“Allora? Dov’è quel lurido grassone?”
Marco entrò furibondo in cucina, dove i gemelli Guaiotti erano intenti
a farsi uno spuntino post-allenamento. A base di panino gigante con prosciutto
crudo!
“Non ne abbiamo idea”, bofonchiò Leonida con le fauci piene.
“Leonida è andato a prenderlo in facoltà come al solito, ma lui non si
è presentato all’uscita”, spiegò Cristina.
“Ho aspettato tanto, ma lui non si è visto”, concluse Leonida, ancora
con le fauci piene.
“Deve essersela svignata alcuni minuti prima che arrivassi tu. Mi
domando che cosa stia tramando, quel dannato grassone”, s’insospettì Marco.
“Qualcosa trama di sicuro”, concordò Cristina. “Sono già alcuni giorni
che esce di casa a orari strani e che troviamo carte di dolcetti nascoste tra
le sue cose.”
“Le soluzioni sono due: o usciamo a cercarlo, oppure domani qualcuno
di noi s’incarica di pedinarlo senza sosta”, propose Marco.
“Sarebbe come cercare un ago in un pagliaio”, disse Cristina. “Forse,
faremo meglio a seguirlo. Ce ne occupiamo io e Leonida.”
Marco annuì. “Siamo d’accordo.”
I tre coinquilini si scambiarono uno sguardo complice e malvagio.
Inutile che Enrico facesse tanto il furbo.
Con loro non avrebbe mai avuto scampo.
L’indomani i gemelli Guaiotti saltarono la giornata di lezione. Si
camuffarono a puntino, indossando abiti diversi e parrucche, gironzolando a
distanza attorno a Enrico, fingendo di essere una giovane coppietta di fidanzati
in giro per la città di Firenze. Enrico si recò a lezione a piedi, scortato da
Marco, che non mancava mai di mollargli qualche calcio in culo, ogni qualvolta
ne avesse occasione, ovvero in continuazione. Ogni scusa era buono per
sganciargliene uno. O perché camminava troppo lentamente, o perché non teneva
il passo, o perché si guardava troppo intorno, o perché imprecava sottovoce e
in silenzio... Oppure, semplicemente perché era Enrico. E basta. A distanza, i
gemelli Guaiotti si spaccavano dalle risate nel vedere come il generale Marco
sbatacchiava il povero cadetto Enrico il Cicciobomba. Una volta mollato il grassone
a lezione, Marco si avviò alla facoltà di scienze motorie, lanciando prima uno
sguardo complice ai gemelli appostati di fronte all’edificio in cui si
svolgevano le lezioni di scienze politiche. I gemelli ammiccarono divertiti e
Marco sparì dalla loro vista. Attesero diverse ore lì sotto, senza far niente,
mostrando una grande pazienza che nessuno credeva avessero, finché non videro
Enrico uscire dalla facoltà diversi minuti prima della fine delle lezioni.
“Eccolo!” esclamò Cristina sotto voce. Estrasse il walkie-talkie che
le aveva prestato Marco e lo contattò. “Il grassone si muove. È appena uscito
dalla facoltà e sta andando alla fermata dell’autobus, passo.”
“Ricevuto, Cristina. Non perdetelo di vista un momento, mi raccomando.”
“Agli ordini, Capitano! Passo e chiudo!”
Cristina lanciò uno sguardo complice al gemello, che annuì. Senza dire
neanche una parola, Leonida la prese per mano e si diresse con lei alla fermata
dell’autobus, restando a distanza da Enrico. Quando l’autobus arrivò, i due
gemelli lasciarono che tutti salissero, prima di salire a loro volta. Enrico
era seduto in prima fila, dopo aver dovuto chiedere aiuto all’autista per
salire, smuovendo ovviamente le risa dei gemelli, che invece presero posto
parecchie file addietro. Cristina estrasse lo specchietto, fingendo di
controllarsi il look, ma in realtà teneva d’occhio ogni mossa di Enrico.
Leonida indossava una parrucca castana di media lunghezza, mentre Cristina una
color miele, di una lunghezza spropositata. Enormi occhiali da sole che
nascondevano gran parte dei loro volti. Gli abiti meno sportivi e più
ricercati. Dopo un paio di fermate, Enrico scese e non senza fatica, rischiando
pure di cadere a bocca avanti. Se ci fosse stato Marco, pensò Cristina! Che ruzzolone
gli avrebbe fatto fare con uno dei suoi soliti calci in culo ben piazzati!
