MERRY CHRISTMAS
Passò Ottobre, venne Novembre e giunse Dicembre. Tra pochi alti e
molti bassi, il trio di coinquilini riuscì a raggiungere più o meno tutto
intero le vacanze di Natale. I mesi erano trascorsi piuttosto lentamente per
via di quel clima teso e carico d’odio che aleggiava in casa. Il povero Felice
erano diventato il “Cenerentolo” di casa, sempre vittima degli ordini da
tiranni di Valerio e Chanel. Felice doveva fare le pulizie, lavare i piatti,
occuparsi del bucato di tutti e tre, pensare alla spesa... Insomma, doveva
tirare avanti la baracca tutta per conto suo, mentre Valerio e Chanel se ne stavano
comodamente spaparanzati in giro per casa a farsi i fatti loro. E non sempre
senza litigare. Nonostante la tregua che avevano stretto, infatti, qualche
litigio e battibecco erano all’ordine del giorno. Si sa, quando ci sono due
Hitler in casa che vogliono comandare... Beh, non finisce mai bene! Dovevano
ben ricordarsi ciò che si erano fatti durante i primi giorni di università,
ogni qualvolta uno dei due stesse per perdere il controllo della situazione.
Ricominciare con simili angherie non sarebbe stato costruttivo per nessuno dei
due, quindi a ogni litigio, sia Valerio, che Chanel facevano un gran sforzo per
mantenere viva la tregua. E il povero Felice subiva. Chanel gli aveva persino
regalato un grembiulino da domestico, così giusto per sfotterlo con Valerio di
tanto in tanto, in quei rari momenti in cui non erano in combutta per
qualsivoglia stupidaggine. Chanel continuava a vedersi con Riccardo di
continuo, in quanto era l’unico con cui potesse sfogarsi e che comprendesse la
tremenda e insostenibile situazione nella quale si trovava, poverina! Un
bisbetico e un frignone! La stessa cosa diceva Valerio, che continuava
assiduamente a frequentare Anna, cogliendo ogni occasione per scagliarsi contro
la sua coinquilina bisbetica Chanel e quel piagnucolone scansafatiche di
Felice. Lei era l’unica che lo ascoltasse e che capisse in che razza di
situazione stesse vivendo in quella dannata casa!
Per fortuna, le vacanze natalizie erano già alle porte e per i tre
coinquilini giunse finalmente il momento di tornare a casa. Felice sarebbe
partito per ultimo, come al suo solito, per non saltare nemmeno una lezione e
per assicurarsi che la casa fosse in ordine. Chanel doveva partire per prima,
saltando anche qualche lezioncina, come sempre del resto, ma caso strano, non partì.
Non poteva mica lasciare a quel bastardo di Valerio la casa libera, prima del
previsto! Se lui rimaneva fino a un determinato giorno per fare il precisino e
seguire le lezioni, lo avrebbe fatto anche lei! Si sarebbe sacrificata, pur di
non fargli godere della casa senza la sua presenza! Anche Valerio aveva deciso
di partire qualche giorno prima del previsto, ma vedendo che Chanel non si
decideva ad andarsene, rimase anche lui, pur di non farle godere della casa
senza la sua presenza. Quella strafalciona avrebbe sicuramente buttato all’aria
il perfetto lavoro svolto da Felice. Valerio lo teneva sotto torchio molto più
di quanto facesse Chanel, lui tipo perfezionista e amante dell’ordine.
Pretendeva che fosse tutto perfetto e non poteva permettere che Chanel
rimettesse tutto in disordine. Aveva già fatto un casino nella sua stanza...
Non c’era bisogno che lo facesse anche per tutta la casa! E Felice non ne
poteva più. Non vedeva l’ora di tornare dai suoi e di godersi le vacanze. Anche
se aveva già deciso che avrebbe studiato per tutto il tempo, se non altro,
sarebbe stato a casa sua, dove nessuno avrebbe potuto disturbarlo, essendo lui
figlio unico.
