VALERIO
La sveglia trillò solo per qualche istante, quando una mano ancora
semi-addormentata la staccò, uno sbadiglio nel buio e un sonoro rantolare
assonnato. Sapeva che la sveglia avrebbe cantato di nuovo a squarciagola nel
giro di pochi minuti, cinque per l’esattezza, perché era lui stesso ad averla
programmata in quel modo. Cinque minuti di pacchia per il risveglio, dopo la
prima chiamata; alzarsi lesto e desto, alla seconda. Mentre pian piano apriva
gli occhi e si rigirava a pancia su a fissare il soffitto, una bizzarra
eccitazione s’impossessò di lui. Era il grande giorno, finalmente! Il giorno in
cui si sarebbe sbarazzato di quei rompiscatole disordinati e caotici dei suoi
genitori per un bel po’ di tempo. Sorrise. Un sorriso compiaciuto, addirittura
quasi sadico, che gli scompigliò il volto ancora mezzo dormiente. Già pensava
al da farsi e alla lista di cose programmate per la giornata. Perché una
giornata così importante, andava programmata nei minimi dettagli. Non che non
lo facesse già, ma quella meritava un’attenzione particolare. Non poteva
rischiare di dimenticarsi qualcosa, di tardare, né tanto meno di fare tutto in
fretta e furia col rischio che qualcosa andasse storto. Per questo aveva
posizionato la sveglia all’alba. Erano le cinque meno cinque, quando la sveglia
aveva cantato la prima volta. E alle sei, cantò la seconda. Valerio allungò la
mano, spense la sveglia, si sedette sul letto, le gambe penzoloni e i piedi
scalzi, e s’infilò le ciabatte. Si stiracchiò, compiaciuto per la bella
giornata che si prospettava, e si alzò. Noncurante dei suoi genitori che ancora
dormivano, sollevò sonoramente la serranda, senza prestare la benché minima
attenzione per far meno rumore possibile, provocando così un gran fracasso, che
non solo avrebbe svegliato quei rompipalle dei suoi, ma anche quei frignoni dei
suoi vicini. Ma non gli importava. Perché lui era Valerio. E Valerio faceva
quello che voleva e quando lo voleva. Spalancò la finestra per far sì che
l’aria frizzantina di inizio Ottobre rinfrescasse la sua stanza dal tanfo di
chiuso della notte. Poi, uscì dalla sua stanza, sbattendo con violenza la porta
alle sue spalle. Andò in bagno a sciacquarsi il viso con dell’acqua tiepida per
non subire uno choc termico per via dell’eccessivo calore accumulato dal suo corpo
durante la notte, e si asciugò. Si tamponò meticolosamente la faccia con il suo
asciugamano personale, controllando che nemmeno una cellula fosse rimasta
umida, e ripose l’asciugamano, ripiegandolo con cura accanto a quelli malmessi
dei suoi genitori. Non sopportando che trattassero così malamente le loro cose,
né qualsivoglia tipo di imperfezione, Valerio prese gli asciugamani dei suoi,
appollaiati lì come due asciugamani normali, e li ripiegò con la stessa
precisione con cui aveva ripiegato il suo, sbuffando già irritato. Ogni volta
che andava in bagno, era sempre la stessa storia. I suoi genitori non facevano
altro che lasciare i loro asciugamani in disordine, pieni di pieghe e
pieghette, che proprio non riusciva a sopportare. Gli si annebbiava la vista,
se non era tutto perfetto. Eppure, gliel’aveva detto mille volte di non
lasciare pieghe sugli asciugamani! Quante volte ancora e in quale lingua
avrebbe dovuto dirglielo?
“Non appena si alzeranno, vedranno!” bofonchiò Valerio fra sé e sé,
mentre finiva di ripiegare l’asciugamano di suo padre.
