sabato 16 dicembre 2017

Un manigoldo per genero - 14° puntata - di Ambra Tonnarelli


Il mattino seguente, Elizabeth saltellava allegra e contenta come un bambina, mentre si recava alle prove per il prossimo balletto. Spruzzava felicità in ogni dove con i suoi solari sorrisi, che inondavano di allegria la città. Era finalmente rinata. Libera. L’amore aveva finalmente sconfitto la paura e ora poteva vivere realmente la sua vita. Accanto ad Alex. Il suo Alex. L’adorabile canaglia che le faceva battere il cuore e che le regalava tanti allegri sorrisi, ogni volta che lo vedeva. Il suo entusiasmo nei confronti della vita era contagioso. E aveva contagiato anche lei.
“Ehi! Che bel sorriso, Liz!” notò Sandy, che l’aspettava ai piedi delle scale fuori della scuola di ballo. “C’entra Alex, vero?”
“Sì. Ieri sono andata da lui allo studio di registrazione e gli ho detto che lo amo!” raccontò Elizabeth, raggiante come il Sole.
“Ooooooooh! Finalmente! Era ora! E lui? Ti ha perdonata?”
“Sì, mi ha baciata e ci siamo ufficialmente fidanzati!”
“Alleluia! Alleluia! Ti coprirò con tuo padre ogni volta che avrai bisogno!”
Elizabeth le mise una mano intorno alla spalla mentre se ne andavano in sala da ballo. “Veramente... In effetti mi sono già presa un anticipo. Ieri sera ho detto a mio padre che avrei cenato da te.”
“Aaaaaaah! E hai fatto bene! Ottimo inizio!”
Elizabeth era di nuovo in forma, non in sé, di più. Ormai, la vecchia Elizabeth timida e paurosa non c’era più. La sua sicurezza e determinazione trasparivano anche nella danza, sempre ancora caratterizzata da quell’innata eleganza, che solo lei possedeva. Era cresciuta molto grazie ad Alex. Come ballerina, ma soprattutto come persona.
“Eccolo là!” esclamò Elizabeth all’uscita, appoggiato alla ringhiera ai piedi della scalinata d’ingresso con la sua solita aria strafottente e trasgressiva verso il mondo.
“Vai, vai, Elizabeth! Divertitevi! Chiamami per qualunque cosa! Ti coprirò io!” la incoraggiò Sandy, da grande amica quale era.
Alex ed Elizabeth si baciarono non appena lei ebbe finito di scendere le scale. Ad Alex sembrava impossibile che ora potesse farlo ogni qualvolta volesse.
“Elizabeth, amore, vorrei portarti a vedere casa mia. Vuoi?” le domandò con un sorriso carico di entusiasmo.
Elizabeth lo seguì a ruota senza far domande. Lo avrebbe seguito ovunque, anche all’Inferno, se necessario, pur di stare con lui. Alex le prese il borsone e se lo mise a tracolla senza darle nemmeno il tempo di ribattere, la prese per mano e insieme, come una sola anima, si diressero verso l’auto di Alex, che mise in moto verso casa sua. In macchina, conversarono piacevolmente della giornata trascorsa alle prove, per Elizabeth e in studio coi ragazzi, per Alex. Ogni qualvolta si fermassero a un semaforo rosso, Alex approfittava del poco tempo che aveva a disposizione per regalarle dolci carezze e teneri baci. Ormai, non c’era più niente a dividerli. Elizabeth era finalmente una ragazza libera. Libera da ogni tipo di congettura. Libera dalla paura del padre.
Non impiegarono molto a raggiungere l’appartamento di Alex in un comune quartiere non molto lontano dal centro. Prese per mano Elizabeth e la invitò a entrare.
“Che carina!” commentò Elizabeth, non appena lui la fece accomodare.
“E’ piccola. Non è di certo la tua villa!”
“No, non lo è. Però a me piace. E’ accogliente.”
“Accogliente con tutto questo casino?” le fece notare distrattamente Alex, casino, a cui lei non aveva nemmeno fatto caso.