Finalmente, giunse il giorno della partenza. Valerio e Chanel se ne
sarebbero andati insieme e finirono per litigare anche su chi avrebbe sceso per
primo le scale con le valigie. Alla fine, la spuntò Chanel, come la maggioranza
delle volte. Il suo trucchetto dell’estrarre “a sorte” i bigliettini non
falliva mai. Eh, sì! Per decidere chi avrebbe sceso per primo le scale, erano
finiti a tavola con penna e foglietti, prima di giungere alle mani, come al
loro solito. E con il trucchetto dei due biglietti col nome di Chanel, la
ragazza vinse di nuovo, vantandosi come un pavone della sua fortuna sfacciata.
Dopo aver caricato le valigie nelle rispettive auto, si lanciarono un truce
sguardo d’odio, senza nemmeno salutarsi. Salirono in auto e partirono. Felice
rimase ancora un paio di giorno per godersi la casa tutto da solo e darsi un
po’ alla pazza gioia. Poi, controllò che fosse tutto in ordine, spense il gas e
posizionò il riscaldamento a diciotto gradi, in modo da non ritrovarne cinque
al rientro dalle vacanze, e partì. Se ne andò col sorriso sulle labbra.
Finalmente, sarebbe tornato a casa.
Quando Chanel rientrò, nessuno fu contento di rivederla. I suoi
genitori si erano abituati fin troppo bene alla tranquillità della casa senza
la sua chiassosa e litigiosa presenza. La cosa strana, però, fu il fatto che
Chanel trascorse gran parte del suo tempo chiusa in camera sua. Non sembrava
più lei. Non litigava più per le stupidaggini, pranzava e cenava con loro, non
usciva più con le amiche... I genitori non la riconoscevano più e non potevano
fare a meno di domandarsi che cosa stesse accadendo alla loro bambina. Avevano
avanzato mille e mille ipotesi riguardo al suo repentino cambiamento. Avevano
pensato che avesse incontrato qualcuno più tosto di lei, ma scartarono subito
l’ipotesi, in quanto nessuno era tosto quanto Chanel; avevano valutato l’idea
di un ragazzo che non l’avesse voluta per via del suo caratteraccio, ma
scartarono pure quella, in quanto Chanel otteneva sempre ciò che voleva. Sapeva
essere una tale ruffiana, quando voleva! No. Nessuna delle ipotesi che avevano
preso in considerazione era in grado di giustificare il suo malessere. Perché
Chanel stava male e si vedeva. Quasi che la preferivano come prima! Poi ci
ripensarono. No. Meglio così! Almeno stavano in pace. Speravano tanto di poter
trascorrere le vacanze di Natale in tutta tranquillità.
Quando Valerio tornò dai suoi, nessuno lo accolse con calore. I
genitori erano avvolti da un tetro manto di umore nero. Il loro figlio
rompiscatole e perfettino era appena rientrato dall’università, puntuale come
un orologio svizzero a rovinar loro le vacanze natalizie! Ma Valerio non era
più Valerio. Trascorse la maggior parte del suo tempo rinchiuso in camera come
un carcerato. Non pianificava più le sue giornate a menadito, non andava più
puntando la perfezioni in bagno o in cucina, lasciando persino gli asciugamani
in disordine, pranzava e cenava in famiglia, non si lamentava più della
tremenda cucina della madre... Insomma che fine aveva fatto il vecchio Valerio
Tombolini? I genitori avanzarono diverse ipotesi per giustificare un simile
cambiamento, ma nessuna sembrò convincerli. Scartarono l’idea che avesse
incontrato qualcuno più bisbetico di lui, perché nessuno era più bisbetico di
Valerio; misero da parte l’ipotesi che una ragazza non l’avesse voluto per via
del suo perfezionismo scorbutico, in quanto Valerio otteneva sempre ciò che
voleva. Nulla. Non trovarono nulla che potesse giustificare un simile
cambiamento tanto repentino. Valerio sembrava afflitto da uno strano malessere,
tanto che i genitori arrivarono a domandarsi se non fosse meglio prima. Poi,
rabbrividirono. No! Meglio afflitto e malato, almeno loro stavano in pace! Se
la fortuna li avesse assistiti, avrebbero sicuramente trascorso un Natale in
santa pace, come qualsivoglia famiglia al mondo.
