sabato 26 ottobre 2019

NON TI AZZARDARE AD APRIRE QUEL FRIGO - 7° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


“Fanculo la dieta.”
Enrico poggiò la mano aperta sul foglio con la dieta attaccato al frigorifero e lo strappò, chiudendo il pugno. L’accartocciò come si deve e la lanciò con sfregio a terra, scuotendo il capo con fare rassegnato. Lui, fare la dieta. Tzè! Non ci pensava nemmeno! I suoi perfidi coinquilini erano furbi, certo, ma non abbastanza. Gli avevano fatto patire la fame per tutto il giorno, ma adesso basta! Aveva atteso che tutti andassero a dormire, mentre lui era rimasto sveglio, affamato e vigile, con una voragine nello stomaco che gli impediva persino di pensare. Aveva fame, aveva voglia di cibo, di schifezze, ma quei disgraziati gli avevano tolto tutto. Non c’era più cibo nelle dispense, né altrove. Quei vili farabutti gli avevano tolto qualsiasi cosa, portando tutto nelle loro camere. Ma non tutto. Non potevano mica portare il cibo che stava nel frigorifero nelle loro stanze! Inutile che dicevano che avrebbero fatto dei turni per tenerlo sotto stretto controllo! Tanto, prima o poi sarebbero andati a dormire pure loro, non potevano mica stare svegli tutta la notte per sorvegliare il frigorifero! Anche facendo a turni, quei maniaci della salute, Marco in particolare, non avrebbero mai passato preziose ore del riposo in bianco per tenere sotto controllo la situazione, no? Così, Enrico aveva deciso di rimanere sveglio (anche se non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi con quel buco nero di fame che aveva nello stomaco, a dire il vero), e di assaltare la fortezza frigo nel cuore della notte! Lì dentro, dopotutto, c’erano ancora i suoi meravigliosi salami, le mortadelline con tutti gli altri salumi prelibati, i würstel, le salsicce, le salsicce di Norimberga, le salse, i budini al cioccolato e tutti i dolci da frigo... Sì. Si sarebbe fatto una bella scorpacciata nel cuore della notte! Alla faccia di quei filibustieri ficcanasi e maniaci della salute! Odiava lo sport, odiava la vita sana e i maniaci del culto del corpo come Marco, odiava i diavoli scatenati sport-dipendenti come i gemelli, odiava tutti quelli che studiavano le scienze motorie e i chirurghi bariatrici come il dottor Bartolini... Insomma, odiava tutti coloro che volevano fargli seguire la dieta. Odiava tutti coloro che osavano mettersi fra lui e il cibo. Andare a stare di casa con i suoi amici di sempre non era stata una buona idea. All’inizio, aveva creduto di sì: con Marco sempre concentrato sul culto del corpo e della salute, sempre vige al dovere e allo studio, con i gemelli fissati con lo sport, sempre in giro a far danni e canagliate, credeva di avere campo libero per farsi fuori tutte le leccornie che voleva. Di certo, non aveva previsto simili risvolti! Poco male! Ora, era notte fonda. Le tre e mezzo del mattino. Non aveva mangiato tutto il giorno, non aveva dormito, i morsi della fame lo avevano tormentato per tutto l’arco del dì, ma non importava. Perché finalmente, stava per prendersi la sua rivincita. E stava per far piazza pulita di tutto ciò che c’era nel frigo. Per il giorno dopo... Beh, ci avrebbe pensato l’indomani! Tanto una soluzione per il cibo, una soluzione per mangiare di trafugo lui la trovava. Sempre! Chissà perché?
In ogni caso, eccolo finalmente lì, dove doveva e voleva essere. Davanti al frigorifero, la luce soffusa che veniva soltanto dall’abat-jour della sua camera, la cui porta aveva lasciato aperta, in modo che quella fosse l’unico lumicino che c’era in casa, per non rischiare di svegliare gli altri e/o destare sospetti di alcun genere.
