sabato 7 aprile 2018

UN MANIGOLDO PER GENERO - 2° STAGIONE - 13° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli



Albert rientrò a casa non molto dopo, con la moglie Hilary che accorse premurosa a prendersi cura di lui, ancora un po’ sconvolta dallo stato psicologico di Elizabeth, che tra le convulsioni e i singhiozzi aveva raccontato l’accaduto col prezioso aiuto di Alex. Vedere Elizabeth in uno stato tanto pietoso le aveva tolto dieci anni della sua vita. Per fortuna c’era Alex. Ora che Elizabeth si sentiva meglio, la preoccupazione di Hilary era tutta rivolta al marito.
“Albert, tesoro!” gli corse incontro Hilary non appena lo vide rientrare, gettandogli le braccia al collo. “Come ti senti?”
“Sto bene, Hilary. Davvero. Ho solo bisogno di un po’ di ghiaccio. Ho già fatto degli impacchi in commissariato. Con le accuse che abbiamo mosso contro di loro, vedrai che quelli non usciranno tanto presto di galera.”
Albert, orgoglioso com’era, non diede a vedere quanto in realtà si fosse spaventato, non tanto per sé, ma per sua figlia. “Come sta Elizabeth?” chiese poi a sua moglie, non riuscendo del tutto a nascondere la sua preoccupazione.
Hilary gli porse del ghiaccio da mettersi in fronte, sapendo come il marito si sentiva. Era un tipo molto chiuso e introverso per quanto riguardava l’aspetto emotivo. Si teneva sempre tutto dentro, il che amplificava alle stelle il suo dolore e le sue sofferenza.
“Meglio. Adesso dorme. E’ sceso Alex poco fa a dirmelo. Avresti dovuto vedere con quanto amore si è preso cura di lei, quando l’ha portata a casa.”
“Lo so. Si è calmata, quindi.”
Hilary rimase quasi sconvolta da quel suo “lo so”. Forse Albert si stava rendendo conto che Alex non era così malamente come lui pensava. Forse si stava rendendo conto che i veri delinquenti erano altri. “Sì, Albert. Si è calmata. Ma ce ne è voluto di tempo. Piangeva, tremava, aveva le convulsioni... Ha subito un grosso trauma, poverina. Era sotto shock. Per fortuna, Alex è riuscito a tranquillizzarla un po’.”
“Come ha fatto?”
“L’ha coccolata tantissimo e l’ha sempre tenuta stretta tra le braccia, infondendole così calore e sicurezza. Lei non riusciva a staccarsi da lui, tanto era terrorizzata e sotto shock. Credo che tra le braccia di Alex si sentisse protetta e al sicuro da tutto e da tutti. Alex l’ha portata di sopra con sé e hanno fatto bagno caldo insieme. Poi le ha preparato una camomilla, l’ha coccolata di nuovo in camera sua e poi lei si è addormentata.”
Albert rimuginò sulla tazza fumante di tè che gli aveva appena portato sua moglie. Lo sguardo sempre più imperscrutabile. “Devo parlare con Alex”, disse dopo qualche minuto di strano silenzio. Silenzio in cucina, ma non nella sua mente.
“Sì, va’ pure di sopra. Non credo che dorma già. Ha detto che sarebbe rimasto sveglio a vegliare su Elizabeth per un po’, finché non fosse stato sicuro che dormisse tranquilla.”
Albert ingurgitò il suo tè in un secondo, con tanta foga, che quasi si bruciò la gola, si alzò dalla sedia scattante come una molla e si precipitò al piano di sopra. Spense la luce in corridoio, così da non far entrare troppa luce nella stanza di Elizabeth. Decise di non bussare. Avrebbe potuto svegliarla. Piuttosto, iniziò a socchiudere lentamente la porta. Quando si sporse sull’uscio, trovò Elizabeth beatamente addormentata, bella come un angelo, tranquilla come un fiore e Alex, ancora sveglio e vegeto, semidisteso accanto a lei, che la teneva tra le braccia e la riempiva di coccole e carezze. Il cuore di pietra di Albert quasi si sciolse di fronte a tale scena. Sì, proprio il suo gelido cuore di pietra. Alex sollevò lo sguardo vigile e attento, quando Albert entrò di soppiatto nella stanza. Gli lanciò un eloquente sguardo interrogativo, che Albert lesse all’istante. Gli fece cenno col capo di seguirlo un momento fuori.
