“Cristina? Cristina?”
Cristina aprì lentamente e a stento gli occhi, ritrovandosi il volto
imperscrutabile di Marco davanti alla faccia.
“Marco”, sussurrò, sbadigliando. “Ma che ci fai qui? E soprattutto,
che ore sono?”
“Sono le cinque”, le rispose lui come se fossero già le nove.
Cristina mugugnò. Lei e Leonida avevano messo la sveglia alle cinque e
mezzo per fare colazione e allenarsi prima delle lezioni, ma venire buttata giù
dal letto mezz’ora prima, beh, non era proprio quello che Cristina aveva in
mente.
“Ma che succede?” domandò, sbadigliando di nuovo.
“Abbiamo un problema. Devi venire.” Che buffa, che era!, pensò Marco.
Con quei capelli ribelli e arruffati e quella faccia da prima mattina era
proprio tenera! Era... La quiete da risveglio che precedeva la tempesta della
giornata. Tanto lo sapeva che massimo dieci minuti e avrebbe cominciato a far
casino.
“Ok.”
Cristina si tolse con uno strattone le coperte di dosso e saltò giù
dal letto ancora mezza assonnata, seguendo Marco in cucina.
L’amico aprì gli scaffali uno a uno e le mostrò che erano
semplicemente... Vuoti!
“Il grassone deve averle svuotate questa notte, mentre dormivamo”, le
disse con freddezza e disappunto.
“Ovvio. Vedo che non perde un colpo. Scommetto tutto quello che vuoi che si è portato il cibo in camera e che si è chiuso dentro.”
“Ci toccherà andare a fare colazione al bar, dal momento che non ci ha
lasciato niente da mangiare, a parte quei cinque biscotti e quella bustina di
latte”, disse Marco, indicando lo stuzzichino che Enrico aveva lasciato sul
tavolo con un bel bigliettino.
“Per voi. Così imparate a rubare il MIO cibo. Firmato Enrico. Ps: buona colazione e buon appetito! Il MIO cibo, me lo pappo soltanto io!" lesse
Cristina ad alta voce.
“Io lo ammazzo", esclamò freddamente Marco, dirigendosi verso la
stanza di Enrico, che però era chiusa a chiave. “Avrei dovuto prevedere una
cosa del genere. Vieni, forza. Andiamo a fare colazione al bar e appena si
sveglia, faremo quattro conti.”
Ma Cristina scosse il capo con fare birichino. “Ma anche no. Vai a
svegliare Leonida”, disse in tono furbetto, ammiccando, per poi sparire in
camera.
Neanche due minuti dopo, Leonida era in piedi, uno sbadiglio dietro
l’altro e i capelli biondi arruffati, proprio come quelli neri della gemella.
"E così, il cicciobomba si è rintanato in trincea con tanto di provviste", scherzò Leonida, grattandosi la testa, ancora mezzo assonnato.
"Già", disse Cristina. "Ha svuotato tutte le credenze e sono pronta a scommettere quello che vuoi che si è portato tutto il cibo in camera. Dove altro vuoi che lo abbia portato!"
"E così, il cicciobomba si è rintanato in trincea con tanto di provviste", scherzò Leonida, grattandosi la testa, ancora mezzo assonnato.
"Già", disse Cristina. "Ha svuotato tutte le credenze e sono pronta a scommettere quello che vuoi che si è portato tutto il cibo in camera. Dove altro vuoi che lo abbia portato!"
“Allora? Avete un piano, suppongo”, disse Marco.
“Ovvio no?” sghignazzò Leonida, chinandosi sulla serratura della
stanza di Enrico. “Cristina, bisturi, prego!” scherzò con fare canagliesco.
Cristina ammiccò, la faccia da lenza, e allungò una forcina per
capelli al gemello, che subito iniziò abilmente ad armeggiare con la serratura.
Un tocco di qua, un tocco di là, gira che ti gira, e finalmente la serratura
scattò. La porta si aprì sotto gli occhi increduli di Marco.
“Ma come hai...?”