“Me lo immaginavo, Alex! Questa casa è un vero disastro dal punto di vista dell’ordine. Però a me piace. Perché tu sei così. Casinaro. Non mi sarei aspettata nulla di diverso. Però! Quanti libri di musica!” notò passando davanti a un alto scaffale. “E questo? Ci sei tu in questo album?”
Alex si avvicinò e lo sfilò. Si sedette con lei sul divano e glielo mostrò. Erano le sue foto di quando era piccolo.
“Accidenti, com’eri carino! Sorridevi sempre. E che bella ragazza, tua madre! Immagino che ora sia una bella donna”, commentò Elizabeth, mentre ammirava la bella immagine che ritraeva una mamma col suo bambino, tra un mare di sorrisi e un’effimera, illusoria serenità.
“Sì, lo è. Ha il viso un po’ segnato, ma lo è”, le confermò Alex.
“Le somigli molto”, notò Elizabeth, osservando minuziosamente una giovane ragazzina coi capelli rossicci e il viso allegro, che teneva in braccio un piccolo Alex di sì e no un anno con gli occhi vispi e furbi come quelli di una volpe.
“Grazie”, le disse Alex, scoccandole un bacio sulla testa.
Elizabeth girò la pagina. “Toh, com’eri buffo qui!” Non poté fare a meno di ridere: nella foto, un piccolo Alex a tre anni già con la bandana in testa che giocava con una piccola chitarra rock giocattolo.
“La so suonare, sai? La chitarra”, le raccontò Alex.
“Davvero?”
“Sì. Non è il mio strumento principale, quello è il piano, però la so suonare. Ho le basi.”
Sempre più sorpresa e affascinata dalle abilità nascoste di Alex, Elizabeth si strinse a lui in cerca di baci e coccole, quelli che si era negata da troppo, troppo tempo, ormai.
E, abbracciati, continuarono a sfogliare l’album e a farsi delle grosse grasse risate, mentre Alex rievocava gli unici ricordi piacevoli e divertenti che aveva avuto durante l’infanzia. Quando ebbero finito, Elizabeth gli si accoccolò nuovamente addosso. Lui la baciò, iniziando ad accarezzarle il corpicino forte e delicato da ballerina. Ma poco dopo, Alex si ritrasse prontamente da lei, ancora memore di come fosse fuggita quella sera, ancora sotto shock per come avesse reagito alla sua esuberanza, qualche settimana prima.
“Alex?” sussurrò Elizabeth, non avendo colto il trauma che viveva nascosto nell’ombra dentro di lui.
“Non voglio correre troppo. Non voglio farti sentire a disagio in alcun modo”, le disse.
Elizabeth capì. Si rese conto fino in fondo di quanto male gli avesse fatto, del modo crudele in cui l’aveva ferito e traumatizzato. Alex era ancora sotto shock.
“Perdonami, Alex. Ieri non sono più riuscita a dirtelo. Con la mia insicurezza e la mia paura, ti ho fatto del male. E tanto. So che ti ho ferito e mi dispiace. Devo averti fatto sentire abbandonato”, gli disse, accarezzandogli la guancia col suo tocco delicato da dolce fatina.
“Sì, è così. Ma non devi scusarti. Sono stato io a correre troppo. Mi sono fatto prendere la mano dall’entusiasmo e ti ho spaventata. Non sei tu che devi scusarti. Sono io. Ti prego, perdonami per non aver capito fino a che punto tu fossi spaventata da tuo padre.”
“Forse, abbiamo esagerato tutti e due, Alex. Io da una parte e tu dall’estremo opposto.”
“Già. Ma siamo insieme, adesso”, le sussurrò Alex, mentre la teneva stretta a sé.
“Sì. Siamo insieme, adesso”, convenne lei, avendo colto il vero significato profondo delle sue parole.
Rimasero abbracciati in silenzio per qualche minuto, finché Elizabeth non sollevò il capo dal suo petto confortante e protettivo per poterlo guardare negli occhi. In quegli occhi magnetici da canaglia, che lei tanto amava. Amava tutto di Alex. Tutto. Ogni singola, piccola cosa.
