sabato 24 novembre 2018

DUE BISBETICI ALLA RISCOSSA - 11° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


SABOTAGGIO

Dieci gennaio. Le vacanze natalizie erano giunte al termine e Felice era a Urbino già da tre giorni. Era partito con un fortissimo mal di testa, che proprio non ricordava da dove derivasse. Immemore delle sbronze da esaurimento nervoso che si era preso durante le festività, non riusciva a spiegarsi il suo malessere il giorno della partenza. Poco importava, ora stava bene ed era pronto a ricominciare. Era tranquillo. Sapeva che Valerio e Chanel sarebbero andati a Urbino solo per gli esami, perciò avrebbe avuto tutta la casa per sé per almeno un mese. Sereno e rilassato, se ne stava in cucina a studiare, avvolto nel tacito silenzio della casa, godendosi la beatitudine della solitudine. Nessuno attorno a lui litigava di continuo, nessuno sbraitava, nessuno urlava. Nessuno lo comandava come se fosse uno schiavo. Era libero. Non gli sembrava vero. Quei tre giorni erano stati decisamente i più belli di tutta la sua permanenza a Urbino. Ma la sua serenità non era destinata a durare a lungo. Proprio mentre era completamente immerso negli studi davanti a una tazza fumante di cioccolato caldo, udì una chiave far scattare la porta d’ingresso. Trasalì. Oh no! Non potevano essere già tornati, no! Forse, uno dei due aveva un esame il giorno dopo, ma non era possibile! Felice aveva controllato tutte le date dei loro esami e non ce n’era nessuno in programma in quei giorni! Singhiozzò e si alzò da tavola per andare a vedere chi dei due fosse arrivato e per salutarlo. Dalla porta d’ingresso, sbucò un Valerio piuttosto frettoloso e trafelato, come se avesse dipinta in volto la voglia di tornare a Urbino al più presto.
“Valerio!” lo accolse Felice, simulando un’allegria che in realtà non aveva per mascherare la sua folle disperazione. “Ben tornato! Non ti aspettavo così presto! Hai un esame?”
“No. Sono qui perché avevo voglia di tornare. Devo studiare e a casa mia non ne ho voglia.”
A Felice veniva solo da piangere. Non era possibile! Perché? Perché Valerio aveva cambiato idea!
Fine della pace.
Per fortuna, era solo!
“Dov’è quella strega maledetta?” gli domandò Valerio, lo sguardo truce e il cuore che stranamente palpitava.
“N-non è-è anc-cora toooornaaaata”, balbettò Felice.
Valerio sbuffò, triste e rassegnato, facendo per dirigersi in camera sua, quando un’altra chiave fece scattare la porta d’ingresso.
Felice sbiancò.
“CIAO A TUTTIIII!!!!” gridò Chanel, entrando in casa. I suoi occhi furbi s’illuminarono di gioia, quando videro Valerio, quell’odioso mostriciattolo che tanto detestava, ma senza il quale la vita era una noia mortale.
Valerio si lasciò sfuggire un sorriso, felice di rivedere quella maledetta strega che movimentava le sue monotone giornate, poi scosse il capo, cercando di ricomporsi e di non lasciar trasparire le sue emozioni. Lo sguardo tornò truce come quello di un tempo, la fronte si corrucciò.
“Ah. Sei qui”, disse Valerio, simulando un certo disappunto.
“Come te, Nanetto. Ti sono mancata, vero?”
“Neanche un po’! Non sono io che ti ho mandato per primo gli auguri di Natale!”
“Sì, però hai risposto e hai continuato a darmi spago. Avresti anche potuto non farlo. Comunque, che ci fai qui, Brontolo?”
“Sono qui per studiare. A casa era noioso. E tu? Non avevi detto che volevi spassartela con le tue amiche?”
“Sono già partire per le rispettive università. Così, l’ho fatto anch’io. Spero che non ti dispiaccia!”
“Figurati.”
Valerio e Chanel si lanciarono sguardi sadici di sfida.
“Cerca solo di starmi alla larga, Strega”, le disse freddamente Valerio.
“Potrei dirti la stessa cosa”, ricambiò Chanel.
“Bene.”
“Bene.”
“Bene.”
“Bene!” gridò Chanel per concludere quella stupida conversazione che non stava andando da nessuna parte.
