sabato 29 settembre 2018

DUE BISBETICI ALLA RISCOSSA - 3° PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


FELICE

Erano già le tre del pomeriggio inoltrate e Felice era sui libri da un po’. I grossi occhiali neri a culo di bottiglia perennemente al naso, era tutto assorbito nello studio. Era arrivato a Urbino il giorno prima, di sabato, per essere sicuro di riuscire a disfare le valigie con comodo, scegliendosi la stanza che preferiva. Appena entrato in casa, si era stupito nel constatare di essere ancora solo. E pensare, che lui già riteneva di essere in spaventoso ritardo. Riteneva un’eccellente idea giungere a Urbino il venerdì sera per ambientarsi, ma i suoi genitori avevano insistito affinché restasse a casa un altro giorno per salutarlo come si doveva con un fantastico cenone con tutti i suoi innumerevoli parenti. Una noia mortale! L’aveva fatto solo per pura bontà del suo cuore. Perché lui era così. Buono oltre misura e fin troppo accondiscendente. Alle volte, sapeva diventare un perfetto coniglio! Non aveva mangiato quasi nulla, a dire il vero, più o meno come una cena normale, il che corrispondeva quasi a nulla, dal momento che i suoi genitori e parenti avevano organizzato un vero e proprio veglione, a tutti gli effetti, ma non poteva rischiare di avere lo stomaco pesante per il viaggio. Per il resto, si sarebbe arrangiato coi i mezzi pubblici. Appena entrato in casa, aveva scelto la stanza più grande e calda, dal momento che l’affitto era uguale per ogni camera, sorprendendosi che gli altri due coinquilini non fossero già arrivati. Aveva disfatto le valigie e messo ogni cosa al proprio posto, preciso come sempre, dopodiché era andato a piedi in centro, essendo casa sua non lontana da Via dell’Annunziata, ma neanche decentrata e fuori mano. Cercò più o meno di calcolare quanto tempo si impiegasse per arrivare in facoltà da quella distanza, così da non arrivare in ritardo alle lezioni, fece un giro per il centro, puntando i negozi che più gli avrebbero fatto comodo e tornò a casa. Si preparò la cena, lavò i piatti, guardò la tv in cucina, godendosi la pace della casa e se ne andò a dormire. E dalla domenica mattina... Si era già messo a studiare! Da sempre alunno e studente modello, il suo dovere era quello. Studiare. Aveva dato un’occhiata ai programmi on-line di tutte le materie e poi si era messo all’opera. Aveva pranzato, lavato i piatti e ora eccolo di nuovo lì. A studiare. Non conosceva svaghi, non aveva amici, ma non gli importava. Era quello il suo dovere. Alle cinque fece una piccola pausa. Poi, ricominciò. Sorprendendosi ancora di essere tutto solo, che nessuno dei due coinquilini avesse avuto il buon senso di farsi vivo. L’indomani sarebbero cominciate le lezioni! Ma che cosa avevano per la testa? Bah! Non poteva fare a meno di chiedersi che tipi fossero, se fossero due ragazzi, due ragazze o un ragazzo e una ragazza. Sicuramente, sarebbero andati d’accordo! Lui andava sempre d’accordo con tutti! Si sarebbero divertiti! Avrebbero studiato insieme in cucina, preparato la cena e mangiato insieme, magari si sarebbe concesso una pizza con loro di tanto in tanto! Sì! L’università si sarebbe rivelata una bella esperienza formativa sotto ogni aspetto. Imparare ad adattarsi alla convivenza è importante!
Studiò e studiò, senza più concedersi pause, quando, verso le sette e mezza della sera udì la porta di casa aprirsi.
“Oh! Finalmente! La mia nuova casa! Casa dolce casa! Tutta per me!” esclamò una voce maschile soddisfatta.
“Veramente...” esordì Felice, timido e pudico, uscendo dalla stanza. “Ci sono io.”
Il volto di Valerio mutò notevolmente espressione. Divenne truce come un toro pronto ad attaccare il torero. Quello sgorbio? Il suo coinquilino? Lo squadrò dalla testa ai piedi. Altezza media, fin troppo mingherlino, le spalle gobbe e quegli occhialacci a culo di bottiglia... Perfetto! Un secchione! Gli era capitato il classico secchione! “E ti pareva?” bofonchiò sarcastico.
“Ciao. Io sono Felice”, si presentò, porgendogli la mano.
“E io sono triste”, rispose Valerio sarcastico.
“Davvero?” se ne uscì felice, che non ne capiva un tubo di battute, essendo fin troppo serio e dedito allo studio, senza conoscere equilibrio.
“No!” sbottò Valerio. “Idiota! Mi chiamo Valerio.”
“Beh, piacere di conoscerti, Valerio.”
Valerio ignorò la sua mano e, trascinandosi dietro la valigia, si diresse impettito in corridoio a dare un’occhiata alle stanze, Felice dietro di lui. Aprì tutte le camere, compresa quella del suo coinquilino, e si guardò intorno, selezionando con cura quale potesse essere perfetta per lui.
“Questa è la mia stanza”, gli disse Felice.
“Vedo. Beh, comincia a prender su armi e bagagli. La voglio io”, sentenziò Valerio.
“Ma? Ma?”
Stava dicendo sul serio? Felice lo fissò esterrefatto, l’espressione basita e gli occhi sgranati.