Lanciò uno sguardo soddisfatto e compiaciuto alla dieta accartocciata a terra e un altro languido al frigorifero pieno di leccornie. Gli venne l’acquolina al solo pensiero...
“Pancia mia, fatti capanna!” sussurrò, non stando più nella pelle, mentre si sfregava le mani soddisfatto.
Allungò lentamente la mano, con trepidazione, verso la parte superiore dello sportello del frigo, già assaporando le leccornie contenute al suo interno...
“NON TI AZZARDARE AD APRIRE QUEL FRIGO!”
Enrico si bloccò e trasalì.
Una voce gelida e lancinante proveniente dalle sue spalle gli fece scorrere dei brividi di terrore e soggezione lungo la schiena.
Enrico si voltò, lentamente, e vide Marco trascinare appena in avanti la sedia su cui sedeva. Comparve dalla semi-oscurità della cucina, dall’angolo in cui se ne stava nascosto, coperto dal nero della notte, come da un film horror. Un ghigno sadico, perfido e malvagio che gli increspava il volto. Gli occhi di ghiaccio pronti a trafiggere, spettrali sotto il fioco raggio di luce che proveniva dalla stanza di Enrico. Un fucile ad aria compressa fra le braccia.
Enrico spalancò la bocca, meravigliato, con la tipica espressione colpevole di chi è appena stato preso con le mani nel sacco. Spaventato, terrorizzato, imbarazzato per essere stato colto sul fatto, si voltò, vergognoso, e fece per darsela a gambe levate.
Marco non disse nulla.
Si limitò a impugnare il fucile come un soldato, lo puntò verso Enrico senza nemmeno alzarsi, prese velocemente la mira e sparò. Con la precisione di un cecchino. E, nonostante la semi-oscurità della notte, colpì proprio dove voleva colpire.
Ovvero, la chiappa sinistra del culone di Enrico.
“Uhuhuhuh!” gridò stridulamente Enrico dal dolore.
Gasato e inebriato dalla sadica soddisfazione per il colpo ben riuscito, Marco sogghignò, spostò leggermente il fucile verso destra e sparò di nuovo, colpendo l’altra natica, senza sbagliare di un millimetro. Enrico sobbalzò di nuovo, gridando ancora una volta con la vocetta stridula. E portandosi le mani sulle chiappe per il dolore. Accelerò il passo da elefante verso la camera, non riuscendo nemmeno a correre, ma Marco colpì ancora e ancora, prima una natica, poi l’altra, ripetutamente, di continuo, finché Enrico non riuscì a raggiungere la sua stanza, barricandosi dentro, chiudendo la porta a chiave.
Marco riadagiò il fucile ad aria compressa sulle cosce, sorridendo soddisfatto. Quel ciccione aveva avuto quello che si meritava. Ora ci avrebbe pensato due volte prima di tornare in cucina nel cuore della notte. Certo che quel culone di Enrico aveva una disciplina pari a zero spaccato! E una soglia del dolore piuttosto bassa! Come poteva avere accusato quei colpi, con tutto il lardo che aveva nel culo? Bah! Mistero! Scosse il capo con fare rassegnato e disgustato e, col fucile sempre ben adagiato sulle cosce, indietreggiò con la sedia, scomparendo di nuovo nell’oscurità della cucina, per poi riprendere con la sua attività di guardia notturna con estrema diligenza.
Nel frattempo, nelle altre due stanze, i gemelli Guaiotti sorridevano entrambi compiaciuti. Nel sonno.

Il mattino seguente, Enrico ebbe un pessimo risveglio. Era crollato alle cinque del mattino circa in preda ai morsi della fame, con le chiappe ancora doloranti per i duri colpi subiti. Quel matto di Marco! Come si faceva ad andare all’università e portarsi dietro un fucile ad aria compressa? Quello era pazzo! Pazzo! Pazzo! Accidenti a lui! Si era svegliato con le chiappe che ancora dolevano, povero Enrico! Lanciò uno sguardo alla sveglia. Le otto e un quarto. Alle nove avrebbe avuto lezione! Santo cielo! Doveva alzarsi e subito! Ma che cosa lo aveva svegliato? Non era stata la fame, né il dolore alle chiappe, ma...