Felice era irriconoscibile. Da quando era rientrato a casa, non aveva
fatto altro che combinar guai. Se prima di partire per l’università era il
perfetto figlio modello, che studiava e aiutava in casa, ora così non era.
Stanco di fare il “Cenerentolo” e stufo di tenere sempre in perfetto ordine
ogni cosa per via dell’assillante perfezionismo assoluto di Valerio, Felice non
fece altro che lasciare in giro le sue cose, dagli abiti, alla tazza sporca
dopo la colazione, dai piatti del pranzo e della cena, ai libri, a cui era da
sempre molto affezionato. Inoltre, cosa del tutto nuova e insolita, Felice
reclamava la tv a suo padre e sua madre, tutto il giorno. Non era da lui.
Forse, pensava la madre, la convivenza forzata l’aveva fatto impazzire, lui che
da sempre frignone e perfettino non andava mai d’accordo con nessuno. In ogni
caso, era positivo il fatto che si fosse sbloccato, almeno un po’, ma c’era
anche un lato negativo. A volte, Felice sembrava fuori di testa: rispondeva
male, scattava per un nonnulla, cantava delirante strane canzoncine senza
senso... Bah. Sembrava davvero che in casa, quell’anno, si sarebbe svolto un
tremendo, movimentato Natale.
Era il giorno di Natale. Chanel si svegliò, andò in bagno, fece
colazione e tornò in camera prima che i suoi si alzassero. Non aprì nemmeno i
regali. Si sedette sul letto, a gambe incrociate, non avendo voglia di far
niente di niente. Il telefono vibrò. Era Riccardo che le aveva spedito un
augurio di Natale, a cui rispose senza troppa enfasi. Sentiva un vuoto, un buco
nero dentro di sé, una voragine incolmabile di solitudine e noia. All’inizio
credeva che le mancasse Riccardo e i tranquilli, sereni pomeriggi trascorsi
insieme, ma così non era. Non le importava nulla nemmeno del messaggio dolce e
carino come lui, che le aveva appena mandato. Credeva che Riccardo le piacesse
e che, magari, un indomani non troppo lontano si sarebbero messi insieme. Si
passò una mano fra la folta criniera e sospirò. Non sapeva più nemmeno lei che
cosa volesse. Forse, non l’aveva mai saputo. Ripensò a Valerio e a quanto
desiderasse averlo accanto. Se Valerio fosse stato lì, con lei, casa sua non
sarebbe stata così piatta e noiosa. Almeno lui portava vita ovunque andasse.
Nonostante l’odio logorante che nutriva nei suoi confronti, doveva ammettere
che la vita senza Valerio era alquanto sciatta e noiosa. Non aveva più con chi
arrabbiarsi, né qualcuno su cui sfogare la propria sete di vendetta e a cui
tirare alcuni dei suoi tiri più mancini. Detestava doverlo dire, ma almeno con
Valerio si divertiva. Si sentiva viva. C’era sempre qualcosa da fare, sempre
qualcosa su cui discutere, sempre un’energia che li teneva impegnati a darsi
del filo da torcere. E senza di lui, era tutto una noia mortale. Non credeva
che fosse possibile, ma tutto ciò che desiderava era poter tornare a Urbino
quanto prima, nella speranza che anche Valerio tornasse quanto prima. Avrebbe
tanto voluto mandargli un messaggio d’auguri, ma non poteva. Non doveva
dimenticarsi che lui era il suo acerrimo nemico, dopotutto! Un bisbetico
viziato senza ragion d’essere! Però era tutto molto più movimentato e
divertente, quando c’era lui nei paraggi! Sospirò di nuovo. Il solo pensiero
che si stesse scambiando messaggini natalizi con quella gatta morta di Anna...