“Torno subito, amore mio. Sono proprio qui fuori”, sussurrò nell’orecchio alla sua Elizabeth, prima di scoccarle un silenzioso bacino sulla tempia e seguire Albert in corridoio. “Allora, Capo? Come andiamo? Li ha già sbattuti dentro?” gli chiese Alex una volta in corridoio sulla soglia socchiusa.
“Ci puoi giurare e non usciranno per un bel po’, anche se... A dire il vero, ora sono con degli agenti sotto custodia, stesi in un letto d’ospedale. Non ci sei andato liscio. Hanno riportato diverse fratture multiple in ogni dove del corpo.”
“Capo, se lo sono meritato. Ringrazi che non li ho uccisi. Lo avrei volentieri fatto. Solo che io non sono un assassino. E lei, capo? Come sta?”
“Bene, non è niente di grave. Sono stato al pronto soccorso e mi hanno detto che con del ghiaccio passerà.”
“Aspetti comunque un po’ per andare a dormire. Sa, il trauma cranico.”
Albert gli lanciò uno strano e indecifrabile sguardo. “Ti volevo ringraziare, Alex. Per aver salvato Elizabeth e per tutto quello che hai fatto per lei. Devo ammettere che se non fossi arrivato tu... Io non sono riuscito a proteggerla.”
“Quelli sono dei vigliacchi, Capo! L’hanno colpita alle spalle, non hanno avuto il coraggio di affrontarla alla pari! Non se ne faccia una colpa”, lo rincuorò Alex, sapendo quanto fosse valoroso Albert in campo. Alle volte, fino all’esagerazione.
“Lo so, Alex, che sono dei vigliacchi. Sta comunque di fatto che io non sono riuscito a proteggerla e che se non fossi arrivato tu, l’avrebbero stuprata in tre. L’avremmo persa, quella bambina. E io sarei morto con lei.”
Albert si asciugò una lacrima scappata al suo controllo, sotto lo sguardo intenerito di Alex. Ora, Alex capiva l’atteggiamento iper-protettivo di Albert nei confronti della figlia. Insieme alla moglie Hilary, Elizabeth era quanto di più prezioso possedesse al mondo. Voleva davvero un gran bene a sua figlia.
“Capo, lei non mi deve ringraziare. Io amo Elizabeth. Avrei preferito morire, piuttosto che lasciarla nelle luride zampe di quei tre pervertiti!”
“Sei stato in gamba, Alex. Sei stato davvero molto coraggioso.”
“Capo, lei ormai dovrebbe saperlo meglio di me, che io sono un esperto di risse! Vede che a volte essere un po’ manigoldo serve a qualcosa?”
Albert si lasciò sfuggire un divertito sorrisetto d’assenso. “Devo dartene atto, Alex. Hai salvato mia figlia. E me. Ti devo la vita.” Albert non riuscì a far sì che il suo orgoglio gli bloccasse quella frase in gola. L’uomo gli diede qualche paterna pacchetta sulla spalla, in segno di riconoscenza.
Alex ricambiò il gesto. “Grazie Capo! Senta, perché non mi fa collaborare con la polizia? Sa quanti gliene sbatto dentro di delinquenti come quelli?”
Albert si lasciò sfuggire una risata divertita. “Non esagerare adesso, Alex. Ricordati che sei sempre un manigoldo.”
“Ex-manigoldo, Capo! Ho consegnato alla giustizia tre stupratori. Si assicuri che abbiano il massimo della pena. Chi tratta così una donna non merita compassione. Le donne non sono oggetti da sbattere a destra e a manca per soddisfare una voglia o un capriccio. Le donne sono esseri umani, sono un tesoro prezioso da custodire e come tali vanno rispettate.”
