
espressione facciale di bronzo.
“Già! Per me! Sissignori!”
“Ma tu hai già la cena! Guarda che roba!” esclamò Cristina indignata,
dando un bel morso al primo spicchio di pizza.
“Giàààà! Tiè, guarda che roba!” convenne Leonida, indicando il cibo
davanti a sé. “Hai la cena per sfamare un intero esercito!”
“No, non è vero! Non è poi così tanto! Io ho fame e anche quelle erano
mie! Smettetela immediatamente di mangiarle!” urlò Enrico, isterico e
perentorio.
I gemelli si scambiarono un’eloquente occhiata complice e
menefreghista, facendo spallucce e continuando a mangiare indisturbati come se
niente fosso.
“Ho detto smettetela!”
I gemelli si guardarono di nuovo, poi rivolsero gli sguardi a Enrico e
gli alzarono il dito medio.
Marco soffocò un risolino sotto i baffi, Enrico sbottò. Disperandosi.
Non aveva il carattere così tosto come voleva far credere! Aveva il
lardo persino nel cervello!
“Marco, ti prego!” piagnucolò. “Dammi una mano tu!”
Per tutta risposta, Marco lo derise con un’occhiataccia sadica e
menefreghista, alzandogli a sua volta il dito medio. “Sì. Aspetta e spera.”
“Ma non è giusto! Quelle sono mie!”
“Su, non fare l’egoista, Enrico”, iniziò ad alterarsi Leonida. Era una
gran canaglia, ma quando gli venivano pestati i piedi... “Hai da mangiare per
un intero esercito!”
“E le dispense sono piene”, aggiunse Marco con nonchalance.
“Ah, pure! Perciò, che ti costa condividere un paio di pizze con noi!
Non è affatto carino da parte tua comportarti così! Mangerai qualcos’altro, no?
Noi siamo stati in giro tutto il giorno, abbiamo viaggiato e abbiamo fame! Sei
proprio un bambino viziato!”
Enrico fece per rispondere, ma Cristina glielo impedì, dando subito
man forte al fratello.
“Leonida ha proprio ragione, Enrico! Lì, hai da mangiare per cinque,
cibo a volontà nelle dispense e nel frigo, e non ci offri una pizza a testa? Ma
va! È una cosa inaudita! Comunque, te le pagheremo, non temere! Non appena
abbiamo finito di mangiare, vado a prendere il portafoglio.”
“Non voglio i vostri soldi! Voglio le mie pizze! Le mie pizze!”
piagnucolò Enrico, battendo i pugni sulle ginocchia, come un bambino nel bel
mezzo di un capriccio.
I tre amici si scambiarono sguardi basiti e sconcertati. Sapevano già
che Enrico mangiava per dieci, data la sua stazza. Non ci voleva una laurea per
capirlo, ma immaginarsi che in casa si sarebbe comportato così... Nulla
sembrava essere rimasto del ragazzo allegro, simpatico e solare che era, quando
uscivano tutti insieme o quando erano a scuola.
La situazione era più grave del previsto.
Marco sospirò e prese in mano la situazione. “Invece, non le riavrai.
Lasciali mangiare in pace. E ti dirò di più, caro il mio grassone. Cominciamo
subito a condurre uno stile di vita più sano. Non ce la faccio più a vederti
mangiare tutta quella merda. Perciò, questo, questo e questo, via! E anche
quest’altro”, disse gelidamente e senza scomporsi, iniziando a togliere dalla
tavola il cibo spazzatura.
“Fermo!” piagnucolò Enrico. Tentò di alzarsi, ma era talmente gonfio,
che non ci riuscì.
E tutto ciò che poté fare fu guardare impotente Marco gettare le sue
squisite prelibatezze nella spazzatura.
“Infine, dobbiamo discutere la questione della spesa. Non avrai
comprato un granché, per quanto riguarda i cibi salutari, ma sta comunque di
fatto che tu hai riempito le dispense, facendo così spesa per tutti. Ed è
giusto che la somma che hai speso venga divisa in quattro.”
Enrico mise il broncio e ripartì alla carica. “Ancora non lo avete
capito? Ma cosa siete? Ritardati, per caso? Quel cibo nelle dispense, non l’ho
comprato per voi! È MIO! MIO! MIO! MIO! TUTTO MIO! L’unica cosa che avevo preso
per voi erano le uova che si è mangiato Marco! Erano quelle che dovevate
mangiarvi anche voi due!” sbraitò, rivolgendosi ai gemelli. “Il resto è MIO!
TUTTO QUANTO MIO! Perciò, non mi dovete nulla! Volete mangiare? Allora, la
spesa, fatevela da soli!”
“Non erano questi i patti, però”, gli fece notare Marco.
