Il disgusto di Marco per quella creatura, per quell’insulso essere
pieno di lardo si tramutò ben presto in un ghigno sadico e perfido, che gli
increspò le labbra.
Prese bene la mira e, con grande soddisfazione, gli tirò un bel calcio
in culo, svegliandolo di soprassalto.
Enrico sobbalzò, cercando di capire che cosa fosse appena successo.
“In piedi, lurido grassone! Forza!” gridò Marco, come se fosse il
comandante di un esercito, che va a svegliare i suoi cadetti.
“Ehi!” protestò Enrico, indignato. Si girò a stento, faticando come
uno schiavo per via della mole. “Ti pare questo il modo di svegliare la gente?”
Marco fece per replicare, quando notò quei baffetti idioti disegnati
malamente sotto il naso di Enrico. Scoppiò a ridere a crepapelle, come se non
avesse mai riso in vita sua, piegandosi in due e indicando i baffetti con il
dito puntato avanti. I gemelli Guaiotti avevano colpito ancora!
“Ma che hai da ridere?” Enrico si portò poi una mano proprio dove
puntava l’indice da cecchino di Marco e non notò nulla. Afferrò allora il
telefono e aprì la fotocamera per i selfie. “Coooosa? Pretendo di sapere chi è
stato? Chi ha osato?”
“Sveglia, sveglia, creaturina, perché fuori è già mattina!” canticchiò
Cristina a squarciagola. Teneva il ritmo, battendo un cucchiaio in legno sul
retro di una padella.
Seguita, ovviamente, dall’immancabile Leonida. Che proseguì la
canzoncina da lei iniziata.
“Scendi giù dal letto, lurido grassone, o ti prenderai un bel calcio
nel culone!”
Enrico si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi, basito e confuso.
Stava ancora sognando, forse? Aveva le allucinazioni? Che ci facevano lì Marco
e i gemelli? In camera sua? Lui aveva chiuso a chiave e... Si guardò intorno
con fare disperato.
“Che fine ha fatto tutto il mio cibo?” domandò istericamente con voce
stridula.
“Ce lo siamo diviso e ti abbiamo lasciato sul tavolo della cucina i
soldi della spesa”, spiegò Cristina con nonchalance.
“Coooosa? Ma come vi siete permessi? E che ci fate voi, qui? Questa è
camera mia e io avevo chiuso a chiave!”
Sul volto di Leonida si allargò un sorriso sadico e compiaciuto al
tempo stesso. “Non c’è porta che tenga con il grande Leonida.”
“Adesso basta farneticare! Bando alle ciance!” ci mise un freno Marco
in tono perentorio e autoritario, da esercito come al suo solito. “Adesso,
alzati, lurido grassone. E vieni in cucina! Di corsa! Noi quattro dobbiamo fare
un discorsetto.”
Alzò i tacchi e si diresse verso la cucina, marciando come un
militare.
Cristina e Leonida si scambiarono un’occhiata complice, annuendosi a
vicenda, poi si voltarono verso Enrico e ammiccarono canagliescamente. Infine,
se ne andarono, raggiungendo Marco in cucina.
Enrico rimase lì, imbambolato, come un cretino, cercando di capire che
cosa e soprattutto come fosse successo. Il suo cibo, il suo amato, adorato
cibo... Sparito! La porta della sua stanza... Forzata! Che fine aveva fatto la
privacy? E ora, che cosa avrebbe mangiato. Lanciò frenetici sguardi in giro,
cercando il portafoglio, ma non lo trovò.
“Muoviti, Enrico!” tuonò Marco dalla cucina. “Devo farti venire a
prendere da un carroattrezzi o da una gru, lurido grassone?”
La voce gelida e tuonante di Marco scosse Enrico dal suo stato di
smarrimento, “balzò” in piedi e cercò di affrettarsi freneticamente verso la
cucina, dove i tre coinquilini lo attendevano a braccia conserte, i visi
contrariati e sadici al tempo stesso.
“Ah, ce l’hai fatta ad arrivare! Sua maestà se la prende comoda e fa
aspettare i suoi sudditi, vedo”, commentò acidamente Marco. “Dunque”, proseguì,
poi, iniziando a camminare avanti e indietro davanti a Enrico. “Solo per questa
volta, sorvolerò sul tuo gesto così carino di lasciare i tuoi amici di vecchia
data senza colazione, quando la casa è piena di cibo, da sfamare un intero
esercito. E questo perché abbiamo una questione ben più importante da
affrontare.” Si fermò davanti a Enrico, la schiena dritta, la testa alta e il
petto in fuori, lo sguardo gelido e trucido, da far accapponare la pelle. Le
mani dietro la schiena. “Ci risulta, caro il mio grassone, che il dottor
Bartolini, grande uomo di scienza e luminare della chirurgia bariatrica in
ambito nazionale, ti abbia preso sotto le sue cure e che ti abbia prescritto
una dieta da 1200 calorie al giorno, con lo scopo di perdere peso e di imparare
a controllare le tue abitudini alimentari in vista dell’intervento di bypass
gastrico, che subirai, qualora perdessi trenta chili nei prossimi due mesi. Ho
tralasciato qualcosa?”
