Il mattino seguente, Elizabeth saltellava allegra e contenta come un
bambina, mentre si recava alle prove per il prossimo balletto. Spruzzava
felicità in ogni dove con i suoi solari sorrisi, che inondavano di allegria la
città. Era finalmente rinata. Libera. L’amore aveva finalmente sconfitto la
paura e ora poteva vivere realmente la sua vita. Accanto ad Alex. Il suo Alex.
L’adorabile canaglia che le faceva battere il cuore e che le regalava tanti
allegri sorrisi, ogni volta che lo vedeva. Il suo entusiasmo nei confronti
della vita era contagioso. E aveva contagiato anche lei.
“Ehi! Che bel sorriso, Liz!” notò Sandy, che l’aspettava ai piedi
delle scale fuori della scuola di ballo. “C’entra Alex, vero?”
“Sì. Ieri sono andata da lui allo studio di registrazione e gli ho
detto che lo amo!” raccontò Elizabeth, raggiante come il Sole.
“Ooooooooh! Finalmente! Era ora! E lui? Ti ha perdonata?”
“Sì, mi ha baciata e ci siamo ufficialmente fidanzati!”
“Alleluia! Alleluia! Ti coprirò con tuo padre ogni volta che avrai
bisogno!”
Elizabeth le mise una mano intorno alla spalla mentre se ne andavano
in sala da ballo. “Veramente... In effetti mi sono già presa un anticipo. Ieri
sera ho detto a mio padre che avrei cenato da te.”
“Aaaaaaah! E hai fatto bene! Ottimo inizio!”
Elizabeth era di nuovo in forma, non in sé, di più. Ormai, la vecchia
Elizabeth timida e paurosa non c’era più. La sua sicurezza e determinazione
trasparivano anche nella danza, sempre ancora caratterizzata da quell’innata
eleganza, che solo lei possedeva. Era cresciuta molto grazie ad Alex. Come
ballerina, ma soprattutto come persona.
“Eccolo là!” esclamò Elizabeth all’uscita, appoggiato alla ringhiera
ai piedi della scalinata d’ingresso con la sua solita aria strafottente e
trasgressiva verso il mondo.
“Vai, vai, Elizabeth! Divertitevi! Chiamami per qualunque cosa! Ti
coprirò io!” la incoraggiò Sandy, da grande amica quale era.
Alex ed Elizabeth si baciarono non appena lei ebbe finito di scendere
le scale. Ad Alex sembrava impossibile che ora potesse farlo ogni qualvolta
volesse.
“Elizabeth, amore, vorrei portarti a vedere casa mia. Vuoi?” le domandò
con un sorriso carico di entusiasmo.
Elizabeth lo seguì a ruota senza far domande. Lo avrebbe seguito
ovunque, anche all’Inferno, se necessario, pur di stare con lui. Alex le prese
il borsone e se lo mise a tracolla senza darle nemmeno il tempo di ribattere,
la prese per mano e insieme, come una sola anima, si diressero verso l’auto di
Alex, che mise in moto verso casa sua. In macchina, conversarono piacevolmente
della giornata trascorsa alle prove, per Elizabeth e in studio coi ragazzi, per
Alex. Ogni qualvolta si fermassero a un semaforo rosso, Alex approfittava del
poco tempo che aveva a disposizione per regalarle dolci carezze e teneri baci.
Ormai, non c’era più niente a dividerli. Elizabeth era finalmente una ragazza
libera. Libera da ogni tipo di congettura. Libera dalla paura del padre.
Non impiegarono molto a raggiungere l’appartamento di Alex in un
comune quartiere non molto lontano dal centro. Prese per mano Elizabeth e la
invitò a entrare.
“Che carina!” commentò Elizabeth, non appena lui la fece accomodare.
“E’ piccola. Non è di certo la tua villa!”
“No, non lo è. Però a me piace. E’ accogliente.”
“Accogliente con tutto questo casino?” le fece notare distrattamente
Alex, casino, a cui lei non aveva nemmeno fatto caso.
