domenica 16 settembre 2018

DUE BISBETICI ALLA RISCOSSA!!!! - 1° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


VALERIO

La sveglia trillò solo per qualche istante, quando una mano ancora semi-addormentata la staccò, uno sbadiglio nel buio e un sonoro rantolare assonnato. Sapeva che la sveglia avrebbe cantato di nuovo a squarciagola nel giro di pochi minuti, cinque per l’esattezza, perché era lui stesso ad averla programmata in quel modo. Cinque minuti di pacchia per il risveglio, dopo la prima chiamata; alzarsi lesto e desto, alla seconda. Mentre pian piano apriva gli occhi e si rigirava a pancia su a fissare il soffitto, una bizzarra eccitazione s’impossessò di lui. Era il grande giorno, finalmente! Il giorno in cui si sarebbe sbarazzato di quei rompiscatole disordinati e caotici dei suoi genitori per un bel po’ di tempo. Sorrise. Un sorriso compiaciuto, addirittura quasi sadico, che gli scompigliò il volto ancora mezzo dormiente. Già pensava al da farsi e alla lista di cose programmate per la giornata. Perché una giornata così importante, andava programmata nei minimi dettagli. Non che non lo facesse già, ma quella meritava un’attenzione particolare. Non poteva rischiare di dimenticarsi qualcosa, di tardare, né tanto meno di fare tutto in fretta e furia col rischio che qualcosa andasse storto. Per questo aveva posizionato la sveglia all’alba. Erano le cinque meno cinque, quando la sveglia aveva cantato la prima volta. E alle sei, cantò la seconda. Valerio allungò la mano, spense la sveglia, si sedette sul letto, le gambe penzoloni e i piedi scalzi, e s’infilò le ciabatte. Si stiracchiò, compiaciuto per la bella giornata che si prospettava, e si alzò. Noncurante dei suoi genitori che ancora dormivano, sollevò sonoramente la serranda, senza prestare la benché minima attenzione per far meno rumore possibile, provocando così un gran fracasso, che non solo avrebbe svegliato quei rompipalle dei suoi, ma anche quei frignoni dei suoi vicini. Ma non gli importava. Perché lui era Valerio. E Valerio faceva quello che voleva e quando lo voleva. Spalancò la finestra per far sì che l’aria frizzantina di inizio Ottobre rinfrescasse la sua stanza dal tanfo di chiuso della notte. Poi, uscì dalla sua stanza, sbattendo con violenza la porta alle sue spalle. Andò in bagno a sciacquarsi il viso con dell’acqua tiepida per non subire uno choc termico per via dell’eccessivo calore accumulato dal suo corpo durante la notte, e si asciugò. Si tamponò meticolosamente la faccia con il suo asciugamano personale, controllando che nemmeno una cellula fosse rimasta umida, e ripose l’asciugamano, ripiegandolo con cura accanto a quelli malmessi dei suoi genitori. Non sopportando che trattassero così malamente le loro cose, né qualsivoglia tipo di imperfezione, Valerio prese gli asciugamani dei suoi, appollaiati lì come due asciugamani normali, e li ripiegò con la stessa precisione con cui aveva ripiegato il suo, sbuffando già irritato. Ogni volta che andava in bagno, era sempre la stessa storia. I suoi genitori non facevano altro che lasciare i loro asciugamani in disordine, pieni di pieghe e pieghette, che proprio non riusciva a sopportare. Gli si annebbiava la vista, se non era tutto perfetto. Eppure, gliel’aveva detto mille volte di non lasciare pieghe sugli asciugamani! Quante volte ancora e in quale lingua avrebbe dovuto dirglielo?
“Non appena si alzeranno, vedranno!” bofonchiò Valerio fra sé e sé, mentre finiva di ripiegare l’asciugamano di suo padre.
Se solo pensava che da bambino, pretendevano che usassero tutti a tre il medesimo straccio per asciugarsi mani e viso... Brrrr! Gli venivano i brividi al solo pensiero. Tre persone, tre asciugamani. A ognuno il suo, nessuna eccezione! Lo aveva preteso.