“Alex”, esordì, guardandolo intensamente negli occhi. “Facciamo l’amore.”
Alex le prese il volto fra le mani e ricambiò l’intensità del suo sguardo. “Amore mio, sei sicura? Non è che dopo mi scappi come quella sera, no?”
Elizabeth abbozzò un tenero sorrisetto, consapevole di quanto quella serata l’avesse stravolta. Di come le avesse ridonato la vita. “No, non ti scapperò! Anzi, non scappare tu a me!”
“Con tutta la fatica che ho fatto per avere il tuo cuore, credi che ti scapperò? Mai!” ci scherzò su lui.
La sollevò di peso tra le braccia e la portò con sé in camera da letto. La mise giù delicatamente e ripresero a baciarsi, ad accarezzarsi all’esplorazione dei loro corpi. Si tolsero senza fretta i vestiti per vivere pienamente le forti emozioni del momento e fecero l’amore come se non esistesse un domani. Le emozioni che Elizabeth provò insieme a lui furono più forti della prima volta, perché ora era serena. Era davvero ciò che voleva. Voleva vivere. Insieme ad Alex. Poco dopo, si addormentarono abbracciati, stretti l’uno all’altra, come se ormai fossero una sola cosa.
Era quasi ora di cena quando Alex aprì lentamente gli occhi, con una candida leggerezza nel cuore. Elizabeth era ancora lì insieme a lui, tra le sue braccia, così come si era addormentata. La osservò mentre dormiva, nella sua delicata bellezza da fata. Sembrava davvero uscita da una fiaba. Era la fata che aveva cambiato la sua vita, che aveva portato con sé la luce, ove c’erano solo tenebre e oscurità. Una notte gelida, buia... Senza stelle. Anche dopo essere scappato di casa e aver incontrato i ragazzi della band, i fantasmi del suo passato non se ne erano mai andati e manifestavano la loro presenza attraverso l’atteggiamento strafottente verso il mondo intero. Da quando c’era lei, Elizabeth, la notte della sua vita si era riempita di abbaglianti e luminose stelle. Lei era il suo Sole e anche i fantasmi del passato si erano in qualche modo assopiti. Non l’avrebbero mai abbandonato del tutto, perché ciò che abbiamo passato sarà sempre dentro di noi. Ci segna in maniera indelebile, come un tatuaggio dell’anima. Ma alle volte, la vita ci porta un dono in grado di placarli... Almeno un po’. Proprio come era accaduto ad Alex.
Le baciò dolcemente l’orecchio per tentare di svegliarla.
“Alex”, mormorò lei, aprendo lentamente gli occhi.
Alex le stampò un delicato bacio sulle labbra. “Ciao, amore. Mi sembra un sogno che tu sia ancora qui!”
Elizabeth abbozzò un assonnato sorriso divertito. “E dove vuoi che vada? Sono tua, ormai.”
“E io, tuo. Non te lo scordare mai”, le disse, regalandole un dolce bacio sulle labbra.
Rimasero ancora qualche infinito istante a guardarsi nell’universo dei loro occhi e a baciarsi sofficemente.
“Elizabeth, amore, sono quasi le otto, è ora di cena”, le fece notare Alex, interrotto bruscamente dai rumorosi gorgoglii di protesta del suo stomaco.
“Bene. Pizza a domicilio?”
“Andata! Così ce ne stiamo qui in santa pace. Da soli!” si compiacque Alex.
Elizabeth rimase impressionata dalla quantità di cibo che Alex riuscisse a ingurgitare. Si erano presi due pizze a testa, ma ad Alex non bastava mai. Aprì il frigo e buttò giù qualunque cosa di rapido e commestibile gli capitasse sotto mano.
“Accidenti! Che appetito amore!” commentò Elizabeth con gli occhi fuori dalle orbite.