Che rabbia! Le andava il sangue alla testa! Ma che ci trovava in quella
bambolina da negozietto? Così smunta, così tranquilla! Bah!
“Gli uomini!” pensò. “Chi li capisce è bravo!”
Le rivennero in mente tutte quelle volte in cui era uscita con
Riccardo. Ogni santo giorno, incrociava senza pietà Valerio e la sua Barbie
pre-confezionata in atteggiamenti da carie di denti. Quanto la odiava, quella
dannata gattamorta! No! Non poteva star lì, senza far niente e lasciare che
Valerio si scambiasse messaggini sdolcinati con la sua bambolina di porcellana.
No, signore! Doveva assolutamente rompergli le scatole. Afferrò il telefono e
aprì Whatsapp.
“Spero che Babbo Natale ti abbia portato una scala per compensare la
tua statura da nanetto! Buon Natale, Brontolo!”
Sghignazzò sadica. Forse, poteva divertirsi anche se Valerio era
lontano.
Era la mattina di Natale, quando Valerio si risvegliò. Era piuttosto
tardi per i suoi gusti, a dire il vero, ma non gli importava. Si alzò. I suoi
genitori erano già in piedi. Fece colazione, non lavò i piatti, né riordinò la
cucina. Si lavò i denti e non ripiegò alla perfezione il suo adorato
asciugamano. Tornò in camera senza nemmeno aprire i regale e si sedette su
letto a gambe incrociate a non far nulla. Detestava doverlo ammettere, ma senza
quella rompiscatole di Chanel la vita era una noia mortale. Incredibile, ma vero!
Sentiva la sua mancanza. Con lei in casa, non ci si annoiava mai. C’era sempre
qualcosa per cui bisticciare, qualcosa per dar movimento alle giornate piatte e
senza un perché, sempre un’energia che li teneva impegnati a darsi del filo da
torcere. Sentiva un vuoto incolmabile dentro di sé. Gli mancava e tanto. Gli
mancava il suo sorriso solare da sadica canaglia, i suoi occhi vispi e
furbetti, la sua sensuale criniera leonina che la rendeva inconfondibile
ovunque andasse. Gli mancava il suo modo di attaccar briga per ogni
stupidaggine. Sbuffò, sperando che le vacanze finissero presto per poterla
rivedere quanto prima. Se solo pensava, però, a quel bamboccio cicciobello di
Riccardo e al modo cretino con cui flirtava con Chanel... Gli andava il sangue
al cervello! Lo odiava! Che cosa diavolo ci trovava un pepetto come Chanel in
un tipo così tranquillo e citrullo? Bah!
“Le donne!” pensò. “Chi le capisce, è bravo!”
Sbuffò nuovamente. Avrebbe tanto voluto scriverle e interrompere la
sua chat natalizia con l’amato Riccardo, ma... Voleva credere che anche lei
sentisse la sua mancanza e che non avesse alcuna voglia di chattare con quel
ciambotto di Riccardo. Le sue vacanze non stavano affatto andando come avrebbe
voluto. Credeva che, una volta a casa, si sarebbe rilassato e che sarebbe
riuscito a togliersi quella strega dalla testa, ma quella strega, in quanto
tale, aveva gettato un maleficio sulla sua persona. Non doveva dimenticarsi che
quella era maestra di magia nera! Bastava vedere con quale manfrina aveva raggirato
quel poveraccio rincretinito di Riccardo, che cadeva ai suoi piedi come una
pera cotta e che le correva sempre dietro come un cagnolino. Ma non avrebbe
fatto lo stesso incantesimo a lui. Per questo, non le avrebbe mandato nessun
messaggio. Perché lui era Valerio e Valerio era immune alla magia nera delle
streghe come lei. Quando il telefono squillò Lo afferrò con frenesia e
speranza, poi tornò mogio-mogio. Era soltanto Anna che gli faceva gli auguri.