Sollevò lo sguardo verso lo specchio, il musone già bello lungo di prima mattina e i capelli scompigliati dalla dormita notturna. Odiava avere i capelli in disordine! Come di routine, prese la spazzola e inizio a passarla fra la folta chioma leonina e biondiccia di media lunghezza, gli occhi neri, come nero era il suo umore, fissi e concentrati sulla mano che abile si rimetteva in ordine i capelli per la colazione. Soltanto allora, si lavò le mani e andò in cucina, fischiettando per scacciar il malcontento mattutino. Mise sul fuoco una moka di caffè, poi prese il bricco e vi versò del buon latte fresco, che comprava ogni giorno personalmente. Attese, controllando col termometro da cucina che il latte raggiungesse la temperatura giusta, mentre, nel frattempo, misurava precisamente due cucchiaini d’orzo e lo versava nella sua tazza personale, insieme a un cucchiaio preciso-preciso di miele. Quando il latte ebbe raggiunto la temperatura giusta, lo tolse dal fuoco e lo versò nella tazza, a cui poi aggiunse una tazzina esatta di caffè. Poi prese un pacco di cereali e ne adagiò un po’ sul tovagliolo, che finì a sua volta sopra la bilancia. Pesò i creali al milligrammo, solo allora si concesse di versarli nella tazza per far colazione. Iniziò a mangiare, tranquillo, gustandosi il silenzio umano che avvolgeva la casa, senza nessuno che lo disturbasse, il croccante scrocchiare dei cereali fra i denti che gli teneva compagnia. Almeno fino a quel momento...
“Buongiorno Valerio!” lo salutò suo padre, allegro e pimpante.
Valerio, che stava beatamente sorseggiando il suo latte caldo con caffè, si bloccò a mezz’aria, lo sguardo assassino e seccato. Ripoggiò la tazza, deglutì e si ripulì la bocca con tovagliolo, che ripose, ripiegandolo accanto a sé.
“Che cosa ci trovi di buono?” lo freddò lui già spazientito.
“Vedo che siamo di buonumore stamattina! Come al solito del resto”, replicò il padre, sarcastico.
Che cosa aveva fatto di tanto male nella vita per essersi beccato un figlio come Valerio? Musone, scontroso, precisino e perfettino, addirittura maniaco, lunatico, bisbetico! Ma da chi diavolo aveva preso, quel ragazzo? Eppure lui e sua moglie erano delle persone allegre e solari, ordinate sì, ma non fino all’ossessione, come Valerio! Inoltre, erano sempre state delle brave persone, oneste e lavoratrici, per tanto non credeva proprio di meritarsi quella piaga per figlio come punizione! Che avesse commesso qualche terribile azione in una vita precedente e il Destino voleva che la scontasse, sopportando il figlio bisbetico e lunatico? Mentre prendeva il suo bricco, che condivideva con la moglie, Romeo sentiva su di sé lo sguardo truce e penetrante del figlio. Sapeva già che non sopportava il casino che, a sua detta, faceva, né tanto meno che versasse cucchiaini alla rinfusa nella tazza, senza curarsi di non impolverare la tavola.
“Guarda che hai fatto!” lo rimproverò Valerio, alzandosi dalla sedia per prendere uno straccio.
Scansò di prepotenza il padre, fulminandolo con un’occhiataccia, e ripulì la polvere di caffè caduta in tavola.
“Santo Cielo, Valerio! Impara a essere un po’ più spartano! Nella vita bisognerà pur vivere, no?” esclamò Romeo per l’ennesima volta.
Valerio lo folgorò con un’altra delle sue occhiatacce. Romeo... Persino il nome aveva da idiota! Neanche fosse il personaggio di Shakespeare! Quel che lo sconfortava ancora di più, era il nome di sua madre. Giulia si chiamava, la sciagurata! E data la sua scarsa altezza, tutti la chiamavano Giulietta.
“Perfetto!” pensava spesso Valerio. “Ho il teatrino a casa. Romeo e Giulietta, bleah!”
Sciacquò stizzito lo straccio sotto l’acqua, quando rabbrividì nel vedere ciò che stava facendo suo padre.
“Non toccare il mio bricco!” lo seccò. “Dovresti saperlo che le mie cose non si toccano!”
“Santo Cielo! Lo stavo solo spostando per mettere a scaldare il latte!”
“Beh, dovresti prima chiedermi il permesso, lo sai! Oppure, potresti metterlo su un altro fornello, no?”
“Grazie del suggerimento, Vostra Maestà!”
“Prego, non c’è di che, buffone di corte!”
Romeo sospirò, decidendo di non litigare per l’ennesima volta con il figlio, come succedeva di continuo, soltanto perché finalmente il Cielo aveva voluto che giungesse il giorno in cui Valerio sarebbe finalmente partito per l’università. E dal momento che la sua famiglia viveva a Firenze e che lui sarebbe andato a studiare a Urbino, non sarebbe tornato a casa molto spesso. Si sfregò le mani, soddisfatto, felice di liberarsi per un po’ di quel figlio scorbutico e musone, che proprio non riusciva più a reggere. Gli voleva un gran bene, in realtà, però Valerio sapeva essere odioso e insopportabile, e non comprendeva il motivo. Romeo avrebbe tanto voluto essere uno di quei padri che fanno tantissime cose con i figli, ma Valerio non gliene concedeva mai occasione. Si sfregò nuovamente le mani, soddisfatto, mentre Valerio lavava la sua tazza, il suo bricco e le sue posate, per poi asciugare tutto alla perfezione, controllando che sulle stoviglie non rimanesse nemmeno una goccia d’acqua. Poi, sparì verso il bagno. La porta era chiusa, ma Valerio la spalancò ugualmente.