“Eh, con tutto il casino che faccio, direi che ne ho bisogno! Anche tu mi hai stupito! Non credevo mangiassi così tanto! Due pizze! Ieri sera, in studio con la band, abbiamo riso così tanto che nemmeno me ne sono accorto!”
“Alex, io danzo per ore e ore al giorno. Ne ho bisogno!”
“E io che credevo che le ballerine di danza classica fossero tutte degli stecchini! Eppure tu non sei così! Hai un fisico da far invidia alle istruttrici di fitness. E non sei affatto mascolina. Sei aggraziata e delicata.”
“Mia madre cura la salute delle ballerine fin dalla tenera età. Le educa a un’alimentazione sana, bilanciata e abbondante. Abbiamo bisogno di tantissime energie per esprimere al meglio la nostra femminilità, quando balliamo. E già di per sé, ballare è un’attività piuttosto dispendiosa. Grazia e potenza devono andare di pari passo. E poi, mia madre ci ricorda sempre di toglierci sfizi e di mangiare anche schifezze di tanto in tanto! Perché anche quelle, nel loro piccolo, ci servono e che in fondo, mangiare è un piacere! Mia madre dice che una ballerina sana e in forma, con una muscolatura forte, ma definita e delicata sia molto più bella da vedere rispetto a una troppo magra. Non è una muscolatura sana e definita ad andare a discapito della leggerezza nella danza!”
“Sono pienamente d’accordo! Infatti, tu sei bellissima. E anche le altre ragazze del corpo di ballo di tua madre! Si vede che siete in forma! E siete bravissime!”
“Grazie, Alex! Vieni, andiamo un momento da Sandy. E’ la mia copertura per stasera. Come sempre del resto.” Alex la guardò col cipiglio alzato, non capendo dove Elizabeth volesse andare a parare. In quell’occasione, Elizabeth aveva battuto tutti in fatto di furbizia. Non solo aveva detto a suo padre che sarebbe rimasta a cena da Sandy, ma...

“Elizabeth! Alex! Che succede? Come mai qui?” li accolse con calore la cara e vecchia Sandy, poco dopo. Era sola in casa. Genitori fuori, a cena. “E’ saltata la copertura per caso?”
“Ma no, Sandy! Quella regge alla grande! Però me ne serve un’altra. Vorrei rimanere da Alex per la notte”, le spiegò Elizabeth.
“Ah, ho capito tutto! Ora chiamo tuo padre!”
Come due gemelle, a loro bastavano una parola e uno sguardo per capirsi. Era il loro modo di comunicare.
“Buonasera, signor Reeves! Sono Sandy!”
“Ciao Sandy! Dimmi pure! Devo venire a prendere mia figlia?” rispose Albert, pacato, ma autoritario, dall’altra parte del telefono.
“No, al contrario! Io vorrei chiederle se Elizabeth potesse fermarsi a dormire da me. Sa, io sto passando davvero un brutto periodo, soprattutto con lo stress e avrei piacere di avere la compagnia della mia migliore amica.”
“D’accordo. Va bene. E’ sempre un piacere aiutarti. Mi dispiace che tu stia passando un periodo non molto tranquillo, sei una persona molto cara alla nostra famiglia. Certo che Elizabeth può restare! Tutto il tempo che vuole!”
“Grazie, signor Reeves!” gioì Sandy.
“Ma di nulla! Mi fido di te! Piuttosto, me la passeresti per favore, così le do la buonanotte?”
“Ma certo! Liz, tuo padre al telefono!
 Ecco spiegato il motivo per cui Elizabeth aveva tanto insistito per andar da Sandy.
“Ciao papà!” lo salutò allegra Elizabeth, afferrando il telefono.
“Ciao tesoro. Sandy mi ha detto che resti a dormire da lei. Volevo solo augurarti la buonanotte.”
“Grazie papà. Andremo a scuola insieme domani mattina. Puntuali, ovviamente!”
Elizabeth fu costretta a portarsi alla svelta una mano sulla bocca, come per mettersi a tacere. Stava disperatamente tentando di trattenere il mare di risate che si stava agitando dentro di lei.
