COLLISIONE FATALE
Il primo giorno di lezioni era volato via come foglie al vento. Felice
aveva rischiato di far tardi, motivo per cui un infarto stava per avventarsi
fulmineo sul suo cuore fragile e perfettino. Era sua intenzione arrivare con
largo anticipo a lezione, per accaparrarsi un posto in prima fila, proprio
davanti al professore, ma tutti i suoi piani erano andati in fumo. Si era
completamente dimenticato di Valerio. Già... Quel Valerio! Era tutta colpa sua!
Felice si era alzato di buonora, in modo da occupare per primo il bagno, ma non
poteva prevedere che Valerio l’avrebbe buttato fuori dal bagno a calci, proprio
mentre era in procinto di entrare nella sua fase mattutina di evacuazione!
Dopodiché, Valerio aveva usurpato il bagno per una quantità indecente di tempo,
senza rispetto alcuno per il suo coinquilino, che aveva dovuto mettere il turbo
per riuscire a non arrivare in ritardo a lezione. Valerio, invece, aveva fatto
tutto con calma. Dopo aver fatto colazione con calma con latte e fette
biscottate con marmellata prese in prestito dal suo coinquilino sfighino e dopo
averlo cacciato fuori dal SUO bagno, su cui LUI aveva la precedenza assoluta ed
esclusiva, si era vestito fischiettando con gran tranquillità, era uscito in
orario ed era arrivato camminando sereno come una Pasqua fino a via
dell’Annunziata. Felice, invece, aveva dovuto fare una corsa di gran passo,
lui, che non aveva mai fatto alcun tipo di attività fisica in vita sua! Era
arrivato grondante di sudore a lezione, ansimando col fiatone, come se stesse
per morire da un momento all’altro e i benefici profumati della doccia che
aveva fatto in fretta e furia erano giù sfumati come vino in padella. Era
rimasto fuori per tutto il giorno, pranzando in giro tra una lezione e l’altra
e la sera si era portato a casa una pizza per evitare di scatenare
ulteriormente le ire di quel matto di Valerio, lasciandogli così la cucina
libera. Stavano cenando insieme in cucina, la tv accesa sul programma
televisivo preferito di Valerio, ovviamente, che si era cotto della carne in
padella. Felice aveva capito che, se voleva sopravvivere, avrebbe dovuto
lasciarlo fare. Aveva trascorsi tutta la pausa pranzo a escogitare un piano per
poter arrivare in orario a lezione senza uccidersi correndo, ma l’unica
soluzione che gli era venuta in mente era proprio quella di alzarsi prima
dell’alba, a un orario indecente. Ci stava riflettendo anche in quel momento:
pensava a come far piano e senza rumori, così da non svegliare il suo
coinquilino svitato ed evitare la gogna, a come uscire di casa prima del suo
risveglio...
Valerio, invece, tranquillo e beato, godeva della sensazione di
spadroneggiare a destra e a manca. Quel coniglio di Felice! Faceva proprio al
caso suo! Il coinquilino perfetto! L’agnellino da comandare a bacchetta e da
mettere sotto i piedi per i suoi comodi! Gioiva della sua fortuna sfacciata,
dimenticandosi completamente che sarebbe dovuto presto arrivare un terzo
coinquilino. Ma, dopotutto, che gli importava, a lui? Di chiunque si fosse
trattato, l’avrebbe senz’altro messo sotto i piedi, proprio come aveva fatto
con “Occhiali A Culo Di Bottiglia”. Mentre tranquillamente tagliava la carne,
ne assaporò il gusto semplice e forte al tempo stesso, concentrandosi
maggiormente sulla sua serie tv preferita.
Nulla avrebbe mai potuto rovinare una simile quiete!
Quando una chiave cominciò a girare rumorosamente nella serratura!
“Oh no!” esclamò Valerio, scocciato della confusione che si sarebbe
venuta a creare, mentre lui guardava la sua serie tv preferita. “Ma proprio
adesso doveva arrivare, questo idiota?”
