sabato 19 ottobre 2019

NON TI AZZARDARE AD APRIRE QUEL FRIGO - 6° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


Il disgusto di Marco per quella creatura, per quell’insulso essere pieno di lardo si tramutò ben presto in un ghigno sadico e perfido, che gli increspò le labbra.
Prese bene la mira e, con grande soddisfazione, gli tirò un bel calcio in culo, svegliandolo di soprassalto.
Enrico sobbalzò, cercando di capire che cosa fosse appena successo.
“In piedi, lurido grassone! Forza!” gridò Marco, come se fosse il comandante di un esercito, che va a svegliare i suoi cadetti.
“Ehi!” protestò Enrico, indignato. Si girò a stento, faticando come uno schiavo per via della mole. “Ti pare questo il modo di svegliare la gente?”
Marco fece per replicare, quando notò quei baffetti idioti disegnati malamente sotto il naso di Enrico. Scoppiò a ridere a crepapelle, come se non avesse mai riso in vita sua, piegandosi in due e indicando i baffetti con il dito puntato avanti. I gemelli Guaiotti avevano colpito ancora!
“Ma che hai da ridere?” Enrico si portò poi una mano proprio dove puntava l’indice da cecchino di Marco e non notò nulla. Afferrò allora il telefono e aprì la fotocamera per i selfie. “Coooosa? Pretendo di sapere chi è stato? Chi ha osato?”
“Sveglia, sveglia, creaturina, perché fuori è già mattina!” canticchiò Cristina a squarciagola. Teneva il ritmo, battendo un cucchiaio in legno sul retro di una padella.
Seguita, ovviamente, dall’immancabile Leonida. Che proseguì la canzoncina da lei iniziata.
“Scendi giù dal letto, lurido grassone, o ti prenderai un bel calcio nel culone!”
Enrico si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi, basito e confuso. Stava ancora sognando, forse? Aveva le allucinazioni? Che ci facevano lì Marco e i gemelli? In camera sua? Lui aveva chiuso a chiave e... Si guardò intorno con fare disperato.
“Che fine ha fatto tutto il mio cibo?” domandò istericamente con voce stridula.
“Ce lo siamo diviso e ti abbiamo lasciato sul tavolo della cucina i soldi della spesa”, spiegò Cristina con nonchalance.
“Coooosa? Ma come vi siete permessi? E che ci fate voi, qui? Questa è camera mia e io avevo chiuso a chiave!”
Sul volto di Leonida si allargò un sorriso sadico e compiaciuto al tempo stesso. “Non c’è porta che tenga con il grande Leonida.”
“Adesso basta farneticare! Bando alle ciance!” ci mise un freno Marco in tono perentorio e autoritario, da esercito come al suo solito. “Adesso, alzati, lurido grassone. E vieni in cucina! Di corsa! Noi quattro dobbiamo fare un discorsetto.”
Alzò i tacchi e si diresse verso la cucina, marciando come un militare.
Cristina e Leonida si scambiarono un’occhiata complice, annuendosi a vicenda, poi si voltarono verso Enrico e ammiccarono canagliescamente. Infine, se ne andarono, raggiungendo Marco in cucina.
Enrico rimase lì, imbambolato, come un cretino, cercando di capire che cosa e soprattutto come fosse successo. Il suo cibo, il suo amato, adorato cibo... Sparito! La porta della sua stanza... Forzata! Che fine aveva fatto la privacy? E ora, che cosa avrebbe mangiato. Lanciò frenetici sguardi in giro, cercando il portafoglio, ma non lo trovò.
“Muoviti, Enrico!” tuonò Marco dalla cucina. “Devo farti venire a prendere da un carroattrezzi o da una gru, lurido grassone?”
La voce gelida e tuonante di Marco scosse Enrico dal suo stato di smarrimento, “balzò” in piedi e cercò di affrettarsi freneticamente verso la cucina, dove i tre coinquilini lo attendevano a braccia conserte, i visi contrariati e sadici al tempo stesso.
“Ah, ce l’hai fatta ad arrivare! Sua maestà se la prende comoda e fa aspettare i suoi sudditi, vedo”, commentò acidamente Marco. “Dunque”, proseguì, poi, iniziando a camminare avanti e indietro davanti a Enrico. “Solo per questa volta, sorvolerò sul tuo gesto così carino di lasciare i tuoi amici di vecchia data senza colazione, quando la casa è piena di cibo, da sfamare un intero esercito. E questo perché abbiamo una questione ben più importante da affrontare.” Si fermò davanti a Enrico, la schiena dritta, la testa alta e il petto in fuori, lo sguardo gelido e trucido, da far accapponare la pelle. Le mani dietro la schiena. “Ci risulta, caro il mio grassone, che il dottor Bartolini, grande uomo di scienza e luminare della chirurgia bariatrica in ambito nazionale, ti abbia preso sotto le sue cure e che ti abbia prescritto una dieta da 1200 calorie al giorno, con lo scopo di perdere peso e di imparare a controllare le tue abitudini alimentari in vista dell’intervento di bypass gastrico, che subirai, qualora perdessi trenta chili nei prossimi due mesi. Ho tralasciato qualcosa?”