“Me lo immaginavo, Alex! Questa casa è un vero disastro dal punto di
vista dell’ordine. Però a me piace. Perché tu sei così. Casinaro. Non mi sarei
aspettata nulla di diverso. Però! Quanti libri di musica!” notò passando
davanti a un alto scaffale. “E questo? Ci sei tu in questo album?”
Alex si avvicinò e lo sfilò. Si sedette con lei sul divano e glielo
mostrò. Erano le sue foto di quando era piccolo.
“Accidenti, com’eri carino! Sorridevi sempre. E che bella ragazza, tua
madre! Immagino che ora sia una bella donna”, commentò Elizabeth, mentre
ammirava la bella immagine che ritraeva una mamma col suo bambino, tra un mare
di sorrisi e un’effimera, illusoria serenità.
“Sì, lo è. Ha il viso un po’ segnato, ma lo è”, le confermò Alex.
“Le somigli molto”, notò Elizabeth, osservando minuziosamente una
giovane ragazzina coi capelli rossicci e il viso allegro, che teneva in braccio
un piccolo Alex di sì e no un anno con gli occhi vispi e furbi come quelli di
una volpe.
“Grazie”, le disse Alex, scoccandole un bacio sulla testa.
Elizabeth girò la pagina. “Toh, com’eri buffo qui!” Non poté fare a
meno di ridere: nella foto, un piccolo Alex a tre anni già con la bandana in
testa che giocava con una piccola chitarra rock giocattolo.
“La so suonare, sai? La chitarra”, le raccontò Alex.
“Davvero?”
“Sì. Non è il mio strumento principale, quello è il piano, però la so
suonare. Ho le basi.”
Sempre più sorpresa e affascinata dalle abilità nascoste di Alex,
Elizabeth si strinse a lui in cerca di baci e coccole, quelli che si era negata
da troppo, troppo tempo, ormai.
E, abbracciati, continuarono a sfogliare l’album e a farsi delle
grosse grasse risate, mentre Alex rievocava gli unici ricordi piacevoli e
divertenti che aveva avuto durante l’infanzia. Quando ebbero finito, Elizabeth
gli si accoccolò nuovamente addosso. Lui la baciò, iniziando ad accarezzarle il
corpicino forte e delicato da ballerina. Ma poco dopo, Alex si ritrasse
prontamente da lei, ancora memore di come fosse fuggita quella sera, ancora
sotto shock per come avesse reagito alla sua esuberanza, qualche settimana
prima.
“Alex?” sussurrò Elizabeth, non avendo colto il trauma che viveva
nascosto nell’ombra dentro di lui.
“Non voglio correre troppo. Non voglio farti sentire a disagio in
alcun modo”, le disse.
Elizabeth capì. Si rese conto fino in fondo di quanto male gli avesse
fatto, del modo crudele in cui l’aveva ferito e traumatizzato. Alex era ancora sotto
shock.
“Perdonami, Alex. Ieri non sono più riuscita a dirtelo. Con la mia
insicurezza e la mia paura, ti ho fatto del male. E tanto. So che ti ho ferito
e mi dispiace. Devo averti fatto sentire abbandonato”, gli disse,
accarezzandogli la guancia col suo tocco delicato da dolce fatina.
“Sì, è così. Ma non devi scusarti. Sono stato io a correre troppo. Mi
sono fatto prendere la mano dall’entusiasmo e ti ho spaventata. Non sei tu che
devi scusarti. Sono io. Ti prego, perdonami per non aver capito fino a che
punto tu fossi spaventata da tuo padre.”
“Forse, abbiamo esagerato tutti e due, Alex. Io da una parte e tu
dall’estremo opposto.”
“Già. Ma siamo insieme, adesso”, le sussurrò Alex, mentre la teneva
stretta a sé.
“Sì. Siamo insieme, adesso”, convenne lei, avendo colto il vero
significato profondo delle sue parole.
Rimasero abbracciati in silenzio per qualche minuto, finché Elizabeth
non sollevò il capo dal suo petto confortante e protettivo per poterlo guardare
negli occhi. In quegli occhi magnetici da canaglia, che lei tanto amava. Amava
tutto di Alex. Tutto. Ogni singola, piccola cosa.