Albert si sorprese di quanto fosse grande e maturo il cuore da canaglia di Alex. Si maledisse per non averlo visto prima. “Sì, lo farò. Sono d’accordo con te. Però per me resti sempre un manigoldo!” esclamò Albert in tono quasi affettivo, battendogli qualche altra pacchetta sulla spalla. “Buonanotte, Alex. Abbi cura di mia figlia.”
“Lo farò, Capo. Ora torno da lei. Buonanotte.”
Albert osservò Alex entrare e richiudere silenzioso e leggero come un gatto la porta della camera di Elizabeth. Rimase lì, fermo a pensare per qualche minuto. Poi scese di sotto, recuperò sua moglie e se ne andarono anche loro a dormire.

Alex non aveva chiuso occhio tutta la notte. Era rimasto sveglio fino all’alba per vegliare su Elizabeth. Se aveva dormito un paio d’ore, era davvero dir tanto. La violenta scena che gli si era presentata una volta giunto al parcheggio del cinema era stata raccapricciante. Aveva risvegliato in lui vecchi e orribili ricordi. Fantasmi del passato. Quando suo padre tornava a casa ubriaco, dopo aver perso ogni centesimo al gioco e picchiava prima il figlio, poi sua madre per costringerla a passare la notte con lui. Le grida disperate della madre, obbligata con la violenza a piegarsi alla volontà del marito, rimbombavano sorde e cupe nella sua testa. E le grida di Elizabeth che chiamava aiuto disperata... Erano proprio come quelle di sua madre. Strazianti e prive di speranza. Se solo pensava a ciò che sarebbe potuto accadere a Elizabeth, alla sua Elizabeth, al suo tesoro più prezioso... Ma era andato tutto bene. Lui era arrivato in tempo per salvarla. L’aveva protetta. Non era mai riuscito a proteggere sua madre perché era solo un bambino indifeso e spaventato, ma ora era grande, forte, ribelle e infuriato. Era riuscito a proteggere Elizabeth. Forse, le sue grida non l’avrebbero tormentato. Non come ancora lo tormentavano quelle di sua madre. Elizabeth stava bene. Ed era lì, con lui. Sana e salva. E dormiva come un angelo, bella come una fata dei boschi. Serena. Il che irradiò serenità anche a lui. Si appisolò alle prime luci del Sole, ma il suo sonno leggero non durò a lungo. Dormì solo un paio d’ore e si risvegliò di soprassalto col pensiero che Elizabeth non doveva aprire gli occhi mentre lui dormiva ancora pesantemente. Si alzò e le preparò la colazione. L’avrebbe svegliata presto come lei era solita fare per andare alle prove. Non voleva che rimanesse a casa a rimuginare su quella brutta avventura. Doveva alzarsi e vivere come aveva sempre fatto. Perché era tutto finito. Perché stava più che bene. Perché era sana e salva. Perché lui l’aveva protetta.
Le preparò quello che a lei piaceva di più e glielo portò in camera.
“Buongiorno, amore.”
Elizabeth sentì il sussurro della sensuale voce di Alex nelle sue orecchie. Mise a fatica a fuoco la sua immagine, mentre tentava, ancora assonnata, di aprire bene gli occhi. “Buongiorno a te, amore”, ricambiò lei tra una serie di profondi sbadigli.
Sentì le calde e morbide labbra di Alex sulle sue. Si lasciò andare al suo tenero bacio di risveglio.
“Come ti senti?” le chiese poi, premuroso.
“Meglio. Grazie di essermi stato accanto tutta la notte.”
“Ti sarei rimasto accanto in ogni caso. Ti ho preparato e portato qui la colazione!”
Alex si alzò dal letto e le portò l’artistico vassoio pieno di cose buone da mangiare.
“Ah, Alex, Alex! Riesci sempre a stupirmi! Grazie.”
“Riesco sempre a stupirti, perché io sono Alex...”
“E di Alex ce n’è uno solo!” concluse lei per lui, con un dolce sorriso appena ritrovato. Un sorriso che sciolse e scaldò il cuore impaurito di Alex. Temeva che non riuscisse a superare la cosa. Invece, stava già meglio.
