Enrico finì di ingoiare l’ultimo panino con mortadella che si era
portato in camera. Si leccò le dita e controllò l’orologio, sfregandosi le mani
con fare compiaciuto e soddisfatto. Nel giro di pochissimi minuti, a momenti
ormai, sarebbero arrivate le sue adorate e venerate pizze. Nonostante avesse
mangiato la razione di cibo per una settimana di un intero esercito, l’appetito
non gli era ancora venuto meno. Già pregustava le pizze, sentiva il loro odore
sotto le narici e bastò quel pensiero per smuovergli una gran fame e per fargli
venire l’acquolina in bocca. Ma quando arrivavano, queste benedette pizze? I
minuti continuavano a scivolare via come l’acqua di un fiume in piena e ancora
niente. Era passata più di mezz’ora da quando le aveva ordinate e avrebbero già
dovuto essergli state consegnate da un pezzo. Guardò ripetutamente l’orologio,
si recò in cucina e nemmeno si accorse che gli altri tre erano spariti. Pensò
che si fossero rintanati nelle loro camere e che stessero già in pantofole e
pigiama. Si affacciò alla finestra, ma ancora niente fattorino con le pizze.
Così, stufo marcio dell’attesa, chiamò la pizzeria.
“Ho ordinato due pizze farcite mezz’ora fa! Si può sapere che fine
hanno fatto?” tuonò Enrico molto più che alterato al malcapitato che rispose al
telefono.
“Non lo so, signore. Sono mortificato. Guardi, è appena tornato il
fattorino! Glielo passo subito!”
Il fattorino, appena rientrato dal giro di consegne, afferrò il
telefono e ascoltò in silenzio i tuoni protestanti di Enrico. “Signore, io le
ho consegnate, le pizze. C’erano tre ragazzi che mi stavano aspettando di
sotto”, spiegò tranquillo.
“Cosa? Come? Tre ragazzi? Descrizione, prego!”
“Allora... Dunque, vediamo un po’... Uno sembrava tedesco e gli altri
due erano sicuramente fratelli, visto quanto si somigliavano. Me le hanno
pagate e mi hanno lasciato anche una bella mancia!”
Enrico non ci vide più dalla rabbia! Come si erano permessi quei
bifolchi di rubare le SUE pizze? Ah, ma questa volta, non l’avrebbero passata
liscia! Strinse i pugni e cercò di controllarsi. “Allora, me le riporti subito!
Gliene ordino altre due uguali, una con asparagi, bacon e uova, e una con fiori
e alici! E questa volta me le consegni personalmente! Suoni il campanello e
chieda di Enrico!”
“D’accordo. Allora, a tra poco!”
Enrico chiuse la chiamata e fece scivolare il telefono sul tavolino
della cucina e attese con trepidazione le sue adorate e venerate pizze.
Marco, Cristina e Leonida stavano tornando a piedi dalla parrocchia,
dopo aver consegnato le pizze di Enrico, fingendo che gliele avessero
consegnate per sbaglio. E tutti e tre ridevano divertiti. Marco sghignazzava
sotto i baffi, introverso e sadico come sempre, mentre Cristina e Leonida
letteralmente se la stavano facendo addosso dalle risate. Avrebbero tanto
voluto vedere la faccia di Enrico, mentre attendeva con agitazione quelle
gustose pizze che mai sarebbero arrivate. Era stato così sgarbato con tutti
loro, che quello era il minimo che potessero fare per fargliela pagare e fargli
passare la voglia di non condividere la spesa con loro. E poi, detto
sinceramente, gli stavano pure facendo un favore. Enrico era così grasso... Non
era più tanto un fatto di estetica, ma di salute. Se avesse continuato per
quella strada, prima o poi sarebbe morto. E anche piuttosto presto, a dirla
tutta. Perciò, avevano compiuto doppiamente il bene. Avevano portato le pizze
ai poveri e ai bisognosi e avevano impedito al loro caro amico di ingolfarsi
ancora. Cristina si strinse nel golfino, essendo la temperatura della sera fin
troppo frizzantina.
“Tutto bene, Cri?” le domandò premuroso il fratello.
“Sì, ho solo un po’ fresco, niente di che.”
“Vuoi che ti dia la mia maglia?”
“No, grazie, Leo. Tanto, siamo quasi arrivati, no?”
Leonida si lasciò sfuggire una risata. “Come vuoi. Continua così e
presto diventerai resistente come Marco!” scherzò, lanciando un’occhiata
all’amico che camminava tranquillo e beato con addosso soltanto una semplice
maglietta a maniche corte. “Amico, ma come fai?”
“Sono abituato. Dovreste temprarvi anche voi. Vi farà bene.”