“Necessità fa virtù, amico Marco. Era così che entravo in camera dei
miei, quando non ci volevano dare i soldi per uscire. Cristina, ovviamente,
restava a fare il palo, qualora arrivassero. Non esiste serratura che tenga con il grande Leonida! Nessuna porta è invalicabile per il grande Leonida!” ribadì, fingendo di vantarsi come un pavone che fa la ruota.
Marco scosse il capo fare rassegnato: quei due non facevano altro che scherzare su tutto. Possibile che non riuscissero mai a fare i seri?
Il trio entrò nella camera di Enrico. Che ronfava come un maiale come se non ci fosse un domani.
Il trio entrò nella camera di Enrico. Che ronfava come un maiale come se non ci fosse un domani.
“Che schifo”, commentò Marco con disprezzo, disgustato alla vista di
quel pachiderma spaparanzato su due letti.
Tutta la stanza era letteralmente invasa da innumerevoli confezioni di cibo, sparpagliate in ogni dove. Per terra, sulla scrivania, traboccavano dall'armadio e dai cassetti aperti... Persino sul letto! Enrico stava letteralmente dormendo abbracciato a pacchi di merendine, ciambelle e biscotti. Mentre ronfava come un maiale. Spaparanzato e beato.
Sembrava che in quella camera fosse passato un uragano, tanto era il disordine creato dalle confezioni di cibo sparse in ogni dove!
Tutta la stanza era letteralmente invasa da innumerevoli confezioni di cibo, sparpagliate in ogni dove. Per terra, sulla scrivania, traboccavano dall'armadio e dai cassetti aperti... Persino sul letto! Enrico stava letteralmente dormendo abbracciato a pacchi di merendine, ciambelle e biscotti. Mentre ronfava come un maiale. Spaparanzato e beato.
Sembrava che in quella camera fosse passato un uragano, tanto era il disordine creato dalle confezioni di cibo sparse in ogni dove!
“Ecco perché ha voluto lui la doppia!” s’illuminò Leonida.
“Perché su un letto solo non c’entra. Ed ecco dove ha portato il cibo. Proprio come volevasi dimostrare”, concluse Cristina per lui con
grande complicità.
I tre amici rimasero a fissarlo basiti e allibiti, domandandosi come
fosse possibile ridursi così e non avere voglia alcuna di muoversi. I gemelli
si lanciarono uno sguardo complice e, zitti-zitti, quatti-quatti come gatti,
iniziarono a prendere il cibo e a portarlo nelle loro camere, che poi avrebbero chiuso a chiave.
"Niente più cibo per il cicciobomba!" scherzò Leonida, durante il trasloco delle confezioni di cibo.
"Già!" replicò Cristina. "Se vuole la guerra, avrà la guerra!"
"Lui voleva affamarci..." esordì Leonida, mentre attraversava il corridoio con le braccia gonfie di scatole.
"E non affameremo lui!" concluse Cristina per lui, facendo altrettanto.
Marco, invece, ci mise qualche minuto in più, prima di schiodarsi da lì e aiutarli. La vista di quel pachiderma lardoso che ronfava come un maiale lo disgustava con enorme disappunto. Fosse stato per lui... Lo avrebbe messo a dieta ferrea e lo avrebbe massacrato di allenamenti! E lo avrebbe anche preso a calci in culo! Quanto avrebbe voluto sganciargliene uno anche in quel momento! Ma non era quello l’attimo propizio per farlo. Si diede una scossa e si mise ad aiutare i gemelli.
A lui, preciso e metodico come un soldato nell'esercito, l'arduo compito di sfilare dalla salda stretta delle braccia di Enrico le scatole di biscotti, merendine e ciambelle.
"Peggio dei bambini piccoli", commentò Marco. "È cibo, mica è l'orsetto della buonanotte!" esclamò con gelido sarcasmo, facendo così sghignazzare i gemelli sotto i baffi.
Una volta che ebbero recuperato tutto il cibo, chiusero le loro camere da letto a chiave e lasciarono a Enrico i soldi della spesa sulla scrivania, dopo che Marco ebbe accuratamente fatto tutti i conti.
"Niente più cibo per il cicciobomba!" scherzò Leonida, durante il trasloco delle confezioni di cibo.
"Già!" replicò Cristina. "Se vuole la guerra, avrà la guerra!"