“Alex”, esordì, guardandolo intensamente negli occhi. “Facciamo
l’amore.”
Alex le prese il volto fra le mani e ricambiò l’intensità del suo
sguardo. “Amore mio, sei sicura? Non è che dopo mi scappi come quella sera,
no?”
Elizabeth abbozzò un tenero sorrisetto, consapevole di quanto quella
serata l’avesse stravolta. Di come le avesse ridonato la vita. “No, non ti
scapperò! Anzi, non scappare tu a me!”
“Con tutta la fatica che ho fatto per avere il tuo cuore, credi che ti
scapperò? Mai!” ci scherzò su lui.
La sollevò di peso tra le braccia e la portò con sé in camera da
letto. La mise giù delicatamente e ripresero a baciarsi, ad accarezzarsi
all’esplorazione dei loro corpi. Si tolsero senza fretta i vestiti per vivere
pienamente le forti emozioni del momento e fecero l’amore come se non esistesse
un domani. Le emozioni che Elizabeth provò insieme a lui furono più forti della
prima volta, perché ora era serena. Era davvero ciò che voleva. Voleva vivere.
Insieme ad Alex. Poco dopo, si addormentarono abbracciati, stretti l’uno
all’altra, come se ormai fossero una sola cosa.
Era quasi ora di cena quando Alex aprì lentamente gli occhi, con una
candida leggerezza nel cuore. Elizabeth era ancora lì insieme a lui, tra le sue
braccia, così come si era addormentata. La osservò mentre dormiva, nella sua
delicata bellezza da fata. Sembrava davvero uscita da una fiaba. Era la fata
che aveva cambiato la sua vita, che aveva portato con sé la luce, ove c’erano
solo tenebre e oscurità. Una notte gelida, buia... Senza stelle. Anche dopo essere
scappato di casa e aver incontrato i ragazzi della band, i fantasmi del suo
passato non se ne erano mai andati e manifestavano la loro presenza attraverso
l’atteggiamento strafottente verso il mondo intero. Da quando c’era lei, Elizabeth,
la notte della sua vita si era riempita di abbaglianti e luminose stelle. Lei
era il suo Sole e anche i fantasmi del passato si erano in qualche modo
assopiti. Non l’avrebbero mai abbandonato del tutto, perché ciò che abbiamo
passato sarà sempre dentro di noi. Ci segna in maniera indelebile, come un
tatuaggio dell’anima. Ma alle volte, la vita ci porta un dono in grado di
placarli... Almeno un po’. Proprio come era accaduto ad Alex.
Le baciò dolcemente l’orecchio per tentare di svegliarla.
“Alex”, mormorò lei, aprendo lentamente gli occhi.
Alex le stampò un delicato bacio sulle labbra. “Ciao, amore. Mi sembra
un sogno che tu sia ancora qui!”
Elizabeth abbozzò un assonnato sorriso divertito. “E dove vuoi che
vada? Sono tua, ormai.”
“E io, tuo. Non te lo scordare mai”, le disse, regalandole un dolce
bacio sulle labbra.
Rimasero ancora qualche infinito istante a guardarsi nell’universo dei
loro occhi e a baciarsi sofficemente.
“Elizabeth, amore, sono quasi le otto, è ora di cena”, le fece notare
Alex, interrotto bruscamente dai rumorosi gorgoglii di protesta del suo
stomaco.
“Bene. Pizza a domicilio?”
“Andata! Così ce ne stiamo qui in santa pace. Da soli!” si compiacque
Alex.
Elizabeth rimase impressionata dalla quantità di cibo che Alex
riuscisse a ingurgitare. Si erano presi due pizze a testa, ma ad Alex non
bastava mai. Aprì il frigo e buttò giù qualunque cosa di rapido e commestibile
gli capitasse sotto mano.
“Accidenti! Che appetito amore!” commentò Elizabeth con gli occhi
fuori dalle orbite.
