sabato 28 settembre 2019

NON TI AZZARDARE AD APRIRE QUEL FRIGO! - 3° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli



Marco alzò gli occhi al cielo, mentre Enrico continuava freneticamente a ingolfarsi di cibo, le fauci piene, che quasi non riuscivano a masticare. Cristina e Leonida erano arrivati da mezzo secondo e già avevano invaso la casa di urla, schiamazzi e risate! Possibile che quei due non cambiassero mai? Spesso Marco si chiedeva come fosse riuscito a stringere un’amicizia tanto salda e preziosa con due tipi casinari come quelli, lui che era sempre rigido, tutto d’un pezzo, che amava la compostezza e detestava ogni qualsivoglia tipo di confusione. Di solito, tutte quelle urla, quegli schiamazzi, quelle risate stupide per un nonnulla, gli davano sui nervi, ma con Cristina e Leonida era diverso. Sì, a volte il casino che facevano lo infastidiva e non poco, ma doveva ammettere di non riuscire proprio a stare senza la loro compagnia e non ne capiva il perché. Era stranamente contento che fossero arrivati e che durante l’arco di quel mese in cui non si erano visti, non fossero cambiati di una virgola. O forse sì. Stavano decisamente peggiorando. Ogni volta che li vedeva, facevano sempre più casino.
“Chi c’è?” esclamò la voce argentina di Cristina, mentre Leonida sbatteva sonoramente la porta d’ingresso con un calcio per chiuderla.
Con molta grazia e delicatezza.
“Ci siamo tutti”, rispose Marco in maniera piatta.
“Poggiamo le valigie in camera e vi raggiungiamo!” disse Cristina, mentre si dirigeva con il fratello gemello verso le rispettive camere.
Anche loro, come Marco, scaricarono i bagagli nelle proprie stanze, si lavarono le mani in bagno e raggiunsero gli amici in cucina.
“Eccoci qui! Ciao a tutti e ben trovati!” salutò Cristina, entrando in cucina.
Marco abbozzò un sorriso, vedendola. Era sempre la stessa, con quella faccetta tutto pepe e gli occhi neri furbi che ne sapevano una più del diavolo, eppure ogni volta che la vedeva, il suo sorriso splendeva sempre di più. Era impossibile non farsi contagiare dal suo perenne buonumore e perpetuo ottimismo. Tra lei e il fratello, non si sapeva chi avesse più vitalità. Quei due erano semplicemente instancabili e... Inseparabili! Come tutti i gemelli, del resto.
Ed ecco anche l’immancabile Leonida che faceva il suo plateale ingresso in cucina.
“BUONASERA A TUTTI! ED ECCOCI QUI! TUTTA LA GANG AL COMPLETO!” esclamò gasatissimo, spalancando le braccia in maniera teatrale. “Come stai, Marco?” domandò poi all’amico che si alzò per salutarlo.
“Tutto bene, grazie. Sono appena tornato da Dresda. Sono andato con i miei genitori a trovare i nonni.”
Leonida gli diede una bella pacca sulla schiena, in segno di confidenza, mentre Cristina si allungò per abbracciarlo. Marco ricambiò freddamente l’abbraccio, dal momento che lui detestava essere abbracciato, così come non gli andava a genio nessun’altra forma di manifestazione d’affetto, ma come ci si poteva arrabbiare con Cristina e Leonida? Come si poteva rimanere indifferenti alla loro fresca spontaneità?
“Come stanno i tuoi nonni?” gli domandò Cristina dolcemente.
“Stanno benissimo. Sono sempre in ottima forma e sembrano non invecchiare di un anno.”
“Bene! Mi fa molto piacere!”
“E voi? Sempre in ritardo come al solito, vedo!”
“Ma noi siamo puntualissimi!” protestò Leonida. “Dopotutto, le lezioni cominciano solo domani mattina, no?”
Marcò sollevò un sopracciglio. “Sì, ma conoscendovi, sareste potuti persino arrivare a lezioni iniziate.”
Leonida ammiccò e si scambiò uno sguardo complice con la gemella. “Giàààà... Non lo neghiamo, caro Marco. Assolutamente, non lo neghiamo.”
Marco lanciò loro uno sguardo indecifrabile, tipico della sua personalità chiusa e introversa, poi lanciò un’occhiataccia a Enrico, che continuava indisturbato a ingolfarsi come un maiale, senza degnare di uno sguardo gli amici appena arrivati. “E tu? Quale discorso stai portando avanti con tutto quel cibo? Non vedi che sono arrivati i nostri amici?” si alterò gelidamente, lo sguardo disgustato e pieno di commiserazione verso quel suino insaziabile.
