LA BEFFA DEL DESTINO
Come andò a finire? Beh, dipende dai punti di vista! Per Valerio e
Chanel filò sempre tutto liscio come l’olio, grazie al loro muso duro e alla
loro complicità: per quanto riguarda Felice... Tentò per cinque anni di studi
universitari di liberarsi di Valerio e Chanel, ma invano. Ogni qualvolta
trovasse un nuovo appartamento, Chanel e Valerio puntualmente lo
rintracciavano, avendo spie e complici sparsi per tutta Urbino, e, di
conseguenza, prendevano casa con lui. Per cinque anni, Felice fu destinato a
far loro da Cenerentolo, subendo continuamente le loro malefatte e i loro
soprusi, e, dopo la laurea, sparì.
Una volta conclusa l’università, Valerio e Chanel si trasferirono
insieme a Roma e aprirono una palestra in società chiamata “Chaerio”, i cui
affari decollarono nel giro di pochissimo tempo. Divennero ricchi sfondati,
insomma! E rimasero sempre i soliti! Nonostante la complicità da innamorati, il
vecchio istinti da bisbetici permase e questo li portava spesso a litigare e a
punzecchiarsi di continuo. Ma, alla fine, si riappacificavano sempre. Erano
come cane e gatto, si azzuffavano di continuo, anche ricorrendo ai vecchi
dispetti e alle antiche ripicche, ma non c’era l’uno senza l’altra. Dopo
qualche ora dalla lite, Valerio ricercava Chanel e Chanel ricercava Valerio.
Andarono subito a convivere a Roma, dopo aver concluso l’università e all’età
di trentacinque anni, decisero finalmente di convolare a nozze.
E, badate bene, non fu un evento facile da organizzare...
Valerio si sedette a tavola a fare colazione nel maestoso e immenso
giardino della sua villa, pensando a quale meta fosse adatta alle sue esigenze
per il viaggio di nozze. Già puntava a località turistiche verso il Nord
Europa, verso l’arte e la cultura, pur sapendo che avrebbe dovuto di nuovo
litigare con Chanel. Avevano già litigato per tutto, dalla chiesa alla location
per il pranzo di matrimonio, dalla lista di nozze agli invitati... Alla fine
avevano estratto a sorte e, puntualmente, Valerio aveva sempre perso. Ancora
non riusciva a spiegarsi come diavolo Chanel potesse avere la fortuna che
girava dalla sua parte ogni singola volta. Faceva lo stesso, pensò! Era certo
che, quella mattina, l’avrebbe spuntata.
“Buongiorno, amore!” lo salutò Chanel radiosa e rilassata, sedendosi
davanti a lui, a tavola, in giardino.
“Buongiorno a te, tesoro”, ricambiò lui. “Stavo pensando al viaggio di
nozze...”, esordì.
Ma non fece in tempo a continuare.
“Io vorrei andare alle Maldive o alle Seychelles!” esclamò Chanel,
interrompendolo, entusiasta solo all’idea di passare una luna di miele immersa
nel caldo, nel sole e nel lusso, circondata dal suono del dolce far niente.
“Cosa?” sbottò Valerio. “No! Io pensavo alle città d’arte del Nord
Europa!”
“Sei sempre il solito lagnoso noioso! Andremo ai tropici!”
“No! Dannata strega maledetta! Andremo nel Nord Europa!”
“Ho capito”, se ne uscì Chanel col solito sorrisetto sadico sulle
labbra. “Estrarremo a sorte!”
Valerio annuì con aria di sfida. “Ci sto!”
Come al solito, Valerio preparò due biglietti con scritto Valerio e
Chanel, ignorando la presenza del terzo biglietto nella manica di Chanel.
Ovviamente perse. E non si accorse di nulla.
“Sì!” esclamò vittoriosa Chanel.
Valerio mise il broncio e incrociò le braccia seccato. “Tu bari”,
grugnì a un certo punto.
“Pensala come vuoi”, lo freddò Chanel. “Tanto ho vinto io! Non posso
farci niente, sai, se sono nata con due camicie!”
“Già”, bofonchiò Valerio.
“Comunque, ci andremo a Natale, nel Nord Europa, se può farti
piacere”, gli concesse lei magnanimamente.
In fondo, le faceva pena!
Valerio annuì. “Ci sto! Affare fatto!”
“Allora, Seychelles o Maldive?”
“Maldive!” esclamò Valerio.
Ma Chanel scosse il capo. “Seychelles!” ribatté col solo scopo di
contraddirlo e litigare ancora.
Una bisbetica indomata resta sempre una bisbetica indomata.
“Maldive”, incalzò Valerio.
“Seychelles!” insistette Chanel.
