sabato 9 dicembre 2017

Un manigoldo per genero - 13° puntata - di Ambra Tonnarelli


Già tre settimane e di Alex nessuna notizia. Elizabeth non aveva più nemmeno avuto occasione di incontrare Edward in giro. Era disperata. Sentiva di star implodendo ogni giorno di più. Non riusciva più a concentrarsi nella danza, era assente a casa, a tavola, col padre, con la madre, con Emile, con Sandy. Era come se stesse precipitando in una voragine nel vuoto, oscura, lugubre, senza fine. Stava morendo. Stava morendo dentro. Alex e il suo travolgente entusiasmo le mancavano ogni istante di più e non c’era modo di aggiustare le cose. Le sembrava che la sua vita non avesse più senso senza di lui. Lo amava. E solo per colpa sua, di se stessa, della sua codardia, lo aveva perduto. Forse, lo aveva perduto per sempre. Doveva assolutamente parlargli o sarebbe impazzita.
Se ne stava lì, sul letto, a rimuginare su un altro pomeriggio che scorreva inesorabile, senza alcuna ragion d’essere. Non ce la faceva più, le sembrava di impazzire. Si alzò di scatto, s’infilò jeans e maglietta, prese un giubbetto e partì. Senza riflettere. Sotto la pioggia battente. Senza ombrello. Nemmeno le gocce d’acqua martellanti le ricordarono di essere ancora viva. Si diresse dritta-dritta al locale, dove incontrò Lucy, che era di turno quel pomeriggio.
“Elizabeth! Che sorpresa! Come stai?” l’accolse Lucy calorosa.
Ma Elizabeth era fredda come il ghiaccio, determinata come non mai. E soprattutto non aveva più tempo da sprecare e buttar via. “C’è Alex?”
“Alex? No, la band non viene mai qui il pomeriggio. Perché? Gli devo dire che sei passata?”
“No, non fa niente, grazie. Però puoi dirmi dov’è.”
“E che ne so! Forse è allo studio per le prove!”
“E dov’è? Dammi subito l’indirizzo, se ce l’hai. Devo vederlo! Subito!”
“Ok, ok! E’ dall’altra parte della città. Basta che stai calma!”
Lucy rimase sconvolta dal comportamento di Elizabeth. Che fine avevano fatto la sua insicurezza e la sua timidezza? Com’era nervosa! Non sembrava la stessa ragazza che un tempo le dava lezioni private di danza classica. “Bene, finalmente un po’ di grinta! Ti ha fatto bene quel ragazzo. Ora te lo scrivo”, se ne uscì compiaciuta.
“Grazie. Ti saluto”, si congedò Elizabeth, precipitandosi verso la porta.
Uscì dal locale come una pazza. Non aveva preso con sé abbastanza soldi per un taxi, né carte di credito. Avrebbe dovuto spostarsi coi mezzi pubblici e la strada era lunga. Iniziò una corsa sfrenata contro il tempo sotto la pioggia battente, in preda alla fretta di parlare con Alex, in cui dovette addirittura inseguire gli autobus per non dover aspettare quelli dopo. Quando arrivò allo studio, una piccola villetta ristrutturata, adibita con sudore e fatica dai ragazzi per registrare canzoni e lavorarci giorno e notte, fu lieta di sentire la musica provenire dall’interno. E soprattutto le si aprì il cuore, ascoltando la voce di Alex che cantava. Lui c’era.
Alex era lì.
I ragazzi dovevano essere in soggiorno a lavorare su qualche pezzo. Elizabeth, zuppa, fradicia dalla testa ai piedi e infreddolita, attese pazientemente la fine della canzone, prese un bel respiro, si armò di tutto il coraggio e la determinazione che possedeva e bussò. Corse Edward ad aprirle.
“Ehi! Che bella sorpresa!” la accolse il ragazzo calorosamente.
Ma è Elizabeth era piuttosto di fretta. “C’è Alex?”
“E certo che c’è! Non hai sentito la sua voce?”
“Me lo chiami per favore?”
