“Mi dispiace che tu non abbia ancora trovato un manager! Non
preoccuparti, però. Vedrai che qualcosa salterà fuori. Io sono ottimista”, lo
rassicurò Elizabeth, mentre se ne stava abbracciata sul letto con Alex a
prendersi la sua razione di coccole, dopo aver fatto per l’ennesima volta
l’amore con lui.
“Anch’io, Elizabeth. Anch’io sono ottimista. La vita mi ha insegnato
severamente che non bisogna mai abbattersi.”
“Ti amo, Alex”, gli sussurrò lei, mentre gli riempiva il viso e il
collo di baci. Baci che lui non rifiutò.
“Ti amo anch’io, Elizabeth. Voglio solo renderti felice.”
“Ma lo sono, amore. Mi basta stare con te. Niente mi rende più
felice.”
Le loro sdolcinate smancerie e i baci appassionati furono interrotti
da un inviperito squillare di telefono.
“E’ il tuo, Alex?”
“Sì. Sì è il mio!” Lo afferrò quasi scocciato per l’interruzione e
rispose, tenendosi sempre ben stretta tra le braccia la sua Elizabeth.
“Pronto?”
Elizabeth non riuscì a capire che cosa stesse dicendo la voce maschile
dall’altra parte del telefono, sentiva solo Alex e il suo corpo galvanizzarsi e
caricarsi sempre più di energia.
“Sì, sono io. Non sta scherzando vero? Perfetto! Chiamo i ragazzi e
domani veniamo! Grazie! Grazie mille!”
Non appena Alex chiuse la chiamata, scoppiò in un attacco
incontenibile di gioia e follia. Attaccò a baciare la sua Elizabeth che tentava
di scollarsi dalle sue labbra per sapere che cosa fosse accaduto.
“Alex! Ma che è successo?” riuscì finalmente a chiedergli, dopo qualche
minuto di frenetica e folle euforia.
“Era un pezzo grosso della S&A Record Company, una delle case
discografiche più in vista! E’ venuto a vederci suonare alle tre serate!”
“Oh mio Dio, Alex! Sì, la conosco! Gli artisti più famosi sono usciti
da quella casa discografica! E che ti ha detto?” si gasò Elizabeth. Niente la
rendeva più felice della felicità di Alex. Niente la rendeva più felice del
vederlo realizzare il suo sogno dopo tanto soffrire ingiustamente.
“Vuole incontrare la band domani! Ha una proposta per noi! Forse ci
fanno un contratto!”
Elizabeth lo strinse forte, gioendo con lui. Perché Alex ed Elizabeth
erano ormai una cosa sola. “Dai, chiama i ragazzi!” lo esortò.
Alex non ci pensò due volte. Grida di gioia si elevarono dall’altra
parte del telefono, quando ogni componente della band ricevette la notizia.
“Elizabeth, amore! Dobbiamo festeggiare! Vieni qui!” esclamò,
afferrandola per far di nuovo l’amore con lei.
E lei, innamorata e felice per lui com’era, non si tirò indietro.
Finalmente si sentiva libera di vivere le proprie emozioni insieme a lui e di
essere se stessa.
L’indomani stesso, il suo Alex sarebbe andato a tentare di realizzare
il sogno che aveva nel cuore fin da quando era bambino. Vivere di musica.
Non si era mai soffermata troppo a rimuginare su quanto in realtà
fossero simili, a parte i diversi aspetti caratteriali. Lei viveva di danza.
Alex viveva di musica. La danza e la musica sono arte. Entrambi vivevano di
arte.
L’arte li aveva uniti per sempre.
Il giorno fatidico. Il giorno decisivo. L’indomani Alex e i ragazzi si
recarono all’appuntamento fissato il giorno prima da Alex e il signor Marshall
della S&A Record Company. Con un’ora di ritardo. Alex era l’unico dei sei a
essere automunito e caso disgraziato aveva voluto che la macchina li lasciasse
a piedi allo studio di registrazione, rifiutandosi di partire. Scapestrati e
disastrati, non avevano nemmeno più uno spicciolo per i mezzi pubblici,
figuriamoci per un taxi! E, ovviamente, sulla moto di Alex, in sei non ci
entravano. I cinque compari di Alex stavano già pregando i loro santi protettori
(nella speranza che ne avessero almeno uno) per una grazia. Un’ora di ritardo è
sempre un’ora di ritardo. E non avevano nemmeno un numero di telefono da
contattare. Nell’euforia del momento, Alex si era completamente dimenticato di
farselo rilasciare. E ora, dovevano solo sperare nell’indulgenza di Marshall.
