Albert rientrò a casa non molto dopo, con la moglie Hilary che accorse
premurosa a prendersi cura di lui, ancora un po’ sconvolta dallo stato
psicologico di Elizabeth, che tra le convulsioni e i singhiozzi aveva
raccontato l’accaduto col prezioso aiuto di Alex. Vedere Elizabeth in uno stato
tanto pietoso le aveva tolto dieci anni della sua vita. Per fortuna c’era Alex.
Ora che Elizabeth si sentiva meglio, la preoccupazione di Hilary era tutta
rivolta al marito.
“Albert, tesoro!” gli corse incontro Hilary non appena lo vide
rientrare, gettandogli le braccia al collo. “Come ti senti?”
“Sto bene, Hilary. Davvero. Ho solo bisogno di un po’ di ghiaccio. Ho
già fatto degli impacchi in commissariato. Con le accuse che abbiamo mosso
contro di loro, vedrai che quelli non usciranno tanto presto di galera.”
Albert, orgoglioso com’era, non diede a vedere quanto in realtà si
fosse spaventato, non tanto per sé, ma per sua figlia. “Come sta Elizabeth?”
chiese poi a sua moglie, non riuscendo del tutto a nascondere la sua
preoccupazione.
Hilary gli porse del ghiaccio da mettersi in fronte, sapendo come il
marito si sentiva. Era un tipo molto chiuso e introverso per quanto riguardava
l’aspetto emotivo. Si teneva sempre tutto dentro, il che amplificava alle
stelle il suo dolore e le sue sofferenza.
“Meglio. Adesso dorme. E’ sceso Alex poco fa a dirmelo. Avresti dovuto
vedere con quanto amore si è preso cura di lei, quando l’ha portata a casa.”
“Lo so. Si è calmata, quindi.”
Hilary rimase quasi sconvolta da quel suo “lo so”. Forse Albert si
stava rendendo conto che Alex non era così malamente come lui pensava. Forse si
stava rendendo conto che i veri delinquenti erano altri. “Sì, Albert. Si è
calmata. Ma ce ne è voluto di tempo. Piangeva, tremava, aveva le convulsioni...
Ha subito un grosso trauma, poverina. Era sotto shock. Per fortuna, Alex è
riuscito a tranquillizzarla un po’.”
“Come ha fatto?”
“L’ha coccolata tantissimo e l’ha sempre tenuta stretta tra le
braccia, infondendole così calore e sicurezza. Lei non riusciva a staccarsi da
lui, tanto era terrorizzata e sotto shock. Credo che tra le braccia di Alex si
sentisse protetta e al sicuro da tutto e da tutti. Alex l’ha portata di sopra
con sé e hanno fatto bagno caldo insieme. Poi le ha preparato una camomilla,
l’ha coccolata di nuovo in camera sua e poi lei si è addormentata.”
Albert rimuginò sulla tazza fumante di tè che gli aveva appena portato
sua moglie. Lo sguardo sempre più imperscrutabile. “Devo parlare con Alex”,
disse dopo qualche minuto di strano silenzio. Silenzio in cucina, ma non nella
sua mente.
“Sì, va’ pure di sopra. Non credo che dorma già. Ha detto che sarebbe
rimasto sveglio a vegliare su Elizabeth per un po’, finché non fosse stato
sicuro che dormisse tranquilla.”
Albert ingurgitò il suo tè in un secondo, con tanta foga, che quasi si
bruciò la gola, si alzò dalla sedia scattante come una molla e si precipitò al
piano di sopra. Spense la luce in corridoio, così da non far entrare troppa
luce nella stanza di Elizabeth. Decise di non bussare. Avrebbe potuto
svegliarla. Piuttosto, iniziò a socchiudere lentamente la porta. Quando si
sporse sull’uscio, trovò Elizabeth beatamente addormentata, bella come un
angelo, tranquilla come un fiore e Alex, ancora sveglio e vegeto, semidisteso
accanto a lei, che la teneva tra le braccia e la riempiva di coccole e carezze.