“Sì, sì”, bofonchiò con le fauci piene di hamburger e le labbra sudice di ketchup e salse varie. Allungò la mano verso una salsiccia e se la cacciò in bocca, nonostante non ci fosse quasi più posto per nient’altro. “Questo lo vedo. Ben trovati, ragazzi”, concluse a stento con nonchalance, ignorandoli completamente.
Cristina e Leonida ammiccarono, scambiandosi l’ennesimo sguardo complice.
“Caro, caro Enrico!” esclamò Leonida in tono deridente, mettendosi a massaggiargli le spalle. “Vedo che sei sempre in splendida forma! Con il fisico scultoreo che hai, potresti benissimo finire sulla copertina di una rivista di fitness!”
Ma Enrico lo ignorò, cacciandosi in bocca un’ala di pollo fritta, tranquillo e beato. Doveva far presto prima che a uno dei due venisse in mente di...
“Che carino, Enrico! Hai ordinato la cena anche per noi!” esclamò Cristina, afferrando i due cartoni di pizza.
“NOOOO!!!!” bofonchiò Enrico, scattando in piedi come una molla con un’agilità non naturale per la sua stazza. Quando c’era di mezzo il cibo...
“Tranquillo, Enrico, non ti scomodare! Ci serviamo da soli!” lo prese in giro Cristina, mentre Marco già rideva sotto i baffi, dopo aver ripreso il suo posto a tavola.
Adorava quelle buffe scenette di cui Cristina e Leonida si rendevano protagonisti. Erano soliti fregare il cibo a Enrico, dal momento che era meno dispendioso sottrarlo a lui, piuttosto che andarselo a comprare… Oltre che molto più divertente!
Enrico emise una serie di versi a bocca chiusa, non riuscendo più nemmeno a parlare per quanto l’aveva piena, ma nessuno capì che cosa stesse tentando di dire... O, perlomeno, finsero di non capire...
“Ma cosa dice?” domandò Cristina, facendo l’occhiolino al fratello.
“Ovvio, no? Ci sta dicendo che è stato un piacere per lui ordinare la pizza anche per noi! Non è vero, Enrico?”
Enrico bofonchiò ancora suoni gutturali e incomprensibili, sbraitando agitatamente come se non ci fosse un domani.
“Oh, su! Non farla tanto lunga! Lo sappiamo dove sono le posate per tagliarla! Ecco, rimettiti seduto!” Leonida lo rimise a sedere con una leggera spinta sul petto che lo fece sbilanciare e centrare dritto-dritto la sedia. “Ce la tagliamo da soli, non temere! Tu continua pure a mangiare! Saranno di nostro gradimento, vedrai! Noi siamo di bocca buona! Mangiamo tutto!”
Enrico prese a masticare freneticamente nel disperato tentativo di deglutire il cibo ed evitare che quei due si spartissero le sue amate pizze.
Cristina, nel frattempo, socchiuse prima un cartone, poi l’altro per vedere come fossero quelle pizze e il suo sguardo s’illuminò di gioia inaspettata e lo stomacò gioì con lei. “Mmmm! Leonida, quale vuoi? Abbiamo una pizza con asparagi, bacon e uova, e una con fiori e alici! Mica male!”
Leonida diede una forte gomitata affettuosa e deridente a Enrico, facendogli andare parte del boccone di traverso. “E tu che ti preoccupavi che non fossero di nostro gradimento, compare! Vada per asparagi, bacon e uova per me!” concluse, poi, Leonida, rivolgendosi alla sorella. “A te va bene?”
“A me va benissimo! Una vale l’altra, ho talmente fame!”
“Ottimo!”
I gemelli si sedettero vicino a Marco, l’uno accanto all’altra, dal momento che Enrico e il suo cibo occupavano una fiancata di tavolo intera.
Finalmente Enrico riuscì nel disperato intento di deglutire e partì all’attacco, proprio mentre i gemelli erano intenti a tagliare le pizze. “Ma che cosa avete capito, cretini! Quelle non sono per voi! Sono per me!”
“Per te?” risposero i due in coro, assumendo senza volerlo la medesima espressione facciale di bronzo.
“Già! Per me! Sissignori!”
“Ma tu hai già la cena! Guarda che roba!” esclamò Cristina indignata, dando un bel morso al primo spicchio di pizza.
“Giàààà! Tiè, guarda che roba!” convenne Leonida, indicando il cibo davanti a sé. “Hai la cena per sfamare un intero esercito!”