Felice non disse nulla. Sperava soltanto che il nuovo coinquilino
fosse una persona con la quale avrebbe potuto stringere amicizia, così da
sentirsi meno solo, quando Valerio lo maltrattava.
“BUONASERA A TUTTI!” gridò una voce acuta e argentina, che fece
sobbalzare entrambi.
Felice si mosse per primo, per buona educazione e raggiunse
l’ingresso. Davanti a lui, c’era una ragazza. Una ragazza bellissima, la
valigia in mano e lo zaino in spalla. Con quella criniera di boccoli rossicci e
selvaggi e quegli occhietti furbi color nocciola, ricordava un po’ una Julia
Roberts ai tempi di “Pretty Woman” e quella spruzzatina di lentiggini, poi...
Accendeva il suo volto di simpatia!
“Che fortuna!” pensò Felice fra sé e sé, fissandola a bocca aperta.
“Che hai da guardare tu?” lo freddò lei acida, inviperita
dall’espressione ebete con cui la guardava.
“Io? N-nulla!” balbettò il povero Felice.
“Non è vero! Mi stavi fissando! La prossima volta che mi fissi come un
pervertito, ti do un pugno!” si stizzì lei, iraconda.
“Ma, ma i-io...!”
“Taci tu! Avrai pure quella faccetta da secchione ingenuo, ma a me,
non mi freghi!”
Felice sentì il labbro tremolare per la disperazione. Un’altra matta!
Ma che aveva fatto lui di male per meritarsi una simile sciagura!
“Cos’è tutto questo baccano?” Un Valerio piuttosto alterato li
raggiunse all’ingresso, lo sguardo truce e l’espressione iraconda. Come si
permettevano quei due? Come osavano disturbarlo, mentre era intento a gustarsi
la cena e la sua serie tv preferita?
“Ah”, se ne uscì Chanel. “Non sapevo che avessimo anche un nano da
giardino in casa!” commentò sarcastica.
“Mai sentito il detto che nella botte piccola, c’è il vino buono?”
replicò lui acido.
“Sì, ma ce n’è anche poco!” ribatté Chanel ben a tono.
Valerio sgranò le narici, furibondo, pronto per passare al
contrattacco, quando Felice si mise in mezzo, cercando di rimediare.
“Su via, ragazzi! Non litighiamo! Cerchiamo di andare d’accordo.
Allora, ricominciamo da capo. Ciao”, disse porgendo la mano a lei. “Io sono Felice.”
“E io sono Allegra”, lo freddò lei.
“Davvero?”
Valerio scosse il capo, commiserando fortemente il povero Felice.
Possibile che non capisse mai una battuta? E pensare, che proprio lui stesso
gliene aveva fatta una simile soltanto il giorno prima. Che scemo, pensò
Valerio.
“No!” si stizzì lei, alzando la voce. “Ma cos’hai capito, idiota? Era
una battuta! Io mi chiamo Chanel!” Poi, si voltò a guardare Valerio con una
punta di commiserazione negli occhi per quell’essere minuscolo e deforme che le
stava davanti. “E quale dei sette nani saresti tu? Ah! Fammi indovinare! Tu sei
Brontolo!”
“Hai mai visto nello specchio che faccia da cazzo che hai? O forse hai
lo specchio di legno?”
“Grazie per il complimento! Io adoro la mia faccia da cazzo”, replicò
lei sadica e melliflua. “Il tuo nome, nanetto?”
“Mi chiamo Valerio, cara la mia Lentiggine!”
“Belline vero? Io le adoro! Mi conferiscono un tocco di classe unico e
particolare! Dunque, veniamo a noi! Qual è la mia stanza?”
“L’unica rimasta”, le rispose Valerio.
“Oh! Non mi sembra giusto che voi abbiate già scelto!”
“Chi tardi arriva, male alloggia”, la seccò Valerio, ma lei non si
lasciò intimidire.