Alex era l’unico a essere tranquillo e cercò di calmare anche gli altri.
Puntava tutto sulla sua solita arma vincente, che mai lo deludeva. Il suo
carisma. Non doveva dimenticarsi che lui era Alex. E, come gli ricordava sempre
Elizabeth, di Alex, ce n’era uno solo.
Fecero il loro ingresso scenico davanti alla segretaria, sperando che
Alex riuscisse a farla franca anche quella volta.
“Salve nonna! Abbiamo un appuntamento col signor Marshall!” salutò
Alex, facendosi portavoce della band.
La signora della reception, una signora raffinata il cui volto
mostrava i segni del tempo in maniera alquanto marcata, alzò gli occhi dal
computer, disgustata da tanta irriverenza.
“Io non sono tua nonna! Ma che razza di maleducati siete voi?”
“Noi siamo i Troublemakers e dobbiamo vedere il signor Marshall. Ci ha
invitati lui!” le spiegò Alex con fare casinaro.
La segretaria iniziò a spuntare la lista degli appuntamenti di
Marshall, veramente poco convinta che avesse davvero invitato quella banda di
scapestrati scavezzacollo in casa discografica.
“Ah. Sì. Sì, eccovi qui. Già un’ora di ritardo. Ottimo inizio. Devono
ancora proporvi un contratto e voi fate già le rock-star! Davvero patetico”, li
commiserò la donna, fredda e disgustata.
“Su via, nonna, non la faccia tanto lunga, eh! La macchina ci ha
lasciati a piedi e non ci entravamo tutti e sei sulla mia moto. Non abbiamo
soldi per i mezzi pubblici, quindi siamo venuti a piedi! Abbia pazienza! Tra un
po’ avremo una limousine a testa!”
La signora scosse il capo con fare scettico e sempre più disgustato.
“Questo lo vedremo... Alex, giusto?”
“Già. Sono famoso, vero?”
“No. Ho solo letto il tuo nome come promemoria degli appuntamenti di
oggi. Ufficio in fondo al corridoio, grazie.”
“Beh, presto lo sarò. Anzi, lo saremo tutti. E quando giungerà quel
momento, perché giungerà, non si azzardi a chiamarmi, nonna! Io sono già
fidanzato e sto per sposarmi! La salutiamo, nonna!”
I ragazzi si diressero con gran calma verso la porta loro indicata
dalla segretaria, ridacchiando sotto i baffi, divertiti dal solito irriverente
umorismo di Alex. Segretaria che li guardò andar via con aria sprezzante e
schifata.
“Ma tu guarda che razza di maleducati. Questi artisti!” bofonchiò tra
sé e sé, riprendendo scocciata il suo lavoro.
Quando furono alla porta, Alex bussò così forte da far sobbalzare
anche la segretaria diversi metri più giù, la quale lanciò loro un’occhiataccia
lacerante.
“Avanti”, rispose un vocione dall’interno dell’ufficio.
“Ehi! Eccoci qua!” gridò Alex, facendogli rovesciare il caffè bollente
addosso dallo spavento.
Un uomo dall’aspetto alquanto insolito se ne stava seduto alla
scrivania ad attenderli sorseggiando quello che era un caffè. Era alto, così
enorme da entrare a stento nella poltrona, col pancione di una donna incinta e
i baffetti da western. E le braccia ricoperte di tatuaggi.
“Ah, siete voi! Un’ora di ritardo... Eh rock-star!” li accolse con
finta aria di rimprovero. Aveva capito che tipo fosse Alex. Aveva già sentito
parlare di lui.
“Senta, Tricheco, abbiamo già detto alla nonna lì fuori che ho la
macchina rotta! Siamo dovuti venire a piedi, perché siamo al verde e sulla mia
moto tutti e sei non ci entravamo!” replicò Alex, con fare da canaglia
scocciata.
“Tricheco?” si sbigottì l’uomo, ridendo però sotto i baffi, mostrando
grande intelligenza e autoironia. “Mi piace il tuo senso dell’umorismo,
ragazzo. Tricheco! Hihi! Tu sei Alex!”
