Già tre settimane e di Alex nessuna notizia. Elizabeth non aveva più
nemmeno avuto occasione di incontrare Edward in giro. Era disperata. Sentiva di
star implodendo ogni giorno di più. Non riusciva più a concentrarsi nella danza,
era assente a casa, a tavola, col padre, con la madre, con Emile, con Sandy.
Era come se stesse precipitando in una voragine nel vuoto, oscura, lugubre,
senza fine. Stava morendo. Stava morendo dentro. Alex e il suo travolgente
entusiasmo le mancavano ogni istante di più e non c’era modo di aggiustare le
cose. Le sembrava che la sua vita non avesse più senso senza di lui. Lo amava.
E solo per colpa sua, di se stessa, della sua codardia, lo aveva perduto.
Forse, lo aveva perduto per sempre. Doveva assolutamente parlargli o sarebbe
impazzita.
Se ne stava lì, sul letto, a rimuginare su un altro pomeriggio che
scorreva inesorabile, senza alcuna ragion d’essere. Non ce la faceva più, le
sembrava di impazzire. Si alzò di scatto, s’infilò jeans e maglietta, prese un
giubbetto e partì. Senza riflettere. Sotto la pioggia battente. Senza ombrello.
Nemmeno le gocce d’acqua martellanti le ricordarono di essere ancora viva. Si
diresse dritta-dritta al locale, dove incontrò Lucy, che era di turno quel
pomeriggio.
“Elizabeth! Che sorpresa! Come stai?” l’accolse Lucy calorosa.
Ma Elizabeth era fredda come il ghiaccio, determinata come non mai. E
soprattutto non aveva più tempo da sprecare e buttar via. “C’è Alex?”
“Alex? No, la band non viene mai qui il pomeriggio. Perché? Gli devo
dire che sei passata?”
“No, non fa niente, grazie. Però puoi dirmi dov’è.”
“E che ne so! Forse è allo studio per le prove!”
“E dov’è? Dammi subito l’indirizzo, se ce l’hai. Devo vederlo! Subito!”
“Ok, ok! E’ dall’altra parte della città. Basta che stai calma!”
Lucy rimase sconvolta dal comportamento di Elizabeth. Che fine avevano
fatto la sua insicurezza e la sua timidezza? Com’era nervosa! Non sembrava la
stessa ragazza che un tempo le dava lezioni private di danza classica. “Bene,
finalmente un po’ di grinta! Ti ha fatto bene quel ragazzo. Ora te lo scrivo”,
se ne uscì compiaciuta.
“Grazie. Ti saluto”, si congedò Elizabeth, precipitandosi verso la
porta.
Uscì dal locale come una pazza. Non aveva preso con sé abbastanza
soldi per un taxi, né carte di credito. Avrebbe dovuto spostarsi coi mezzi
pubblici e la strada era lunga. Iniziò una corsa sfrenata contro il tempo sotto
la pioggia battente, in preda alla fretta di parlare con Alex, in cui dovette
addirittura inseguire gli autobus per non dover aspettare quelli dopo. Quando
arrivò allo studio, una piccola villetta ristrutturata, adibita con sudore e
fatica dai ragazzi per registrare canzoni e lavorarci giorno e notte, fu lieta
di sentire la musica provenire dall’interno. E soprattutto le si aprì il cuore,
ascoltando la voce di Alex che cantava. Lui c’era.
Alex era lì.
I ragazzi dovevano essere in soggiorno a lavorare su qualche pezzo.
Elizabeth, zuppa, fradicia dalla testa ai piedi e infreddolita, attese
pazientemente la fine della canzone, prese un bel respiro, si armò di tutto il
coraggio e la determinazione che possedeva e bussò. Corse Edward ad aprirle.
“Ehi! Che bella sorpresa!” la accolse il ragazzo calorosamente.
Ma è Elizabeth era piuttosto di fretta. “C’è Alex?”
“E certo che c’è! Non hai sentito la sua voce?”
“Me lo chiami per favore?”
“Alex! Vieni qui! C’è una sorpresa per te!” lo chiamò Edward ad alta
voce.