“E questo che cosa vuol dire? Che chi arriva tardi perde il diritto di
scelta? Non sono d’accordo! Le camere sono tre, il prezzo è lo stesso e ora che
siamo tutti insieme possiamo spartircele in maniera più equa!” ribatté Chanel
con un tono da avvocato in tribunale, dirigendosi in corridoio, trascinandosi
dietro la valigia. “Dunque, questa sarà la mia stanza!” disse, indicando la
stanza di Valerio.
“No, Lentiggine. Questa è la mia”, annunciò Valerio in tono
perentorio.
“Beh, era tua. Adesso è mia. La stanza col balcone, la voglio io.”
“L’ho scelta prima io!”
“Scusate”, intervenne timidamente Felice. “V-veram-m-mente, l-l’avevo
scelta p-prima i-io, p-perché s-sono a-arrivato peeeer prim-primo.”
“Taci tu! Ti ho già detto che quel criterio non è valido!” tuonò
Chanel, rimettendolo in riga.
“Sono d’accordo!” convenne Valerio, che aveva cacciato Felice dalla
sua stanza per prendersela lui stesso.
Felice indietreggiò tremando, la faccia spaurita e l’ombra di un
infarto che incombeva su di lui.
“Dunque, allora, visto che sei d’accordo con me, faremo a estrazione”,
annunciò Chanel, mettendo Valerio alle strette.
Valerio si maledisse in silenzio per essersi lasciato sfuggire il suo
assenso riguardo al metodo del primo arrivato, ma al contempo era deciso a non
cedere la sua stanza a quella strega per nulla al mondo. “Neanche per sogno!”
esclamò.
“Vuoi che prenda la tua roba e la butti fuori a calci?” propose allora
Chanel.
“Vuoi che ti prenda a cazzotti?”
“E dove vorresti andare, tu, contro di me, Nano Da Giardino?”
Valerio e Chanel si piazzarono l’uno di fronte all’altra, gli sguardi
truci e assassini che si prendevano a saettate. Felice, rimasto tremolante
all’angolo del ring, deglutì, aspettandosi il peggio, prima di prendere
coraggio e farsi avanti.
“R-ragazzi? P-perché non fate a e-estrazione e non la f-finiamo q-qui?
Io, o-ovviameeeente n-noooon partecip-po.”
Valerio studiò Chanel, poi saettò con lo sguardo verso Felice, poi
guardò di nuovo Chanel. “Così sia”, disse per evitare di prendere a pugni una
ragazza, perché sapeva che le ragazze e le donne non vanno mai toccate con un
dito. Fosse stato un maschio, l’avrebbe già pestato da un pezzo.
Valerio si diresse in cucina, seguito dagli altri due. Chanel preparò
i biglietti con scritto Valerio e Chanel, li ritagliò e li mostrò a Valerio per
correttezza con gli occhi che brillavano di furbizia canagliesca. Il tempo che
Valerio posò gli occhi sulla sedia e la spostò per mettersi a sedere, e Chanel
sfoderò la sua arma segreta, il suo asso nella manica, il gioco di prestigio
che meglio le riusciva dai tempi dell’asilo. Con la sveltezza di uno
scoiattolo, fece scivolare dalla manica un terzo biglietto sul tavolo e infilò
quello col nome di Valerio nella manica stretta a elastico della felpa. Così,
sul tavolo, giacevano due biglietti con nome Chanel.
Chanel sapeva quello che voleva e sapeva anche come prenderselo.
Adorava l’astuzia su cui poteva sempre contare.
Mentre Felice dava loro le spalle per riscaldare la pizza ormai fredda
sulla griglia, Chanel agitò i biglietti in mano e li lasciò cadere sul tavolo.
Valerio chiuse gli occhi, allungò la mano e ne scelse uno, come d’accordo.