"Lui voleva affamarci..." esordì Leonida, mentre attraversava il corridoio con le braccia gonfie di scatole.
"E non affameremo lui!" concluse Cristina per lui, facendo altrettanto.
Marco, invece, ci mise qualche minuto in più, prima di schiodarsi da lì e aiutarli. La vista di quel pachiderma lardoso che ronfava come un maiale lo disgustava con enorme disappunto. Fosse stato per lui... Lo avrebbe messo a dieta ferrea e lo avrebbe massacrato di allenamenti! E lo avrebbe anche preso a calci in culo! Quanto avrebbe voluto sganciargliene uno anche in quel momento! Ma non era quello l’attimo propizio per farlo. Si diede una scossa e si mise ad aiutare i gemelli.
A lui, preciso e metodico come un soldato nell'esercito, l'arduo compito di sfilare dalla salda stretta delle braccia di Enrico le scatole di biscotti, merendine e ciambelle.
"Peggio dei bambini piccoli", commentò Marco. "È cibo, mica è l'orsetto della buonanotte!" esclamò con gelido sarcasmo, facendo così sghignazzare i gemelli sotto i baffi.
Una volta che ebbero recuperato tutto il cibo, chiusero le loro camere da letto a chiave e lasciarono a Enrico i soldi della spesa sulla scrivania, dopo che Marco ebbe accuratamente fatto tutti i conti.
Poi, andarono in cucina a fare colazione.
Tutti e tre optarono per latte e cereali. Tanto, Enrico li aveva
comprati, dal momento che anche i cereali agglomerati con noccioline e
scorzette di cioccolato fondente erano molto più che gustosi. Marco li mise su
un tovagliolo e li pesò al milligrammo, così come da tabella nutrizionale.
Erano tanti, a dire il vero, ma in quella grande quantità non c’era né un
grammo in meno, né uno in più di quelli che gli aveva prescritto il
nutrizionista.
Per quanto riguardava i gemelli, invece... Loro non pesarono niente!
Buttarono giù a occhio in gran quantità e fecero il bis e il tris in base a
quanto richiedeva lo stomaco! Erano muscolosissimi, tutti e due! E ben
definiti, con dei fisici invidiabili, ma erano anche incredibilmente magri. Non
erano di costituzione robusta per natura e fin da piccoli bruciavano tutto ciò
che ingurgitavano. E quando avevano iniziato a praticare sport a livello
agonistico, poi... Era andata sempre peggio! Un metabolismo così feroce
associato all’attività sportiva di alto livello... Beh! Quei due mangiavano e
mangiavano, s’ingolfavano addirittura, come pozzi senza fondo, ed erano magri
come uno stecchino! Chissà dove le mettevano tutto quello che mangiavano! E
poi, a differenza di Marco che seguiva un’alimentazione da sportivo abbondante,
ma sanissima, senza mai sgarrare, loro si facevano fuori di tutto, perché erano
ghiotti di tutto! Dal cibo sano a quello spazzatura, ai dolci. Erano
insaziabili! Avevano un appetito molto più che vorace.
Marco alzò gli occhi al cielo, guardandoli quasi svuotare la
confezione sana di cereali che si erano spartiti loro tre. Non concepiva
proprio la loro “indisciplina” riguardo alla tabella alimentare.
“Il nutrizionista ti dà un consiglio e poi tu fai anche un po’ come ti
pare!” diceva sempre Leonida.
“Giusto! Soprattutto riguardo alle quantità!” gli dava man forte
Cristina.
“Voi fate un po’ troppo come vi pare”, replicava sempre Marco.
E neanche quella mattina, tale scambio di battute non venne meno.
E i gemelli, come sempre, risposero facendo spallucce
contemporaneamente, come se fossero sincronizzati al secondo.
Dopo colazione, andarono ad allenarsi. Leonida montò in bici, mentre
Marco e Cristina si diedero alla corsa.
Che bello allenarsi all’aperto, la mattina all’alba, con traffico
quasi pari a 0 e il sole che sorge lentamente, risvegliando la città! E che
bello sentire lo sforzo fisico, i muscoli che stridevano, rinforzandosi sempre
più.