Alex si trascinò controvoglia all’ingresso per niente curioso di
scoprire chi lo stesse cercando. Non sembrava nemmeno lo stesso ragazzo che
ogni giorno sorrideva alla vita.
Poi vide Elizabeth. E un’ira incontrollabile irruppe nel suo io. Non
era certo di riuscire ancora a controllarsi.
“Tu qui?” le chiese sorpreso, fulminandola con uno sguardo assai
eloquente, traboccante di cattiveria e rabbia.
“Dai, Alex! Non fare il solito scorbutico! Ascolta almeno cos’ha da
dirti, no? E’ venuta fin qui, dopo tutto. Non so neanche come. Ed è bagnata
fradicia, poverina!” intervenne Edward con lo scopo di farli riappacificare una
volta per tutte.
“E che cosa avrà mai da dirmi? Sarà qui per rifilarmi le solite
stronzate!” esclamò Alex seccato e furibondo.
“Beh, questo non lo puoi sapere, se prima non ci parli”, lo rimproverò
Edward severo e risoluto.
Alex ci rifletté su qualche secondo, poi uscì un momento sotto il
riparo dell’uscio.
“Vi lascio da soli”, disse Edward, andandosene.
Alex fissò Elizabeth con odio e rancore. La pioggia martellava viva
sul pavimento.
Giocarono coi loro sguardi, ancora e ancora. Gli occhi di Alex, due
saette vibranti d’odio nel cielo, quelli di Elizabeth languidi e disperati. La
gioia di averlo accanto a sé e l’angoscia di essere respinta per sempre
lottavano accanitamente per decidere quale fra le due l’avrebbe divorata per
prima.
“Mi dici che vuoi?” le domandò Alex dopo un po’, rompendo il silenzio
e sovrastando la voce della pioggia.
“Chiederti scusa”, se ne uscì amareggiata Elizabeth, che in silenzio
malediceva se stessa. Non aveva nient’altro di meglio di dirgli, dopo tutta
quella corsa sfrenata contro il tempo sotto la pioggia battente?
“Ah! Chiedermi scusa? E’ tardi ormai! Sparisci!” la ripudiò.
“Alex, mio Dio! Sono giorni che tento di chiamarti! Mi dispiace tanto
per...”
“Non ti voglio neanche ascoltare. Non mi farò prendere per il culo da
te un’altra volta. Ti saluto. Addio!”
Alex rientrò nello studio, sbattendo la porta.
Elizabeth sentì il cuore bollire. Qualcosa scattò, un qualcosa che era
sempre stato lì, dentro di lei, una scintilla di vita, che Alex aveva
finalmente ridestato. Non si diede per vinta.
“Alex! Alex, apri! Apri subito questa dannata porta o la butto giù io!
Alex, non fare lo stronzo, per la miseria! Non ho fatto tutta questa strada per
farmi trattare così! Ti devo parlare e tu dovrai ascoltarmi! Maledizione, Alex!
Apri!” gridò come una pazza appena fuggita da un manicomio, picchiando sulla
porta a più non posso.
“Che caratterino! E che paroloni che usa! Però, Alex l’hai svegliata!”
commentò Edward compiaciuto.
“Non mi frega un cazzo di lei!” mentì Alex. A se stesso, ancora
interdetto dal rancore che nutriva nei suoi confronti.
Edward sospirò, in preda a un attacco di rabbia, che sapeva non
sarebbe riuscito a controllare. Quella situazione lo stava esasperando, Alex lo
stava esasperando ed Elizabeth, là fuori, gridava sempre più forte.
“Sì, che ti frega, Alex! Tu ora vai fuori a parlarle o ti ci buttiamo
noi a calci in culo!” esplose Edward con l’assenso dei compagni.
“Voglio proprio vedere se lo fate!” li sfidò Alex con strafottenza.
Ma i ragazzi non ci misero niente di mezzo. Facevano sul serio, perché
volevano realmente aiutarlo. Aprirono la porta e lo cacciarono fuori.