Lanciò uno sguardo ammiccante al gemello, che lo lesse al volo e ridacchiò
sotto voce con lei, poi scesero entrambi e proseguirono la loro missione di
pedinamento in incognito. Videro Enrico entrare in una piccola pasticceria in
una delle vie secondarie, non molto famosa e non molto frequentata. E lo videro
indossare il grembiule dello staff.
Cristina ritirò fuori il walkie-talkie. “Marco, preparati perché
questa è grossa: il grassone ha trovato lavoro in una pasticceria!”
“Che cosa?” tuonò Marco sotto voce. “Questo è troppo! Noi ci facciamo
il culo dalla mattina alla sera per aiutarlo a non morire e lui che cosa fa?
Trova lavoro in una pasticceria, dove può sgraffignare tutti i dolci che vuole,
quando vuole! Per di più, adesso ha di nuovo i soldi per ingolfarsi in giro a
nostra insaputa! Questa volta l’ha fatta grossa! Datemi l’indirizzo! Adesso
vengo lì e lo concio per le feste, il signorino! Lo sistemo io, lo sistemo!”
“Calmati, Marco. Io e Leonida pensavamo ad altro.”
“Ora entriamo in incognito e scopriremo le sue intenzioni. Ci
riaggiorniamo tra poco!” intervenne Leonida in tono canagliesco.
Marco sospirò. “Perché qualcosa mi dice che avete in mente qualcosa di
subdolo, ma ben più crudele di ciò che vorrei fargli io?”
“Perché ormai ci conosci molto più che bene, amico Marco!” scherzò
Leonida. “Sarà qualcosa di veramente... Cru-de-le!”
“E molto divertente! Riprenderemo tutto, sta’ tranquillo! A dopo!
Passiamo e chiudiamo!” Cristina si infilò il walkie-talkie nella borsetta e
lasciò che Leonida la prendesse a braccetto.
“Vieni, sorellina. Andiamo a divertirci!”
I due gemelli entrarono e si sedettero a uno dei pochi tavolini che si
trovavano all’interno della piccola pasticceria e si misero a dare un’occhiata
ai menù. Dopo un pedinamento tanto estenuante a livello mentale, si meritavano
uno spuntino, un piccolo premio, no? Avrebbero fatto un bel pieno per gli
allenamenti dell’indomani.
“Ragazzo!” chiamò Leonida.
Enrico “accorse” col suo pesante passo da elefante al loro tavolino. “Desiderate?”
“Cappuccino con tanta schiuma e cornetti assortiti per me e la mia
ragazza, per favore. Purché non siano alla marmellata”, disse Leonida.
“Arrivano subito.”
Enrico tornò dietro il bancone e si mise a preparare i cappuccini. E,
durante la preparazione, si fece fuori di nascosto un cornetto e una pasta alla
crema pasticciera. Leonida e Cristina si ammiccarono a vicenda, non sapendo se
ridere o piangere. Enrico era proprio senza speranze. Cristina, grazie alla sua
meravigliosa penna-spia elegantemente appuntata alla borsetta, stava
riprendendo tutto quanto. Enrico consegnò loro gli ordini e tornò di nuovo
dentro il bancone. Cristina e Leonida mangiarono con calma, senza strafogarsi
come il loro solito, per non essere scoperti, scambiandosi qualche piccola
effusione innocente di tanto in tanto per tener fede alla recita che li voleva
nel ruolo della giovane coppietta di turisti. Tra un cliente e l’altro, videro
Enrico farsi fuori una notevole quantità di dolcetti vari, sorseggiando di
nascosto persino le cioccolate calde che doveva servire ai clienti. Un
comportamento indecente, insomma! Quando fu il momento, i gemelli si alzarono e
si recarono alla cassa. Leonida gli chiese il conto e pagò.
“Davvero complimenti! In questa pasticceria avete davvero delle cose
molto buone!” esordì, sorridendo e appoggiandosi al bancone.
“Sì, lo so. Non sarà tra le più rinomate, ma è la migliore della
città. Ve lo garantisco. Ve lo dice uno che se ne intende!” si gonfiò Enrico.