“Eh, con tutto il casino che faccio, direi che ne ho bisogno! Anche tu
mi hai stupito! Non credevo mangiassi così tanto! Due pizze! Ieri sera, in
studio con la band, abbiamo riso così tanto che nemmeno me ne sono accorto!”
“Alex, io danzo per ore e ore al giorno. Ne ho bisogno!”
“E io che credevo che le ballerine di danza classica fossero tutte degli
stecchini! Eppure tu non sei così! Hai un fisico da far invidia alle
istruttrici di fitness. E non sei affatto mascolina. Sei aggraziata e
delicata.”
“Mia madre cura la salute delle ballerine fin dalla tenera età. Le
educa a un’alimentazione sana, bilanciata e abbondante. Abbiamo bisogno di
tantissime energie per esprimere al meglio la nostra femminilità, quando
balliamo. E già di per sé, ballare è un’attività piuttosto dispendiosa. Grazia
e potenza devono andare di pari passo. E poi, mia madre ci ricorda sempre di
toglierci sfizi e di mangiare anche schifezze di tanto in tanto! Perché anche
quelle, nel loro piccolo, ci servono e che in fondo, mangiare è un piacere! Mia
madre dice che una ballerina sana e in forma, con una muscolatura forte, ma
definita e delicata sia molto più bella da vedere rispetto a una troppo magra.
Non è una muscolatura sana e definita ad andare a discapito della leggerezza
nella danza!”
“Sono pienamente d’accordo! Infatti, tu sei bellissima. E anche le
altre ragazze del corpo di ballo di tua madre! Si vede che siete in forma! E
siete bravissime!”
“Grazie, Alex! Vieni, andiamo un momento da Sandy. E’ la mia copertura
per stasera. Come sempre del resto.” Alex la guardò col cipiglio alzato, non
capendo dove Elizabeth volesse andare a parare. In quell’occasione, Elizabeth
aveva battuto tutti in fatto di furbizia. Non solo aveva detto a suo padre che
sarebbe rimasta a cena da Sandy, ma...
“Elizabeth! Alex! Che succede? Come mai qui?” li accolse con calore la
cara e vecchia Sandy, poco dopo. Era sola in casa. Genitori fuori, a cena. “E’
saltata la copertura per caso?”
“Ma no, Sandy! Quella regge alla grande! Però me ne serve un’altra.
Vorrei rimanere da Alex per la notte”, le spiegò Elizabeth.
“Ah, ho capito tutto! Ora chiamo tuo padre!”
Come due gemelle, a loro bastavano una parola e uno sguardo per
capirsi. Era il loro modo di comunicare.
“Buonasera, signor Reeves! Sono Sandy!”
“Ciao Sandy! Dimmi pure! Devo venire a prendere mia figlia?” rispose
Albert, pacato, ma autoritario, dall’altra parte del telefono.
“No, al contrario! Io vorrei chiederle se Elizabeth potesse fermarsi a
dormire da me. Sa, io sto passando davvero un brutto periodo, soprattutto con
lo stress e avrei piacere di avere la compagnia della mia migliore amica.”
“D’accordo. Va bene. E’ sempre un piacere aiutarti. Mi dispiace che tu
stia passando un periodo non molto tranquillo, sei una persona molto cara alla
nostra famiglia. Certo che Elizabeth può restare! Tutto il tempo che vuole!”
“Grazie, signor Reeves!” gioì Sandy.
“Ma di nulla! Mi fido di te! Piuttosto, me la passeresti per favore,
così le do la buonanotte?”
“Ma certo! Liz, tuo padre al telefono!
Ecco spiegato il motivo per cui
Elizabeth aveva tanto insistito per andar da Sandy.
“Ciao papà!” lo salutò allegra Elizabeth, afferrando il telefono.
“Ciao tesoro. Sandy mi ha detto che resti a dormire da lei. Volevo
solo augurarti la buonanotte.”
“Grazie papà. Andremo a scuola insieme domani mattina. Puntuali,
ovviamente!”
Elizabeth fu costretta a portarsi alla svelta una mano sulla bocca,
come per mettersi a tacere. Stava disperatamente tentando di trattenere il mare
di risate che si stava agitando dentro di lei.