Le rispose senza troppa enfasi. Eppure, era convinto che gli piacesse! Ma, a
quanto pareva, non sapeva più niente di sé, ormai. Nemmeno che cosa volesse.
Sapeva solo che gli mancava lei. Chanel. Con i suoi modi di fare vispi da
canaglia sadica. Si rammaricò, pensando che avrebbe dovuto aspettare un bel po’
per rivederla e per bisticciare di nuovo con lei. Quando il telefonò suonò di
nuovo. Lo prese e il suo volto si illuminò di gioia, un sadico sorrisetto di
bronzo sulle labbra.
“Spero che Babbo Natale ti abbia portato una scala per compensare la
tua statura da nanetto! Buon Natale, Brontolo!”
Valerio sghignazzò, il volto acceso da una nuova luce e il cuore che
riprendeva vita. Forse, potevano divertirsi anche se la lontananza li separava
fisicamente.
“Che pensiero gentile, Lentiggine! Spero che Babbo Natale ti abbia
portato un bel sacco pieno di merda, proprio degno di te! Buon Natale, Strega!”
Glielo inviò.
E passarono tutta la giornata a bisticciare in chat su Whatsapp.
Forse, le vacanze si sarebbero accorciate. Almeno un po’.
Felice era seduto a tavola con tutti i parenti di fronte a una lunga
tavolata imbandita dal mega-pranzo di Natale. E si stava comportando in modo
alquanto insolito. La convivenza forzata con due tiranni bisbetici e
vendicativi in casa l’aveva oltremisura esaurito. Quella mattina stessa, appena
si era svegliato, aveva già avuto i primi incubi a occhi aperti riguardanti il
rientro all’università, in quella casa di matti, un rientro che al principio
sembrava tanto lontano, ma che ogni giorno diventava sempre più imminente. Fu
allora che Felice iniziò a dar via di testa. Si era alzato e aveva fatto
colazione in preda a forti tick nervosi al collo, al sopracciglio, ai piedi,
alle mani... E a pranzo non stava andando affatto meglio. Mentre il pranzo
entrava nel vivo e a tavola imperava un vociale allegro e rumoroso, tra un
boccone e l’altro, Felice ingurgitava un bel bicchiere di vino rosso. E dopo il
secondo, era già ciucco. Al quarto, era già ubriaco fradicio. Tutti, dai
genitori ai parenti, gli lanciarono sguardi basiti e perplessi. La tavolata si
fermò. Ogni posata, ogni bicchiere, ogni mano, ogni volto smise di muoversi.
Tutti pietrificati a guardare Felice che si comportava come mai si era
comportato prima di allora. Sembrava che non si fosse nemmeno accorto di avere
tutti gli occhi puntati addosso e continuò a trangugiare indisturbato un sorso
dietro l’altro, bicchiere dopo bicchiere.
“Felice! Ma Felice, che cosa stai facendo?” lo riprese sua madre con
voce stridula, mentre gli altri continuavano a fissarlo come se fosse
impazzito.
“Hic!” esclamò Felice col singhiozzo da sbronza. “Alla salute! Hic!”
aggiunse, scolandosi un altro mezzo bicchiere.
“Ma sei impazzito?” sbraitò suo padre. “Se continui così, rischi il
coma etilico!” si preoccupò, essendo il figlio rosso in viso come un gambero e
non essendo abituato a bere.
“Ma che dici, papà? Hic! Io... Hic! Io non sono mai stato meglio di
così! Hic!” biascicò Felice tra un singhiozzo e l’altro. “Anzi, hic! Sai che ti
dico? Hic! Vorrei proporre un brindisi, hic! Alla salute dei miei coinquilini!