“Alex! Vieni qui! C’è una sorpresa per te!” lo chiamò Edward ad alta voce.
Alex si trascinò controvoglia all’ingresso per niente curioso di scoprire chi lo stesse cercando. Non sembrava nemmeno lo stesso ragazzo che ogni giorno sorrideva alla vita.
Poi vide Elizabeth. E un’ira incontrollabile irruppe nel suo io. Non era certo di riuscire ancora a controllarsi.
“Tu qui?” le chiese sorpreso, fulminandola con uno sguardo assai eloquente, traboccante di cattiveria e rabbia.
“Dai, Alex! Non fare il solito scorbutico! Ascolta almeno cos’ha da dirti, no? E’ venuta fin qui, dopo tutto. Non so neanche come. Ed è bagnata fradicia, poverina!” intervenne Edward con lo scopo di farli riappacificare una volta per tutte.
“E che cosa avrà mai da dirmi? Sarà qui per rifilarmi le solite stronzate!” esclamò Alex seccato e furibondo.
“Beh, questo non lo puoi sapere, se prima non ci parli”, lo rimproverò Edward severo e risoluto.
Alex ci rifletté su qualche secondo, poi uscì un momento sotto il riparo dell’uscio.
“Vi lascio da soli”, disse Edward, andandosene.
Alex fissò Elizabeth con odio e rancore. La pioggia martellava viva sul pavimento.
Giocarono coi loro sguardi, ancora e ancora. Gli occhi di Alex, due saette vibranti d’odio nel cielo, quelli di Elizabeth languidi e disperati. La gioia di averlo accanto a sé e l’angoscia di essere respinta per sempre lottavano accanitamente per decidere quale fra le due l’avrebbe divorata per prima.
“Mi dici che vuoi?” le domandò Alex dopo un po’, rompendo il silenzio e sovrastando la voce della pioggia.
“Chiederti scusa”, se ne uscì amareggiata Elizabeth, che in silenzio malediceva se stessa. Non aveva nient’altro di meglio di dirgli, dopo tutta quella corsa sfrenata contro il tempo sotto la pioggia battente?
“Ah! Chiedermi scusa? E’ tardi ormai! Sparisci!” la ripudiò.
“Alex, mio Dio! Sono giorni che tento di chiamarti! Mi dispiace tanto per...”
“Non ti voglio neanche ascoltare. Non mi farò prendere per il culo da te un’altra volta. Ti saluto. Addio!”
Alex rientrò nello studio, sbattendo la porta.
Elizabeth sentì il cuore bollire. Qualcosa scattò, un qualcosa che era sempre stato lì, dentro di lei, una scintilla di vita, che Alex aveva finalmente ridestato. Non si diede per vinta.
“Alex! Alex, apri! Apri subito questa dannata porta o la butto giù io! Alex, non fare lo stronzo, per la miseria! Non ho fatto tutta questa strada per farmi trattare così! Ti devo parlare e tu dovrai ascoltarmi! Maledizione, Alex! Apri!” gridò come una pazza appena fuggita da un manicomio, picchiando sulla porta a più non posso.
“Che caratterino! E che paroloni che usa! Però, Alex l’hai svegliata!” commentò Edward compiaciuto.
“Non mi frega un cazzo di lei!” mentì Alex. A se stesso, ancora interdetto dal rancore che nutriva nei suoi confronti.
Edward sospirò, in preda a un attacco di rabbia, che sapeva non sarebbe riuscito a controllare. Quella situazione lo stava esasperando, Alex lo stava esasperando ed Elizabeth, là fuori, gridava sempre più forte.
“Sì, che ti frega, Alex! Tu ora vai fuori a parlarle o ti ci buttiamo noi a calci in culo!” esplose Edward con l’assenso dei compagni.
“Voglio proprio vedere se lo fate!” li sfidò Alex con strafottenza.
Ma i ragazzi non ci misero niente di mezzo. Facevano sul serio, perché volevano realmente aiutarlo. Aprirono la porta e lo cacciarono fuori.