“Ah, immagino! Non ne dubito minimamente!” lo prese in giro Cristina,
squadrandolo dall’alto al basso. “Sa, siamo capitati qui per sbaglio. Io e il
mio fidanzato volevamo fare merenda, sa, è tutto il giorno che visitiamo la
città, girando a piedi, ma le pasticcerie del centro sono sempre tutte così...
Affollate!”
“Avete fatto bene a capitare da queste parti. Nessuna pasticceria ha
prodotti buoni come queste! Dovreste sentire che torte!”
“Torte?” si gasò Leonida.
“Sì, torte! Le ho assaggiate personalmente e vi garantisco che sono la
fine del mondo!”
“Bene. Allora, ne ordineremo una per questa sera”, disse Leonida.
“Ottimo! Che tipo di torta?”
“Tu che dici, amore?” domandò Leonida, rivolgendosi a Cristina.
“Una torta gelato. Crema e cioccolato”, ammiccò lei.
“Sarà fatto. Ottima scelta! Le ricette tradizionali sono sempre le migliori!”
esclamò Enrico. “Il nome che devo mettere sull’ordinazione?”
“Sandrini”, disse Cristina.
“Perfetto. Allora, una torta gelato crema e cioccolato per Sandrini.
Per che ora la volete?”
Cristina lanciò uno sguardo all’orologio da polso. “Sono le quattro e
mezzo... Tra un paio d’ore va bene?”
“Nessun problema”, disse Enrico.
“Sa, lei mi sembra che se intenda molto di ricette tradizionali e di
cucina”, buttò lì Cristina, per stuzzicarlo e farlo parlare.
“Certo che sì! Se volete, posso consigliarvi i migliori ristoranti
della città!”
“Magari!” esclamò Leonida.
“Ve li scrivo tutti qui!” si gasò Enrico, appuntando i nomi dei suddetti
ristoranti su un post-it.
“Sa anche cucinare?” proseguì Cristina.
“No! Troppa fatica! Io mangio e basta! Preferisco ordinare da asporto!
Anche se l’ultimo periodo è stato un po’ di magra...” si sbilanciò Enrico.
Cristina lanciò uno sguardo ammiccante al gemello. Touché, pensò. “E come mai?”
“Quei maledetti disgraziati dei miei coinquilini. Sono in combutta con
i miei genitori e il dottor Bartolini, un chirurgo bariatrico di qui, per farmi
dimagrire. Vogliono farmi fare un cazzo di by-pass gastrico per non mangiare
più!” esplose Enrico, che da giorni aveva voglia di sfogarsi con qualcuno e
raccontare tutto.
“Oh poverino!” esclamò Cristina. “Che orrore! Povero ragazzo! Capiamo
perfettamente come ti senti! Noi viviamo per mangiare! Siamo dei bongustai come
te!”
Enrico li squadrò dal basso verso l’alto e viceversa. “E come mai non
vi si vede? Dove lo mettete?”
“Soffriamo entrambi di un disturbo metabolico. Non riusciamo a mettere
su peso, neanche volendo. E dobbiamo mangiare di continuo per non finire
sottopeso! Ci siamo conosciuti nella clinica che entrambi frequentavamo all’epoca!”
mentì prontamente Cristina.
Magnifica, pensò il fratello. Una vera attrice. Recita perfetta.
“Che culo che avete! Soffrissi anch’io dello stesso disturbo
metabolico e i miei dannati coinquilini eviterebbero di rompermi continuamente
i coglioni e di farmi patire le pene dell’Inferno!” sbottò Enrico.
“Accidenti! Ma che ti hanno fatto per meritarsi tanto odio?” domandò
Leonida, fingendosi basito.
“Non tocchiamo questo tasto! È meglio che lasciamo perdere!”
“Ormai ci hai incuriosito, poverino!” lo compatì Cristina.
“Me ne fanno di tutti i colori! Io non ne posso più! Sono in tre, ma
sono peggio di un’intera legione! Non so chi sia peggio dei tre. Ci sono loro,
i gemelli Guaiotti, quei dannati gemelli del cazzo che mangiano, mangiano e non
mettono su neanche un grammo, perché si ammazzano di sport! Fanno casino dalla
mattina alla sera, mi mangiano sotto gli occhi, mi fanno ogni tipo di dispetto
pur di non farmi mangiare! Poi, c’è quell’altro. C’è lui. Marco. Quello è
pazzo, sapete? È proprio matto da legare! Sembra la reincarnazione di un qualche
ufficiale delle SS tedesche. Gira per casa con un fucile ad aria compressa e
non fa altro che spararmi sulle natiche e riempirmi di calci in culo. E tutti e
tre mi fanno sgobbare! Mi obbligano a fare le pulizie, a buttare di continuo la
spazzatura, ad andare e a tornare da lezione a piedi! Hanno messo catene e
lucchetto al frigorifero e ne hanno comprato uno piccolo solo per me, dove mi
ci hanno messo pochi cibi e ipocalorici, per giunta! Mi sembra di stare all’ospedale!
