Il grande giorno era arrivato.
Enrico era stato condotto in ospedale per l’intervento
di chirurgia bariatrica, ovviamente contro la sua volontà. Inutile dire che per
riuscire a caricarlo in macchina c’erano voluti tanti calci nel sederino e un
bel fuoco pesante da parte del fucile ad aria compressa di Marco, che ormai era
diventato per lui come un orsacchiotto della buona notte. La pessima e
indisciplinata condotto di Enrico lo obbligava a tenerlo sempre con sé. Aveva
accumulato più lividi Enrico in poco tempo, che un reduce dalla guerra del
Vietnam!
Una volta condotto a calci in ospedale, Enrico era
stato preparato per l’intervento e ora attendeva nervosamente gli infermieri
che lo scortassero in sala operatoria. Avrebbe tanto voluto tagliare la corda,
ma eludere la rigida sorveglianza di Marco e dei gemelli Guaiotti era un’impresa
impossibile. Poco prima dell’intervento, a sorpresa arrivò il dottore a
complimentarsi per gli ulteriori progressi svolti.
“Buongiorno, ragazzi! Allora, Enrico, come ti
senti?” domandò il dottor Bartolini.
“Di merda! Non lo voglio fare l’intervento! Questo è
sequestro di persona! Io sono qui contro la mia volontà e per quanto riguarda
voi, pezzi di merda!” sbottò, indicando sia il dottore che i coinquilini. “Vi
denuncio tutti, tutti quanti! Avrete notizie dai miei avvocati!”
Il dottor Bartolini scosse il capo con fare
rassegnato. Ormai, aveva capito che era inutile prendersela per gli
atteggiamenti molto discutibili di Enrico. Al contrario, le assurdità che
diceva iniziavano pure a fargli ridere, perché rasentavano il ridicolo, anzi
ERANO ridicole. Provava una gran pena e un’immensa stima per quei tre poveri
disgraziati che avevano smosso mari e monti per aiutarlo. E per l’infinita
pazienza che avevano mostrato, tenendolo sotto torchio per tutto quel tempo.
Quei ragazzi erano dei santi.
“Allora, vedo che in questa settimana abbiamo perso
altri nove chili, Enrico!” si complimentò il dottore.
“Io li ho persi. Non lei”, puntualizzò Enrico con il
broncio.
“E non ti senti meglio ora che hai perso più di
cinquanta chili? Non hai trovato giovamento nella tua mobilità?”
“No, affatto”, mentì Enrico.
Ma l’occhiata torva del dottor Bartolini lo indusse
a tornare sui suoi passi.
“E va bene. Sì. Sì, mi muovo meglio, ma non me ne
frega niente! Perché io, caro il mio dottore, io voglio soltanto mangiare! Non
mi sento meglio per niente! Sono depresso e ho una fame da lupi! Mi fa male lo
stomaco per quanto ho fame! IO RIVOGLIO IL MIO CIBO! VOGLIO IL MIO CIBO!” si
stizzì, battendo i pugni come un bambino nel bel mezzo di un capriccio. “Io non
lo voglio fare l’intervento! Voglio poter mangiare quanto mi pare! Io sono qui
contro la mia volontà e lei non può operarmi, se io non voglio! Questo è
sequestro di persona!”
“Smettila di frignare, lurido grassone!” tuonò
Marco. “E fai silenzio. Taci! Non ne posso più di sentire i tuoi piagnistei!
Ancora una parola e non appena ti rimetterai in piedi dopo l’intervento, ti
farò pentire di essere nato.”
I gemelli Guaiotti ridacchiarono sotto i baffi.
“Ma io non lo voglio fare, l’intervento! Io ho
paura! Non voglio finire sotto i ferri! E se muoio durante l’operazione?” si
terrorizzò Enrico, realizzando all’improvviso che nel giro di breve l’avrebbero
addormentato.
E se non si fosse più svegliato?
Cosa avrebbe dato per una bella pizza gigante e
qualche cornetto, prima di rischiare la morte!
“Smettila!” tuonò di nuovo Marco. “Il dottor
Bartolini fa questo mestiere da oltre trent’anni. Sei in ottime mani. E ora,
per piacere, piantala di frignare e comportati in maniera dignitosa. Mezza
cartuccia...”
“Bene, tra poco cominceremo. Ma prima, ragazzi,
vorrei complimentarmi con voi per l’ottimo lavoro che state svolgendo con il
vostro amico”, disse il dottore, andando a stringer loro la mano. “Una volta
ripresosi dall’intervento, vi darò il nome di una brava psicologa e manderemo
Enrico in psicoterapia per capire e affrontare tutte le problematiche, che lo
spingono verso il cibo. Posso contare su di voi?”
“Ovvio!” esclamò Cristina, ammiccando al gemello.
“Anche se, francamente, dottore, credo che il suo unico problema psicologico si
chiami golosità.”
Il dottore non fece in tempo a replicare.
Perché fu proprio in quel momento che accadde l’imprevedibile.
Mentre sia il dottore che i suoi detentori erano
distratti a parlare di scempiaggini e assurdità come la psicoterapia, Enrico
venne colto da un impeto di terrore che gli diede la spinta ad alzarsi e a
tentare la fuga. Scese dal letto e uscì di “corsa” dalla sua stanza, tagliando
la corda.