Se solo pensava che da bambino, pretendevano che usassero tutti a tre
il medesimo straccio per asciugarsi mani e viso... Brrrr! Gli venivano i
brividi al solo pensiero. Tre persone, tre asciugamani. A ognuno il suo,
nessuna eccezione! Lo aveva preteso.
Sollevò lo sguardo verso lo specchio, il musone già bello lungo di
prima mattina e i capelli scompigliati dalla dormita notturna. Odiava avere i
capelli in disordine! Come di routine, prese la spazzola e inizio a passarla
fra la folta chioma leonina e biondiccia di media lunghezza, gli occhi neri,
come nero era il suo umore, fissi e concentrati sulla mano che abile si
rimetteva in ordine i capelli per la colazione. Soltanto allora, si lavò le
mani e andò in cucina, fischiettando per scacciar il malcontento mattutino.
Mise sul fuoco una moka di caffè, poi prese il bricco e vi versò del buon latte
fresco, che comprava ogni giorno personalmente. Attese, controllando col
termometro da cucina che il latte raggiungesse la temperatura giusta, mentre,
nel frattempo, misurava precisamente due cucchiaini d’orzo e lo versava nella
sua tazza personale, insieme a un cucchiaio preciso-preciso di miele. Quando il
latte ebbe raggiunto la temperatura giusta, lo tolse dal fuoco e lo versò nella
tazza, a cui poi aggiunse una tazzina esatta di caffè. Poi prese un pacco di
cereali e ne adagiò un po’ sul tovagliolo, che finì a sua volta sopra la
bilancia. Pesò i creali al milligrammo, solo allora si concesse di versarli
nella tazza per far colazione. Iniziò a mangiare, tranquillo, gustandosi il
silenzio umano che avvolgeva la casa, senza nessuno che lo disturbasse, il
croccante scrocchiare dei cereali fra i denti che gli teneva compagnia. Almeno
fino a quel momento...
“Buongiorno Valerio!” lo salutò suo padre, allegro e pimpante.
Valerio, che stava beatamente sorseggiando il suo latte caldo con
caffè, si bloccò a mezz’aria, lo sguardo assassino e seccato. Ripoggiò la
tazza, deglutì e si ripulì la bocca con tovagliolo, che ripose, ripiegandolo
accanto a sé.
“Che cosa ci trovi di buono?” lo freddò lui già spazientito.
“Vedo che siamo di buonumore stamattina! Come al solito del resto”,
replicò il padre, sarcastico.
Che cosa aveva fatto di tanto male nella vita per essersi beccato un
figlio come Valerio? Musone, scontroso, precisino e perfettino, addirittura
maniaco, lunatico, bisbetico! Ma da chi diavolo aveva preso, quel ragazzo?
Eppure lui e sua moglie erano delle persone allegre e solari, ordinate sì, ma
non fino all’ossessione, come Valerio! Inoltre, erano sempre state delle brave
persone, oneste e lavoratrici, per tanto non credeva proprio di meritarsi
quella piaga per figlio come punizione! Che avesse commesso qualche terribile
azione in una vita precedente e il Destino voleva che la scontasse, sopportando
il figlio bisbetico e lunatico? Mentre prendeva il suo bricco, che condivideva
con la moglie, Romeo sentiva su di sé lo sguardo truce e penetrante del figlio.
Sapeva già che non sopportava il casino che, a sua detta, faceva, né tanto meno
che versasse cucchiaini alla rinfusa nella tazza, senza curarsi di non
impolverare la tavola.
“Guarda che hai fatto!” lo rimproverò Valerio, alzandosi dalla sedia
per prendere uno straccio.
Scansò di prepotenza il padre, fulminandolo con un’occhiataccia, e
ripulì la polvere di caffè caduta in tavola.
“Santo Cielo, Valerio! Impara a essere un po’ più spartano! Nella vita
bisognerà pur vivere, no?” esclamò Romeo per l’ennesima volta.
Valerio lo folgorò con un’altra delle sue occhiatacce. Romeo...