Mi fanno ingoiare soltanto tristi pappette inconsistenti per far sì che io segua
la dieta da 1200kcal prescrittami dal quel dannato dottor Bartolini! E sono
tutti e tre malati di sport! Ve lo dico io! Chi fa sport, sono tutti
squilibrati! E si vede! Sono pazzi, maniaci della forma fisica, ossessivi! Non
li sopporto più! Ma, adesso, li inculo io, i signori! Mi sono trovato questo
bel lavoretto, dove posso mangiucchiare di nascosto quando voglio, con i soldi
che guadagno e le mance posso andare a mangiare fuori e metterne un po’ da
parte per pagarmi un affitto da solo nei prossimi mesi. Presto, me la svignerò.
E loro se la prenderanno nel culo! Altro che dieta! Fanculo la dieta!”
“BEN DETTO, AMICO! FANCULO LA DIETA!” gli diede man forte Leonida.
“GIÀ’! FANCULO LA DIETA!” gli fece eco Cristina.
“FANCULO LA DIETA!” ripeterono tutti e tre in coro.
“Povero ragazzo, però!” lo compatì di nuovo Cristina. “Fai bene,
continua così! Il cibo non si tocca!”
Leonida soffocò una risata e pregò che Enrico non se ne fosse accorto.
Ma di che cosa si accorgeva quello? Era talmente impegnato a parlare di cibo,
che non si sarebbe accorto nemmeno se in pasticceria fosse entrato l’attore più
famoso del mondo! Quando si parlava di cibo, quello non capiva più niente.
“Ora dobbiamo andare! Ci sono ancora tanti altri posti che vogliamo
vedere! Torneremo più tardi per la torta!” si congedò Leonida.
“A dopo! Buon giro turistico! È stato un piacere conoscervi!” li
salutò Enrico.
“Grazie, anche per noi! A dopo!” esclamò Cristina, uscendo mano nella
mano col fratello.
Quando furono a distanza di sicurezza, si fermarono e si presero del
tempo per spaccarsi in due dalle risate, che stavano reprimendo da un bel
pezzo, ormai! Ora che conoscevano il suo diabolico piano, erano pronti per
tornare a casa da Marco.
“Io lo uccido”, sentenziò Marco, una volta ragguagliato sulla
situazione.
“Nah, compare! Cerca di controllare la tua ira. Innanzitutto, guarda
come lo abbiamo inculato, il signore!” esclamò Leonida, mostrandogli il video
girato dalla penna-spia ben posizionata sulla borsetta di Cristina.
Marco guardò il video, non riuscendo a trattenere le risate per la
meravigliosa recita dei gemelli Guiaiotti. Come agenti infiltrati, erano perfetti!
Ecco perché andavano così d’accordo con lui. Perché anche se casinari e sempre
scomposti, erano proprio come lui. INFALLIBILI. Ma se ripensava alle parole con
cui li aveva definiti Enrico...
“Io lo uccido”, sentenziò di nuovo, riflettendoci su.
“A dire il vero”, esordì Cristina melliflua. “Noi avevamo in mente
qualcosa di un po’ più piccante. E movimentato.”
“Già!” si gasò Leonida. “Qualcosa di veramente divertente e di
veramente CRU-DE-LE.Altro che uccisione!" disse, ripetendo le stesse parole di poco prima al
walkie-talkie. “Vero, Cri?”
Lei ammiccò. “Assolutamente.”
Leonida ricambiò lo sguardo ed entrambi si voltarono a guardare Marco,
ammiccandogli sadicamente. E complici.
Marco ricambiò lo sguardo, il solito ghigno sadico che gli accendeva il
volto di perversa malvagità.
Ora, avrebbero mostrato a quel lurido grassone che cosa volesse
realmente dire essere diabolici.
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