Presero su le loro cose e si diressero nelle rispettive camere, lasciando il povero Felice imbambolato da solo all’ingresso, lo sguardo sconcertato e basito. Poi esplose. Iniziò a gridare, correndo come un pazzo senza meta per tutta la casa, andando prima di qua e poi di là a random.
“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!” urlò a squarciagola come un matto in manicomio.
Attirando così le ire di Valerio e Chanel.
Aprirono all’unisono le porte delle loro stanze e si fermarono sull’uscio, lanciandosi sfrecciatine con gli sguardi colmi d’odio, poi si voltarono a guardare Felice che correva freneticamente, gridando e sbracciando.
“BASTA!” urlò Chanel, così forte da sovrastare la voce stridula e isterica di Felice, che si fermò di scatto in mezzo al corridoio, guardando prima Chanel, poi Valerio, poi di nuovo Chanel e ancora Valerio.
Si rese improvvisamente conto di ciò che aveva fatto e di essere appena riuscito a suscitare le ire dei suoi coinquilini appena rincasati e stanchi del viaggio. Si grattò il capo, sorridendo forzatamente in maniera piuttosto imbarazzata, ma nessuno dei due sembrò rabbonirsi.
“Hai finito?” lo freddò Chanel con aria da saputelle.
Felice annuì col capo, tremolante come una foglia.
“Sarà meglio per te, piagnucolone che non sei altro”, le diede man forte Valerio.
“Non sei felice che siamo tornati, vero? Beh, ti ricordo che questa è anche casa nostra e noi, qui, ci stiamo quanto ci pare, chiaro?” proseguì Chanel.
“No no no no no no no! Cioè, sì sì sì sì sì sì sì sì sì!” farfugliò a vanvera il povero Felice.
“Non è Felice?” s’intromise sarcastico Valerio, riprendendo la domanda retorica fatta da Chanel. “Come fa a non essere Felice? Allora, se non è Felice, chi è?”
Chanel soffocò una risata. “Allora, se è Felice, perché frigna sempre?”
“Perché è un citrullo!” replicò Valerio, mentre Felice rimaneva in piedi imbambolato in mezzo al corridoio, fra i loro sguardi perfidi e sadici.
“Ti avverto, Felice. Tu facci ancora e ti farò pentire di essere nato”, lo minacciò Chanel.
“E io le darò man forte. Stai attento a te, Piagnucolone!” la sostenne Valerio.
Felice annuì tremolando e Valerio e Chanel rientrarono nelle rispettive stanze. Al povero Felice non restò altro da fare che reperire i suoi libri in cucina e portarli in camera. Riprese lo studio in silenzio, chiedendosi quali faccende da Cenerentolo gli avrebbero rifilato nel giro di qualche ora.
La pacchia era già finita.

Dopo mezz’ora, Valerio già spadroneggiava con la tv in cucina. Proprio mentre stava guardando uno dei suoi programmi preferiti, vide Chanel fare la sua scenica entrata vestita come se andasse a una sfilata di moda. Poggiò la borsetta e controllò di aver preso tutto.
“Esci?” le domandò Valerio, incuriosito dal suo abbigliamento da diva hollywoodiana.
“No, mi sono vestita così per fare una sfilata di moda in corridoio”, lo freddò lei, irritata.
Valerio sbuffò, ma ribatté. L’avrebbe fatto con molto piacere, se non avesse avuto tanta premura di sapere con chi stesse uscendo, anche se già se lo immaginava.
“Non sono affari tuoi! Ora te la faccio io una domanda: perché t’interessa?”
“Non m’interessa”, mentì Valerio. “Volevo solo tentare di avere una conversazione amichevole con te.”
“Idiota!” esclamò Chanel, infilandosi il cappotto. “Conversare con te non m’interessa.”
Il volto di Valerio si contorse in un’espressione sadica e compiaciuta. “È per questo che mi hai scritto il giorno di Natale?”
Chanel non rispose. Si limitò a troneggiare su di lui, che stava seduto a tavola, lo sguardo di superiorità e sufficienza. “E tu perché mi hai risposto?”
Per la prima volta, Valerio si trovò senza parole e dovette pensare a cosa rispondere. Non aveva la battuta pronta, mentre Chanel con lo sguardo incalzava.