Il cuore di pietra di Albert quasi si sciolse di fronte a tale scena. Sì,
proprio il suo gelido cuore di pietra. Alex sollevò lo sguardo vigile e attento,
quando Albert entrò di soppiatto nella stanza. Gli lanciò un eloquente sguardo
interrogativo, che Albert lesse all’istante. Gli fece cenno col capo di
seguirlo un momento fuori.
“Torno subito, amore mio. Sono proprio qui fuori”, sussurrò
nell’orecchio alla sua Elizabeth, prima di scoccarle un silenzioso bacino sulla
tempia e seguire Albert in corridoio. “Allora, Capo? Come andiamo? Li ha già
sbattuti dentro?” gli chiese Alex una volta in corridoio sulla soglia
socchiusa.
“Ci puoi giurare e non usciranno per un bel po’, anche se... A dire il
vero, ora sono con degli agenti sotto custodia, stesi in un letto d’ospedale.
Non ci sei andato liscio. Hanno riportato diverse fratture multiple in ogni
dove del corpo.”
“Capo, se lo sono meritato. Ringrazi che non li ho uccisi. Lo avrei
volentieri fatto. Solo che io non sono un assassino. E lei, capo? Come sta?”
“Bene, non è niente di grave. Sono stato al pronto soccorso e mi hanno
detto che con del ghiaccio passerà.”
“Aspetti comunque un po’ per andare a dormire. Sa, il trauma cranico.”
Albert gli lanciò uno strano e indecifrabile sguardo. “Ti volevo
ringraziare, Alex. Per aver salvato Elizabeth e per tutto quello che hai fatto
per lei. Devo ammettere che se non fossi arrivato tu... Io non sono riuscito a
proteggerla.”
“Quelli sono dei vigliacchi, Capo! L’hanno colpita alle spalle, non
hanno avuto il coraggio di affrontarla alla pari! Non se ne faccia una colpa”,
lo rincuorò Alex, sapendo quanto fosse valoroso Albert in campo. Alle volte,
fino all’esagerazione.
“Lo so, Alex, che sono dei vigliacchi. Sta comunque di fatto che io
non sono riuscito a proteggerla e che se non fossi arrivato tu, l’avrebbero
stuprata in tre. L’avremmo persa, quella bambina. E io sarei morto con lei.”
Albert si asciugò una lacrima scappata al suo controllo, sotto lo
sguardo intenerito di Alex. Ora, Alex capiva l’atteggiamento iper-protettivo di
Albert nei confronti della figlia. Insieme alla moglie Hilary, Elizabeth era
quanto di più prezioso possedesse al mondo. Voleva davvero un gran bene a sua
figlia.
“Capo, lei non mi deve ringraziare. Io amo Elizabeth. Avrei preferito
morire, piuttosto che lasciarla nelle luride zampe di quei tre pervertiti!”
“Sei stato in gamba, Alex. Sei stato davvero molto coraggioso.”
“Capo, lei ormai dovrebbe saperlo meglio di me, che io sono un esperto
di risse! Vede che a volte essere un po’ manigoldo serve a qualcosa?”
Albert si lasciò sfuggire un divertito sorrisetto d’assenso. “Devo
dartene atto, Alex. Hai salvato mia figlia. E me. Ti devo la vita.” Albert non
riuscì a far sì che il suo orgoglio gli bloccasse quella frase in gola. L’uomo
gli diede qualche paterna pacchetta sulla spalla, in segno di riconoscenza.
Alex ricambiò il gesto. “Grazie Capo! Senta, perché non mi fa
collaborare con la polizia? Sa quanti gliene sbatto dentro di delinquenti come
quelli?”
Albert si lasciò sfuggire una risata divertita. “Non esagerare adesso,
Alex. Ricordati che sei sempre un manigoldo.”
“Ex-manigoldo, Capo! Ho consegnato alla giustizia tre stupratori. Si
assicuri che abbiano il massimo della pena. Chi tratta così una donna non
merita compassione. Le donne non sono oggetti da sbattere a destra e a manca
per soddisfare una voglia o un capriccio. Le donne sono esseri umani, sono un
tesoro prezioso da custodire e come tali vanno rispettate.”