“Eccolo qui! E’ tutto tuo, dolcezza! E non lo faremo rientrare finché
non avrete fatto pace! Ciao!” esclamò Edward in tono sadico e mellifluo,
sapendo che Alex non aveva per nulla gradito il gesto.
Sbatterono la porta.
“Ora dovrai ascoltarmi, Alex”, gli disse Elizabeth con determinazione.
“No. Piuttosto vado a farmi un giro in moto. Tu mi hai spezzato il
cuore”, replicò lui, col cuore gonfio di rancore.
“E tu l’hai spezzato a me”, sussurrò Elizabeth con una lacrima che le
rigava le gote rosee e delicate.
“Non ci credo. Le persone come te non provano sentimenti!”
“Alex, per me non è facile, con un uomo come mio padre sempre alle
costole...”
“Appunto, siccome sei proprio come lui, tornatene a casa e lasciami in
pace.”
“Ti prego, non trattarmi così”, singhiozzò Elizabeth, pur sapendo di
meritarselo.
“E’ così che meriti di essere trattata. Tu sei peggio di tuo padre,
perché oltre a essere fredda e calcolatrice come lui, sei anche vigliacca,
ipocrita, falsa, meschina. Giochi con i sentimenti delle persone, cazzo. E non
sai nemmeno tu che cosa vuoi dalla vita, perché lasci che siano gli altri a
governarla per te. Ti pare poco? Ora lasciami andare a far un giro in moto, ché
è meglio”, le disse, gettandosi sotto la pioggia battente per andare a prendere
la moto.
Elizabeth voleva solo piangere di fronte a tale rifiuto, ma si
trattenne. Era cambiata. Era più forte. Grazie ad Alex, aveva imparato ad
ascoltare il suo cuore. E il suo cuore esplose, convogliando tutta la
disperazione e la frustrazione su per le corde vocali.
“Alex, io ti amo!” gli gridò, esplodendo in preda al dolore più grande
e alla speranza più luminosa, mentre si gettava anche lei di nuovo sotto la
pioggia.
Alex si girò di scatto, quasi non credendo alle parole che aveva
appena udito. Elizabeth era lì, disperata, ma non in lacrime. No. Non più. In
tutta la fiera indipendenza che si era conquistata. Era sicura di sé,
determinata. E sincera.
Finalmente libera.
Alex corse da lei e la baciò sotto la fredda pioggia battente. Un
bacio traboccante di passione, in cui entrambi sfogarono tutto il loro amore,
soffocato per settimane.
“Non lasciarmi più!” lo supplicò Elizabeth tra i baci.
“No. Mai più. Amore mio, non ti lascerò mai più!” le disse Alex col
cuore gonfio di gioia, rinato a nuova vita.
Piansero lacrime di sfogo, represse per giorni e giorni, lacrime colme
di disperata gioia. Proprio mentre si baciavano, i ragazzi della band, che da
bravi ficcanaso o meglio “ficcaorecchie” non avevano fatto altro che origliare
e assistere dalla finestra ben nascosti dietro la tenda, aprirono la porta
gasati e fecero irruzione in giardino con un rumoroso frastuono di “Bravi!
Bravi!” e applausi. Addirittura quel burlone di Edward si presentò stappando la
bottiglia di spumante, acquistata per festeggiare le occasioni importanti, come
un concerto andato particolarmente bene, e vi inondò i due teneri piccioncini.
Alex ed Elizabeth risero di gusto, facendo trasparire tutta la loro traboccante
gioia. Alex fece cenno con le braccia ai ragazzi di calmarsi e fare un attimo
di silenzio.
“Fratelli, vi presento ufficialmente la mia fidanzata Elizabeth!
Perché siamo fidanzati, no?” le chiese con aria da canaglia.
Quell’aria da canaglia che da sempre le faceva girare la testa.
Elizabeth non poté far a meno di sorridere per la rievocazione di
quella domanda e della sua stessa stupidità nel rispondere, per poi battersi
una mano sulla fronte. “Sì!” esclamò più convinta che mai.
I ragazzi li applaudirono di nuovo, allegri e rumorosi. Il loro
entusiasmo era a dir poco contagioso.