“Fossi in te, avrei detto che non ti andava di essere insultato gratuitamente, ma non l’hai fatto. Cos’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
E Valerio non rispondeva.
“Buona serata, Nano Da Giardino”, lo piantò in asso, prendendo la porta.
Valerio strinse i pugni e grugnì, il volto rosso di rabbia per non aver avuto la battuta pronta come al suo solito, ma a mentire, non era stato mai bravo. A dire la verità, il vero motivo per cui le aveva risposto lo negava anche a se stesso, così come aveva intuito per Chanel. Lui sapeva perché gli aveva scritto. O forse no. Non ci capiva più nulla! Preso dall’ira e dalla frustrazione, calciò con violenza la gamba del tavolino, spostandolo di diversi centimetri. Chanel stava uscendo con quel Riccardo, ne era sicuro! Non avrebbe dovuto importargli, ma la rabbia montava esponenzialmente dentro di lui. Da come si era vestita, si trattava sicuramente di un appuntamento galante e non amichevole, un appuntamento che sarebbe potuto finire nel peggiore dei modi. No! Non poteva permetterlo. Prese su la giacca e uscì. Raggiunse il centro con la velocità di una gazzella, ma Chanel non era in piazza. Allora, iniziò a cercarla per i vicoli e le vie traverse, nei locali, per tutto il centro, ma senza successo. Era certo che fosse in zona, in quanto non era andata via con la macchina, ma per quanto ne sapeva, avrebbe potuto benissimo aver incontrato Riccardo e essere andata in auto con lui. Accidenti! Si sedette in preda all’ira ai piedi della fontana al centro della piazza. Aveva girato il centro in lungo e in largo diverse volte per due ore a file, perciò poteva concedersi una piccola pausa. Quando finalmente una criniera rossiccia apparve all’orizzonte. Chanel passeggiava mano nella mano con Riccardo, ridendo allegra e spensierata, lui che la guardava con occhi smielati e persi. Erano con un gruppetto di amici e quindi, suppose Valerio, erano sicuramente stati a casa di uno di loro. Si alzò da terra e si nascose in modo da rimanere nelle vicinanze più prossime senza essere visto. Vide Chanel e Riccardo salutare il gruppo, poi li seguì dentro un locale. Si sedette a un tavolo vicino a loro, il cappuccio calato il più possibile davanti agli occhi per non farsi riconoscere e passare in incognito. Con la coda dell’occhio, vide arrivare il cameriere che servì loro due tazze fumanti di cioccolata calda. Valerio ne ordinò una anche per sé per passare il più possibile inosservato, anche se Chanel non sembrava affatto curarsi di chi le stava attorno. Lei e Riccardo erano così sdolcinati, così smielati che a Valerio quasi si cariarono tutti i denti. Chanel non sembrava nemmeno Chanel! Fingeva e non sapeva perché. In un angolino remoto del suo cuore, Valerio sperava che Chanel stesse fingendo per non ammettere che a se stessa che Riccardo non era quello giusto per lei. Ma che stava dicendo? Che gliene importava a lui, se Chanel si metteva con Riccardo? Doveva essere senz’altro vittima di un altro sortilegio di quella strega maledetta! Sortilegio o no, buttò giù un bel sorso di cioccolata bollente per non andare a picchiare a Riccardo. Gli stava andando il sangue alla testa e non poteva andare avanti così. Ma perché non se ne tornava a casa? Chi glielo faceva stare, a lui, a star lì, a sorbettarsi quei due idioti? Non sapeva nemmeno che cosa diavolo ci facesse lì! Ma se solo pensava all’idea di tornare a casa, gli si annebbiava la vista. Non sapeva perché, ma non poteva permettere che Chanel andasse oltre con quel Riccardo. Quando si alzarono, lì seguì, mentre mano nella mano facevano due passi in centro. Tenendosi alla giusta distanza, li sentì parlare di una cenetta romantica solo loro due, una cenetta romantica che a Valerio non suonava bene per niente. Di solito sapeva come andavano a finire le “cenette romantiche”! No. Chanel con quel Riccardo proprio no! Che ci faceva lei con quel bambolotto rifatto? Non riusciva proprio a spiegarselo, ma non era quella al momento la sua priorità. Doveva trovare un modo di mandare all’aria la serata a Chanel, o non sarebbe mai riuscito a evitare l’inevitabile. Sghignazzò sadicamente. Ora sapeva cosa fare.