“Eccolo qui! E’ tutto tuo, dolcezza! E non lo faremo rientrare finché non avrete fatto pace! Ciao!” esclamò Edward in tono sadico e mellifluo, sapendo che Alex non aveva per nulla gradito il gesto.
Sbatterono la porta.
“Ora dovrai ascoltarmi, Alex”, gli disse Elizabeth con determinazione.
“No. Piuttosto vado a farmi un giro in moto. Tu mi hai spezzato il cuore”, replicò lui, col cuore gonfio di rancore.
“E tu l’hai spezzato a me”, sussurrò Elizabeth con una lacrima che le rigava le gote rosee e delicate.
“Non ci credo. Le persone come te non provano sentimenti!”
“Alex, per me non è facile, con un uomo come mio padre sempre alle costole...”
“Appunto, siccome sei proprio come lui, tornatene a casa e lasciami in pace.”
“Ti prego, non trattarmi così”, singhiozzò Elizabeth, pur sapendo di meritarselo.
“E’ così che meriti di essere trattata. Tu sei peggio di tuo padre, perché oltre a essere fredda e calcolatrice come lui, sei anche vigliacca, ipocrita, falsa, meschina. Giochi con i sentimenti delle persone, cazzo. E non sai nemmeno tu che cosa vuoi dalla vita, perché lasci che siano gli altri a governarla per te. Ti pare poco? Ora lasciami andare a far un giro in moto, ché è meglio”, le disse, gettandosi sotto la pioggia battente per andare a prendere la moto.
Elizabeth voleva solo piangere di fronte a tale rifiuto, ma si trattenne. Era cambiata. Era più forte. Grazie ad Alex, aveva imparato ad ascoltare il suo cuore. E il suo cuore esplose, convogliando tutta la disperazione e la frustrazione su per le corde vocali.
“Alex, io ti amo!” gli gridò, esplodendo in preda al dolore più grande e alla speranza più luminosa, mentre si gettava anche lei di nuovo sotto la pioggia.
Alex si girò di scatto, quasi non credendo alle parole che aveva appena udito. Elizabeth era lì, disperata, ma non in lacrime. No. Non più. In tutta la fiera indipendenza che si era conquistata. Era sicura di sé, determinata. E sincera.
Finalmente libera.
Alex corse da lei e la baciò sotto la fredda pioggia battente. Un bacio traboccante di passione, in cui entrambi sfogarono tutto il loro amore, soffocato per settimane.
“Non lasciarmi più!” lo supplicò Elizabeth tra i baci.
“No. Mai più. Amore mio, non ti lascerò mai più!” le disse Alex col cuore gonfio di gioia, rinato a nuova vita.
Piansero lacrime di sfogo, represse per giorni e giorni, lacrime colme di disperata gioia. Proprio mentre si baciavano, i ragazzi della band, che da bravi ficcanaso o meglio “ficcaorecchie” non avevano fatto altro che origliare e assistere dalla finestra ben nascosti dietro la tenda, aprirono la porta gasati e fecero irruzione in giardino con un rumoroso frastuono di “Bravi! Bravi!” e applausi. Addirittura quel burlone di Edward si presentò stappando la bottiglia di spumante, acquistata per festeggiare le occasioni importanti, come un concerto andato particolarmente bene, e vi inondò i due teneri piccioncini. Alex ed Elizabeth risero di gusto, facendo trasparire tutta la loro traboccante gioia. Alex fece cenno con le braccia ai ragazzi di calmarsi e fare un attimo di silenzio.
“Fratelli, vi presento ufficialmente la mia fidanzata Elizabeth! Perché siamo fidanzati, no?” le chiese con aria da canaglia.
Quell’aria da canaglia che da sempre le faceva girare la testa.
Elizabeth non poté far a meno di sorridere per la rievocazione di quella domanda e della sua stessa stupidità nel rispondere, per poi battersi una mano sulla fronte. “Sì!” esclamò più convinta che mai.