Persino il nome aveva da idiota! Neanche fosse il personaggio di Shakespeare!
Quel che lo sconfortava ancora di più, era il nome di sua madre. Giulia si
chiamava, la sciagurata! E data la sua scarsa altezza, tutti la chiamavano
Giulietta.
“Perfetto!” pensava spesso Valerio. “Ho il teatrino a casa. Romeo e
Giulietta, bleah!”
Sciacquò stizzito lo straccio sotto l’acqua, quando rabbrividì nel
vedere ciò che stava facendo suo padre.
“Non toccare il mio bricco!” lo seccò. “Dovresti saperlo che le mie
cose non si toccano!”
“Santo Cielo! Lo stavo solo spostando per mettere a scaldare il
latte!”
“Beh, dovresti prima chiedermi il permesso, lo sai! Oppure, potresti
metterlo su un altro fornello, no?”
“Grazie del suggerimento, Vostra Maestà!”
“Prego, non c’è di che, buffone di corte!”
Romeo sospirò, decidendo di non litigare per l’ennesima volta con il
figlio, come succedeva di continuo, soltanto perché finalmente il Cielo aveva
voluto che giungesse il giorno in cui Valerio sarebbe finalmente partito per
l’università. E dal momento che la sua famiglia viveva a Firenze e che lui
sarebbe andato a studiare a Urbino, non sarebbe tornato a casa molto spesso. Si
sfregò le mani, soddisfatto, felice di liberarsi per un po’ di quel figlio
scorbutico e musone, che proprio non riusciva più a reggere. Gli voleva un gran
bene, in realtà, però Valerio sapeva essere odioso e insopportabile, e non
comprendeva il motivo. Romeo avrebbe tanto voluto essere uno di quei padri che
fanno tantissime cose con i figli, ma Valerio non gliene concedeva mai occasione.
Si sfregò nuovamente le mani, soddisfatto, mentre Valerio lavava la sua tazza,
il suo bricco e le sue posate, per poi asciugare tutto alla perfezione,
controllando che sulle stoviglie non rimanesse nemmeno una goccia d’acqua. Poi,
sparì verso il bagno. La porta era chiusa, ma Valerio la spalancò ugualmente.
“Valerio!” si arrabbiò sua madre, intenta a lavarsi la faccia con un
gel detergente anti-age. “Ma insomma! Un po’ di rispetto, no?”
“Fuori!” la cacciò Valerio, furibondo.
Il bagno serviva a lui e quando gli serviva, tutti dovevano sloggiare.
“No. Finisco di sciacquarmi il viso. Aspetta il tuo turno!”
“Non me ne frega niente, mamma! Mi serve il bagno o farò tardi sulla
tabella di marcia! Fuori!” tuonò Valerio.
Ma Giulia non era intenzionata a uscire e a farsi mettere i piedi in
testa da quella piaga che aveva partorito diciannove anni prima. Valerio si
appoggiò all’uscio, le braccia conserte e lo sguardo truce, gli occhi neri che
perforavano la madre in attesa che decidesse a sloggiare. Giulia si tamponò il
viso e ripose l’asciugamano alla meglio per poi uscire, ma Valerio l’afferrò
per un braccio, bloccandola.
“Come si ripiega l’asciugamano?” le domandò acido.
Giulia sospirò e si liberò dalla presa con uno strattone. “Sei
impossibile!” gli disse, camminando spedita e impettita verso la cucina, non
volendo dargliela vinta.
Meno male che quel giorno sarebbe partito!