“Sì, esatto!”
“La tua fama ti precede, ragazzo mio!”
Alex sfoggiò un ghignetto di soddisfatta superiorità, mentre i ragazzi
cominciavano a riprendere fiato e colore. Alex ce l’aveva fatta un’altra volta.
Alex aveva colpito ancora.
“Tricheco, permetta che le presenti la band: Edward, chitarrista
solista, Jordan, chitarrista d’accompagno, Carl batterista, Christopher, bassista
e Rudy, tastierista. E io! Alex! Voce della band! In tutti i sensi!” li
presentò Alex orgoglioso.
“Lieto di conoscervi, ragazzi. Le vostre tre serate, a quanto pare,
hanno riscosso un grande successo. Siete forti, spaccate di brutto, avete pezzi
taglienti e particolari, lenti molto dolci ed elaborati... E avete un
atteggiamento vincente! Mi piace la vostra puzza di strada, l’aria strafottente
e la grande, ma sana trasgressione. Siete spontanei, siete così. Non dobbiamo
costruirvi un’immagine. E questo al grande pubblico piacerà. Quindi, veniamo a
noi. Ecco la mia proposta: suonerete in tutti i teatri, palazzetti dello sport
e locali di Los Angeles. Se riuscirete a fare il tutto esaurito in ogni dove,
vi faremo il contratto!”
I ragazzi esultarono di gioia e saltellarono in ogni dove
dell’ufficio.
“Fantastico, Tricheco! Ma non abbiamo un manager”, gli fece notare
Alex, sperando che gliele proponesse uno lui.
“Qui viene il punto, Alex. Sono io. Sono disposto a investire su di
voi perché ho visto che avete un gran talento e una grande passione che vi
porteranno lontano. Perciò, niente scherzi. Dimostratemi che avete voglia di
lavorare e dimostrate ai miei superiori che ho ragione a voler investire su di
voi.”
“Affare fatto, Tricheco! Noi ci stiamo! Lavoreremo sodo giorno e
notte, poi le esporrò la mia sensazionale idea per i concerti!”
“Esponimela ora, Alex.”
“Vede tricheco, io vorrei mescolare un paio di stili...”
“Oh Alex che meraviglia! Sono sicura che ce la farete! Avete la città
in pugno, la gente vi adora!” lo abbracciò entusiasta Elizabeth, mentre
passeggiavano il giorno seguente, dopo le prove.
“Lo spero, amore. Allora che mi dici per i concerti? Ci stai?”
“Ma certo che ci sto, Alex! Che domande mi fai? Sarà per me un onore,
amore mio.”
Alex si fermò e si mise di fronte a lei, guardandola nei suoi occhi
d’acqua e accarezzandole la seta d’oro nei capelli. “Ottimo. Allora... Perché
adesso non mi dai un bel bacio, così tanto per festeggiare?”
Uno... Elizabeth lo baciò, ma non riuscirono più a staccarsi, come al
loro solito.
Nessuno dei due poteva prevedere quello che sarebbe successo a
entrambi.
Commissariato di polizia. Albert al telefono. Aveva appena ricevuto
una segnalazione dal 911 riguardo una rapina manoarmata in una gioielleria in
centro. Il dovere lo chiamava. La giustizia lo chiamava. La gente aveva bisogno
di lui. Del suo pugno di ferro. Del suo conforto di uomo di legge. Si vestì di
tutta l’integrità morale che possedeva e si preparò all’azione.
“Barney! Barney!” chiamò a gran voce Albert, con l’autorità da metter
soggezione anche al capitano della marina in persona.
“Comandi!” accorse il poveraccio.
“Barney, con me. Rapina mano armata in una gioielleria in centro.
Muoviamoci!”
L’inseparabile duo si mise in auto. Albert al volante.
“Dunque Barney, non appena arriveremo, tu interrogherai i testimoni,
mentre io farò quattro chiacchere con la commessa e la proprietaria.”
“Signor sì, signore!”
“Ottimo, Barney. Mi piace il tuo atteggiamento. Mi raccomando!
Dobbiamo trovarli e sbatterli dentro prima del tramonto. Non voglio quei
delinquenti per la città un secondo di più!”