Le urla, le risa e gli schiamazzi di quei dannati gemelli! Entravano e uscivano dai bagni, sbattendo le ante dei box-doccia e le porte, con la grazia dei porci, non curandosi di non svegliare chi dormiva per non sentire la fame. Enrico sbadigliò, ancora assonnato e affamato, e si diresse verso la cucina. Dove Marco lo attendeva in piedi accanto al frigo, le braccia conserte e lo sguardo indecifrabile. Gelido come un blocco di ghiaccio. Non appena lo vide, ammiccò sadicamente, per poi indicargli il frigo con lo sguardo. Enrico si sedette, guardò nella direzione indicata dagli occhi gelidi di Marco e notò che la dieta era stata riappesa al frigorifero, ristampata e nuova di zecca. Enrico sospirò e abbassò lo sguardo sul tavolino, dove si trovò la colazione già sistemata. Due miseri bianchi d’uovo con due misere fette biscottate integrale. La sua nuova, consueta, triste e MISERA colazione. Enrico tirò su col naso, cercando di non piangere, mentre sentiva lo sguardo militare e sadico di Marco su di sé. Quel pezzo di merda doveva aver sicuramente già fatto la colazione e usato il bagno, proprio con lo scopo di tenerlo sotto stretto controllo. Proprio mentre era intento a mangiare la sua misera colazione, i gemelli fecero irruzione in cucina con in mano il SUO cibo e si misero a scaldare il latte e a ingozzarsi di cereali e cornetti al cioccolato proprio sotto i suoi occhi. Enrico piagnucolò, Marco alzò gli occhi al cielo. Ma come potevano mangiar tanto, quei due? Erano due pozzi senza fondo! Poco male, però. Nonostante avessero disciplina zero anche loro, pensò Marco, in quell’occasione potevano tornare molto utili. Era tremendamente divertente vedere il lurido grassone languirsi nel vedere i gemelli ingurgitare ciò che volevano con gioia e appetito, mentre lui... Mentre lui era costretto a seguire una dieta ferrea e triste. Proprio lui, che era un bongustaio e una buona forchetta! Marco adorava gioire delle disgrazie altrui, introverso come era! Adorava quelle situazioni buffe, quelle scenette da film tremendamente divertenti! Una volta finito di fare colazione, i gemelli tennero sotto controllo Enrico, mentre si vestiva; nel frattempo, Marco lavava i piatti, come d’accordo.  Sembrava non aver ancora risentito della notte insonne a sorvegliare il frigo. Per forza!, pensò Enrico contrariato dall’idea di essere sorvegliato ventiquattr’ore al giorno, pure mentre era in bagno e mentre si vestiva. Come faceva a portarsi dietro il cibo e mangiare di nascosto, se loro glielo avevano nascosto tutto e se gli avevano pure tolto i soldi e le chiavi della macchina? Doveva trovare una soluzione, ma con lo stomaco così vuoto e i gemelli che lo sorvegliavano pure mentre si cambiava, non era tanto facile mantenere la mente lucida e fare anche solo un ragionamento sensato!
“Allora? Io ho finito! È pronto il grassone? Dobbiamo andare a lezione!” Marco irruppe bruscamente nella stanza di Enrico, facendolo sobbalzare e... Cadere!
E fece un tonfo colossale!
Da far tremare pure le pareti e il pavimento!
Tutti e tre i coinquilini scoppiarono improvvisamente a ridere. I gemelli risero come se non esistesse un domani e Marco... Marco rise fino alle lacrime, sadico e bastardo com’era! E tutti e tre si piegarono in due, indicandolo col dito puntato addosso.
Enrico si rialzò a stento e, durante il primo tentativo cadde ancora. Aizzando di nuovo le risa dei gemelli e di quel bastardo di Marco.