“Maldive!”
“Seychelles!”
“Maldive!”
“A sorte!” esclamò Chanel.
“D’accordo, Strega Maledetta! A sorte!” convenne Valerio, certo di
vincere almeno una volta.
“Allora, riprepara i biglietti, Nano Da Giardino!”
Valerio si rimise all’opera. “Credevo che l’avessi constatato più
volte in questi anni, cara la mia Strega Maledetta, che nella botte piccola c’è
il vino buono!”
Chanel rise. “Vero. Ma ce n’è anche poco!” lo prese in giro lei. “Caro
il mio Nano Da Giardino!” concluse con enfasi, calzando sul nomignolo.
Valerio scosse il capo con fare rassegnato e rise con lei.
Gettò i biglietti sul tavolino e perse.
Scosse di nuovo il capo con fare rassegnato.
Doveva trovare un’altra strategia per farla franca, ma, dopo tanti
anni, non l’aveva trovata.
Giunse il giorno delle fatidiche nozze. Valerio indossava un abito
classico da perfettino, che ricalcava perfettamente la sua personalità, al
contrario del vestito di Chanel. Si presentò all’altare in netto ritardo, con
l’acconciatura in disordine e l’aspetto trafelato, con un abito pomposo e
regale che non si addiceva minimamente ai suoi modi di fare da tornado vivente.
Valerio l’attendeva seccato davanti all’ingresso della chiesa, lo sguardo truce
e seccato, ma con quel sorriso da canaglia e quegli occhietti vispi, non fu in
grado di dirle nulla. Si limitò a porgerle il braccio per accompagnarla
all’altare, lanciandole un’occhiataccia, spodestando così il ruolo del padre di
lei, che venne spudoratamente messo da parte. Camminarono lungo la navata, dopo
che i parenti ebbero preso ognuno il proprio posto, e raggiunsero l’altare.
Un prete dalle spalle un po’ curve e gli occhiali a culo di bottiglia,
dall’aria vagamente familiare li raggiunse.
“VOI QUI?!” si stupì il giovane prete, sgranando gli occhi.
“Felice?” se ne uscì Valerio con aria meravigliata.
“Ma ti sei fatto prete!” esclamò Chanel con aria canzonatoria. “Giusto
quello potevi fare!” aggiunse, suscitando le risa sommesse di Valerio.
“Ma dov’è Don Francesco?” domandò Valerio, dal momento che era con lui
che aveva preso accordi per il matrimonio.
“È malato”, rispose Felice. “Lo sostituisco io. Spero che abbiate già
confessato tutti i vostri peccati”, aggiunse, riferendosi alle loro continue
malefatte durante i cinque anni di università.
“Di quali peccati stai parlando, Felice?” gli domandò Chanel,
simulando un’innocenza che in realtà non aveva.
“Si starà riferendo a tutte le scopate che ci siamo fatti
abusivamente, quando eravamo coinquilini all’università!” s’intromise Valerio,
suscitando l’ilarità di tutti gli invitati.
“No”, disse secco Felice. “Mi sto riferendo a tutti i dispetti e le
cattiverie che mi avete fatto, quando studiavamo insieme!”
“Su via, Felice! Per quattro scherzetti innocenti! Non ci porterai
mica rancore?” replicò Chanel melliflua.
“Ora basta, Felice! Sei sempre il solito frignone rompipalle! Vedi di
cominciare la funzione, ché Chanel ci ha già fatto fare abbastanza tardi!” li
interruppe Valerio.
“Ma cosa vi sposate a fare che siete diversi come il giorno e la
notte? Come farete ad andare d’accordo? Voi vi odiavate!” protestò Felice,
ingenuo come sempre, non avendo ancora imparato la lezione del tenere la bocca
chiusa al momento opportuno.
Valerio sbottò come al suo solito. Afferrò il povero e malcapitato
Felice per il colletto con aria minacciosa e infuriata. “Questi non sono affari
che ti riguardano. Ora, sposaci, pezzo d’imbecille che non sei altro, o ti
faccio ingoiare le ostie tutte intere. E vedi di non fare la predica troppo
lunga”, gli sibilò, mentre tutti gli invitati ridevano sotto i baffi,
scambiandosi sguardi complici come per dire: “Siamo alle solite!”
Felice deglutì, tremolando, e incassò il colpo, come sempre. Erano
passati tanti anni, ma lui non era cambiato di una virgola! Si limitò ad
annuire e a cominciare la messa. “C-c-ca-cari f-fratelli”, esordì con la voce
che tremolava proprio come lui. “Siamo q-qui r-riuniti oggi nella c-c-c-casa
del Signore per celebrare l’unione in maaaatrimonio di questi due figli diiii
D-Dio: V-Va-Valerio e-e-e-e Ch-Chaaaanel”, balbettò.