“Torna qui, lurido grassone!” gridò Marco, essendosi
accorto della sua fuga.
“Sta scappando!” gridò Cristina. “Prendiamolo!”
I tre scattarono all’inseguimento, Marco col suo
fucile ad aria compressa perennemente tra le braccia, mentre Enrico arrancava
lungo il corridoio.
Il dottor Bartolini si affacciò alla porta e si
godette la scenetta, ghignando sotto i baffi. Come si poteva non ridere quando
c’erano Enrico e i suoi adorati coinquilini nei paraggi? Veder Enrico correre
disperato come non aveva mai fatto in tutta la sua vita era sinonimo di grandi
speranze per il recupero completo della sua mobilità, ma anche di divertimento!
Aveva la faccia rossa come un peperone, ma era talmente terrorizzato, che il
panico superò persino la sua pigrizia e lo sforzo fisico da sopportare per
correre quasi come una persona normale.
“NO! IO NON LO VOGLIO FARE, L’INTERVENTO! IO NON
VOGLIO MORIRE SOTTO I FERRI!” gridava disperato, mentre fuggiva.
“Invece, lo farai! Eccome se lo farai! Vigliacco di
un lurido grassone che non sei altro!” esclamò Marco, che ormai l’aveva quasi
raggiunto e senza troppe difficoltà.
Ma Enrico colse al volo un’occasione e s’infilò nel
primo ascensore libero che trovò e premette il pulsante del piano terra per
fuggire dall’ospedale.
Marco grugnì, cercando di usare il cervello, mentre
i gemelli Guaiotti si stavano già catapultando lungo le scale, nel folle
tentativo di anticipare l’ascensore. Enrico scese dall’ascensore e si diresse
di gran passo verso l’uscita, ringraziando per la prima e unica volta tutte le
passeggiate, le sedute di idroterapia e gli allenamenti in palestra a cui i
suoi detentori lo avevano sottoposto a forza.
“Eccolo lì!” lo indicò Cristina, scendendo gli
ultimi gradini.
“Prendiamolo!” si gasò Leonida, balzando giù.
I due gemelli lo inseguirono, si avvicinavano sempre
di più, Enrico spalancò la porta dell’ospedale, la porta verso la libertà... E
si ritrovò un fucile ad aria compressa puntato al petto.
Marco sorrise, un ghigno vittorioso di sadica
soddisfazione. “Stai andando da qualche parte, lurido grassone?”
Enrico si voltò per tornare indietro, ma i gemelli
Guaiotti gli bloccarono il passo. Ormai era circondato.
“C-come hai f-fatto ad arrivare o-prima?” iniziò a
sudare freddo Enrico.
“Mai sentito parlare di scala anti-incendio?” ghignò
Marco.
“Bella mossa, Marco!” si complimentò Cristina.
“Già! Davvero un colpo da maestro! Prendere la scala
anti-incendio, precederci tutti e aspettare qui il Cicciobomba!” incalzò
Leonida.
“Grazie, ragazzi. Complimenti anche a voi. Bell’inseguimento.
Quanto a te, lurido grassone, bel tentativo, ma con quella pancia lardosa e
quel culo enorme che ti ritrovi, non puoi pensare di competere con tre sportivi
di alto livello come noi. E adesso, torna di sopra. Fila!”
Enrico alzò le mani in segno di resa e, tremolante, iniziò
a camminare verso l’ascensore.
Ma Marco gli sparò due colpi alle natiche. “No! Su
per le scale! Avanti! Fila!”
Enrico piagnucolò e iniziò a salire le scale.
“Più in fretta, più in fretta!” incalzò Marco,
sparandogli di nuovo.
Sempre alle natiche.
I gemelli Guaiotti che lo avevano preso a braccetto
da ambo i lati, per evitare che tentasse la fuga un’altra volta.
“Siamo qui, dottore!” esclamarono i due in coro,
mentre il dottor Bartolini faticava a trattenere il ghigno divertito.
“Bel lavoro, ragazzi! Io vado. Ci vediamo tra poco
in sala operatoria, Enrico!”
Il dottore si congedò per andare a prepararsi per l’intervento
e Marco spinse Enrico per la schiena col fucile ad aria compressa per
obbligarlo a stendersi. E, per evitare che fuggisse ancora, i gemelli Guaiotti
lo legarono al letto.
Poco dopo, arrivarono gli infermieri che lo misero
in barella per scortarlo in sala operatoria, Marco e i gemelli dietro di loro
per tenerlo sotto stretta sorveglianza. Prima che gli infermieri lo portassero
dentro, Marco ne afferrò uno per un braccio.
“Siamo qui fuori, qualora dovesse fare storie. Ci
chiami, se avete bisogno di rinforzi”, gli disse, mostrandogli il fucile ad
aria compressa.
“Non dubitate. Sarà fatto”, ridacchiò l’infermiere
divertito.
La soglia si spalancò, per poi richiudersi
sonoramente.
Ed Enrico sparì in sala operatoria, tutto
piagnucolante e tremolante come una foglia.
Per lui era la fine.
Il pensiero di non sentire più lo stimolo della fame
e non riuscire più ad abbuffarsi lo terrorizzava più dei possibili imprevisti,
che sarebbero potuti capitargli sotto i ferri.
Sì.
Comunque sarebbe andata, per lui era DECISAMENTE la
fine.
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