Quella canaglia del suo Alex aveva appena scritto su un foglio, a mo’
di cartello, “SALVE CAPO!”, e glielo stava spudoratamente sbandierando proprio
davanti gli occhi.
“Ora ti saluto papà! Andiamo a dormire, perché siamo davvero molto
stanche. Buonanotte!” lo salutò Elizabeth, cercando di non ridere e di rimanere
seria e pacata.
“Buonanotte, Elizabeth. Salutami Sandy.”
Non appena Elizabeth chiuse la telefonata, i tre amici esplosero, come
bobe atomiche, in una cascata di lacrime e di risate.
“Grazie, Sandy!” esclamò Elizabeth, dando una pacca sulla spalla
all’amica.
“Però, come ti sei fatta furba! Elizabeth, vecchia volpona! E bravo il
tuo Alex! Grazie per avermela svegliata! Ora è sveglia, sveglissima! Forse
anche troppo! Adesso andate, dormite e divertitevi!”
“Ciao Sandy! E grazie!” la salutarono Alex ed Elizabeth in coro, già
sull’uscio della porta.
“Non riusciremo più a sdebitarci con Sandy per tutto quello che sta
facendo per noi”, commentò Alex a casa poco dopo, già in slip pronto per
dormire, mentre osservava rapito la sua fata dei boschi infilarsi una stramba
maglietta da notte che le aveva dato per dormire.
“Per lei è un piacere. Anch’io l’ho aiutata molto qualche tempo fa. E’
sempre stata una ballerina molto brava, ha talento da vendere, ma non riusciva
a fare quel salto di qualità nell’espressività che le serviva per entrare con
me nella compagnia. Non so quante ore abbia parlato e lavorato con lei per
aiutarla a guardarsi dentro e buttar fuori ciò che ha. E per immedesimarsi nei
vari ruoli che ci si presentano.”
“E come si fa?” le domandò Alex, molto incuriosito dal mondo da cui
proveniva.
“Beh, credo che sia un po’ come per gli attori. In quel momento non
sei più tu, ma il personaggio. Devi pensare come lui, comportarti come lui,
parlare come lui, muoverti come si muoverebbe lui in base al suo carattere,
devi sentire ciò che sente lui. Gli devi entrare dentro, come se tu e lui foste
una cosa sola. Tu dai voce e movimento a un’anima con una personalità tutta sua
che è entrata dentro di te. Servono molta sensibilità ed empatia per farlo.
Puoi andare a scuola di recitazione quanto vuoi, ma se non ce l’hai dentro, non
ce l’hai. E’ inutile lavorare su una base che non c’è. La stessa cosa vale per
la danza. Sandy ha sempre avuto questa qualità, ma non riusciva proprio a
capire come usarla e come tirarla fuori. Non riusciva a esprimersi. E’ entrata
nel corpo di ballo solo grazie al lavoro di tecnica e introspezione che abbiamo
svolto insieme. Io non potevo abbandonarla. E’ da sempre la mia migliore amica.
Siamo cresciute insieme. E gli amici non si abbandonano. Mai.”
Alex le sorrise, colpito dai profondi valori che l’animavano. Gli
stessi che animavano anche lui. Si avvicinò a lei e la baciò. “Ti amo.”
“Anch’io ti amo, Alex. Coraggio, mettiamoci a dormire.”
Si stesero vicini, Alex prese Elizabeth tra le braccia e la strinse a
sé come se fosse un tesoro prezioso da custodire e proteggere. Infatti, lo era.
Lo era veramente.
“Elizabeth, grazie. Tu ha riportato la luce nella mia vita, hai
illuminato la mia notte con le stelle e col Sole che sei. Grazie”, le sussurrò
dopo aver spento la luce.
“Sono felice, Alex. Anche tu hai portato luce e gioia nella mia
monotona vita. Sei un poeta. Si vede che scrivi canzoni. Nessuno mi aveva mai
detto certe cose.”