“Scusa, ma quando ci sono quaranta gradi, come fai? Non puoi mica
strapparti la pelle!” s’incuriosì Cristina.
“Sopporto anche quello”, rispose telegraficamente.
Cristina abbozzò un sorriso. Non si riusciva mai a cavare a Marco una
parola più del necessario.
“Ehi, ragazzi! Secondo voi che cosa starà combinando Enrico?” se ne
uscì Leonida con la faccia da presa in giro.
Il volto di Marco si contorse in un sorriso sadico e compiaciuto.
“Chi? Quel grassone piagnucoloso e viziato? Non ne ho idea, ma non vedo l’ora
di tornare a casa e vedere la sua faccia. Gliela faccio passare io la voglia di
comportarsi così.”
“Secondo me, starà dando i numeri al lotto!” rise Leonida.
Cristina, invece, si bloccò all’improvviso, l’espressione allampanata
e preoccupata. La sconfitta non le piaceva affatto, tanto meno quando si
trattava di canagliate come quelle. Nessuno poteva farla a Cristina! Nessuno.
“Che c’è, Cri?” le domandò Leonida preoccupato.
“Cristina, tutto bene?” gli fece subito eco Marco.
“Ragazzi, non cantate vittoria troppo presto. E se le avesse
riordinate?”
I tre amici rimasero impalati per qualche istante, scambiandosi
occhiate complici e riflessive. Dopodiché, scattarono come ghepardi alla volta
di casa. No, Enrico non poteva essere stato più furbo di loro! Non potevano
dargliela vinta! Non dopo la sceneggiata di cui si era reso protagonista!
“Uno di noi sarebbe dovuto rimanere a casa e monitorare la
situazione!” esclamò Cristina, mentre correva come una furia, staccando persino
i compagni.
“Inutile piangere sul latte versato. Muoviamoci!” replicò fermamente
Marco.
I tre amici accelerarono e arrivarono sotto casa, proprio nel mentre
in cui il fattorino stava tirando fuori dall’auto le pizze ancora fumanti da
consegnare.
“Ehi, siamo qui, aspetti!” gridò Cristina, piazzandoglisi davanti.
“Le prendiamo noi!” la raggiunse Leonida, togliendogli le pizze dalle
mani svelto come uno scoiattolo, mentre la sorella reperiva i soldi nella
borsa.
“Ma veramente, io ho ricevuto ordine di consegnarle personalmente a
Enrico”, puntualizzò il fattorino, facendo per riprendersi le pizze, ma
Leonida, svelto come uno scoiattolo, sgusciò via dalla sua portata.
“Quelle, Enrico non le può mangiare”, intervenne Marco freddamente,
frapponendosi fra i gemelli e il fattorino. “Il signorino pesa circa duecento
chili e questa sera ha già mangiato la quantità di cibo di cinque buone
forchette. Perciò, adesso basta. Non mi importa quello che le ha detto. Queste
pizze le prendiamo noi. Chiusa la questione.”
Quei gelidi occhi di ghiaccio, quasi trasparenti, quell’espressione
fredda e truce e imperscrutabile... Ma chi era quel ragazzo? Un militare o
qualcosa del genere? Il fattorino deglutì, intimorito da tanta gelida
risolutezza e dal suo sguardo minaccioso, e annuì. Cristina gli allungò i
soldi, dimostrandosi ancora una volta molto più che generosa con la mancia.
“Che cosa devo dire a quell’Enrico, se ritelefona furibondo? Troverò a
discutere pure con il mio principale!” piagnucolò il fattorino preoccupato.
Marco alzò gli occhi al cielo, non sopportando di vedere un uomo
comportarsi così. Ma che fine avevano fatto i veri uomini? Perché la
maggioranza erano tutti così rammolliti? Tanto per cambiare, ancora una volta
toccava a lui prendere in mano la situazione. “Qualora il mio caro amico Enrico
dovesse ritelefonare, gli dica pure di prendersela con Marco. Me ne occupo io,
grazie. Mi prendo tutta la responsabilità, anche con il suo principale. Ha la
mia parola.”
Il fattorino annuì. “D’accordo. Vi auguro buona serata.”
“Altrettanto”, rispose Cristina a nome di tutti e tre.
Rimasero a guardarlo salire in macchina e partire.
“Bene”, disse Leonida. “E adesso? Che si fa? Le riportiamo in
parrocchia?”
Aveva il tipico modo di fare del classico tipo da spiaggia, sempre
sorridente e deridente, il che lo rendeva talmente buffo, da rimanere simpatico
persino a Marco.
Non era tanto quello che diceva a renderlo tanto divertente, ma il
modo in cui lo diceva. Sempre con quella faccia e quel tono da presa in giro...
Da canaglia.
