sabato 26 gennaio 2019

UN FARFALLINO IN TRAPPOLA - 3° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli



Valentina si alzò piuttosto presto l’indomani, all’alba per l’esattezza. Aveva come sempre una giornata molto più che piena, nella quale voleva ricavarsi anche del tempo per sé. Riteneva che fosse un diritto vivere per se stessi e non per il dovere, almeno una volta al giorno. O anche di più, perché no? Una volta in piedi, si preparò la colazione con la velocità di un ghepardo e la divorò con la voracità di una leonessa, lavò i piatti, indossò la tuta sportiva estiva composta da top e calzoncini bianchi e scarpe da ginnastica per andare ad allenarsi sulla spiaggia. Lo sport le era sempre piaciuto e ne aveva provati anche diversi da bambina, prima di appassionarsi alla ginnastica artistica, tanto da volerci costruire una carriera. Ma le cose non andarono come previsto. Dopo tante vittorie e una medaglia ai mondiali, c’era stato quel terribile infortunio in gara che le aveva cambiato la vita per sempre. Aveva dovuto rinunciare all’agonismo e a tutto ciò che ne conseguiva. Dopo il primo momento di angoscia e disperazione, si era fatta forza ed era andata avanti. Si era iscritta all’università e si era laureata in scienze della formazione. Aveva lavorato come insegnante per qualche tempo, amando stare con i bambini, ma dopo un paio d’anni, aveva capito che non era quella la sua strada. Così, si era licenziata, trovando lavoro per mantenersi in un negozio di articoli sportivi come commessa e, stando di nuovo così vicina al mondo dello sport, aveva deciso di rimettersi in gioco, ripartendo da zero. Aprendo un negozio di articoli sportivi. Sperava di potersi mettere completamente in proprio, ma non sarebbe mai riuscita a coprire tutte le spesa da sola, così si era vista costretta a trovarsi un socio. E, tanto per rendere le cose più interessanti, come ciliegina sulla torta le era capitato il classico latin-lover che riteneva se stesso il fascino in persona, il massimo oggetto di desiderio, che si era invaghito di lei. A quanto pareva, attirare le attenzioni sbagliate era sempre stato il suo forte. Mentre si sottoponeva a una pesantissima sessione di cross-fit sulla spiaggia, non poteva fare a meno di pensarci. Era consapevole che gli uomini la stra-corteggiassero per la sua bellezza da dea greca, ma non ne era per niente felice. Spesso, malediceva quella stessa bellezza che moltissime le invidiavano. A quanto pareva, non riusciva mai ad attrarre uomini che non fossero latin-lover o che la corteggiassero per altre qualità che possedeva. Aveva provato ad avere un paio di relazioni serie, dopo aver lasciato l’agonismo, ma erano naufragate entrambe. Perché era così che andava. All’inizio, veniva corteggiata per la sua bellezza, poi, quando gli uomini scoprivano che era la cosiddetta femmina alfa, forte, intraprendente e determinata, che avrebbe potuto mettere in ombra e sminuire la loro virilità, si spaventavano e finivano col lasciarla. Diciamo che la sua esuberanza e la sua grinta intimorivano molti. Anzi, tutti. Perlomeno, quelli con cui aveva avuto a che fare durante tutta la sua vita. Cercò di distrarsi e di non pensarci. Da sempre, era ottimista: prima o poi avrebbe incontrato qualcuno che non si fosse soffermato solo sulla sua bellezza e che non sarebbe stato spaventato dalla sua personalità dominante.
Dopo l’allenamento si fece una doccia veloce e andò in ufficio per il colloquio di lavoro che aveva indetto con lo scopo di trovare un commesso o una commessa. Parlò con ragazzi e ragazze, uomini e donne di tutte le età fino alle sei della sera, ma nessuno la convinse pienamente. Come al solito, ricercava il meglio del meglio. Non voleva semplicemente qualcuno che s’intendesse di articoli sportivi, ma ricercava anche una certa professionalità nelle persone che esaminava. E professionalità significava per lei competenza, puntualità, onestà e sincerità, bella presenza e la giusta dedizione al lavoro. Dopo aver tenuto colloqui dalla mattina alle otto e mezza fino alla sera alle sei con solo mezz’ora di pranzo, per dieci giorni di seguito, quella sera decise di andare in spiaggia per distendersi i nervi e staccare un po’ la spina. Claudio si faceva sentire in continuazione, ogni scusa era buona per chiamarla o mandarle messaggi galanti su Whatsapp, sempre concernenti l’apertura del negozio, certo, ma pur sempre dai toni piuttosto galanti. E già non ne poteva più! Ma per chi l’aveva presa, quel Claudio? Per una bambolina di porcellana da conquistare e da gettare via come spazzatura, non appena ne comparisse un’altra? Come odiava quel genere di uomini! Così frivoli, così superficiali, così irrispettosi dell’essere donna! Ma proprio a lei doveva capitare un elemento del genere per socio? Quante probabilità statistiche esistevano di incappare in società con uno come lui? Meno di zero, ovvio! Era sempre la solita sfortunata. Stese l’asciugamano sulla battigia e si stese sotto il sole rosso al tramonto, massaggiandosi le tempie, quando un cane, un buffo bassotto per l’esattezza, le rovesciò la borsa da mare, iniziando a rovistarvi dentro col muso.