Chanel e Riccardo passeggiavano mano nella mano e non vedevano l’ora che giungesse l’ora di cena per andare al ristorante. Chanel aveva cercato dal telefono qualche bel posticino a Pesaro. La serata prometteva bene. Doveva ammettere, però, che la compagnia di Riccardo, per quanto piacevole fosse, non era poi così esaltante come quella di Valerio. Anche se non lo sopportava, litigare con lui era a dir poco esilarante. Con Riccardo era impossibile anche solo punzecchiarsi, figuriamoci litigare! Ma non era poi così importante, dopo tutto. Lui l’ascoltava, la capiva e l’assecondava in tutto, il che non era niente male! Sì! Una serata romantica era proprio quello che ci voleva per distrarsi. Mentre si dirigevano a prendere l’auto di Riccardo parcheggiata in via mercatale, un ragazzotto alto e robusto si avvicinò loro.
“Chanel, tesoro! Che ci fai qui? Chi è lui?” li abbordò.
Chanel aggrottò la fronte. Chi era quel tipo? Che cosa voleva da lei? E perché la chiamava tesoro?
“Scusami? Chi sei tu? Chi ti conosce?” lo aggredì.
“Sei forse impazzita?” replicò il tipo. Poi si voltò a guardare Riccardo. “E tu? Tu cosa vuoi dalla mia ragazza?”
“La tua ragazza?” sbottò Chanel. “Ma se neanche so chi sei!”
Riccardo, che era rimasto in silenzio, incapace di parlare, recuperò la voce. “Avevi detto di non essere fidanzata.”
“Infatti non lo sono!” protestò lei.
“Cosa?” tuonò il tipo. “Ah, ti fa comodo, eh! Mi pianti in asso a casa prima del tempo, torni a Urbino per studiare, invece te la spassi con uno al quale non hai nemmeno detto di avere il ragazzo? Non so proprio che parole usare con te! Mi fai schifo! Tra noi è finita! E tu, bamboccio... Ah! Lasciamo perdere! Non voglio sporcarmi le mani con te!” esclamò, rivolgendosi poi a Riccardo. Senza dare a nessuno il tempo di replicare, se ne andò.
Chanel rimase così basita, da non riuscire nemmeno a trovare le parole adatte alla situazione. Chi era quel tipaccio? Come sapeva il suo nome?
Riccardo, invece, sentì il cuore andargli in frantumi. Quel ragazzo sapeva troppe cose per non aver detto la verità. Chanel, la ragazza dei suoi sogni, la più bella e straordinaria che avesse mai incontrato, gli aveva mentito. Aveva fatto il doppio gioco, prendendo in giro sia lui che il suo ragazzo.
“Non gli crederai, spero”, esordì Chanel, facendo ancora fatica a capirci qualcosa.
“Sapeva troppe cose, Chanel. Troppe. Mi hai mentito! Ci hai preso in giro tutti e due! Ma che persona sei?” esplose schifato.
Senza neanche darle il tempo di rispondere, si voltò e corse via come un ghepardo, alla volta della sua macchina. Nonostante i tacchi, Chanel gli corse dietro, ma Riccardo era troppo veloce.
“Riccardo! Riccardo, aspetta! Non è vero niente! Io non so neanche chi sia quel tipo là!” gli gridò.
Ma Riccardo la ignorò. Salì in macchina, mise in moto e si dileguò nel manto nero della sera invernale.
Chanel rimase lì, in piedi, basita e sconcertata. Come aveva potuto Riccardo credere a una simile stupidaggine? Lei non era certo uno stinco di santo, ma quel tipo di giochetti senza rispetto non li avrebbe mai fatto. Rimase lì. A riflettere. Lo avrebbe chiamato, quando gli fosse sbollita la rabbia. Nel frattempo, pensò, sarebbe stata una buona idea tornare a casa e immergersi in un bagno caldo. Sì. Ne aveva proprio bisogno. S’incamminò, la testa piena di domande.
Nel frattempo, un’ombra sghignazzava sadica e soddisfatta nel cuore dell’oscurità.


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