“Già. Si era deciso, infatti, che chi fosse arrivato per primo avrebbe
fatto la spesa per tutti, in modo da tirare avanti qualche giorno, finché non
ci fossimo organizzati. Chi è arrivato per primo, dunque?” puntualizzò Leonida.
“Enrico”, rispose secco Marco. “Io sono arrivato non molto prima di
voi.”
I tre incrociarono le braccia, le facce di bronzo piuttosto irritate,
e fissarono imperterriti Enrico. Che a sua volta fissava loro. Lanciò uno
sguardo di sfida prima a Marco, poi ai gemelli. Gemelli... Gemelli, per modo di
dire. Sì, vero, avevano i tratti somatici del viso praticamente quasi identici,
ma stava comunque di fatto che Leonida era biondo con gli occhi azzurri, mentre
Cristina vantava capelli corvini e occhi neri come la notte. Più che gemelli,
sembravano fratelli. Ma questo poco importava in quel momento. Ciò che
importava, invece, era il fatto che tutti e tre stavano ordendo un complotto
alle sue spalle per non farlo mangiare tutto quello che voleva. E questo era
inaccettabile! Non era così che sarebbero dovute andare le cose! Non sapendo che
altro fare, si alzò da tavola, aprì il frigo e si portò via con sé, in camera,
un salame intero e una mortadellina con una confezione sana di pan bauletto.
“Roba da matti”, commentò Cristina, scuotendo il capo con fare
rassegnato.
Una volta in camera, prima di papparsi il meritato bottino, Enrico
riordinò le pizze a domicilio. Non sapendo che Marco, con il suo udito a radar,
aveva già captato ogni sua singola parola.
Nel frattempo, in cucina, i tre amici presero a conversare su quanto
appena accaduto, Leonida che stava di punta, seduto accanto alla finestra, per
vedere quando sarebbe arrivato il fattorino con le pizze.
“Accidenti”, esordì Cristina. “Non lo facevo così allupato con il
cibo. Certo, che s’ingozzava a stufo e di continuo, lo sapevamo tutti, ma che
in casa fosse così maleducato ed egocentrico, proprio non me lo aspettavo.
Abbiamo iniziato bene!”
“Quello ci fregherà pure la nostra roba, dicendo che l’aveva comprata
lui! Ve lo dice Leonida! Datemi retta!”
“Può solo provarci, quel grassone dei miei stivali. Fosse per me,
saprei io come rimetterlo in riga”, commentò gelidamente Marco, una nota
seccata che donava un lieve colorito alla sua voce. “Ma come si fa a ridursi
così? Come si fa a non tenere per niente alla cura del proprio corpo e della
propria salute?”
“Già”, convenne Cristina. “Quello che fa è inconcepibile. Come fa a
non avere mai voglia di muoversi, di uscire, di vivere, insomma? Io, se fossi
nelle sue condizioni, impazzirei!”
“Anch’io. Comunque, a questo punto è diventato come un serpente che si
morde la coda. Più ingrassa più la sua mobilità è limitata.”
“Appunto, Leo! Come fa a non aver voglia di dimagrire, di uscire in
bicicletta, di andare a correre, di fare una nuotata o semplicemente di stare
fuori all’aria aperta?”
“Non ne ho idea, Cri... Oh, senti! Ti va un gelatino?”
Cristina aggrottò le ciglia. “Un gelatino?”
“Sì! Un gelatino! Ti pare che quel cicciobomba non ha comprato il
gelato? Marco, ti dispiace dare un’occhiata? Io da qui non mi posso muovere,
sono di punta!”
Marco annuì, anche se con espressione contrariata, e aprì il
congelatore. “Tipico. Questo non è più un congelatore, ma una gelateria. Ci
sono le maxi-stecche, cornetti giganti assortiti e tre vaschette da un chilo.
Abbiamo gianduia, tartufo e stracciatella.”
“Passami le vaschette, per favore, Marco”, gli disse Cristina. “Faremo
un trittico in un bicchiere.”
Marco annuì e fece quanto richiesto.
Cristina aprì le vaschette e iniziò a tirar giù i bicchieri dal
pensile. “Marco, tu ne vuoi un po’?”
“No, grazie. Io non mangio quella roba.”
“Ma perché? Non è mica cibo spazzatura!”
“Lo so, Cri, ma sai bene come la penso. Quello è cibo inutile. È pieno
di zuccheri e basta. Ai fini degli allenamenti, non mi serve a nulla, anzi.”
“Fa’ come vuoi. È giusto seguire un’alimentazione sana ed equilibrata,
ma ogni tanto togliersi uno sfizio non ha mai ucciso nessuno.”
“Io non ho sfizi da togliermi.”