Mentre Valerio aveva gli occhi chiusi, con la stessa sveltezza di poc’anzi,
Chanel rinfilò nella manica l’altro biglietto e fece riscivolare sul tavolo
quello col nome di Valerio, qualora egli avesse voluto verificare la
correttezza dei giochi una seconda volta.
“Chanel”, lesse ad alta voce, lo sguardo truce e iracondo, frustrato
per la sconfitta appena subita. Valerio non perdeva mai.
Valerio, come previsto, afferrò l’altro biglietto, convinto che lei
avesse in qualche modo imbrogliato e si stupì di trovare scritto il suo nome
sul secondo foglietto.
Chanel sorrise sadicamente, vittoriosa e soddisfatta, per poi alzarsi
da tavola e andare in corridoio, seguita da Valerio. Chanel entrò e vi adagiò
la valigia.
“Dopo cena, porto via tutto”, le disse Valerio seccato.
“Mi sta bene. Andiamo a mangiare.”
Quando entrarono in cucina, Felice aveva appena rimesso la pizza
ancora intatta nel cartone, pronto a infilzarla famelico con coltello e
forchetta, quando Chanel, dopo essersi seduta accanto a lui, gli soffiò
suddetta pizza da sotto il naso, afferrando il cartone e facendolo scivolare
verso di sé.
“Grazie mille!” disse melliflua e sadica Chanel.
“Ma quella è la mia cena!” protestò il poveretto.
Mentre Valerio, suo malgrado, non poteva fare a meno di mangiare la
carne, sghignazzando sotto i baffi. Per fortuna, lui, la carne, l’aveva avvolta
nell’alluminio, prima di andare ad “accogliere” Chanel, quindi il calore del
suo cibo era rimasto pressoché invariato.
“Era tua”, precisò Chanel. “Adesso è mia. Ho fame e ho affrontato un
lungo viaggio, guidando per ore. Quindi, questa la mangio io.”
“Ma io non ho nient’altro! Che cosa mangio, io, adesso?”
“Non è un mio problema. Vatti a comprare un’altra pizza, no?”
Felice sospirò e, rassegnato, si alzò, s’infilò il giubbotto e fece
per uscire. “Almeno dammi i soldi, no?” tentò.
“Non ci penso nemmeno. Questa”, - disse indicando la pizza – “me la
offri tu. Ti saluto.”
Felice uscì a testa bassa, mogio-mogio. Non appena fu fuori, chiamò di
nuovo la madre.
“Mamma!” piagnucolò disperato. “Ho un’altra coinquilina matta! Ti
prego, vienimi a prendere!”
“Felice, basta! Devi imparare a convivere con gli altri e smetterla di
fare tanto il perfettino, su! Mi sembri un bambino di cinque anni!” lo
rimproverò sua madre, conoscendo il figlio.
Sapeva quanto potesse essere frignone e poco adattabile, pertanto era
convinta che l’università e la convivenza forzata con altra gente avrebbe
potuto dargli un bello scossone. Era sempre il solito esagerato! Sicuramente, i
suoi coinquilini erano persone assolutamente e noiosamente normali. Era lui,
che vedeva cose che non c’erano, sempre perfettino e viziato.
“Ma mamma! Mi rubano da mangiare e mi trattano male!”
“Basta, Felice! Devi imparare a condividere le tue cose con i
coinquilini! Dovete aiutarvi a vicenda!”
“Ma così finisco tutti i soldi!”
“FELICE!” tuonò sua madre. “Smettila di fare il bebè e comportati da
uomo! Un’altra sola parola sull’argomento e ti spedisco a lavorare con tuo
padre!” lo minacciò sua madre, conoscendo il punto debole del figlio. Il suo
unico amore era lo studio e ambiva a diventare uno stimato ricercatore
nell’ambito scientifico, pertanto andare a fare il contadino assieme al padre
non rientrava proprio nei suoi piani.
“Va bene”, si rassegnò il povero, incompreso Felice.