Rientrarono a casa alla stessa ora, si fecero a turno una rapida
doccia e già si erano fatte le otto.
Cristina aveva appena finito di asciugarsi i corti capelli a caschetto
che le conferivano un aspetto molto più sbarazzino e birichino di quello che
già aveva per natura. Spense il phon e lo ripose al suo posto, quando il suo
telefono squillò insistentemente.
“Pronto.”
“Pronto, ciao Cristina! Sono la madre di Enrico.”
“Ah, buongiorno, signora! Mi dica pure! Come mai questa chiamata?”
“Cara, vorrei sapere com’è andata la prima settimana di lezioni, dal
momento che di mio figlio, non mi fido.”
Cristina aggrottò le ciglia. “Prima settimana di lezioni? Ma se
lezioni cominciano oggi per tutte le facoltà dell’ateneo!”
“Davvero, cara? Ma sei sicura?”
“Assolutamente. Marco è arrivato ieri sera. Crede che possa
sbagliarsi?” scherzò Cristina.
“No, certo che no! Quel ragazzo non sbaglia mai! Ma, allora, perché
mio figlio avrebbe dovuto mentirmi?”
“Per fare scorta di cibo indisturbato e rimpinzarsi come un maiale,
no?”
La madre di Enrico ebbe un tuffo al cuore. “Quindi, non sta seguendo
la dieta?”
“Dieta? Ma quale dieta! Ieri sera, quando io e Leo siamo arrivati, lo
abbiamo trovato che si stava facendo fuori ogni genere di roba! Aveva imbandito
la tavola come se avesse a cena un intero esercito! Si è persino arrabbiato,
quando io e Leonida ci siamo spartiti le sue due pizze! Ha riempito la casa di
dolciumi, merendine, cibi pre-cotti, gelati, salumi e chi più ne ha, più ne
metta.”
“Oh, Santo Cielo! Avrei dovuto immaginarmelo che non ci sarebbe stato
da fidarsi di lui. Cristina, voi dovete aiutarlo! La settimana scorsa,
l’abbiamo portato dal dottor Bartolini, un luminare di Firenze nell’ambito
della chirurgia bariatrica e ha detto che, se Enrico non si mette in testa di
cambiare subito stile di vita, potrebbe morire nel giro di pochi anni! Il suo
corpo sta raggiungendo il limite, ormai!” si disperò la donna. “L’unica sua
speranza è un intervento di bypass gastrico, ma il dottore è disposto a
farglielo solo se prima perde trenta chili in due mesi, per due motivi. Il
primo: Enrico deve imparare a lavorare sodo e a impegnarsi. Il secondo: il suo
corpo non reggerebbe allo stress dell’intervento chirurgico. Cristina, ti
prego! Se io ti mando via WhatsApp la sua dieta, voi lo aiuterete in questo
percorso? Io e mio marito siamo disperati!”
Cristina annuì senza indugio. “Enrico è nostro amico e voi siete delle
bravissime persone. Ci avete sempre accolto in casa come se fossimo figli
vostri, perciò sì. Lo aiuteremo. Ci lascia carta bianca?”
“Assolutamente sì, Cristina! Enrico deve fare quell’intervento e deve
cambiare vita e voi dovrete aiutarlo in ogni modo e con ogni mezzo!”
Cristina ammiccò furbescamente, uno sguardo che rifletteva la canaglia
che era in lei. “Ha detto in ogni modo e con ogni mezzo?”
“Assolutamente sì, Cristina. Conto su di voi.” La madre di Enrico
conosceva molto bene che razza di canaglie combinaguai fossero quei due diavoli
scatenati dei gemelli. E conosceva il rigido e inflessibile pugno di ferro di
Marco. Per il figlio, sarebbero stati dolori e una bella terapia ad urto era
proprio quello che gli serviva. Era nelle ottime mani dei suoi amici.
“Stia tranquilla, signora. Enrico diventerà un figurino! Ci pensiamo
noi! Arrivederci!”