Valerio sbuffò seccato, entrò in bagno e sbatté la porta. Ripiegò con
cura l’asciugamano di sua madre e si lavò i denti prima con lo spazzolino, poi
col filo interdentale, e infine fece dei lunghi risciacqui col collutorio. Andò
a vestirsi, rifece il letto maniacalmente, assicurandosi che non ci fosse
neanche una piega, e iniziò a controllare le valigione. Prese la lista,
cominciando a spuntare le cose che aveva già messo e a metter dentro le
rimanenti, quelle dell’ultimo minuto. Impiegò tutta la mattinata per fare ciò,
facendo spazientire i genitori che, nonostante tutto, avrebbero gradito
pranzare tutti insieme almeno la domenica, come una famiglia, ma Valerio, come
al solito, non era mai pronto in tempo per l’ora di pranzo. Tanto che i
genitori iniziarono a mangiare senza di lui. Alle volte, credevano che Valerio
lo facesse appositamente per mangiare da solo e, infatti, così era. Valerio
rimase tutta la mattina chiuso in camera a controllare e ricontrollare le
valigie, solo allora, quando fu tutto perfetto, si decise ad andare a pranzo.
“La pasta è fredda”, si lamentò Valerio.
“Se fossi venuto a pranzo, quando ti abbiamo chiamato, sarebbe stata
ancora calda!” commentò suo padre.
Valerio sbuffò, seccato di doverla scaldare in micro e mangiarla
spappolata. Ma che problemi avevano i suoi genitori? Quante volte doveva dir
loro, ancora, che da mangiare se lo preparava da sé, con le sue pentole e i
suoi piatti? Meno male che sarebbe partito nel giro di un paio d’ore! Fu quello
il motivo per cui decise di non far altra polemica. Non voleva ulteriormente
rovinarsi una giornata che sarebbe dovuta essere perfetta! Mangiò in silenzio,
mentre i genitori guardavano la tv in soggiorno.
“La spegnete?” domandò Valerio acido come il più potente dei
corrosivi. “Mi dà fastidio! Lo sapete, no? Quante volte ve lo devo dire?”
Romeo sospirò rassegnato e, anche se la moglie avrebbe voluto dargli
battaglia, cogliendo lo sguardo supplichevole ed esasperato del marito, stufo
di quell’ingestibile e insopportabile situazione da manicomio, alla fine
acconsentì a spegnerla.
“Meno due ore”, le sussurrò Romeo, facendo con lei il conto alla
rovescia di quanto mancasse alla partenza di Valerio.
Entrambi si chiedevano spesso come fossero arrivati a quel punto.
Valerio non era mai stato un bambino molto socievole, né affettuoso, ma
crescendo gli aspetti più acuminati e spigolosi del suo carattere si erano
accentuati esponenzialmente, peggiorando di giorno in giorno. Si consolavano
entrambi, ripetendosi che fondamentalmente era un bravo ragazzo, responsabile e
con la testa sulle spalle. Sempre voti perfetti a scuola, condotta perfetta,
mai una serata brava in discoteca, mai bevuto un alcolico e provato una
sigaretta. Per fortuna, certi generi di preoccupazioni, non ne aveva mai dati.
Era fin troppo... Perfetto e perfezionista. E questo li preoccupava, perché
Valerio non sapeva vivere. Non aveva mai avuto nemmeno una ragazza!
“E per forza!” diceva sempre suo padre. “Con tutti quegli aculei e
quegli spini, quale povera disgraziata vuoi che se lo prenda?”
In effetti, aveva ragione. Quale ragazza sarebbe mai riuscita a
sopportare i suoi repentini sbalzi d’umore, il suo perenne muso lungo e imbronciato
e il suo caratteraccio da bisbetico? Nessuna, ovviamente. E pensare, che non
era nemmeno un brutto ragazzo! Aveva dei bei capelli, il viso mascolino e
regolare, dei begli occhi neri all’insù, il nasino a patatina... Peccato per
l’altezza, anzi la bassezza. Misurava soltanto un metro e sessantacinque,
difetto che aveva ereditato dalla madre. Però nell’insieme, rimaneva comunque
un ragazzo grazioso... A parte quel caratteraccio malefico!