Albert si sorprese di quanto fosse grande e maturo il cuore da
canaglia di Alex. Si maledisse per non averlo visto prima. “Sì, lo farò. Sono
d’accordo con te. Però per me resti sempre un manigoldo!” esclamò Albert in
tono quasi affettivo, battendogli qualche altra pacchetta sulla spalla.
“Buonanotte, Alex. Abbi cura di mia figlia.”
“Lo farò, Capo. Ora torno da lei. Buonanotte.”
Albert osservò Alex entrare e richiudere silenzioso e leggero come un
gatto la porta della camera di Elizabeth. Rimase lì, fermo a pensare per
qualche minuto. Poi scese di sotto, recuperò sua moglie e se ne andarono anche
loro a dormire.
Alex non aveva chiuso occhio tutta la notte. Era rimasto sveglio fino
all’alba per vegliare su Elizabeth. Se aveva dormito un paio d’ore, era davvero
dir tanto. La violenta scena che gli si era presentata una volta giunto al
parcheggio del cinema era stata raccapricciante. Aveva risvegliato in lui
vecchi e orribili ricordi. Fantasmi del passato. Quando suo padre tornava a
casa ubriaco, dopo aver perso ogni centesimo al gioco e picchiava prima il
figlio, poi sua madre per costringerla a passare la notte con lui. Le grida
disperate della madre, obbligata con la violenza a piegarsi alla volontà del
marito, rimbombavano sorde e cupe nella sua testa. E le grida di Elizabeth che
chiamava aiuto disperata... Erano proprio come quelle di sua madre. Strazianti
e prive di speranza. Se solo pensava a ciò che sarebbe potuto accadere a
Elizabeth, alla sua Elizabeth, al suo tesoro più prezioso... Ma era andato
tutto bene. Lui era arrivato in tempo per salvarla. L’aveva protetta. Non era
mai riuscito a proteggere sua madre perché era solo un bambino indifeso e
spaventato, ma ora era grande, forte, ribelle e infuriato. Era riuscito a
proteggere Elizabeth. Forse, le sue grida non l’avrebbero tormentato. Non come
ancora lo tormentavano quelle di sua madre. Elizabeth stava bene. Ed era lì,
con lui. Sana e salva. E dormiva come un angelo, bella come una fata dei
boschi. Serena. Il che irradiò serenità anche a lui. Si appisolò alle prime
luci del Sole, ma il suo sonno leggero non durò a lungo. Dormì solo un paio
d’ore e si risvegliò di soprassalto col pensiero che Elizabeth non doveva
aprire gli occhi mentre lui dormiva ancora pesantemente. Si alzò e le preparò
la colazione. L’avrebbe svegliata presto come lei era solita fare per andare
alle prove. Non voleva che rimanesse a casa a rimuginare su quella brutta
avventura. Doveva alzarsi e vivere come aveva sempre fatto. Perché era tutto
finito. Perché stava più che bene. Perché era sana e salva. Perché lui l’aveva
protetta.
Le preparò quello che a lei piaceva di più e glielo portò in camera.
“Buongiorno, amore.”
Elizabeth sentì il sussurro della sensuale voce di Alex nelle sue
orecchie. Mise a fatica a fuoco la sua immagine, mentre tentava, ancora
assonnata, di aprire bene gli occhi. “Buongiorno a te, amore”, ricambiò lei tra
una serie di profondi sbadigli.
Sentì le calde e morbide labbra di Alex sulle sue. Si lasciò andare al
suo tenero bacio di risveglio.
“Come ti senti?” le chiese poi, premuroso.
“Meglio. Grazie di essermi stato accanto tutta la notte.”
“Ti sarei rimasto accanto in ogni caso. Ti ho preparato e portato qui
la colazione!”
Alex si alzò dal letto e le portò l’artistico vassoio pieno di cose
buone da mangiare.
“Ah, Alex, Alex! Riesci sempre a stupirmi! Grazie.”
“Riesco sempre a stupirti, perché io sono Alex...”
“E di Alex ce n’è uno solo!” concluse lei per lui, con un dolce
sorriso appena ritrovato. Un sorriso che sciolse e scaldò il cuore impaurito di
Alex. Temeva che non riuscisse a superare la cosa. Invece, stava già meglio.