Al secondo tentativo, si rimise in piedi e, come la mattina prima, Marco e Cristina andarono a lezione in piedi, mentre Leonida accompagnò Enrico in facoltà, sempre a piedi, trascinandosi dietro la bici, facendolo camminare a passo sostenuto come se fosse in un reggimento, imitando l’amico Marco e su consiglio dell’amico Marco stesso. Dopodiché, montò in bici e pedalò come un pazzo per raggiungere la gemella e Marco a lezione.
Enrico si contorse per i continui e perpetui morsi della fame per tutta la mattina.

Quando rientrò da lezione, rigorosamente a piedi e rigorosamente accompagnato da Leonida e dalla sua bici, dopo aver pranzato in facoltà con una misera busta d’insalata e del tacchino che Marco gli aveva preparato in borsetta termica quel mattino stesso, Enrico trovò una bella sorpresa a casa, ad aspettarlo.
Un piccolo frigorifero alto la metà dall’altro e catene e lucchetto con combinazione a chiudere quello grande.
“È stata un’idea di Cristina. Geniale, vero?”, esordì Marco, lo sguardo pieno di ammirazione per l’amica.
Enrico non disse nulla. Lo stupore e la disperazione lo avevano privato della capacità d’intendere, di volere e di parlare.
“Allora, caro Enrico, questo frigoriferino è per te. Non appena sarà freddo a sufficienza, ci metteremo dentro le cose che io e Marco abbiamo comprato per te in quantità limitata e attenendoci alla dieta. In quello grosso, invece ci sono le cose per noi. In pratica, quello grosso è nostro, quello piccolo è tuo”, spiegò Cristina compiaciuta, mentre Marco annuiva ghignando sadicamente a braccia conserte, come al suo solito.
“E ricordati!” concluse Leonida col classico entusiasmo che lo caratterizzava. “Se ti fai fuori quel poco che c’è lì dentro, non ce l’avrai più per il giorno dopo, rischiando di rimanere a digiuno! Perciò, vedi tu, quello che ti conviene fare! Se è il caso di fare escursioni notturne o meno!”
“Dentro ci saranno del petto di tacchino, pollo, bresaola, magrello e formaggi spalmabili light senza grassi, latte scremato, qualche uovo, yoghurt bianchi magri e cose del genere. Niente salse, niente maionese, niente dolci, niente di tutto ciò”, spiegò gelidamente Marco, senza scomporsi di una virgola. “Il tuo frigo sarà riempito domani mattina, come da istruzioni, quando avrà raggiunto la temperatura ottimale. Ora, ti consiglio di andare a studiare. Tra un paio d’ore si cena. Buono studio, lurido grassone”, concluse, ghignando.
Enrico si trascinò in camera, disperato e distrutto. E senza stomaco pieno non riusciva nemmeno a pensare a una soluzione, né tanto meno a elaborare un piano decente! Che fare? Cercò di studiare, ma si addormentò nel tentativo, stremato dalle “lunghe” camminate di un chilometro l’una per andare e tornare dalla facoltà e dalla fame.
E la sera, a cena, non andò meglio!
Gli rifilarono due misere fette di petto di pollo con un brodino caldo di verdure. E lo costrinsero a fare avanti e indietro tre o quattro volte su e giù per le scale per buttare la spazzatura. Ogni volta che risaliva, i gemelli avevano puntualmente preparato un altro sacco da buttare. Lo facevano di proposito, quei maledetti! Ne preparavano uno per volta, in modo che lui dovesse scendere di continuo e senza sosta. Il tutto sempre sotto lo sguardo vigile e sadico di Marco, che si divertiva ad accompagnarlo lungo le scale fino ai contenitori per l’immondizia, a suon di calci in culo, spronandolo e urlandogli nelle orecchie come un ufficiale nell’esercito che addestra i suoi cadetti. Ghignandogli sadicamente alle spalle.
Povero Enrico!
Non aveva proprio più scampo!


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