“Niente ma! E smettila di guardarmi con quella faccia da ebete. Questa stanza è mia.”
“Ma è mia!” piagnucolò Felice.
“Era tua. Adesso è mia. Perciò...” Valerio gli prese i libri dalla scrivania e li sbatté fuori, così come fece con le valigie vuote, gli abiti nell’armadio e con tutti i suoi effetti personali, sotto lo sguardo sconvolto e basito del suo coinquilino. “Buona serata, Felice”, lo congedò Valerio, sbattendogli la porta in faccia.
Felice rimase lì, in piedi davanti alla porta, senza dir nulla, l’espressione meravigliata e la bocca aperta. Per qualche minuto. Cercando di realizzare che cosa fosse appena accaduto. Il suo coinquilino era un matto! Meglio darsi da fare. Tanto, aveva capito che con quello non c’era nulla da fare. Prese su le sue cose e a una a una iniziò a risistemarsi in un’altra stanza, la seconda più grande. Zitto, zitto, quatto, quatto, senza far rumore, per non turbare ulteriormente il delicatissimo equilibrio emotivo di quel matto nell’altra camera. Nella sua vecchia camera! Era arrivato in anticipo apposta per potersi scegliere la camera migliore, invece era stato spudoratamente sfrattato. Verso le otto e mezza, uscì per andare in cucina a prepararsi un boccone per cena. Era passato al supermercato la sera prima coi genitori, prima che se ne andassero, e avevano fatto insieme un po’ di spesa. Aprì il frigo, prese una busta d’insalata confezionata, dello speck e del formaggio spalmabile, dopodiché tirò fuori una confezione sana di grissini dalla credenza. Prese un piatto e iniziò a dare sfogo alla sua vena artistica in cucina. Spalmò il formaggio sulle fette di speck, che poi avvoltolò intorno ai grissini e infine mise dell’insalata in una ciotola, condendola con olio, sale e pomodori maturi. Cena fresca, vero, forse più estiva che autunnale, ma gustosa e veloce. Doveva sbrigarsi o quel Valerio avrebbe potuto cacciarlo anche dalla cucina. Perfetto! Era tutto pronto.
Fece per afferrare un grissino, quando udì la porta della stanza di Valerio. E lo vide dirigersi in cucina.
“Oh, che gentile!” esclamò Valerio. “Mi hai preparato persino la cena! Grazie!” proseguì, soffiandogli il piatto da sotto il naso.
“Ma, ma, ma!” balbettò il povero Felice, interdetto da tanta prepotenza e maleducazione.
Valerio lo ignorò completamente e iniziò a mangiare addentando il primo grissino con formaggio e speciale, tranquillo e beato. Intuendo di non avere altra scelta, Felice andò in camera a prendere un giubbotto e uscì dirigendosi verso il centro a prendersi una pizza. Sfilò il telefono dalla tasca e, piagnucolando, cercò il numero della madre.
“Mamma!” pianse disperato, quando udì la sua voce dall’atro capo del telefono. “Sto di casa con un pazzo! Il mio coinquilino è matto!”
“E basta frignare, Felice! Sei sempre il solito esagerato! Su, non fare troppo il perfezionista! Le lezioni non sono nemmeno iniziate e tu già fai così?”
“Ma mamma! Non posso cambiare casa?”
“Neanche per sogno! Abbiamo firmato un contratto, ricordatelo! E, poi? Magari, cambi casa e te ne ritrovi uno peggio! Su, adattati e comportati da adulto, come hai sempre fatto, del resto. Ti saluto!”
Felice si abbandonò allo sconforto e proseguì inconsolabile la sua camminata verso la pizzeria. Cenò lì, cercando di temporeggiare il più possibile per non tornare a casa, ma prima o poi, dovette farlo. Quando rientrò, Valerio aveva già preso possesso della tv in cucina, standosene beato e spaparanzato con la luce spenta. Felice entrò quatto-quatto, cercando di non far rumore, ma venne colto in flagrante.
“Felice!” lo chiamò Valerio.
“Sì?” rispose lui titubante.
“Vieni come me.”
Felice lo seguì in corridoio, verso il bagno, l’unico della casa, lo sguardo impaurito e spaesato al tempo stesso.
“Vedi quello?” esordì Valerio. “Quello è il mio asciugamano. Così piegato è e così ripiegato deve rimanere, chiaro? Ogni cosa che vedi, deve restare com’è. Ho ripiegato anche il tuo, sciattone che non sei altro. Non sopporto il disordine. Perciò, vedi di tenere pulito e perfettamente ordinato, capito?”
“Sì, sì, sì, sì!” esclamò Felice a macchinetta.
“Bene. Bravo ragazzo. Ora torno in cucina a guardare la tv. Ti saluto.”
Felice annuì col capo e con espressione vuota e rassegnata entrò in camera sua e chiuse la porta. Si preparò per andare a dormire, ma non riuscì a chiudere occhio, perché Valerio teneva la tv troppo alta. E chi si azzardava a chiedergli di abbassare il volume? Lui, no di certo! Perché lui, alla vita, ci teneva. Così, strinse i denti e attese che Valerio andasse a dormire. Sperava solo che il terzo coinquilino, di chiunque si trattasse, non fosse altrettanto scortese, prepotente e maleducato. E matto! Perché Valerio doveva senz’altro avere qualche rotella fuori posto. Si addormentò, cercando di concentrarsi sulle lezioni dell’indomani. La prima lezione dell’anno.

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