Quella canaglia del suo Alex aveva appena scritto su un foglio, a mo’ di cartello, “SALVE CAPO!”, e glielo stava spudoratamente sbandierando proprio davanti gli occhi.
“Ora ti saluto papà! Andiamo a dormire, perché siamo davvero molto stanche. Buonanotte!” lo salutò Elizabeth, cercando di non ridere e di rimanere seria e pacata.
“Buonanotte, Elizabeth. Salutami Sandy.”
Non appena Elizabeth chiuse la telefonata, i tre amici esplosero, come bobe atomiche, in una cascata di lacrime e di risate.
“Grazie, Sandy!” esclamò Elizabeth, dando una pacca sulla spalla all’amica.
“Però, come ti sei fatta furba! Elizabeth, vecchia volpona! E bravo il tuo Alex! Grazie per avermela svegliata! Ora è sveglia, sveglissima! Forse anche troppo! Adesso andate, dormite e divertitevi!”
“Ciao Sandy! E grazie!” la salutarono Alex ed Elizabeth in coro, già sull’uscio della porta.

“Non riusciremo più a sdebitarci con Sandy per tutto quello che sta facendo per noi”, commentò Alex a casa poco dopo, già in slip pronto per dormire, mentre osservava rapito la sua fata dei boschi infilarsi una stramba maglietta da notte che le aveva dato per dormire.
“Per lei è un piacere. Anch’io l’ho aiutata molto qualche tempo fa. E’ sempre stata una ballerina molto brava, ha talento da vendere, ma non riusciva a fare quel salto di qualità nell’espressività che le serviva per entrare con me nella compagnia. Non so quante ore abbia parlato e lavorato con lei per aiutarla a guardarsi dentro e buttar fuori ciò che ha. E per immedesimarsi nei vari ruoli che ci si presentano.”
“E come si fa?” le domandò Alex, molto incuriosito dal mondo da cui proveniva.
“Beh, credo che sia un po’ come per gli attori. In quel momento non sei più tu, ma il personaggio. Devi pensare come lui, comportarti come lui, parlare come lui, muoverti come si muoverebbe lui in base al suo carattere, devi sentire ciò che sente lui. Gli devi entrare dentro, come se tu e lui foste una cosa sola. Tu dai voce e movimento a un’anima con una personalità tutta sua che è entrata dentro di te. Servono molta sensibilità ed empatia per farlo. Puoi andare a scuola di recitazione quanto vuoi, ma se non ce l’hai dentro, non ce l’hai. E’ inutile lavorare su una base che non c’è. La stessa cosa vale per la danza. Sandy ha sempre avuto questa qualità, ma non riusciva proprio a capire come usarla e come tirarla fuori. Non riusciva a esprimersi. E’ entrata nel corpo di ballo solo grazie al lavoro di tecnica e introspezione che abbiamo svolto insieme. Io non potevo abbandonarla. E’ da sempre la mia migliore amica. Siamo cresciute insieme. E gli amici non si abbandonano. Mai.”
Alex le sorrise, colpito dai profondi valori che l’animavano. Gli stessi che animavano anche lui. Si avvicinò a lei e la baciò. “Ti amo.”
“Anch’io ti amo, Alex. Coraggio, mettiamoci a dormire.”
Si stesero vicini, Alex prese Elizabeth tra le braccia e la strinse a sé come se fosse un tesoro prezioso da custodire e proteggere. Infatti, lo era. Lo era veramente.
“Elizabeth, grazie. Tu ha riportato la luce nella mia vita, hai illuminato la mia notte con le stelle e col Sole che sei. Grazie”, le sussurrò dopo aver spento la luce.
“Sono felice, Alex. Anche tu hai portato luce e gioia nella mia monotona vita. Sei un poeta. Si vede che scrivi canzoni. Nessuno mi aveva mai detto certe cose.”
“Ti ho solo detto la verità. Ciò che sei per me. Grazie a te, ho capito che tutto passa. Ho sempre e solo pensato che i momenti belli non durassero mai per sempre, al contrario di quelli brutti. Invece, grazie a te, ho capito che nella vita tutto passa. Forse i momenti belli non saranno eterni, ma non lo sono neanche quelli bui. L’inverno non dura per sempre. Prima o poi, arriva sempre la primavera.”