“Così, però, mi vizi!” scherzò lei.
“Ti vizio, perché meriti di essere viziata. Per lo meno da me. Ti amo.”
“Ti amo anch’io”, ricambiò Elizabeth, prima che Alex poggiasse le labbra sulle sue.
“Sai Elizabeth, che ieri sera è venuto a parlarmi tuo padre?” riprese poi Alex.
Ci mancò poco perché a Elizabeth andasse di traverso la cioccolata calda che le aveva preparato Alex con tanto amore. “Mio padre?!” esclamò con sgomento tra un colpetto di tosse e l’altro.
“Sì, tuo padre.”
“E che ti ha detto?”
Alex le raccontò per fila e per segno la sua chiacchierata notturna con Albert.
“Chissà che non si stia ricredendo su di te”, commentò speranzosa Elizabeth.
“Bah, io credo di sì, solo che non lo darà mai a vedere. Troppo orgoglioso.”
La coppia scese in soggiorno dopo aver gustato la golosa e accattivante colazione preparata da Alex.
Albert finiva di prepararsi per andare in centrale, come sempre. E non diede addosso ad Alex quando li vede scendere mano nella mano.
“Salve Capo!” lo salutò lui come se nulla fosse.
“Ciao papà!” lo imitò Elizabeth radiosa.
Albert sentì uno strano calore diffondersi nel suo cuore, quando la vide sorridente come tutte le mattine.
“Buongiorno, ragazzi”, ricambiò pacato e sereno, sotto lo sguardo sbigottito di tutti.
Alex ed Elizabeth si scambiarono un’occhiata complice come dirsi: “Avevamo ragione. Si sta ricredendo.”
“Come stai tesoro?” chiese poi Albert a sua figlia, accarezzandole paternamente la guancia.
“Molto meglio, papà. Grazie ad Alex! E tu? Come vanno la tua testa e il tuo stomaco? Mi hai fatto stare in pena!”
“Sto benone, Elizabeth. Sono un osso duro, io!”
“Ah, non ne dubito, Capo! Ora accompagno Elizabeth alle prove, prima che faccia tardi!”
Elizabeth non sapeva più se aspettarsi le solite reazione nervose o qualcos’altro.
“Molto bene. Basta che tu vada piano! Io scappo in centrale.”
Alex lo guardò con un sorrisetto beffardo stampato in volto. “Vada piano anche lei, Capo, o si prenderà una multa!” gli gridò canagliesco già sulla soglia.
Albert rimase in soggiorno a guardarli dalla finestra, mentre salivano in macchina e partivano. La sgommata tipica di Alex risuonò in tutto il viale. “Ma tu guarda quella canaglia!” commentò ad alta voce, per la prima volta allegro e sorridente.
Lo aveva giudicato male e troppo in fretta. Solo dalle apparenza. Comprese di aver sbagliato. E quanto avesse sbagliato. Ora lo sapeva. Alex era davvero un ragazzo in gamba.

Nelle settimane a seguire, Elizabeth aveva completamente dimenticato la traumatizzante disavventura vissuta quella sera. Alex non mancava mai di farle sentire il suo amore nell’anima, né di regalarle teneri e simpatici sorrisi, né di farle toccare con mano la propria passionalità. Anche la situazione in casa sembrava più distesa. Non che Albert facesse salti di gioia quando vedeva Alex gironzolare per casa, ma non lo trattava più come poco tempo prima. Il suo orgoglio gli impediva di rendergli tutto l’affetto che si meritava. Tutto sembrava sistemarsi. Elizabeth era convinta che fosse stato il destino a far sì che si creasse quell’orrida situazione, in cui Alex avrebbe potuto salvarla e finalmente conquistarsi il consenso e l’affetto di Albert. Elizabeth sapeva bene che, nonostante la sua freddezza, suo padre si fosse ricreduto completamente su Alex, ma che ancora non riusciva neanche ad ammetterlo con se stesso. Intanto le registrazioni della band proseguivano a gonfie vele e i ragazzi continuavano a suonare di tanto in tanto in giro per la città per far sì che il pubblico non si dimenticasse mai di loro. Tutto sembrava stesse tornando al suo posto.