Valerio si alzò da tavola, spazientito per lo schifo che si era dovuto
ingurgitare, lavò i suoi piatti e si sedette sul divano lontano dai suoi
genitori. Ma prima di farlo, passò davanti a quello dov’erano seduti i suoi
vecchi e sfilò con prepotenza il telecomando dalla mano del padre. Si sedette
per i fatti suoi e, senza interpellare nessuno, accese la tv, facendo zapping
per un po’ alla ricerca di qualcosa che gli interessasse davvero. Ma nulla.
Allora, la rispense e si mise a sfogliare un libro, lasciando i suoi nel
silenzio più assoluto. Se solo provava a volare una mosca, lui... Meglio non
dire, pensò.
Quasi due ore... Nel silenzio più assoluto, quasi tombale.
Poi, suonò la sveglia.
Valerio balzò in piedi, chiuse le valigie e le portò i soggiorno.
Dopodiché, chiuse a chiave la sua camera, dal momento che nessuno avrebbe
dovuto entrarvi, finché non sarebbe stato di ritorno. Nemmeno per le pulizie.
Ci avrebbe pensato personalmente, quando sarebbe rientrato per le festività
maggiori. Non voleva certo che quei casinari dei suoi genitori gliela
buttassero a soqquadro! No, Signore! Nessuno entrava in camera sua e toccava le
sue cose!
S’infilò il cappotto, la sciarpa e il berretto di lana e prese le
chiavi della macchina.
“Bene. Vi saluto”, disse freddamente, ma soddisfatto.
“Ciao Valerio”, lo abbracciò il padre.
“Ciao, tesoro”, lo abbracciò anche la madre. “So che non ti piacerà,
ma ti prego! Il viaggio in macchina fino a Urbino è lungo. Chiamaci appena
arrivi. Oppure mandaci un messaggio! Basta che ci fai sapere che stai bene!”
“Va bene”, le concesse Valerio.
“Vorrei poterti dire che ci mancherai, ma... Non è così”, confessò
Romeo. “Anche se ti vogliamo un gran bene, non ci mancherai.”
“Guarda che è reciproca la cosa. Siete due disordinati rompicoglioni.
State sempre in mezzo come le vacche indiane!”
“Sì, ti vogliamo bene anche noi, Valerio”, gli disse dolcemente sua
madre, accarezzandogli la gota. Voleva credere che il figlio fosse migliore di
ciò che mostrava.
“Basta smancerie o mi farete cariare tutti i denti”, replicò Valerio
sarcastico e allergico a qualsivoglia manifestazione di affetto. “Tornerò per
Natale!”
“Oh no!” pensò Romeo. “Ci
rovinerà tutte le festività!”
Ma doveva accontentarsi. In fondo, non l’avrebbe visto per un bel po’.
Romeo e Giulia lo aiutarono a portar giù i bagagli e a caricarli in
macchina.
“A mai più rivederci, rompicoglioni!” esclamò, salendo in macchina e
mettendo in moto.
Ma suo padre gli bussò sul finestrino.
Valerio lo abbassò, lo sguardo truce e l’espressione seccata. “Mi dici
che vuoi, adesso?”
“Ricordati, Valerio, che prima o poi troverai pane per i tuoi denti.
Incontrerai un osso talmente duro, che ti darà del filo da torcere e che ti
prenderà a calci in culo come si deve! Allora, forse, ti passerà la voglia di
fare tanto il tiranno!”
Valerio sbuffò, un sorriso di scherno e di superiorità, che gli
scompigliava il musone lungo e truce. “Ne dubito fortemente. Non sarò io,
quello che sarà preso a calci in culo.”
Richiuse il finestrino, mentre suo padre si allontanava dall’auto, poi
retromarcia, prima e via! Verso la sua nuova meta.
La sua nuova vita in libertà, lontano dai quei rompipalle dei suoi
genitori, stava per avere inizio.
Peccato per lui, che non sapeva ancora quale incubo lo stesse
aspettando...
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