I ragazzi li applaudirono di nuovo, allegri e rumorosi. Il loro entusiasmo era a dir poco contagioso.
“E come la metti col capo?” chiese il bassista.
“Me ne fotto! Fanculo mio padre e tutti i suoi cliché di merda!”
Un mare di fischi di approvazione accompagnò la sua frase.
“Chi sei tu? Che ne hai fatto della mia dolce fatina?” le domandò Alex stupito da tanta irriverenza e scurrilità.
“Sono sempre io, Alex. Solo che grazie a te ho imparato che quando ci vuole, ci vuole!”
“Giusto!”
“Sai, prima quando hai detto “non fare lo stronzo”, ci sei piaciuta un sacco!” intervenne Edward, facendo ridere la band.
“Dai, entriamo! Siamo tutti bagnati!” li esortò Alex, prendendo per mano la sua Elizabeth. “Allora Elizabeth”, esordì una volta rientrati. “Loro sono la mia band e la mia famiglia. Conosci già Edward, chitarrista solista, poi di qua abbiamo Christopher, il nostro bassista, lui è Jordan, chitarrista d’accompagno e lui è Carl, il batterista!”
Elizabeth fu davvero lieta di conoscerli tutti finalmente di persona.
“Edward ci ha detto che hai appeso i volantini nella tua scuola e lungo il viale”, esordì Carl.
“Sì, è così. Li hanno visti un sacco di ragazzi e ragazze e sono rimasti piuttosto colpiti. I vostri volantini hanno suscitato molta curiosità e tanto interesse. Credo che verranno in molti.”
“Ottimo!” esclamò Alex, scoccandole un bacio sulla fronte.
Se ne stavano abbracciati su uno dei divanetti del soggiorno avvolti in una coperta, mentre conversavano.
“Se non altro, il nostro Alex sarà finalmente più tranquillo!” commentò Christopher.
“Già. Forza pigroni, rimettiamoci al lavoro! Dobbiamo ancora finire di lavorare su quel nuovo pezzo. Tu, Elizabeth, resti con noi, vero?” la invitò Alex, entusiasta di poterle mostrare come lavoravano.
Lei accettò con grande gioia e interesse. Non avrebbe chiesto niente di meglio che stare un po’ col suo Alex, non le importava dove. Inoltre, era veramente curiosa di vederlo finalmente all’opera con la sua famiglia.
E tutti insieme trascorsero un pomeriggio davvero piacevole.
“C’è un telefono che squilla!” gridò Alex, qualche ora dopo.
Elizabeth frugò freneticamente nella sua borsetta. “E’ mio padre... Pronto papà?”
Alex stava per gridare “salve capo!” a squarciagola, ma Elizabeth, scattante come uno scoiattolo, gli tappò la bocca con la mano.
“Elizabeth, sono le otto di sera, la cena è in tavola! Perché non sei ancora a casa?” le chiese Albert, sospettoso e preoccupato.
“Già le otto? Non ce ne siamo accorte! Sono da Sandy! Aveva bisogno di un consiglio per risolvere un problema. Mi fermo a cena qui dato che ci sono. Ciao papà!” Gli chiuse di nuovo il telefono in faccia, prima che potesse farle altre domande.
“Però... E brava la mia Elizabeth!” commentò Alex compiaciuto e divertito.
“Lascia perdere, Alex! Da quando ti conosco, ho collezionato più bugie io di un collezionista incallito di francobolli! Andrò all’Inferno per questo!”
“Eh, che paroloni!” intervenne Edward, divertito.
“Guarda che io sono cresciuta con un certa educazione!”
“E si vede! Comunque, anche se non si devono dire le bugie, ci sono certi genitori, come tuo padre, che ce le levano dalla bocca. E’ colpa loro, se diciamo bugie! In ogni caso, tuo padre su una cosa ha ragione. E’ ora di cena!” esclamò Edward, andando a prendere il telefono per ordinare pizze a domicilio per tutti.
Finalmente erano tutti felici e contenti.
Finché il capo non li avesse scoperti, ovviamente!

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