Cristina non se la prese e fece spallucce. Ormai conosceva fin troppo
bene Marco e le sue concezioni alle volte estremiste. “Ok, come vuoi. Se ci ripensi,
sai dove trovarlo.”
Cristina riempì i tre bicchieri al massimo con i tre gusti e ne passò
uno al fratello, che sereno e beato iniziò a mangiare senza perdere di vista il
panorama fuori dalla finestra.
Marco non disse nulla, ma si limitò a guardare con aria rassegnata i
due gemelli far fuori famelicamente il gelato. Erano due pozzi senza fondo ed
erano in grado di mangiare di tutto e di più. Non stavano fermi un attimo.
Erano sempre in movimento, dalla mattina quando si alzavano, finché non
andavano a dormire a notte fonda. Erano semplicemente instancabili. Come lui,
erano soliti fare attività fisica ad alto livello quasi tutti i giorni, ma con
una piccola differenza. Lui era cresciuto amando il culto del corpo e la vita
sana al cento per cento, mentre Cristina e Leonida erano semplicemente due
concentrati di energia allo stato puro, due bombe di vitalità e l’unico modo
che avevano di incanalare tutto ciò che covavano dentro era lo sport. Certo,
anche loro amavano la vita sana, ma erano molto meno rigidi rispetto a lui.
Infatti, si concedevano spesso gelati, dolci, cornetti e persino qualche
frittura, di tanto in tanto. Leonida era un ciclista, Cristina una corritrice,
entrambi adoravano le attività out-door e si allenavano costantemente in
piscina e in palestra, proprio come lui. Ecco perché tutti e tre si erano
ritrovati a voler studiare le scienze motorie.
Ma per lui, concedersi sfizi di tanto in tanto era un gesto blasfemo
contro il corpo umano. Gli sfizi non erano null’altro che debolezze, che alla
lunga affievolivano la forza della mente, perché la abituavano alla resa.
Evidentemente, i gemelli non la pensavano così. Loro dicevano che bisognava
vivere, ma per Marco era un concetto inconcepibile.
“Che cosa state facendo?” Una voce basita e sconvolta irruppe in
cucina, distruggendo la quiete che si era creata nell’atmosfera.
“Niente”, rispose Cristina, facendo spallucce.
“Ci gustiamo un po’ di gelato”, concluse Leonida per lei.
“Ma come vi siete permessi! Quello è MIO! È IL MIO GELATO! MIO! E DI
NESSUN ALTRO!” gridò Enrico come impazzito.
“Su, non farla tanto lunga per due bicchieri di gelato!” si esasperò
Cristina.
“Ti abbiamo già detto che ti daremo i soldi, no?” proseguì Leonida,
prima di infilarsi in bocca un altro cucchiaino di gelato.
“Ma io non voglio i vostri soldi! Io voglio il mio cibo! Voglio il mio
cibo!” piagnucolò, battendo il piede a terra, come un bambino viziato nel bel
mezzo di un capriccio.
Marco non ci vide più. Si alzò in piedi e lo afferrò per il colletto.
“Smettila di frignare, lurido grassone! Vergognati! Fai spendere tutti questi
soldi ai tuoi genitori per cosa? Per rovinarti la salute? Mi dispiace per loro,
che sono due brave persone. Non meritano un figlio come te, sciocco e irresponsabile.
E anche egoista, per giunta. Noi siamo amici da una vita e ora siamo anche
coinquilini e tu che fai? Fai i capricci per due misere pizze e due miseri
bicchieri di gelato, dopo aver riempito la casa di cibo ed esserti ingozzato
tre chili di roba? Vergognati! E adesso sparisci in camera! FILA!”
Enrico non replicò e si ritirò in camera con la coda tra le gambe,
quatto-quatto. Quando Marco era di quell’umore e se ne usciva con certi pezzi,
beh, meglio lasciar perdere. Avrebbe trovato una soluzione per quei tre. Non si
sarebbe più fatto rubare il cibo per nessun motivo al mondo!
Nel frattempo, in cucina, Marco riprese il suo posto a sedere.
“Però! Gliel’hai cantata, eh?” ridacchiò Leonida, finendo il suo
gelato.
“Se l’è cercata e meritata.”
“Ehi! Eccolo che arriva!” esclamò Leonida, balzando in piedi.
Era arrivato il fattorino con le pizze.
Cristina prese il borsellino e tutti e tre si precipitarono in fretta
e furia per le scale a pagar le pizze, lasciando pure una bella mancia al
ragazzo che le aveva consegnate. Dopodiché, su idea di Cristina, le portarono
alla parrocchia, dicendo che gli erano state consegnate per sbaglio. Un’opera
buona verso i poveri e i bisognosi.
E ora potevano benissimo tornarsene a casa.
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