“Smettila di balbettare e muoviti, femminuccia”, gli ordinò Valerio a
denti stretti, tirandogli un pistatone sul piede, facendo ridere Chanel.
“Signor sì, Signore! Eseguo!” esclamò Felice, in tono da soldato
semplice, impacciato e impaurito, facendo ridere tutti i presenti, che già
sotto i baffi si burlavano di lui.
Felice riprese la cerimonia, cercando di stare attento il più
possibile a non balbettare, fino al momento della lettura dei sacri testi e
della predica... Che tirò molto per le lunghe.
Stufi di aspettare, Valerio si tirò su le maniche della giacca ed era
pronto a partire alla volta del leggio, quando Chanel lo afferrò saldamente per
un braccio, il sorrisetto sadico stampato in volto. Valerio ricambiò lo sguardo
con complicità, avendo già intuito cosa Chanel stesse pensando di fare.
Mentre Felice era tutto intento e preso nella sua predica rivolto ai
presenti, Chanel fece cenno ai testimoni di avvicinarsi di soppiatto. Tanto
quello scemo di Felice era così tonto, che non si sarebbe accorto di nulla!
Chanel si fece dare un elastico e dei fazzoletti di carta e li passò a Valerio,
che ne fece tante palline. Le nascose nel pugno e, lontano dallo sguardo
assente di Felice e davanti agli occhi di tutti i presenti, le passò a Chanel,
mentre già tutti i presenti ridevano sotto i baffi. Ma Felice era così preso
nella sua predica che non si accorse di nulla. Finché non gli arrivò la prima
pallina in faccia. Finalmente, s’interruppe e si guardò intorno con aria basita
e furtiva. Ma nessuno si muoveva. Tutti mostravano facce di pietra,
imperterrite e compunte. Felice riprese la predica come se nulla fosse
accaduto, quando Chanel gli lanciò la seconda pallina con l’elastico, a mo’ di
fionda. Colpendolo in pieni occhiali. La terza e la quarta gli arrivarono
direttamente in bocca.
Tutti i presenti scoppiarono a ridere.
“Anche in chiesa, nel luogo sacro, casa del Signore! Non avete
rispetto nemmeno per il povero prete, Don Felice! Siete sempre i soliti
bisbetici!” piagnucolò il malcapitato Felice.
“Valerio te l’aveva detto di non fare la predica troppo lunga! Noi
saremo sempre i soliti bisbetici, ma tu sei sempre il solito frignone
rompipalle!” esclamò Chanel melliflua.
“Ora, arriva al dunque, Ciambotto!” gli ordinò Valerio in tono
perentorio.
“Sì, sì, sì, sì!!!!” eseguì Felice. “Allora, vuoi tu, Chanel, prendere
il qui presente Valerio come tuo legittimo sposo?”
“Sì, lo voglio”, rispose secca Chanel, con tono da saputella.
“E vuoi tu, Valerio, prendere la qui presente Chanel come tua
legittima sposa?”
“Sì, lo voglio”, replicò Valerio.
“Benissimo! Allora, per mezzo dei poteri a me conferiti, io vi
dichiaro marito e moglie, puoi baciare la sposa!” dichiarò Felice a
macchinetta, non vedendo l’ora di liberarsi di loro.
Valerio baciò Chanel con grande passione col solo scopo di prendersi
gioco di Felice, per poi prenderlo e trascinarlo con loro al pranzo.
Si rise e si scherzò a crepapelle, Felice si ubriacò, poi, dopo aver
mangiato la torta, tutti gli invitati sparirono, lasciando Felice da solo.
“Signore?” lo chiamò un cameriere.
“Sì? Hic!” rispose Felice, già ciucco marcio.
“Signore, qualcuno deve pagare il conto e qui c’è rimasto soltanto
lei”, gli disse il cameriere.
“Il conto? Hic! Ma come faccio a pagare? Hic! Io sono il prete!”
biascicò Felice.
“Qualcuno dovrà pur pagarlo, questo pranzo di nozze”, gli fece notare
il cameriere, già d’accordo con Valerio e Chanel. “Ci rivolgeremo alla curia,
allora. O devo chiamare le forze dell’ordine?”
“No, no! Meglio la curia!” si spaventò Felice, ancora memore dello
scherzo di pessimo gusto subito in gioventù.
Poi, svenne.
“Questo non l’avevamo previsto”, disse il cameriere. “Altro che la
curia! Qui, ci tocca chiamar l’ospedale!” Evviva gli sposi!” esclamò.
FINE.