“Ehm... Sì!” intervenne Cristina. “Vorrei ricordare al qui presente
paziente che se non cambia subito stile di vita, potrebbe non arrivare vivo ai
trent’anni. Forse, non arriverà nemmeno ai venticinque!”
“Sono tutte stronzate!” sbottò Enrico. “Siete uccelli del malaugurio e
portate sfiga! Questa è una possibilità molto remota, perché faccio tanto
movimento! Io mangio quello che mi pare e non seguirò nessuna dieta! Fanculo il
dottore, i miei genitori che mi ci hanno portato e voi che gli date retta!”
Marco si fiondò in avanti con la furia di una pantera e, anche se con
un po’ di fatica, lo afferrò per il colletto e lo inchiodò al muro. “Modera il
linguaggio, lurido grassone. Non ti azzardare mai più a parlare in questo modo
e a mancare di rispetto a un grande uomo di scienza, come il dottor Bartolini, ai
tuoi genitori, che ti hanno messo al mondo e non ti hanno fatto mancare mai
niente, e a noi, i tuoi amici di sempre. O ti cambio i connotati. Sono stato
chiaro?” tuonò alla fine.
Enrico deglutì, iniziando a sudare freddo. Marco sapeva davvero essere
terrificante, a volte. Ed era dotato una forza fisica... Quasi sovrumana.
“S-sì”, balbettò Enrico, terrorizzato.
“Non ti ho sentito. Che hai detto?” incalzò Marco.
“C-chiaro, chiarissimo, addirittura cristallino!” si sbrigò a
rispondere Enrico freneticamente.
Marco allentò la presa e lo lasciò. “Sarà meglio per te.”
“Dunque, caro amico Enrico”, intervenne Leonida allegro, pimpante e
deridente. “Da oggi in poi, anzi da ora in poi, qui si cambia regime! Quella è
la dieta!” esclamò, indicando gasato il frigorifero. “E negli scaffali ti
abbiamo lasciato solo quello che puoi mangiare. Il resto, ce lo siamo preso
noi. Lì, ci sono i soldi della spesa, che noi terremo sotto custodia e per
quanto riguarda il frigorifero, troveremo una soluzione molto presto. Fino ad allora,
faremo dei turni per tenerlo d’occhio, in modo che tu non ti avvicini nemmeno!
Capito tutto o devo ripetere?”
“Non mi importa di quello che fate, tanto io ho i miei soldi, e quando
esco mangio dove e come mi pare!” replicò Enrico.
Il volto di Cristina si contorse in una smorfia birichina di sadismo.
“Parli, forse, di questi soldi in questo portafoglio? O di questi altri soldi,
che ho reperito nei cassetti, nei calzini, nelle tasche, negli zaini, nelle
valigie e nei libri?” domandò melliflua e disinvolta, sbandierandogli i soldi
davanti alla faccia.
“Brutti ladruncoli! Ridatemeli subito!” esclamò Enrico, facendo un
passo avanti.
Ma Leonida lo bloccò prontamente. “Non ti scaldare tanto, amico! Non
te li rubiamo mica! Li terremo da parte, sotto custodia, ovviamente, e, quando
avrai finito i cibi previsti dalla dieta, te li andremo a ricomprare noi,
proprio con i tuoi soldi. Cristina, prendi anche le banconote della spesa che
abbiamo lasciato per lui sul tavolo e aggiungile al bottino.”
“Sarà fatto!” esclamò complice, obbedendo.
“Maledetti gemelli del cazzo! Tutti i gemelli sono dei pezzi di merda,
perché sono sempre complici nel creare guai e disgrazie a qualcun altro!”
sbottò ancora Enrico.
Marco fece nuovamente per afferrargli il colletto. “Mi sembra che non
ci siamo proprio capiti, allora!”
Ma Cristina lo bloccò. “No! Lascia pure stare, Marco.”
“Già. Non ti scaldare tanto, amico!” convenne Leonida.
I due gemelli si scambiarono uno sguardo complice e lo rilanciarono a
Marco, facendogli un occhiolino all’unisono. Marco ricambiò lo sguardo,
annuendo con un lieve cenno del capo, il suo solito sorriso sadico e
compiaciuto che gli increspava leggermente il volto. Aveva già capito tutto.