Hic!”
E buttò giù un altro mezzo bicchiere.
La madre scosse il capo con fare rassegnato. “Dovete scusarlo”, disse,
rivolgendosi ai parenti. “Felice non riesce ad abituarsi alla convivenza.”
“Già! Scommetto che è sempre il solito frignone!” intervenne una delle
due nonne.
“Sempre!” riprese sua madre. “Pensa che mi telefonava in
continuazione, perché non voleva condividere la spesa con i coinquilini, perché
diceva che lo trattavano male, le solite cose, insomma! Le stesse lamentele che
ha sempre fatto per tutta la vita. Questo qui è tutto meno che un uomo!”
“Hic!” le interruppe Felice. “Già! Hic! Io condivido, hic! Ma loro
rubano! Hic! Io non sono Cenerentolo, hic! E non è sempre compito mio fare le
pulizie, hic!” biascicò in preda alla sbronza, che rendeva i suoi discorsi
incomprensibili e sconnessi.
“Visto? Ve l’avevo detto!” esclamò sua madre, evidenziando per
l’ennesima volta il comportamento infantile del figlio. “Pensa così tanto allo
studio, che non vuole nemmeno contribuire a fare le pulizie! Qui a casa,
abbiamo sempre dovuto spronarlo a darci una mano!”
“Alla salute dei miei coinquilini, hic!” la interruppe nuovamente
Felice, alzando il calice del vino a mo’ di brindisi. “Ah, Valerio, hic! Non so
se l’ho ripiegato bene, il tuo asciugamano, hic! E’ meglio che vada a
controllare, hic!”
“E’ più grave di quel che pensassi”, disse la madre. “La convivenza
l’ha esaurito.”
“E lo rimanderai all’università?” intervenne l’altra nonna.
“Certo! E non gli farò nemmeno cambiare casa! Lui se la sogna, la una
casetta tutta per sé! Deve imparare a stare con gli altri e a stare al mondo!
Insomma!” esclamò la madre.
“Va bene, Chanel, hic! Ci penso io, a smacchiare la tua camicetta!
Hic!” proseguì Felice.
“Ecco, è proprio quello di cui parlavo! Deve imparare ad aiutare gli
altri senza piagnucolare, perché questo gli leva il tempo per studiare!”
incalzò la madre, non sapendo che Felice era stato costretto da Chanel a
smacchiarle con cura la camicetta su cui Valerio aveva versato il caffè
bollente (forse per sbaglio, forse per dispetto, non si sapeva).
“Sono d’accordo!” convenne la nonna, trascinandosi dietro un coro di
assensi da parte dei parenti.
“Ora, però, caro, levagli quella bottiglia e quel bicchiere, per
favore, prima che se la scoli tutta da solo! Di questo passo, davvero dovremo
portarlo all’ospedale!” disse la madre, rivolgendosi al marito, che subito
obbedì, convenendo con lei.
“Su, Felice. Da bravo, dai qua! Lasciane anche un po’ per noi”, gli
disse il padre, sfilandogli dalle mani bottiglia e bicchiere.
“Ehi, hic! Ridammi il mio vino, hic! E’ mio, hic! Soltanto mio, hic!”
protestò il povero Felice, prima di crollare addormentato con la faccia sul
piatto. Col naso dritto-dritto nella maionese.
Il padre gli sollevò la testa e gliel’appoggiò lontano dal piatto. Felice
ronfava come un maiale, tanto che furono costretti a metterlo a letto come i
bambini piccoli.
Si sarebbe svegliato soltanto l’indomani, con un terribile mal di
testa e completamente immemore di ciò che aveva fatto.
Che bel Natale aveva passato!
E non era ancora finita..
Si sarebbe preso una sbronza simile la sera prima della sua partenza
per Urbino.
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