Cristina chiuse la chiamata, sfregandosi le mani, un malizioso ghigno
malefico che le accendeva il volto. Già s’immaginava l’entusiasmo del gemello
Leonida e la sadica soddisfazione di Marco, che finalmente avrebbe avuto carta
bianca per rimettere Enrico in riga, così come desiderava. Così, quando i due
ragazzi ebbero finito di farsi la doccia, Cristina li radunò allegramente in
cucina.
“Udite, udite, popolo di questa umile dimora di Firenze!” gridò
teatralmente, salendo su una sedia, mentre batteva un cucchiaio di legno sul
retro di una padella. “Devo fare un annuncio! Vi porto buone nuove!”
“Sh, sta zitta! O sveglierai il grassone!” la rimproverò gelido Marco,
non sopportando lui stesso tutto quel baccano.
“E quando si sveglia, quello?” Leonida fece il suo altrettanto
chiassoso ingresso in cucina, con i capelli dorati ancora volanti da phon. “Ha
lo stomaco talmente gonfio, che non lo sveglierebbero neanche le bombe!”
“Giusto!” convenne Cristina.
“Allora, ci dica, oh, dolce pulzella, quali sono le buone nuove del
mattino?” riprese Leonida, scherzando teatralmente come la gemella.
“Indovinate un po’ chi mi ha telefonato? La madre di Enrico! A quanto
pare, il signorino dovrebbe essere a dieta stretta. I genitori lo hanno portato
la settimana scorsa dal dottor Bartolini, un luminare della chirurgia
bariatrica, che ha uno studio qui, a Firenze. Suddetto dottore afferma che il
corpo di Enrico sta raggiungendo il limite e che, se non cambia completamente
stile di vita, morirà nel giro di qualche anno.”
“Che novità”, sbuffò Marco sarcastico, la schiena pigramente
appoggiata al muro e le braccia scolpite conserte. “Ci voleva un luminare della
scienza per capire che quel lurido grassone ha il tempo contato!”
“E fammi finire!” lo segò Cristina irriverente. E chiassosa. “Dunque,
suddetto dottor Bartolini vuole sottoporre l’obeso paziente a un intervento di
bypass gastrico per aiutarlo a perdere peso, ma, affinché l’intervento sia
efficace, Enrico deve cambiare il suo stile di vita. Innanzi tutto, il
signorino deve perdere trenta chili in due mesi per dimostrare al dottore che
ha voglia di impegnarsi e per poter affrontare l’operazione senza rischi per il
suo corpo.”
“Sì. Quello, perdere trenta chili in due mesi? Se continua di questo
passo, li prenderà, invece di perderli”, commentò di nuovo Marco, sarcastico e
con nonchalance.
“Sì, su questo siamo d’accordo”, convenne Cristina, ancora dall’alto
della sua sedia. Del suo pulpito improvvisato. “A quanto pare, il signorino ha
mentito ha imbrogliato i genitori, dicendo loro che le lezioni sarebbero
cominciate la settimana scorsa, così che lui potesse venire qui, fare scorte di
cibo e rimpinzarsi come un maiale fino al nostro arrivo, ignorando completamente
la dieta. Che è... Questa qui!” esclamò, mostrando il telefono a Marco e
Leonida con il file, che la madre di Enrico le aveva appena mandato su
WhatsApp.
Marco prese il telefono dalla mano di Cristina e iniziò a studiarci
su, già pensando a qualche modo per somministrare al suo amico lardelloso quanto
scritto su quel pezzo di carta, né più, né meno, senza sgarrare di un
milligrammo.
“La madre di Enrico ci ha chiesto aiuto”, riprese Cristina. “Lei e il
marito sono disperati e... Insomma, la buona nuove è che la signora ci lascia
carta bianca! Ha detto di aiutarlo, cito testuale, in ogni modo e con ogni
mezzo! Ed è stata anche piuttosto perentoria!”
Il volto di Leonida si accese di furbizia ed entusiasmo. “Che non si
preoccupi!” gridò gasato al massimo, sfregandosi le mani con fare birichino
come la gemella poco prima. “Ci pensiamo noi! Non è vero, amico Marco?”
Il volto di Marco si contorse in un sadico e perfido sorriso. “Non
vedo l’ora. Finalmente, si farà a modo mio.”