“Così, però, mi vizi!” scherzò lei.
“Ti vizio, perché meriti di essere viziata. Per lo meno da me. Ti
amo.”
“Ti amo anch’io”, ricambiò Elizabeth, prima che Alex poggiasse le
labbra sulle sue.
“Sai Elizabeth, che ieri sera è venuto a parlarmi tuo padre?” riprese
poi Alex.
Ci mancò poco perché a Elizabeth andasse di traverso la cioccolata
calda che le aveva preparato Alex con tanto amore. “Mio padre?!” esclamò con
sgomento tra un colpetto di tosse e l’altro.
“Sì, tuo padre.”
“E che ti ha detto?”
Alex le raccontò per fila e per segno la sua chiacchierata notturna
con Albert.
“Chissà che non si stia ricredendo su di te”, commentò speranzosa
Elizabeth.
“Bah, io credo di sì, solo che non lo darà mai a vedere. Troppo
orgoglioso.”
La coppia scese in soggiorno dopo aver gustato la golosa e
accattivante colazione preparata da Alex.
Albert finiva di prepararsi per andare in centrale, come sempre. E non
diede addosso ad Alex quando li vede scendere mano nella mano.
“Salve Capo!” lo salutò lui come se nulla fosse.
“Ciao papà!” lo imitò Elizabeth radiosa.
Albert sentì uno strano calore diffondersi nel suo cuore, quando la
vide sorridente come tutte le mattine.
“Buongiorno, ragazzi”, ricambiò pacato e sereno, sotto lo sguardo
sbigottito di tutti.
Alex ed Elizabeth si scambiarono un’occhiata complice come dirsi:
“Avevamo ragione. Si sta ricredendo.”
“Come stai tesoro?” chiese poi Albert a sua figlia, accarezzandole
paternamente la guancia.
“Molto meglio, papà. Grazie ad Alex! E tu? Come vanno la tua testa e
il tuo stomaco? Mi hai fatto stare in pena!”
“Sto benone, Elizabeth. Sono un osso duro, io!”
“Ah, non ne dubito, Capo! Ora accompagno Elizabeth alle prove, prima
che faccia tardi!”
Elizabeth non sapeva più se aspettarsi le solite reazione nervose o
qualcos’altro.
“Molto bene. Basta che tu vada piano! Io scappo in centrale.”
Alex lo guardò con un sorrisetto beffardo stampato in volto. “Vada
piano anche lei, Capo, o si prenderà una multa!” gli gridò canagliesco già
sulla soglia.
Albert rimase in soggiorno a guardarli dalla finestra, mentre salivano
in macchina e partivano. La sgommata tipica di Alex risuonò in tutto il viale.
“Ma tu guarda quella canaglia!” commentò ad alta voce, per la prima volta
allegro e sorridente.
Lo aveva giudicato male e troppo in fretta. Solo dalle apparenza.
Comprese di aver sbagliato. E quanto avesse sbagliato. Ora lo sapeva. Alex era
davvero un ragazzo in gamba.
Nelle settimane a seguire, Elizabeth aveva completamente dimenticato
la traumatizzante disavventura vissuta quella sera. Alex non mancava mai di
farle sentire il suo amore nell’anima, né di regalarle teneri e simpatici
sorrisi, né di farle toccare con mano la propria passionalità. Anche la
situazione in casa sembrava più distesa. Non che Albert facesse salti di gioia
quando vedeva Alex gironzolare per casa, ma non lo trattava più come poco tempo
prima. Il suo orgoglio gli impediva di rendergli tutto l’affetto che si
meritava. Tutto sembrava sistemarsi. Elizabeth era convinta che fosse stato il
destino a far sì che si creasse quell’orrida situazione, in cui Alex avrebbe
potuto salvarla e finalmente conquistarsi il consenso e l’affetto di Albert.
Elizabeth sapeva bene che, nonostante la sua freddezza, suo padre si fosse
ricreduto completamente su Alex, ma che ancora non riusciva neanche ad
ammetterlo con se stesso. Intanto le registrazioni della band proseguivano a
gonfie vele e i ragazzi continuavano a suonare di tanto in tanto in giro per la
città per far sì che il pubblico non si dimenticasse mai di loro. Tutto
sembrava stesse tornando al suo posto.