“No, non è vero! Non è poi così tanto! Io ho fame e anche quelle erano mie! Smettetela immediatamente di mangiarle!” urlò Enrico, isterico e perentorio.
I gemelli si scambiarono un’eloquente occhiata complice e menefreghista, facendo spallucce e continuando a mangiare indisturbati come se niente fosso.
“Ho detto smettetela!”
I gemelli si guardarono di nuovo, poi rivolsero gli sguardi a Enrico e gli alzarono il dito medio.
Marco soffocò un risolino sotto i baffi, Enrico sbottò. Disperandosi.
Non aveva il carattere così tosto come voleva far credere! Aveva il lardo persino nel cervello!
“Marco, ti prego!” piagnucolò. “Dammi una mano tu!”
Per tutta risposta, Marco lo derise con un’occhiataccia sadica e menefreghista, alzandogli a sua volta il dito medio. “Sì. Aspetta e spera.”
“Ma non è giusto! Quelle sono mie!”
“Su, non fare l’egoista, Enrico”, iniziò ad alterarsi Leonida. Era una gran canaglia, ma quando gli venivano pestati i piedi... “Hai da mangiare per un intero esercito!”
“E le dispense sono piene”, aggiunse Marco con nonchalance.
“Ah, pure! Perciò, che ti costa condividere un paio di pizze con noi! Non è affatto carino da parte tua comportarti così! Mangerai qualcos’altro, no? Noi siamo stati in giro tutto il giorno, abbiamo viaggiato e abbiamo fame! Sei proprio un bambino viziato!”
Enrico fece per rispondere, ma Cristina glielo impedì, dando subito man forte al fratello.
“Leonida ha proprio ragione, Enrico! Lì, hai da mangiare per cinque, cibo a volontà nelle dispense e nel frigo, e non ci offri una pizza a testa? Ma va! È una cosa inaudita! Comunque, te le pagheremo, non temere! Non appena abbiamo finito di mangiare, vado a prendere il portafoglio.”
“Non voglio i vostri soldi! Voglio le mie pizze! Le mie pizze!” piagnucolò Enrico, battendo i pugni sulle ginocchia, come un bambino nel bel mezzo di un capriccio.
I tre amici si scambiarono sguardi basiti e sconcertati. Sapevano già che Enrico mangiava per dieci, data la sua stazza. Non ci voleva una laurea per capirlo, ma immaginarsi che in casa si sarebbe comportato così... Nulla sembrava essere rimasto del ragazzo allegro, simpatico e solare che era, quando uscivano tutti insieme o quando erano a scuola.
La situazione era più grave del previsto.
Marco sospirò e prese in mano la situazione. “Invece, non le riavrai. Lasciali mangiare in pace. E ti dirò di più, caro il mio grassone. Cominciamo subito a condurre uno stile di vita più sano. Non ce la faccio più a vederti mangiare tutta quella merda. Perciò, questo, questo e questo, via! E anche quest’altro”, disse gelidamente e senza scomporsi, iniziando a togliere dalla tavola il cibo spazzatura.
“Fermo!” piagnucolò Enrico. Tentò di alzarsi, ma era talmente gonfio, che non ci riuscì.
E tutto ciò che poté fare fu guardare impotente Marco gettare le sue squisite prelibatezze nella spazzatura.
“Infine, dobbiamo discutere la questione della spesa. Non avrai comprato un granché, per quanto riguarda i cibi salutari, ma sta comunque di fatto che tu hai riempito le dispense, facendo così spesa per tutti. Ed è giusto che la somma che hai speso venga divisa in quattro.”
Enrico mise il broncio e ripartì alla carica. “Ancora non lo avete capito? Ma cosa siete? Ritardati, per caso? Quel cibo nelle dispense, non l’ho comprato per voi! È MIO! MIO! MIO! MIO! TUTTO MIO! L’unica cosa che avevo preso per voi erano le uova che si è mangiato Marco! Erano quelle che dovevate mangiarvi anche voi due!” sbraitò, rivolgendosi ai gemelli. “Il resto è MIO! TUTTO QUANTO MIO! Perciò, non mi dovete nulla! Volete mangiare? Allora, la spesa, fatevela da soli!”
“Non erano questi i patti, però”, gli fece notare Marco.
“Già. Si era deciso, infatti, che chi fosse arrivato per primo avrebbe fatto la spesa per tutti, in modo da tirare avanti qualche giorno, finché non ci fossimo organizzati. Chi è arrivato per primo, dunque?” puntualizzò Leonida.