Si salutarono e riattaccarono. Felice andò in pizzeria e attese che
gli preparassero l’ordinazione da portar via, non immaginando che il peggio
doveva ancora arrivare.
Infatti, a casa, le cose non andavano affatto bene. Dopo aver divorato
la cena le cose precipitarono. Valerio era deciso a fare l’osso duro e a non
sgomberare la stanza.
“Se vuoi quella camera, la sgomberi tu!” le disse Valerio.
“Altrimenti, io non me ne vado.”
Chanel scosse il capo e si mise all’opera, sotto lo sguardo
soddisfatto e sadico di Valerio, il cui intento era quello di farla sgobbare un
po’. Tutto poteva immaginare, meno il disordine che era in grado di creare. Nel
giro di pochi minuti, si ritrovò il corridoio invaso dei suoi abiti e bagagli,
lanciati accartocciati a terra senza alcun ritegno.
“Io non sono la tua schiava!” gli disse Chanel, avendo notato la sua
espressione contrariata e furiosa. “Io sgombero la stanza e basta. Alla tua
roba, ci penserai tu, Nanetto da Giardino!”
Valerio grugnì, non avendo più armi per controbattere. Quella
stregaccia gliel’aveva fatta di nuovo! Lui, tutto precisino e maniaco
dell’ordine, trovarsi tutta la roba gettata a terra come stracci? Questo era
davvero troppo! Si mise al lavoro anche lui, suo malgrado, l’umore nero e un
forte istinto omicida, per risistemarsi in un’altra stanza.
Quando Felice tornò a casa, trovò Chanel e Valerio in cucina, intenti
a litigare animatamente per contendersi il telecomando e la tv, pertanto, dal
momento che la sua presenza era passata inosservata, pensò che fosse una buona
idea eclissarsi e rendersi un fantasma. Fece per portare la pizza in camera,
per mangiarla lì, ma quando giunse in corridoio, trovò una terribile sorpresa
ad aspettarlo.
“Ehi!” gridò disperato, attirando, così, l’attenzione degli altri due,
che subito sopraggiunsero.
“Che vuoi?” lo seccò Chanel.
“Ma questa è la mia roba!” esclamò Felice sconvolto, indicando gli
abiti, le valigie e i libri a terra, gettati lì come immondizia.
“E allora?” proseguì Chanel.
“Che ci fa qui?”
“Chiedilo a Brontolo!” sghignazzò lei, tornandosene in cucina per
soffiarsi il telecomando, rimasto lì, incustodito.
“Valerio, ma che succede?” gli domandò disperato il poveretto.
“Succede che quella è la mia stanza.”
“Ma quella è la mia!” piagnucolò Felice.
“Era tua”, precisò freddamente Valerio. “Adesso è mia”, concluse,
tornandosene in cucina, dove riprese il litigio con Chanel da dove l’avevano
lasciato.
Felice rimase lì, come una testa di rapa, imbambolato e confuso. Non
era possibile! Era stato di nuovo sbattuto fuori! Non ci credeva! Eppure, era
tutto vero, nonostante la parvenza da incubo nero! Andò nell'ultima stanza
rimasta, senza obiezioni, guardandosi intorno. La stanza rimasta era spaziosa
come le altre due, ecco perché il prezzo era lo stesso. Ma ogni camera aveva
delle differenze. Quella dove si era sistemata Chanel aveva il balcone, quella
di Valerio aveva una grande finestra luminosa ed era la più calda della casa,
mentre quella rifilata a Felice era un pochino più piccola, aveva una finestra
normale ed era la camera più fredda dell’appartamento. Felice tirò su col naso,
reprimendo un singhiozzo, si sedette alla scrivania e mangiò la pizza, prima di
iniziare lentamente e con calma a traslocare di nuovo. Mentre si risistemava
per la terza volta in pochi giorni, udì le grida di Chanel e Valerio che
litigavano per la tv. Ancora.
Sarebbe stato senz'altro un lungo, lunghissimo anno.
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