“E a modo nostro! Lo aiuteremo unendo le forze, ognuno col suo metodo
e coordinandosi con gli altri!” dichiarò Cristina.
“Io ci sto!” esclamò Leonida, battendo un sonoro cinque alla gemella,
che scese dalla sedia.
“Mi pare una buona idea”, commentò Marco soddisfatto.
“Ma ci pensate? Enrico è completamente nelle nostre mani!” esclamò
Cristina gasata, cimentandosi in una buffa e sgraziata danza col gemello.
Che canticchiava in tono deridente: “È nelle nostre mani! È nelle
nostre mani!” seguendo il ritmo della danza con la gemella. “Oh, yeah!”
Marco alzò gli occhi al cielo, sospirando. Ma possibile che quei due
non fossero mai in grado di controllarsi! Lì, ci voleva disciplina! E loro non
ce l’avevano. Marco si domandava spesso come facessero a ottenere tutti quei
risultati fenomenali nei loro rispettivi sport, dal momento che avevano
disciplina e concentrazione pari a 0. Bah, si disse. Magari in gara si
concentravano. Chi li capiva, quei due, era bravo!
“Vado a stampare questa dieta”, disse Marco, che aveva già prontamente
sistemato portatile e stampante in camera sua. “Poi, andrò al supermercato. Che
ore sono? Le otto meno dieci? Bene. Se non ricordo male, c’è un supermercato
nelle vicinanze che apre alle sette e trenta.”
“Wow!” esclamò Cristina. “Non perdi un colpo!”
“Sei sempre all’erta!” convenne Leonida.
“Che posso dirvi? Bisogna essere sempre un passo avanti, studiare e
programmare tutto. Non come fate voi, che non avete mai un orologio a portata
di mano e che fate tutto all’acqua di rose. Alla “come va, va!”” li rimproverò
Marco.
E per tutta risposta, i gemelli non se la presero per nulla e fecero
spallucce. Come sempre, perfettamente sincronizzati, ovvio!
“Bene. Stampo e vado.” Marco si recò in camera, stampò la dieta e la
affisse con enorme, sconfinata, smisurata, infinita soddisfazione al
frigorifero. “Bene. Io vado. Voi restate qui, qualora il grassone si alzasse.
Per nessuna ragione al mondo, non voglio che apra quel frigo. Non si deve
neanche azzardare”, ordinò perentorio come un comandante dell’esercito.
“Agli ordini, capitano!” esclamarono i gemelli in coro, facendo all’unisono,
in perfetta sincronia, il saluto del soldato.
“Ottimo. Ci vediamo fra poco.”
Marco uscì e nella casa piombò il silenzio totale. O quasi. I pesanti
rantoli del perpetuo ronfare di Enrico rimbombavano sonoramente per tutta casa.
“Sentito che concertino che abbiamo?” commentò Cristina.
“Puoi dirlo forte! Senti, sorellina, ma... Tu non ti annoi?”
“Da morire!”
Indugiarono per qualche istante, poi a entrambi si accese una
lampadina nel cervello. Si scambiarono uno sguardo complice e insieme si
fiondarono contemporaneamente in camera di Enrico.
Marco tornò nel giro di una mezz’oretta e sistemò la spesa che aveva
fatto. Preparò due miseri bianchi d’uovo per Enrico e una fettina di pane
integrale sotto lo sguardo divertito e canagliesco dei gemelli, che
sghignazzavano beffardi.
“Bene”, disse Marco, compiaciuto e soddisfatto. “Direi che è proprio
ora di svegliare il grassone. Quando si alzerà, gli faremo proprio un bel
discorsetto. Lo sistemo io, lo sistemo”, disse gelidamente, fiondandosi in
camera di Enrico a passo deciso.
Lo trovò girato su un fianco, con l’enorme sedere da pachiderma rivolto
verso l’ingresso, che ancora ronfava come se non esistesse un domani.
Il disgusto di Marco per quella creatura, per quell’insulso essere
pieno di lardo si tramutò ben presto in un ghigno sadico e perfido, che gli
increspò le labbra.
Prese bene la mira e, con grande soddisfazione, gli tirò un bel calcio
in culo, svegliandolo di soprassalto.
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