Ma le sorprese, si sa, non mancano mai.
Un evento quasi inaspettato la indusse a spedire ad Alex un bizzarro
pacco in studio...
“Ottimo lavoro, ragazzi!” si complimentò Alex coi ragazzi, mentre
sorseggiavano un caffè, dopo aver concluso la registrazione di un pezzo intero.
Ridevano e scherzavano, si compiacevano del duro che stavano svolgendo e delle
soddisfazioni che riempivano di gioia le loro giornate. La loro pausa fu
interrotta da un insistente bussare alla porta del loro nuovo studio di
registrazione. Alex accorse ad aprire. Rimase sorpreso, quando si trovò di
fronte una persona che neanche rientrava nella sua lista mentale di chi si
aspettava di vedere.
“Un pacco per Alex Tennence”, comunicò telegraficamente il corriere.
“Sono io”, rispose senza nascondere il suo sconcerto.
“Firmi qua.”
Alex fece quanto chiestogli con davvero poca convinzione. Portò il
pacco nel soggiorno e lo aprì.
“E’ di... Elizabeth?” esclamò con un certo sgomento, quando lesse il
mittente.
E lo sgomento aumentò quando afferrò lo strano oggetto contenuto al
suo interno. “Eh?! Un peluche di cicogna? Ma è impazzita?”
Sfilò sempre più curioso e confuso il biglietto che il soffice, finto
animale teneva nel becco, lo scartò in fretta e furia e lo lesse.
“Sto portando un bambino ad Alex ed Elizabeth. Sono già in viaggio...”
Nell’istante che seguì, una serie di emozioni a raffica prese vita nel
cuore di Alex. Passato il primo momento di stupore e spiazzamento, prese il
sopravvento una calda gioia che gli perfuse l’anima. Si portò una mano alla
bocca per la contentezza e iniziò a piangere commosso. Era felice. Per la prima
volta in vita sua, era felice. Davvero felice.
I ragazzi della band lo raggiunsero in soggiorno e lo guardarono come
se fosse impazzito.
“Che è ‘sto pupazzo?” chiese Edward, iniziando ad armeggiare curioso
col peluche.
“Alex? Alex, ma che hai?” gli domandò Christopher, più preoccupato per
Alex che per il peluche con cui Edward stava già giocando.
Alex gli porse il biglietto, dal momento che la così grande emozione lo
aveva così commosso e travolto, a tal punto da avergli tolto la parola.
“Congratulazioni!” gridò Christopher contento, attirando l’attenzione
di tutti e facendo sobbalzare Edward che era completamente intento e assorbito
nel giocare con la cicogna. Peggio dei bambini piccoli.
“Che succede?” chiese burbero il ricciolino, seccato di aver dovuto
così bruscamente interrompere la sua intensa e divertente attività ludica.
“Alex ed Elizabeth stanno per avere un bambino! Elizabeth è incinta!”
comunicò Christopher, auto-elettosi portavoce ufficiale di Alex, che era
rimasto lì imbambolato a piangere dalla gioia, con ancora lo scatolone del
peluche sulle gambe.
Edward lasciò perdere di colpo il peluche, come se questo avesse perso
per lui ogni attrattiva, e insieme ai suoi amici, tutti insieme saltarono
addosso ad Alex, riempendolo caldi abbracci e fraterne pacche sulle spalle. “E
non ne eri innamorato, eh! Sei finito proprio male!” scherzò Edward,
sadicamente soddisfatto di aver sempre avuto ragione sullo stato sentimentale
del suo amico.
“Tanto prima o poi toccherà anche a te!” ribatté Alex, indignato,
avendo finalmente recuperato se stesso e la parola. E la sua impudenza da
adorabile canaglia.
“Impossibile, caro il mio Alex!”
“Anch'io lo pensavo di me stesso e invece, eccomi qua! Tanto prima o
poi toccherà anche a te, quando meno te lo aspetti! E ora se non vi dispiace,
fatemi chiamare il fioraio! Consegna urgente!"
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