“Enrico”, rispose secco Marco. “Io sono arrivato non molto prima di voi.”
I tre incrociarono le braccia, le facce di bronzo piuttosto irritate, e fissarono imperterriti Enrico. Che a sua volta fissava loro. Lanciò uno sguardo di sfida prima a Marco, poi ai gemelli. Gemelli... Gemelli, per modo di dire. Sì, vero, avevano i tratti somatici del viso praticamente quasi identici, ma stava comunque di fatto che Leonida era biondo con gli occhi azzurri, mentre Cristina vantava capelli corvini e occhi neri come la notte. Più che gemelli, sembravano fratelli. Ma questo poco importava in quel momento. Ciò che importava, invece, era il fatto che tutti e tre stavano ordendo un complotto alle sue spalle per non farlo mangiare tutto quello che voleva. E questo era inaccettabile! Non era così che sarebbero dovute andare le cose! Non sapendo che altro fare, si alzò da tavola, aprì il frigo e si portò via con sé, in camera, un salame intero e una mortadellina con una confezione sana di pan bauletto.
“Roba da matti”, commentò Cristina, scuotendo il capo con fare rassegnato.
Una volta in camera, prima di papparsi il meritato bottino, Enrico riordinò le pizze a domicilio. Non sapendo che Marco, con il suo udito a radar, aveva già captato ogni sua singola parola.
Nel frattempo, in cucina, i tre amici presero a conversare su quanto appena accaduto, Leonida che stava di punta, seduto accanto alla finestra, per vedere quando sarebbe arrivato il fattorino con le pizze.
“Accidenti”, esordì Cristina. “Non lo facevo così allupato con il cibo. Certo, che s’ingozzava a stufo e di continuo, lo sapevamo tutti, ma che in casa fosse così maleducato ed egocentrico, proprio non me lo aspettavo. Abbiamo iniziato bene!”
“Quello ci fregherà pure la nostra roba, dicendo che l’aveva comprata lui! Ve lo dice Leonida! Datemi retta!”
“Può solo provarci, quel grassone dei miei stivali. Fosse per me, saprei io come rimetterlo in riga”, commentò gelidamente Marco, una nota seccata che donava un lieve colorito alla sua voce. “Ma come si fa a ridursi così? Come si fa a non tenere per niente alla cura del proprio corpo e della propria salute?”
“Già”, convenne Cristina. “Quello che fa è inconcepibile. Come fa a non avere mai voglia di muoversi, di uscire, di vivere, insomma? Io, se fossi nelle sue condizioni, impazzirei!”
“Anch’io. Comunque, a questo punto è diventato come un serpente che si morde la coda. Più ingrassa più la sua mobilità è limitata.”
“Appunto, Leo! Come fa a non aver voglia di dimagrire, di uscire in bicicletta, di andare a correre, di fare una nuotata o semplicemente di stare fuori all’aria aperta?”
“Non ne ho idea, Cri... Oh, senti! Ti va un gelatino?”
Cristina aggrottò le ciglia. “Un gelatino?”
“Sì! Un gelatino! Ti pare che quel cicciobomba non ha comprato il gelato? Marco, ti dispiace dare un’occhiata? Io da qui non mi posso muovere, sono di punta!”
Marco annuì, anche se con espressione contrariata, e aprì il congelatore. “Tipico. Questo non è più un congelatore, ma una gelateria. Ci sono le maxi-stecche, cornetti giganti assortiti e tre vaschette da un chilo. Abbiamo gianduia, tartufo e stracciatella.”
“Passami le vaschette, per favore, Marco”, gli disse Cristina. “Faremo un trittico in un bicchiere.”
Marco annuì e fece quanto richiesto.
Cristina aprì le vaschette e iniziò a tirar giù i bicchieri dal pensile. “Marco, tu ne vuoi un po’?”
“No, grazie. Io non mangio quella roba.”
“Ma perché? Non è mica cibo spazzatura!”
“Lo so, Cri, ma sai bene come la penso. Quello è cibo inutile. È pieno di zuccheri e basta. Ai fini degli allenamenti, non mi serve a nulla, anzi.”
“Fa’ come vuoi. È giusto seguire un’alimentazione sana ed equilibrata, ma ogni tanto togliersi uno sfizio non ha mai ucciso nessuno.”
“Io non ho sfizi da togliermi.”
Cristina non se la prese e fece spallucce. Ormai conosceva fin troppo bene Marco e le sue concezioni alle volte estremiste. “Ok, come vuoi. Se ci ripensi, sai dove trovarlo.”