Ma le sorprese, si sa, non mancano mai.
Un evento quasi inaspettato la indusse a spedire ad Alex un bizzarro pacco in studio...
“Ottimo lavoro, ragazzi!” si complimentò Alex coi ragazzi, mentre sorseggiavano un caffè, dopo aver concluso la registrazione di un pezzo intero. Ridevano e scherzavano, si compiacevano del duro che stavano svolgendo e delle soddisfazioni che riempivano di gioia le loro giornate. La loro pausa fu interrotta da un insistente bussare alla porta del loro nuovo studio di registrazione. Alex accorse ad aprire. Rimase sorpreso, quando si trovò di fronte una persona che neanche rientrava nella sua lista mentale di chi si aspettava di vedere.
“Un pacco per Alex Tennence”, comunicò telegraficamente il corriere.
“Sono io”, rispose senza nascondere il suo sconcerto.
“Firmi qua.”
Alex fece quanto chiestogli con davvero poca convinzione. Portò il pacco nel soggiorno e lo aprì.
“E’ di... Elizabeth?” esclamò con un certo sgomento, quando lesse il mittente.
E lo sgomento aumentò quando afferrò lo strano oggetto contenuto al suo interno. “Eh?! Un peluche di cicogna? Ma è impazzita?”
Sfilò sempre più curioso e confuso il biglietto che il soffice, finto animale teneva nel becco, lo scartò in fretta e furia e lo lesse.
“Sto portando un bambino ad Alex ed Elizabeth. Sono già in viaggio...”
Nell’istante che seguì, una serie di emozioni a raffica prese vita nel cuore di Alex. Passato il primo momento di stupore e spiazzamento, prese il sopravvento una calda gioia che gli perfuse l’anima. Si portò una mano alla bocca per la contentezza e iniziò a piangere commosso. Era felice. Per la prima volta in vita sua, era felice. Davvero felice.
I ragazzi della band lo raggiunsero in soggiorno e lo guardarono come se fosse impazzito.
“Che è ‘sto pupazzo?” chiese Edward, iniziando ad armeggiare curioso col peluche.
“Alex? Alex, ma che hai?” gli domandò Christopher, più preoccupato per Alex che per il peluche con cui Edward stava già giocando.
Alex gli porse il biglietto, dal momento che la così grande emozione lo aveva così commosso e travolto, a tal punto da avergli tolto la parola.
“Congratulazioni!” gridò Christopher contento, attirando l’attenzione di tutti e facendo sobbalzare Edward che era completamente intento e assorbito nel giocare con la cicogna. Peggio dei bambini piccoli.
“Che succede?” chiese burbero il ricciolino, seccato di aver dovuto così bruscamente interrompere la sua intensa e divertente attività ludica.
“Alex ed Elizabeth stanno per avere un bambino! Elizabeth è incinta!” comunicò Christopher, auto-elettosi portavoce ufficiale di Alex, che era rimasto lì imbambolato a piangere dalla gioia, con ancora lo scatolone del peluche sulle gambe.
Edward lasciò perdere di colpo il peluche, come se questo avesse perso per lui ogni attrattiva, e insieme ai suoi amici, tutti insieme saltarono addosso ad Alex, riempendolo caldi abbracci e fraterne pacche sulle spalle. “E non ne eri innamorato, eh! Sei finito proprio male!” scherzò Edward, sadicamente soddisfatto di aver sempre avuto ragione sullo stato sentimentale del suo amico.
“Tanto prima o poi toccherà anche a te!” ribatté Alex, indignato, avendo finalmente recuperato se stesso e la parola. E la sua impudenza da adorabile canaglia.
“Impossibile, caro il mio Alex!”
“Anch'io lo pensavo di me stesso e invece, eccomi qua! Tanto prima o poi toccherà anche a te, quando meno te lo aspetti! E ora se non vi dispiace, fatemi chiamare il fioraio! Consegna urgente!"


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