“Valerio!” si arrabbiò sua madre, intenta a lavarsi la faccia con un gel detergente anti-age. “Ma insomma! Un po’ di rispetto, no?”
“Fuori!” la cacciò Valerio, furibondo.
Il bagno serviva a lui e quando gli serviva, tutti dovevano sloggiare.
“No. Finisco di sciacquarmi il viso. Aspetta il tuo turno!”
“Non me ne frega niente, mamma! Mi serve il bagno o farò tardi sulla tabella di marcia! Fuori!” tuonò Valerio.
Ma Giulia non era intenzionata a uscire e a farsi mettere i piedi in testa da quella piaga che aveva partorito diciannove anni prima. Valerio si appoggiò all’uscio, le braccia conserte e lo sguardo truce, gli occhi neri che perforavano la madre in attesa che decidesse a sloggiare. Giulia si tamponò il viso e ripose l’asciugamano alla meglio per poi uscire, ma Valerio l’afferrò per un braccio, bloccandola.
“Come si ripiega l’asciugamano?” le domandò acido.
Giulia sospirò e si liberò dalla presa con uno strattone. “Sei impossibile!” gli disse, camminando spedita e impettita verso la cucina, non volendo dargliela vinta.
Meno male che quel giorno sarebbe partito!
Valerio sbuffò seccato, entrò in bagno e sbatté la porta. Ripiegò con cura l’asciugamano di sua madre e si lavò i denti prima con lo spazzolino, poi col filo interdentale, e infine fece dei lunghi risciacqui col collutorio. Andò a vestirsi, rifece il letto maniacalmente, assicurandosi che non ci fosse neanche una piega, e iniziò a controllare le valigione. Prese la lista, cominciando a spuntare le cose che aveva già messo e a metter dentro le rimanenti, quelle dell’ultimo minuto. Impiegò tutta la mattinata per fare ciò, facendo spazientire i genitori che, nonostante tutto, avrebbero gradito pranzare tutti insieme almeno la domenica, come una famiglia, ma Valerio, come al solito, non era mai pronto in tempo per l’ora di pranzo. Tanto che i genitori iniziarono a mangiare senza di lui. Alle volte, credevano che Valerio lo facesse appositamente per mangiare da solo e, infatti, così era. Valerio rimase tutta la mattina chiuso in camera a controllare e ricontrollare le valigie, solo allora, quando fu tutto perfetto, si decise ad andare a pranzo.
“La pasta è fredda”, si lamentò Valerio.
“Se fossi venuto a pranzo, quando ti abbiamo chiamato, sarebbe stata ancora calda!” commentò suo padre.
Valerio sbuffò, seccato di doverla scaldare in micro e mangiarla spappolata. Ma che problemi avevano i suoi genitori? Quante volte doveva dir loro, ancora, che da mangiare se lo preparava da sé, con le sue pentole e i suoi piatti? Meno male che sarebbe partito nel giro di un paio d’ore! Fu quello il motivo per cui decise di non far altra polemica. Non voleva ulteriormente rovinarsi una giornata che sarebbe dovuta essere perfetta! Mangiò in silenzio, mentre i genitori guardavano la tv in soggiorno.
“La spegnete?” domandò Valerio acido come il più potente dei corrosivi. “Mi dà fastidio! Lo sapete, no? Quante volte ve lo devo dire?”
Romeo sospirò rassegnato e, anche se la moglie avrebbe voluto dargli battaglia, cogliendo lo sguardo supplichevole ed esasperato del marito, stufo di quell’ingestibile e insopportabile situazione da manicomio, alla fine acconsentì a spegnerla.
“Meno due ore”, le sussurrò Romeo, facendo con lei il conto alla rovescia di quanto mancasse alla partenza di Valerio.
Entrambi si chiedevano spesso come fossero arrivati a quel punto. Valerio non era mai stato un bambino molto socievole, né affettuoso, ma crescendo gli aspetti più acuminati e spigolosi del suo carattere si erano accentuati esponenzialmente, peggiorando di giorno in giorno. Si consolavano entrambi, ripetendosi che fondamentalmente era un bravo ragazzo, responsabile e con la testa sulle spalle. Sempre voti perfetti a scuola, condotta perfetta, mai una serata brava in discoteca, mai bevuto un alcolico e provato una sigaretta. Per fortuna, certi generi di preoccupazioni, non ne aveva mai dati. Era fin troppo... Perfetto e perfezionista. E questo li preoccupava, perché Valerio non sapeva vivere. Non aveva mai avuto nemmeno una ragazza!
