sabato 30 novembre 2019

NON TI AZZARDARE AD APRIRE QUEL FRIGO - 12° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


Il grande giorno era arrivato.
Enrico era stato condotto in ospedale per l’intervento di chirurgia bariatrica, ovviamente contro la sua volontà. Inutile dire che per riuscire a caricarlo in macchina c’erano voluti tanti calci nel sederino e un bel fuoco pesante da parte del fucile ad aria compressa di Marco, che ormai era diventato per lui come un orsacchiotto della buona notte. La pessima e indisciplinata condotto di Enrico lo obbligava a tenerlo sempre con sé. Aveva accumulato più lividi Enrico in poco tempo, che un reduce dalla guerra del Vietnam!
Una volta condotto a calci in ospedale, Enrico era stato preparato per l’intervento e ora attendeva nervosamente gli infermieri che lo scortassero in sala operatoria. Avrebbe tanto voluto tagliare la corda, ma eludere la rigida sorveglianza di Marco e dei gemelli Guaiotti era un’impresa impossibile. Poco prima dell’intervento, a sorpresa arrivò il dottore a complimentarsi per gli ulteriori progressi svolti.
“Buongiorno, ragazzi! Allora, Enrico, come ti senti?” domandò il dottor Bartolini.
“Di merda! Non lo voglio fare l’intervento! Questo è sequestro di persona! Io sono qui contro la mia volontà e per quanto riguarda voi, pezzi di merda!” sbottò, indicando sia il dottore che i coinquilini. “Vi denuncio tutti, tutti quanti! Avrete notizie dai miei avvocati!”
Il dottor Bartolini scosse il capo con fare rassegnato. Ormai, aveva capito che era inutile prendersela per gli atteggiamenti molto discutibili di Enrico. Al contrario, le assurdità che diceva iniziavano pure a fargli ridere, perché rasentavano il ridicolo, anzi ERANO ridicole. Provava una gran pena e un’immensa stima per quei tre poveri disgraziati che avevano smosso mari e monti per aiutarlo. E per l’infinita pazienza che avevano mostrato, tenendolo sotto torchio per tutto quel tempo.
Quei ragazzi erano dei santi.
“Allora, vedo che in questa settimana abbiamo perso altri nove chili, Enrico!” si complimentò il dottore.
“Io li ho persi. Non lei”, puntualizzò Enrico con il broncio.
“E non ti senti meglio ora che hai perso più di cinquanta chili? Non hai trovato giovamento nella tua mobilità?”
“No, affatto”, mentì Enrico.
Ma l’occhiata torva del dottor Bartolini lo indusse a tornare sui suoi passi.
“E va bene. Sì. Sì, mi muovo meglio, ma non me ne frega niente! Perché io, caro il mio dottore, io voglio soltanto mangiare! Non mi sento meglio per niente! Sono depresso e ho una fame da lupi! Mi fa male lo stomaco per quanto ho fame! IO RIVOGLIO IL MIO CIBO! VOGLIO IL MIO CIBO!” si stizzì, battendo i pugni come un bambino nel bel mezzo di un capriccio. “Io non lo voglio fare l’intervento! Voglio poter mangiare quanto mi pare! Io sono qui contro la mia volontà e lei non può operarmi, se io non voglio! Questo è sequestro di persona!”
“Smettila di frignare, lurido grassone!” tuonò Marco. “E fai silenzio. Taci! Non ne posso più di sentire i tuoi piagnistei! Ancora una parola e non appena ti rimetterai in piedi dopo l’intervento, ti farò pentire di essere nato.”
I gemelli Guaiotti ridacchiarono sotto i baffi.
“Ma io non lo voglio fare, l’intervento! Io ho paura! Non voglio finire sotto i ferri! E se muoio durante l’operazione?” si terrorizzò Enrico, realizzando all’improvviso che nel giro di breve l’avrebbero addormentato.
E se non si fosse più svegliato?
Cosa avrebbe dato per una bella pizza gigante e qualche cornetto, prima di rischiare la morte!
“Smettila!” tuonò di nuovo Marco. “Il dottor Bartolini fa questo mestiere da oltre trent’anni. Sei in ottime mani. E ora, per piacere, piantala di frignare e comportati in maniera dignitosa. Mezza cartuccia...”
“Bene, tra poco cominceremo. Ma prima, ragazzi, vorrei complimentarmi con voi per l’ottimo lavoro che state svolgendo con il vostro amico”, disse il dottore, andando a stringer loro la mano. “Una volta ripresosi dall’intervento, vi darò il nome di una brava psicologa e manderemo Enrico in psicoterapia per capire e affrontare tutte le problematiche, che lo spingono verso il cibo. Posso contare su di voi?”
“Ovvio!” esclamò Cristina, ammiccando al gemello. “Anche se, francamente, dottore, credo che il suo unico problema psicologico si chiami golosità.”
Il dottore non fece in tempo a replicare.
Perché fu proprio in quel momento che accadde l’imprevedibile.
Mentre sia il dottore che i suoi detentori erano distratti a parlare di scempiaggini e assurdità come la psicoterapia, Enrico venne colto da un impeto di terrore che gli diede la spinta ad alzarsi e a tentare la fuga. Scese dal letto e uscì di “corsa” dalla sua stanza, tagliando la corda.