“E come la metti col capo?” chiese il bassista.
“Me ne fotto! Fanculo mio padre e tutti i suoi cliché di merda!”
Un mare di fischi di approvazione accompagnò la sua frase.
“Chi sei tu? Che ne hai fatto della mia dolce fatina?” le domandò Alex
stupito da tanta irriverenza e scurrilità.
“Sono sempre io, Alex. Solo che grazie a te ho imparato che quando ci
vuole, ci vuole!”
“Giusto!”
“Sai, prima quando hai detto “non fare lo stronzo”, ci sei piaciuta un
sacco!” intervenne Edward, facendo ridere la band.
“Dai, entriamo! Siamo tutti bagnati!” li esortò Alex, prendendo per
mano la sua Elizabeth. “Allora Elizabeth”, esordì una volta rientrati. “Loro
sono la mia band e la mia famiglia. Conosci già Edward, chitarrista solista,
poi di qua abbiamo Christopher, il nostro bassista, lui è Jordan, chitarrista
d’accompagno e lui è Carl, il batterista!”
Elizabeth fu davvero lieta di conoscerli tutti finalmente di persona.
“Edward ci ha detto che hai appeso i volantini nella tua scuola e
lungo il viale”, esordì Carl.
“Sì, è così. Li hanno visti un sacco di ragazzi e ragazze e sono
rimasti piuttosto colpiti. I vostri volantini hanno suscitato molta curiosità e
tanto interesse. Credo che verranno in molti.”
“Ottimo!” esclamò Alex, scoccandole un bacio sulla fronte.
Se ne stavano abbracciati su uno dei divanetti del soggiorno avvolti
in una coperta, mentre conversavano.
“Se non altro, il nostro Alex sarà finalmente più tranquillo!”
commentò Christopher.
“Già. Forza pigroni, rimettiamoci al lavoro! Dobbiamo ancora finire di
lavorare su quel nuovo pezzo. Tu, Elizabeth, resti con noi, vero?” la invitò
Alex, entusiasta di poterle mostrare come lavoravano.
Lei accettò con grande gioia e interesse. Non avrebbe chiesto niente
di meglio che stare un po’ col suo Alex, non le importava dove. Inoltre, era
veramente curiosa di vederlo finalmente all’opera con la sua famiglia.
E tutti insieme trascorsero un pomeriggio davvero piacevole.
“C’è un telefono che squilla!” gridò Alex, qualche ora dopo.
Elizabeth frugò freneticamente nella sua borsetta. “E’ mio padre...
Pronto papà?”
Alex stava per gridare “salve capo!” a squarciagola, ma Elizabeth,
scattante come uno scoiattolo, gli tappò la bocca con la mano.
“Elizabeth, sono le otto di sera, la cena è in tavola! Perché non sei
ancora a casa?” le chiese Albert, sospettoso e preoccupato.
“Già le otto? Non ce ne siamo accorte! Sono da Sandy! Aveva bisogno di
un consiglio per risolvere un problema. Mi fermo a cena qui dato che ci sono.
Ciao papà!” Gli chiuse di nuovo il telefono in faccia, prima che potesse farle
altre domande.
“Però... E brava la mia Elizabeth!” commentò Alex compiaciuto e
divertito.
“Lascia perdere, Alex! Da quando ti conosco, ho collezionato più bugie
io di un collezionista incallito di francobolli! Andrò all’Inferno per questo!”
“Eh, che paroloni!” intervenne Edward, divertito.
“Guarda che io sono cresciuta con un certa educazione!”
“E si vede! Comunque, anche se non si devono dire le bugie, ci sono
certi genitori, come tuo padre, che ce le levano dalla bocca. E’ colpa loro, se
diciamo bugie! In ogni caso, tuo padre su una cosa ha ragione. E’ ora di cena!”
esclamò Edward, andando a prendere il telefono per ordinare pizze a domicilio
per tutti.
Finalmente erano tutti felici e contenti.
Finché il capo non li avesse scoperti, ovviamente!
Nessun commento:
Posta un commento