Ormai, conosceva fin troppo bene i gemelli: erano soliti far saldare i debiti,
quando i loro malfattori si dimenticavano persino di averne accumulato uno.
“E sia. È tutto vostro, ragazzi”, ammiccò Marco, mellifluo.
Capendo di non avere più risorse, il povero Enrico iniziò a
piagnucolare come i bambini piccoli, nel disperato tentativo di impietosire i
suoi aguzzini.
“Smettila di frignare”, lo segò subito Marco. Gelidamente.
“Giàààà. Piuttosto, perché non vai ad aprire la finestra in camera
tua, Enrico? C’è un tanfo infernale... Meno male che tutte le scorregge che
fai, le sganci di notte in camera tua! Non ti azzardare a mollarle in bagno,
eh! Altrimenti diverrà impraticabile!” lo prese in giro Leonida.
Anche se sul tanfo infernale aveva proprio ragione.
Aveva fatto centro.
Bingo!
Cristina scoppiò a ridere a crepapelle come se non esistesse un domani
e scoccò complice un sonoro batti-cinque al gemello, mentre Marco ridacchiò
sotto i baffi. Come si poteva non ridere alle battute pungenti di Cristina e
Leonida?
“Non ti scomodare, lurido grassone. Te la apro io, la finestra in
camera tua. Nel frattempo, inizia pure a fare colazione, ché il primo giorno di
lezioni ci aspetta”, disse Marco, indicando sadicamente i due miseri bianchi
d’uovo e le due misere fette biscottate integrali sul tavolo.
“Quella? Quella, la mia colazione?” piagnucolò Enrico.
Ora sì, che le cose si stavano davvero mettendo male per lui.
“Sì. Proprio quella. Buon appetito, grassone. Torno subito.” Marco
andò in camera di Enrico a spalancare la finestra e tornò nel giro di due
secondi.
Enrico si mise a mangiare, a malincuore, perché era pur sempre meglio
quella misera, tristissima colazione di niente, ma adesso iniziava a essere
seriamente preoccupato. Sua madre doveva aver telefonato a uno di loro, a
Cristina probabilmente, dal momento che sapeva sempre essere affabile e mostrarsi
responsabili agli occhi degli adulti. E, forse, lo era pure. Ma non era quello,
il punto, no! Il punto era il fatto che si trovava nei guai. Senza cibo, né
vivere o risorse per comprarlo! Perché nel portafoglio che gli aveva
sequestrato Cristina c’era anche la carta bancomat.
Ecco. Ora sì che era nei guai!
Come avrebbe fatto a resistere alla fame? Alle voglie di cibo? quando
avrebbe rimangiato le sue amate pizze, l’adorata carne e patatine fritte con la
maionese, i venerati dolci e gelati? Gli veniva da piangere il solo pensiero.
Doveva escogitare un piano e alla svelta. Ma con quei tre che gli facevano la
punta come degli avvoltoi e lo stomaco completamente vuoto non riusciva a
ragionare lucidamente.
Quando ebbe finito di mangiare, Marco lavò piatti e posate, mentre
Enrico andò in bagno a custodirsi, sempre fedelmente e costantemente
sorvegliato da Cristina e Leonida. Si vestì a fatica, con lo stomaco che
borbottava in maniera rumorosa e sonora, e la mole mastodontica che gli
impediva i movimenti. Dopodiché, Leonida gli impedì di salire sull’autobus e lo
accompagnò a piedi, trascinandosi con sé la bicicletta. Lo costrinse a fare un
chilometro a piedi! Ma vi rendete conto? Lo stava ammazzando! Una volta giunto
a destinazione, Enrico si sentì morire. Si lasciò cadere sulla sedia nell’aula
magna della facoltà di scienze politiche, ansimando tutto sudato e senza fiato.
Era distrutto. E stava morendo di fame! Sarebbe stata di sicuro una lunga,
lunghissima giornata.
Nel frattempo, Leonida era montato sulla bici e schizzato alla facoltà
di scienze motorie, raggiungendo Marco e Cristina, che erano andati a piedi.
“Tutto come previsto?” gli domandò Marco senza scomporsi.
“Signorsì, Signore! Tutto a posto, capo!”
“Ottimo.”
“Lo abbiamo sistemato per le feste, quel cicciobomba, eh?” si gasò
Leonida.
Cristina ammiccò. “E questo è solo l’inizio.”
I tre amici si scambiarono sguardi sadici e complici al tempo stesso.
Quelli dei gemelli erano persino birichini. Il volto di Marco si contorse in un’espressione
sadica e perversa, un leggero sorrisetto bastardo che gli increspava le labbra.
Cristina aveva proprio ragione, pensò. Quello era solo l’inizio. Il lurido
grassone non aveva idea di quanti e quali altri escamotage avevano in serbo per
lui...
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