“Ti ho solo detto la verità. Ciò che sei per me. Grazie a te, ho
capito che tutto passa. Ho sempre e solo pensato che i momenti belli non
durassero mai per sempre, al contrario di quelli brutti. Invece, grazie a te,
ho capito che nella vita tutto passa. Forse i momenti belli non saranno eterni,
ma non lo sono neanche quelli bui. L’inverno non dura per sempre. Prima o poi,
arriva sempre la primavera.”
Elizabeth venne rapita dall’intensità di quelle magiche parole, dalla
profondità dei suoi pensieri. E chi l’avrebbe mai detto che un manigoldo
potesse avere un cuore tanto nobile e sensibile? Ma non era un manigoldo. E ora,
Elizabeth ne era davvero certa.
“Alex, mi stupisci ogni secondo di più. Come ho fatto a non capire
prima che tesoro stavo perdendo?”
“Non importa, amore. Tu sei qui, adesso. Ed è l’unica cosa che conta
per me.”
Alex la baciò teneramente, prima che lei piombasse nel sonno più
profondo e riposante della sua vita. Era così bella mentre dormiva, così
fiabesca.
Elizabeth era talmente innamorata del suo Alex, che le parve di
sentire le sue soffici carezze anche in sogno. Ma non era un sogno.
“Alex”, mormorò, aprendo a stento gli occhi. “Non dirmi che è già
mattina. Mi sembra di aver dormito solo tre ore.”
“Infatti è così!” Elizabeth rimase sconvolta dal fatto che Alex fosse
pimpante come un canguro saltellante in pieno giorno. “Ma che ore sono?”
mugugnò, ancora intenta ad aprire gli occhi.
“Circa le due.”
“Alex, ma che ti salta in mente? Non sono mai sveglia a quest’ora!”
protestò Elizabeth, buttandola sullo scherzo. Come ci si poteva arrabbiare con
quella canaglia di Alex?
“Bene, allora ti sveglio io, così ti faccio vedere cosa mi salta in
mente!”
La tirò a sé e la baciò, animato dalla forte passionalità che si
portava dentro da sempre.
“Tu sei matto! Sei matto!” ci scherzò su Elizabeth ormai sveglissima,
più pimpante di lui, mentre si lasciava andare completamente.
“Lo so che sono matto! E’ proprio per questo che mi ami, no?”
“Già. Ti amo perché sei unicamente tu. Tu sei Alex. E di Alex ce n’è
uno solo!”
“Lo vorrei ben dire, amore! Sennò poveretto tuo padre!” lo prese in
giro Alex, ridendo di lui a crepapelle.
“Oh, mio Dio! Poverino! Già soffre di pressione alta di natura!”
“E ti credo, è sempre nervoso!”
I due scoppiarono a ridere, ma durò ben poco. I loro sguardi si fecero
seriamente intensi e si colmarono di passione. Di nuovo. Alex riprese a
baciarla. Si erano trattenuti per così tanto tempo, che sentivano più che mai
il bisogno di fare l’amore, in ogni istante. Non ne avrebbero mai avuto
abbastanza, l’uno dell’altra. La passione li travolse come un’onda che si
infrange maestosa e potente sulla barriera corallina, come se fosse uno sfogo
per essersi trattenuti tutto quel tempo. Nessuno dei due si risparmiò. Si
lasciarono completamente andare all’emozioni più forti e decise che entrambi
avessero mai provato. Emozioni così forti che li estraniarono completamente
dalla realtà, facendoli per qualche istante dimenticare ogni cosa. La danza, la
musica, il luogo dove si trovavano e soprattutto il grande problema del padre
di lei. Un problema che incombeva come una tetra ombra su di loro, minacciando
tutto ciò che stavano costruendo. Ma non importava. Ci sarebbe stato tempo, per
quello. Avevano a disposizione un’intera vita per far entrare in quella
testaccia dura del capo il fatto che si fossero innamorati. E in quel momento,
se ne dimenticarono.
Tutto ciò che restava loro era la consapevolezza di chi fossero. Un
ragazzo e una ragazza che si amavano incondizionatamente e che vivevano a pieno
il loro grande amore.
Nessun commento:
Posta un commento