Mentre guidava con una certa fretta, girò involontariamente la testa e
gli sembrò di vedere una sagoma vagamente familiare tra la folla. Tornò a
guardare la strada, senza dargli peso, ma ripensandoci bene... Non poteva
essere. Si girò di nuovo con fare scattante e la scena che gli si presentò fu
così scioccante e devastante da costringerlo a frenare a secco, fuori di sé
dalla rabbia e dalla preoccupazione. Inchiodò, causando un tamponamento a
catena che coinvolse anche l’auto della polizia.
“Ma Commissario! E’ impazzito?” gli domandò Barney, frastornato dalla
sbalzata in avanti e dalla successiva botta, mentre Albert scendeva paonazzo,
ignorandolo, come se in quel momento non esistesse.
Barney si affrettò a scendere per parlare con gli autisti e constatare
i danni. Scendendo, non poté fare a meno, curioso, di seguire Albert con lo
sguardo. “Oh porca miseria!” -esclamò in preda allo stupore e al panico- “E
adesso chi ci combatte col commissario? Io, naturalmente!”
Albert raggiunse deciso, in fretta e furia il marciapiede.
“ALLONTANATI SUBITO DA MIA FIGLIA O T’AMMAZZO, QUANT’E’ VERO IDDIO!” gridò,
tirando fuori la pistola.
Alex ed Elizabeth si staccarono, scossi e spaesati, dai loro baci di
infuocata passione, sobbalzando. Sgranarono gli occhi, trovandosi davanti un
ostacolo inaspettato, che avrebbero dovuto in qualche modo fronteggiare
insieme, anche se non sapevano ancora come.
“Salve Capo!” lo salutò Alex, simulando innocenza, facendo finta di
nulla, come se niente fosse.
“Ciao papà!” lo salutò anche Elizabeth, allo stesso modo di Alex.
“Che cosa diavolo sta succedendo qui? Elizabeth... Che cosa ci fai tu
qui con questo manigoldo?” le domandò Albert confuso, sperando che ci fosse una
spiegazione logica a quel bacio appassionato. Forse Alex l’aveva costretta.
Ma così non era.
Elizabeth prese Alex per mano e rispose decisa a suo padre. “Bacio il
mio fidanzato, papà.”
Albert sgranò gli occhi sbigottito, incredulo alle sue orecchie. No.
Non poteva aver sentito bene. Di certo, qualcosa non quadrava. Elizabeth non
gli stava dicendo la verità. Le cose non potevano davvero stare così.
“Che cosa?” le domandò incredulo.
“Eh sì, Capo! Questa è la dolce fatina di cui le ho tanto parlato.
Dica un po’... La conosce? E’ fantastica vero?”
Albert sparò due colpi in aria per sfogare la rabbia, facendo
sussultare tutti i passanti, ma non Alex ed Elizabeth. Inaspettatamente,
entrambi trovarono la situazione stranamente buffa ed esilarante. La canaglia
che vigeva in Alex aveva contagiato anche Elizabeth. Ora, era diventata un po’
canaglia anche lei.
Barney, in preda al panico, accorse a togliere l’arma al suo
superiore. Non l’aveva mai visto in quello stato di collera infernale. “Si controlli,
Commissario!”
Ma Albert lo spintonò a terra. “Levati di mezzo, vile cialtrone!” gli
gridò.
Per fortuna, Barney era riuscito nel suo intento. Si era preso lo
spintone, ma anche l’arma.
“Sali in macchina, Elizabeth. SUBITO!” tuonò Albert.
“Ma Commissario, non possiamo portarla con noi!” lo interruppe Barney,
facendogli notare che erano in servizio e che avevano un compito da svolgere.
“CHIUDI IL BECCO, TU! O TI RITROVI A PULIRE I CESSI DELLA POLIZIA!” Tornò
a guardare Alex e sua figlia, che se la ridacchiavano davvero di gusto. “Tu!
Sali in macchina. Sali in macchina!” ordinò nuovamente a Elizabeth.
“No, papà!” si rifiutò lei, decisa e risoluta.
“Elizabeth... SALI IN MACCHINA!” tuonò ancora Albert, che aveva
completamente perduto le staffe.
Elizabeth gli rispose alla Alex, alzandogli il dito medio con fare
irriverente.
“COOOOSA? MA COME TI PERMETTI, DISGRAZIATA!” s’indignò furibondo
Albert.