“E per forza!” diceva sempre suo padre. “Con tutti quegli aculei e quegli spini, quale povera disgraziata vuoi che se lo prenda?”
In effetti, aveva ragione. Quale ragazza sarebbe mai riuscita a sopportare i suoi repentini sbalzi d’umore, il suo perenne muso lungo e imbronciato e il suo caratteraccio da bisbetico? Nessuna, ovviamente. E pensare, che non era nemmeno un brutto ragazzo! Aveva dei bei capelli, il viso mascolino e regolare, dei begli occhi neri all’insù, il nasino a patatina... Peccato per l’altezza, anzi la bassezza. Misurava soltanto un metro e sessantacinque, difetto che aveva ereditato dalla madre. Però nell’insieme, rimaneva comunque un ragazzo grazioso... A parte quel caratteraccio malefico!
Valerio si alzò da tavola, spazientito per lo schifo che si era dovuto ingurgitare, lavò i suoi piatti e si sedette sul divano lontano dai suoi genitori. Ma prima di farlo, passò davanti a quello dov’erano seduti i suoi vecchi e sfilò con prepotenza il telecomando dalla mano del padre. Si sedette per i fatti suoi e, senza interpellare nessuno, accese la tv, facendo zapping per un po’ alla ricerca di qualcosa che gli interessasse davvero. Ma nulla. Allora, la rispense e si mise a sfogliare un libro, lasciando i suoi nel silenzio più assoluto. Se solo provava a volare una mosca, lui... Meglio non dire, pensò.
Quasi due ore... Nel silenzio più assoluto, quasi tombale.
Poi, suonò la sveglia.
Valerio balzò in piedi, chiuse le valigie e le portò i soggiorno. Dopodiché, chiuse a chiave la sua camera, dal momento che nessuno avrebbe dovuto entrarvi, finché non sarebbe stato di ritorno. Nemmeno per le pulizie. Ci avrebbe pensato personalmente, quando sarebbe rientrato per le festività maggiori. Non voleva certo che quei casinari dei suoi genitori gliela buttassero a soqquadro! No, Signore! Nessuno entrava in camera sua e toccava le sue cose!
S’infilò il cappotto, la sciarpa e il berretto di lana e prese le chiavi della macchina.
“Bene. Vi saluto”, disse freddamente, ma soddisfatto.
“Ciao Valerio”, lo abbracciò il padre.
“Ciao, tesoro”, lo abbracciò anche la madre. “So che non ti piacerà, ma ti prego! Il viaggio in macchina fino a Urbino è lungo. Chiamaci appena arrivi. Oppure mandaci un messaggio! Basta che ci fai sapere che stai bene!”
“Va bene”, le concesse Valerio.
“Vorrei poterti dire che ci mancherai, ma... Non è così”, confessò Romeo. “Anche se ti vogliamo un gran bene, non ci mancherai.”
“Guarda che è reciproca la cosa. Siete due disordinati rompicoglioni. State sempre in mezzo come le vacche indiane!”
“Sì, ti vogliamo bene anche noi, Valerio”, gli disse dolcemente sua madre, accarezzandogli la gota. Voleva credere che il figlio fosse migliore di ciò che mostrava.
“Basta smancerie o mi farete cariare tutti i denti”, replicò Valerio sarcastico e allergico a qualsivoglia manifestazione di affetto. “Tornerò per Natale!”
“Oh no!” pensò Romeo. “Ci rovinerà tutte le festività!”
Ma doveva accontentarsi. In fondo, non l’avrebbe visto per un bel po’.
Romeo e Giulia lo aiutarono a portar giù i bagagli e a caricarli in macchina.
“A mai più rivederci, rompicoglioni!” esclamò, salendo in macchina e mettendo in moto.
Ma suo padre gli bussò sul finestrino.
Valerio lo abbassò, lo sguardo truce e l’espressione seccata. “Mi dici che vuoi, adesso?”
“Ricordati, Valerio, che prima o poi troverai pane per i tuoi denti. Incontrerai un osso talmente duro, che ti darà del filo da torcere e che ti prenderà a calci in culo come si deve! Allora, forse, ti passerà la voglia di fare tanto il tiranno!”
Valerio sbuffò, un sorriso di scherno e di superiorità, che gli scompigliava il musone lungo e truce. “Ne dubito fortemente. Non sarò io, quello che sarà preso a calci in culo.”
Richiuse il finestrino, mentre suo padre si allontanava dall’auto, poi retromarcia, prima e via! Verso la sua nuova meta.
La sua nuova vita in libertà, lontano dai quei rompipalle dei suoi genitori, stava per avere inizio.
Peccato per lui, che non sapeva ancora quale incubo lo stesse aspettando...


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