“Ehm... Sì!” intervenne Cristina. “Vorrei ricordare al qui presente paziente che se non cambia subito stile di vita, potrebbe non arrivare vivo ai trent’anni. Forse, non arriverà nemmeno ai venticinque!”
“Sono tutte stronzate!” sbottò Enrico. “Siete uccelli del malaugurio e portate sfiga! Questa è una possibilità molto remota, perché faccio tanto movimento! Io mangio quello che mi pare e non seguirò nessuna dieta! Fanculo il dottore, i miei genitori che mi ci hanno portato e voi che gli date retta!”
Marco si fiondò in avanti con la furia di una pantera e, anche se con un po’ di fatica, lo afferrò per il colletto e lo inchiodò al muro. “Modera il linguaggio, lurido grassone. Non ti azzardare mai più a parlare in questo modo e a mancare di rispetto a un grande uomo di scienza, come il dottor Bartolini, ai tuoi genitori, che ti hanno messo al mondo e non ti hanno fatto mancare mai niente, e a noi, i tuoi amici di sempre. O ti cambio i connotati. Sono stato chiaro?” tuonò alla fine.
Enrico deglutì, iniziando a sudare freddo. Marco sapeva davvero essere terrificante, a volte. Ed era dotato una forza fisica... Quasi sovrumana.
“S-sì”, balbettò Enrico, terrorizzato.
“Non ti ho sentito. Che hai detto?” incalzò Marco.
“C-chiaro, chiarissimo, addirittura cristallino!” si sbrigò a rispondere Enrico freneticamente.
Marco allentò la presa e lo lasciò. “Sarà meglio per te.”
“Dunque, caro amico Enrico”, intervenne Leonida allegro, pimpante e deridente. “Da oggi in poi, anzi da ora in poi, qui si cambia regime! Quella è la dieta!” esclamò, indicando gasato il frigorifero. “E negli scaffali ti abbiamo lasciato solo quello che puoi mangiare. Il resto, ce lo siamo preso noi. Lì, ci sono i soldi della spesa, che noi terremo sotto custodia e per quanto riguarda il frigorifero, troveremo una soluzione molto presto. Fino ad allora, faremo dei turni per tenerlo d’occhio, in modo che tu non ti avvicini nemmeno! Capito tutto o devo ripetere?”
“Non mi importa di quello che fate, tanto io ho i miei soldi, e quando esco mangio dove e come mi pare!” replicò Enrico.
Il volto di Cristina si contorse in una smorfia birichina di sadismo. “Parli, forse, di questi soldi in questo portafoglio? O di questi altri soldi, che ho reperito nei cassetti, nei calzini, nelle tasche, negli zaini, nelle valigie e nei libri?” domandò melliflua e disinvolta, sbandierandogli i soldi davanti alla faccia.
“Brutti ladruncoli! Ridatemeli subito!” esclamò Enrico, facendo un passo avanti.
Ma Leonida lo bloccò prontamente. “Non ti scaldare tanto, amico! Non te li rubiamo mica! Li terremo da parte, sotto custodia, ovviamente, e, quando avrai finito i cibi previsti dalla dieta, te li andremo a ricomprare noi, proprio con i tuoi soldi. Cristina, prendi anche le banconote della spesa che abbiamo lasciato per lui sul tavolo e aggiungile al bottino.”
“Sarà fatto!” esclamò complice, obbedendo.
“Maledetti gemelli del cazzo! Tutti i gemelli sono dei pezzi di merda, perché sono sempre complici nel creare guai e disgrazie a qualcun altro!” sbottò ancora Enrico.
Marco fece nuovamente per afferrargli il colletto. “Mi sembra che non ci siamo proprio capiti, allora!”
Ma Cristina lo bloccò. “No! Lascia pure stare, Marco.”
“Già. Non ti scaldare tanto, amico!” convenne Leonida.
I due gemelli si scambiarono uno sguardo complice e lo rilanciarono a Marco, facendogli un occhiolino all’unisono. Marco ricambiò lo sguardo, annuendo con un lieve cenno del capo, il suo solito sorriso sadico e compiaciuto che gli increspava leggermente il volto. Aveva già capito tutto. Ormai, conosceva fin troppo bene i gemelli: erano soliti far saldare i debiti, quando i loro malfattori si dimenticavano persino di averne accumulato uno.