“Non sono stato io, Capo!” gridò Alex in sua difesa, ridendo a
crepapelle, mentre Elizabeth lo afferrava per un braccio e lo trascinava con sé
nella fuga.
“TORNATE SUBITO QUI! BARNEY, PRENDI LA MACCHINA E VIENICI DIETRO! IO
LI INSEGUO A PIEDI!” gli ordinò Albert perentorio e completamente fuori di sé.
Fuori da ogni controllo umano.
Albert corse via come una furia, alle costole dell’irriverente e
impudente coppietta, che lo stava già seminando. Elizabeth era una scheggia
nella corsa e Alex non era da meno. Si era impegnato molto, quando era andato a
correre per allenarsi un po’, per non essere da meno di lei.
Non riuscendo più a tenere il passo, Albert sequestrò la moto a un
ragazzo. “Polizia! Dammi subito quella moto!”
Scattò all’inseguimento, riguadagnando in fretta terreno. “Oh mio Dio!
Mio padre è impazzito! Ha appena sequestrato la moto a un civile!” esclamò
Elizabeth nella corsa.
Alex le strinse la mano ancora più forte e la condusse dove lui
voleva. “Di qua, amore! Verso il parco! Lo faremo impasticciare tra le siepi!”
E detto fatto. Albert non era un granché a guidare la moto e finì per
fare il gioco di Alex. Distrusse siepi e cespugli pur di inseguirli. Finché i
due non gli tesero l’esca finale. Lo attirarono verso una panchina e quando
Albert li ebbe quasi raggiunti, Alex ed Elizabeth cambiarono direzione
all’ultimo secondo. Albert non riuscì a sterzare in tempo. Si schiantò contro
la panchina e fu catapultato dritto-dritto nello stagno lì di fronte. Mentre
Alex ed Elizabeth se la svignavano. Una paperella si avvicinò ad un Albert
piuttosto fuori di sé.
“Qua-qua!” gli gracchiò come una cornacchia.
Al solo udire il verso di quella bestiaccia, Albert perse le staffe
ancora di più. Era così stressato ed esaurito al punto di prendersela anche col
volatile. “VATTENE VIA BESTIACCIA! O TI SBATTO NEL FORNO! STUPIDO PENNUTO!”
tuonò, spaventandola e facendola scappare a zampe palmate levate.
Mentre faceva per uscire dallo stagno, una moto dall’aspetto trasgressivo
e familiare gli si fermò davanti.
“Capo! Le pare questo il momento per farsi un bagno? A proposito,
com’è l’acqua? Stia attento, perché se è fredda, non vorrei mai che si beccasse
una broncopolmonite acuta! E la smetta di fare il ragazzino! Non ha più l’età!
E poi, Capo... Per portare la moto, ci vuole classe! La salutiamo, Capo!” lo
sfotté Alex.
Alex ed Elizabeth gli alzarono il dito medio insieme. Alex fece ben
sentire il rombare della sua moto e schizzò via, lasciando Albert come un
cretino. Albert non ebbe più nemmeno la forza per rialzarsi e inseguirli.
“Commissario! Commissario!” Il prode e fedele Barney si fiondò su di
lui, in suo soccorso. In netto ritardo. Come sempre. “Commissario, come si
sente? Ma è tutto bagnato!”
Albert strinse i pugni e afferrò Barney per il colletto. “LO SO CHE
SONO BAGNATO, BARNEY! SONO FINITO NELLO STAGNO, IMBECILLE! CONTINUI A PARLARE!
PARLI, PARLI, PARLI SENZA COMBINARE MAI NULLA! TE LI SEI FATTI SCAPPARE!”
“Ma C-commissario, io...”
“SMETTILA DI BALBETTARE, EMERITO IDIOTA! SEI TU CHE AVEVI LA
MACCHINA!”
Albert lanciò Barney contro una siepe.
“Commissario, f-forse dovremmo andare in quella gioielleria. C-ci
aspettano!” piagnucolò il poveretto.
Albert si scagliò su di lui, come se volesse picchiarlo ancora, ma si
fermò proprio un attimo prima di sferrare il pugno, riflettendoci su e
recuperando quel briciolo di lucidità che gli impedì di colpire il suo collega.
“Molto bene, Barney. Così sia.”
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