Elizabeth venne rapita dall’intensità di quelle magiche parole, dalla profondità dei suoi pensieri. E chi l’avrebbe mai detto che un manigoldo potesse avere un cuore tanto nobile e sensibile? Ma non era un manigoldo. E ora, Elizabeth ne era davvero certa.
“Alex, mi stupisci ogni secondo di più. Come ho fatto a non capire prima che tesoro stavo perdendo?”
“Non importa, amore. Tu sei qui, adesso. Ed è l’unica cosa che conta per me.”
Alex la baciò teneramente, prima che lei piombasse nel sonno più profondo e riposante della sua vita. Era così bella mentre dormiva, così fiabesca.
Elizabeth era talmente innamorata del suo Alex, che le parve di sentire le sue soffici carezze anche in sogno. Ma non era un sogno.
“Alex”, mormorò, aprendo a stento gli occhi. “Non dirmi che è già mattina. Mi sembra di aver dormito solo tre ore.”
“Infatti è così!” Elizabeth rimase sconvolta dal fatto che Alex fosse pimpante come un canguro saltellante in pieno giorno. “Ma che ore sono?” mugugnò, ancora intenta ad aprire gli occhi.
“Circa le due.”
“Alex, ma che ti salta in mente? Non sono mai sveglia a quest’ora!” protestò Elizabeth, buttandola sullo scherzo. Come ci si poteva arrabbiare con quella canaglia di Alex?
“Bene, allora ti sveglio io, così ti faccio vedere cosa mi salta in mente!”
La tirò a sé e la baciò, animato dalla forte passionalità che si portava dentro da sempre.
“Tu sei matto! Sei matto!” ci scherzò su Elizabeth ormai sveglissima, più pimpante di lui, mentre si lasciava andare completamente.
“Lo so che sono matto! E’ proprio per questo che mi ami, no?”
“Già. Ti amo perché sei unicamente tu. Tu sei Alex. E di Alex ce n’è uno solo!”
“Lo vorrei ben dire, amore! Sennò poveretto tuo padre!” lo prese in giro Alex, ridendo di lui a crepapelle.
“Oh, mio Dio! Poverino! Già soffre di pressione alta di natura!”
“E ti credo, è sempre nervoso!”
I due scoppiarono a ridere, ma durò ben poco. I loro sguardi si fecero seriamente intensi e si colmarono di passione. Di nuovo. Alex riprese a baciarla. Si erano trattenuti per così tanto tempo, che sentivano più che mai il bisogno di fare l’amore, in ogni istante. Non ne avrebbero mai avuto abbastanza, l’uno dell’altra. La passione li travolse come un’onda che si infrange maestosa e potente sulla barriera corallina, come se fosse uno sfogo per essersi trattenuti tutto quel tempo. Nessuno dei due si risparmiò. Si lasciarono completamente andare all’emozioni più forti e decise che entrambi avessero mai provato. Emozioni così forti che li estraniarono completamente dalla realtà, facendoli per qualche istante dimenticare ogni cosa. La danza, la musica, il luogo dove si trovavano e soprattutto il grande problema del padre di lei. Un problema che incombeva come una tetra ombra su di loro, minacciando tutto ciò che stavano costruendo. Ma non importava. Ci sarebbe stato tempo, per quello. Avevano a disposizione un’intera vita per far entrare in quella testaccia dura del capo il fatto che si fossero innamorati. E in quel momento, se ne dimenticarono.
Tutto ciò che restava loro era la consapevolezza di chi fossero. Un ragazzo e una ragazza che si amavano incondizionatamente e che vivevano a pieno il loro grande amore.


Nessun commento:

Posta un commento

Come foglie al vento - Episodio 732 di Nunzio Palermo

   è presentato da   Come foglie al vento # 732 Episode 732 Season 4 Original Date ...