“Ehi!” esclamò Valentina in preda allo stupore. “E tu da dove salti fuori, salsiccia?” domandò all’animale, prendendolo in braccio e allontanandolo così dalla borsa.
Certo non credeva che i bassotti potessero essere tanto pesanti! Notò che aveva un collare al collo, ma non fece nemmeno in tempo a esaminarlo che una voce maschile la raggiunse.
“Signorina!”
Sollevò lo sguardo e vide un ragazzo dal fisico slanciato e atletico correrle incontro sbracciando, i capelli biondini e ricciolini scompigliati dalla corsa, gli occhi azzurri e il viso pulito.
“Mi perdoni, signorina”, ripeté educatamente raggiungendola.
“È suo questo cane?” gli domandò lei, sorridendogli.
Lui annuì. “Purtroppo sì. Questo pozzo senza fondo è mio. Lo stavo portando a fare una corsetta sulla spiaggia, ma deve aver sentito l’odore del cibo ed è schizzato via. Non sono riuscito a trattenerlo e mi scuso con lei, se le ha arrecato disturbo.”
Valentina sorrise, non sfuggendole di certo come fosse ben educato quel giovane. Parlava anche piuttosto bene, doveva ammettere. Non era di certo un cane buffo come quello a farla arrabbiare. “Ma si figuri! Ha dire il vero, mi ha fatto solo sorridere! In effetti, devo ammettere che il suo cane ha un ottimo olfatto. Mi sono avanzati un paio di panini nella borsa!”
Il ragazzo rise di gusto. “Dovevo immaginarlo! Questo cane è peggio di un bidone della spazzatura! Mangia di tutto e sente il cibo a chilometri di distanza!”
Valentina rise di gusto. “Le ripeto, ha un ottimo olfatto!”
Il ragazzo scosse il capo. “Non si faccia ingannare dalle apparenze: ce l’ha solo per il cibo!”
“Come si chiama?” gli domandò lei.
“Würstel”, le disse lui.
“Beh, io gli ho dato della salsiccia, quindi, direi, che ci sono andata vicina!” scherzò Valentina.
“Era tra le opzioni. Il nome l’ha scelto la figlia di mia sorella, la mia nipotina di nove anni”, le raccontò lui.
Valentina si alzò in piedi, restituendo il cane al giovane. “È azzeccato, direi. Io sono Valentina, piacere di conoscerla.”
“Alessio, piacere mio”, si presentò lui.
Si strinsero la mano e rimasero in silenzio per qualche istante.
“Viene spesso qui?” buttò lì Valentina per rompere il ghiaccio.
“A dire il vero, sono qui da poco. Mia sorella si è traferita qui per via del lavoro del marito. A Pienza ero solo, non c’era niente per me, così mi sono trasferito anch’io. Sono qui da un paio di giorni e cerco lavoro”, le spiegò.
Valentina rizzò le orecchie alla Dumbo Jumbo, mostrandosi molto più che interessata a quel piccolo, ultimo particolare della sua storia. “Cerca lavoro?”
Lui annuì. “Sì.”
“Che genere di lavoro?” gli domandò lei, incuriosita.
“Bah, qualsiasi cosa. Sono un tipo adattabile e so fare parecchie cose”, spiegò lui.
“Dove lavorava prima, se posso chiederglielo?” proseguì Valentina.
“Facevo il commesso in un negozio di abbigliamento”, disse Alessio.
Valentina si mostrò molto più che interessata. “E di articoli sportivi te ne intendi?”
Lui annuì con un sorriso meraviglioso e pulito. “Sì, altroché! Mi piace lo sport! Ne ho praticati diversi! Ma come mai tutte queste domande sul mio lavoro, se non sono indiscreto?”
Valentina ammiccò. “Beh, in questo caso, io avrei una proposta di lavoro da farle.”
“Davvero? Perché non me la spiega davanti a un buon caffè? Offro io, naturalmente!” le sorrise Alessio, entusiasta e curioso di sentire che proposta gli avrebbe avanzato Valentina.
“Volentieri! Prego, mi segua!” esclamò lei, prendendo su borsa e asciugamano.
“Mi dia pure del tu! Dopotutto, ho solo ventinove anni!” le disse lui.
“Ma non mi dire! Anch’io! Che coincidenza! Comunque, allora dammi del tu anche tu! Di solito, lo preferisco!” replicò Valentina, ridendo con lui per il gioco di parole.
S’incamminarono verso il bar più vicino, fianco a fianco con Würstel alle loro spalle, anzi proprio dietro la borsa di Valentina, che sorrideva, tranquilla e rilassata, mentre scambiava chiacchierava piacevolmente del più e del meno con Alessio.
Forse, aveva trovato il ragazzo perfetto per la sua attività.


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