“E sia. È tutto vostro, ragazzi”, ammiccò Marco, mellifluo.
Capendo di non avere più risorse, il povero Enrico iniziò a piagnucolare come i bambini piccoli, nel disperato tentativo di impietosire i suoi aguzzini.
“Smettila di frignare”, lo segò subito Marco. Gelidamente.
“Giàààà. Piuttosto, perché non vai ad aprire la finestra in camera tua, Enrico? C’è un tanfo infernale... Meno male che tutte le scorregge che fai, le sganci di notte in camera tua! Non ti azzardare a mollarle in bagno, eh! Altrimenti diverrà impraticabile!” lo prese in giro Leonida.
Anche se sul tanfo infernale aveva proprio ragione.
Aveva fatto centro.
Bingo!
Cristina scoppiò a ridere a crepapelle come se non esistesse un domani e scoccò complice un sonoro batti-cinque al gemello, mentre Marco ridacchiò sotto i baffi. Come si poteva non ridere alle battute pungenti di Cristina e Leonida?
“Non ti scomodare, lurido grassone. Te la apro io, la finestra in camera tua. Nel frattempo, inizia pure a fare colazione, ché il primo giorno di lezioni ci aspetta”, disse Marco, indicando sadicamente i due miseri bianchi d’uovo e le due misere fette biscottate integrali sul tavolo.
“Quella? Quella, la mia colazione?” piagnucolò Enrico.
Ora sì, che le cose si stavano davvero mettendo male per lui.
“Sì. Proprio quella. Buon appetito, grassone. Torno subito.” Marco andò in camera di Enrico a spalancare la finestra e tornò nel giro di due secondi.
Enrico si mise a mangiare, a malincuore, perché era pur sempre meglio quella misera, tristissima colazione di niente, ma adesso iniziava a essere seriamente preoccupato. Sua madre doveva aver telefonato a uno di loro, a Cristina probabilmente, dal momento che sapeva sempre essere affabile e mostrarsi responsabili agli occhi degli adulti. E, forse, lo era pure. Ma non era quello, il punto, no! Il punto era il fatto che si trovava nei guai. Senza cibo, né vivere o risorse per comprarlo! Perché nel portafoglio che gli aveva sequestrato Cristina c’era anche la carta bancomat.
Ecco. Ora sì che era nei guai!
Come avrebbe fatto a resistere alla fame? Alle voglie di cibo? quando avrebbe rimangiato le sue amate pizze, l’adorata carne e patatine fritte con la maionese, i venerati dolci e gelati? Gli veniva da piangere il solo pensiero. Doveva escogitare un piano e alla svelta. Ma con quei tre che gli facevano la punta come degli avvoltoi e lo stomaco completamente vuoto non riusciva a ragionare lucidamente.
Quando ebbe finito di mangiare, Marco lavò piatti e posate, mentre Enrico andò in bagno a custodirsi, sempre fedelmente e costantemente sorvegliato da Cristina e Leonida. Si vestì a fatica, con lo stomaco che borbottava in maniera rumorosa e sonora, e la mole mastodontica che gli impediva i movimenti. Dopodiché, Leonida gli impedì di salire sull’autobus e lo accompagnò a piedi, trascinandosi con sé la bicicletta. Lo costrinse a fare un chilometro a piedi! Ma vi rendete conto? Lo stava ammazzando! Una volta giunto a destinazione, Enrico si sentì morire. Si lasciò cadere sulla sedia nell’aula magna della facoltà di scienze politiche, ansimando tutto sudato e senza fiato. Era distrutto. E stava morendo di fame! Sarebbe stata di sicuro una lunga, lunghissima giornata.
Nel frattempo, Leonida era montato sulla bici e schizzato alla facoltà di scienze motorie, raggiungendo Marco e Cristina, che erano andati a piedi.
“Tutto come previsto?” gli domandò Marco senza scomporsi.
“Signorsì, Signore! Tutto a posto, capo!”
“Ottimo.”
“Lo abbiamo sistemato per le feste, quel cicciobomba, eh?” si gasò Leonida.
Cristina ammiccò. “E questo è solo l’inizio.”
I tre amici si scambiarono sguardi sadici e complici al tempo stesso. Quelli dei gemelli erano persino birichini. Il volto di Marco si contorse in un’espressione sadica e perversa, un leggero sorrisetto bastardo che gli increspava le labbra. Cristina aveva proprio ragione, pensò. Quello era solo l’inizio. Il lurido grassone non aveva idea di quanti e quali altri escamotage avevano in serbo per lui...

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