“Torna qui, lurido grassone!” gridò Marco, essendosi accorto della sua fuga.
“Sta scappando!” gridò Cristina. “Prendiamolo!”
I tre scattarono all’inseguimento, Marco col suo fucile ad aria compressa perennemente tra le braccia, mentre Enrico arrancava lungo il corridoio.
Il dottor Bartolini si affacciò alla porta e si godette la scenetta, ghignando sotto i baffi. Come si poteva non ridere quando c’erano Enrico e i suoi adorati coinquilini nei paraggi? Veder Enrico correre disperato come non aveva mai fatto in tutta la sua vita era sinonimo di grandi speranze per il recupero completo della sua mobilità, ma anche di divertimento! Aveva la faccia rossa come un peperone, ma era talmente terrorizzato, che il panico superò persino la sua pigrizia e lo sforzo fisico da sopportare per correre quasi come una persona normale.
“NO! IO NON LO VOGLIO FARE, L’INTERVENTO! IO NON VOGLIO MORIRE SOTTO I FERRI!” gridava disperato, mentre fuggiva.
“Invece, lo farai! Eccome se lo farai! Vigliacco di un lurido grassone che non sei altro!” esclamò Marco, che ormai l’aveva quasi raggiunto e senza troppe difficoltà.
Ma Enrico colse al volo un’occasione e s’infilò nel primo ascensore libero che trovò e premette il pulsante del piano terra per fuggire dall’ospedale.
Marco grugnì, cercando di usare il cervello, mentre i gemelli Guaiotti si stavano già catapultando lungo le scale, nel folle tentativo di anticipare l’ascensore. Enrico scese dall’ascensore e si diresse di gran passo verso l’uscita, ringraziando per la prima e unica volta tutte le passeggiate, le sedute di idroterapia e gli allenamenti in palestra a cui i suoi detentori lo avevano sottoposto a forza.
“Eccolo lì!” lo indicò Cristina, scendendo gli ultimi gradini.
“Prendiamolo!” si gasò Leonida, balzando giù.
I due gemelli lo inseguirono, si avvicinavano sempre di più, Enrico spalancò la porta dell’ospedale, la porta verso la libertà... E si ritrovò un fucile ad aria compressa puntato al petto.
Marco sorrise, un ghigno vittorioso di sadica soddisfazione. “Stai andando da qualche parte, lurido grassone?”
Enrico si voltò per tornare indietro, ma i gemelli Guaiotti gli bloccarono il passo. Ormai era circondato.
“C-come hai f-fatto ad arrivare o-prima?” iniziò a sudare freddo Enrico.
“Mai sentito parlare di scala anti-incendio?” ghignò Marco.
“Bella mossa, Marco!” si complimentò Cristina.
“Già! Davvero un colpo da maestro! Prendere la scala anti-incendio, precederci tutti e aspettare qui il Cicciobomba!” incalzò Leonida.
“Grazie, ragazzi. Complimenti anche a voi. Bell’inseguimento. Quanto a te, lurido grassone, bel tentativo, ma con quella pancia lardosa e quel culo enorme che ti ritrovi, non puoi pensare di competere con tre sportivi di alto livello come noi. E adesso, torna di sopra. Fila!”
Enrico alzò le mani in segno di resa e, tremolante, iniziò a camminare verso l’ascensore.
Ma Marco gli sparò due colpi alle natiche. “No! Su per le scale! Avanti! Fila!”
Enrico piagnucolò e iniziò a salire le scale.
“Più in fretta, più in fretta!” incalzò Marco, sparandogli di nuovo.
Sempre alle natiche.
I gemelli Guaiotti che lo avevano preso a braccetto da ambo i lati, per evitare che tentasse la fuga un’altra volta.
“Siamo qui, dottore!” esclamarono i due in coro, mentre il dottor Bartolini faticava a trattenere il ghigno divertito.
“Bel lavoro, ragazzi! Io vado. Ci vediamo tra poco in sala operatoria, Enrico!”
Il dottore si congedò per andare a prepararsi per l’intervento e Marco spinse Enrico per la schiena col fucile ad aria compressa per obbligarlo a stendersi. E, per evitare che fuggisse ancora, i gemelli Guaiotti lo legarono al letto.
Poco dopo, arrivarono gli infermieri che lo misero in barella per scortarlo in sala operatoria, Marco e i gemelli dietro di loro per tenerlo sotto stretta sorveglianza. Prima che gli infermieri lo portassero dentro, Marco ne afferrò uno per un braccio.
“Siamo qui fuori, qualora dovesse fare storie. Ci chiami, se avete bisogno di rinforzi”, gli disse, mostrandogli il fucile ad aria compressa.
“Non dubitate. Sarà fatto”, ridacchiò l’infermiere divertito.
La soglia si spalancò, per poi richiudersi sonoramente.
Ed Enrico sparì in sala operatoria, tutto piagnucolante e tremolante come una foglia.
Per lui era la fine.
Il pensiero di non sentire più lo stimolo della fame e non riuscire più ad abbuffarsi lo terrorizzava più dei possibili imprevisti, che sarebbero potuti capitargli sotto i ferri.
Sì.
Comunque sarebbe andata, per lui era DECISAMENTE la fine.

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