“Mi sembra la soluzione migliore. Ma qualcuno deve rimanere qui a
presiedere il pianerottolo, qualora si ripresentasse di nuovo il fattorino”,
disse Marco in maniera piuttosto formale, come al suo solito.
“Vuoi restare tu, Marco? Andiamo io e Cri?”
“No, grazie, Leo. Ma preferisco andare io con Cristina. Non è il caso
che una ragazza resti da sola a quest’ora, né che io rimanga qui ad aspettare.
Se per caso quel grassone dei miei stivali decide di scendere, io lo
disintegro.”
Leonida sghignazzò. “Se ce la fa, a scendere!”
“Io ho i miei dubbi al riguardo”, convenne Cristina, sarcastica.
“D’accordo. Allora, è deciso. Io e Marco riportiamo le pizze e tu resti qui.”
“Non temete! Me la sbrigo io con il cicciobomba, se decide e se riesce
a scendere!” sghignazzò Leonida.
Questa volta, però, Marco decise che fosse il caso di prendere la
macchina. Si stava facendo tardi, Cristina aveva freddo e non era il caso di
salire di sopra a prendere una giacca con il rischio di incontrare Enrico e
rovinare lo scherzo. Era troppo divertente saperlo in casa da solo a rosicarsi
per il fatto che le pizze tardavano ad arrivare di nuovo. Marco abbozzò un
sadico sorriso e montò in auto con Cristina. Tornarono dopo pochi minuti e con
Leonida decisero che fosse il caso di aspettare in macchina che Enrico andasse
a dormire. Rientrarono solo quando tutte le luci furono spente da quasi un’ora.
Enrico richiamò la pizzeria, furibondo. Aveva trascorso un’altra
mezz’ora seduto sul letto a rimuginare sulle pizze. Avrebbe tanto voluto
attendere il fattorino in cucina e vederlo arrivare, ma quella misera
seggiolina da cucina su cui sedeva era troppo scomoda per lui e non amava
restarci, se non quando doveva mangiare. Ovviamente. Aveva deciso di tornarsene
in camera e attendere le pizze comodamente a letto, tanto quegli altri tre
bifolchi erano andati a dormire e non sapevano dell’ultima ordinazione di
pizze. Chissà che cosa ne avevano fatto? Se l’erano mangiate loro, quei
disgraziati maledetti! Già li vedeva, mentre sadicamente e in silenzio si
spartivano e si gustavano le sue amate pizze! Maledetti!
Morale della favola, aspetta e aspetta, ma le pizze non arrivarono di
nuovo. E in pizzeria non rispondeva nessuno, perché ormai... Era chiusa!
Accidenti! Enrico sbatté il telefono sul cuscino. Come minimo, quei
tre farabutti, quei vili filibustieri, avevano incrociato il fattorino di sotto
e Marco gli aveva intimato di consegnargli le sue pizze! Sì. Doveva per forza
essere andata così, con la fortuna che aveva! E tutto per far ingolfare i
gemelli! Tanto, Enrico lo sapeva che Marco, la pizza, se la concedeva sì e no
una volta al mese. Erano quei dannati gemelli i pozzi senza fondo e questo non
andava affatto bene! Ma, a notte fonda, li avrebbe sistemati lui! Una volta per
tutte! Avrebbe fatto passar loro la voglia di ingolfarsi come maiali e rubare
il SUO cibo!
Andò in cucina e si fece fuori la vaschetta di gelato che avevano
aperto poco prima quei dannati gemelli. Avrebbe dovuto prevedere che la
convivenza con loro sarebbe stata difficile, dal momento che quei due erano
pozzi senza fondo e mangiavano di tutto e di più! E avevano pure dei bei fisici
atletici, quei maledetti! Erano pazzi! Pazzi a far tutto quello sport. Ecco
perché avevano così fame e si rubavano il SUO cibo! E Marco che dava loro man
forte! Sempre e comunque! Solo per il gusto di fargli dispetto! Era una vera e
propria congiura ai suoi danni! Non capiva perché Marco non rimproverasse mai
quei dannati gemelli, quando si facevano fuori di tutto e di più! Perché se la
prendeva sempre e solo con lui? Dopotutto, lui non mangiava mica così tanto!
Mangiava solo lo stretto indispensabile di cui il suo corpo, o meglio il suo
palato, aveva bisogno! Erano loro che mangiavano come maiali! Avrebbe dovuto
intimar loro di fare meno sport, così avrebbero avuto meno fame e l’avrebbero
finita di ingolfarsi come esseri incivili.
Sì. Si sarebbe messo a dormire con sveglia alle tre di notte. E poi,
li avrebbe sistemati lui, quei dannati gemelli!
Una volta per tutte!
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