Cristina riempì i tre bicchieri al massimo con i tre gusti e ne passò uno al fratello, che sereno e beato iniziò a mangiare senza perdere di vista il panorama fuori dalla finestra.
Marco non disse nulla, ma si limitò a guardare con aria rassegnata i due gemelli far fuori famelicamente il gelato. Erano due pozzi senza fondo ed erano in grado di mangiare di tutto e di più. Non stavano fermi un attimo. Erano sempre in movimento, dalla mattina quando si alzavano, finché non andavano a dormire a notte fonda. Erano semplicemente instancabili. Come lui, erano soliti fare attività fisica ad alto livello quasi tutti i giorni, ma con una piccola differenza. Lui era cresciuto amando il culto del corpo e la vita sana al cento per cento, mentre Cristina e Leonida erano semplicemente due concentrati di energia allo stato puro, due bombe di vitalità e l’unico modo che avevano di incanalare tutto ciò che covavano dentro era lo sport. Certo, anche loro amavano la vita sana, ma erano molto meno rigidi rispetto a lui. Infatti, si concedevano spesso gelati, dolci, cornetti e persino qualche frittura, di tanto in tanto. Leonida era un ciclista, Cristina una corritrice, entrambi adoravano le attività out-door e si allenavano costantemente in piscina e in palestra, proprio come lui. Ecco perché tutti e tre si erano ritrovati a voler studiare le scienze motorie.
Ma per lui, concedersi sfizi di tanto in tanto era un gesto blasfemo contro il corpo umano. Gli sfizi non erano null’altro che debolezze, che alla lunga affievolivano la forza della mente, perché la abituavano alla resa. Evidentemente, i gemelli non la pensavano così. Loro dicevano che bisognava vivere, ma per Marco era un concetto inconcepibile.
“Che cosa state facendo?” Una voce basita e sconvolta irruppe in cucina, distruggendo la quiete che si era creata nell’atmosfera.
“Niente”, rispose Cristina, facendo spallucce.
“Ci gustiamo un po’ di gelato”, concluse Leonida per lei.
“Ma come vi siete permessi! Quello è MIO! È IL MIO GELATO! MIO! E DI NESSUN ALTRO!” gridò Enrico come impazzito.
“Su, non farla tanto lunga per due bicchieri di gelato!” si esasperò Cristina.
“Ti abbiamo già detto che ti daremo i soldi, no?” proseguì Leonida, prima di infilarsi in bocca un altro cucchiaino di gelato.
“Ma io non voglio i vostri soldi! Io voglio il mio cibo! Voglio il mio cibo!” piagnucolò, battendo il piede a terra, come un bambino viziato nel bel mezzo di un capriccio.
Marco non ci vide più. Si alzò in piedi e lo afferrò per il colletto. “Smettila di frignare, lurido grassone! Vergognati! Fai spendere tutti questi soldi ai tuoi genitori per cosa? Per rovinarti la salute? Mi dispiace per loro, che sono due brave persone. Non meritano un figlio come te, sciocco e irresponsabile. E anche egoista, per giunta. Noi siamo amici da una vita e ora siamo anche coinquilini e tu che fai? Fai i capricci per due misere pizze e due miseri bicchieri di gelato, dopo aver riempito la casa di cibo ed esserti ingozzato tre chili di roba? Vergognati! E adesso sparisci in camera! FILA!”
Enrico non replicò e si ritirò in camera con la coda tra le gambe, quatto-quatto. Quando Marco era di quell’umore e se ne usciva con certi pezzi, beh, meglio lasciar perdere. Avrebbe trovato una soluzione per quei tre. Non si sarebbe più fatto rubare il cibo per nessun motivo al mondo!
Nel frattempo, in cucina, Marco riprese il suo posto a sedere.
“Però! Gliel’hai cantata, eh?” ridacchiò Leonida, finendo il suo gelato.
“Se l’è cercata e meritata.”
“Ehi! Eccolo che arriva!” esclamò Leonida, balzando in piedi.
Era arrivato il fattorino con le pizze.
Cristina prese il borsellino e tutti e tre si precipitarono in fretta e furia per le scale a pagar le pizze, lasciando pure una bella mancia al ragazzo che le aveva consegnate. Dopodiché, su idea di Cristina, le portarono alla parrocchia, dicendo che gli erano state consegnate per sbaglio. Un’opera buona verso i poveri e i bisognosi.
E ora potevano benissimo tornarsene a casa.

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