“Ciao ragazze!”
“Ciao Elizabeth!” ricambiarono in un allegro coro le sue amiche.
Finalmente, dopo tante prove per i balletti e tutti i rispettivi
impegni che le ragazze della compagnia avevano al di fuori della danza, erano
riuscite a concedersi una serata al cinema tra amiche come quando erano solo
delle adolescenti e il loro unico pensiero al di fuori della danza era il
divertimento.
“Allora, com’è questo Alex?” le domandò curiosa una di loro.
“E’ fantastico. Semplicemente fantastico. E’ un ragazzo molto
particolare. A volte è completamente pazzo, fa delle cose davvero fuori di
testa, però è di una nobiltà d’animo, di una sensibilità da far sciogliere il
cuore più glaciale di questo mondo. Tranne quello di mio padre.”
“In pratica, Alex è un gran figo!” intervenne Sandy, dandole man
forte. “Io l’ho conosciuto. E’ un gran bel ragazzo, molto sexy devo dire. Anche
il suo amico Edward, però... Non è male per niente. Lo sai che ci sono uscita
diverse volte?”
“Sì, me l’ha detto qualche giorno fa, quando ho portato la cena ad
Alex allo studio di registrazione.”
Le sue amiche si portarono una mano alla bocca, con fare un po’ da
smorfiosette. “Come allo studio di registrazione? Ma fa...?”
“Sì, è il cantante di una rock band. Stanno incidendo un disco. E io
collaboro con loro al progetto e non solo portandogli la cena, quando fa tardi
e non ha nulla da mangiare!” spiegò Elizabeth alle ragazze, tenendole molto
sulle spine. Avevano bisogno di restare un po’ punte.
“Collabori al progetto? E in che modo?”
“Lo vedrete!” Elizabeth si affrettò prima delle altre verso la
biglietteria, prima di venire completamente tempestata da mille domande.
“Otto biglietti per favore”, chiese alla signora con una certa
spigliatezza che prima non aveva, che le sue amiche notarono con gran sorpresa.
“E’ tutto merito di Alex!” spiegò loro, mentre prendevano posto.
“Ah con questo Alex! E’ da sposare!” commentò una.
“Infatti lo sposerò!” replicò Elizabeth contenta.
Sandy le mise una mano sulla spalla e iniziò a scherzarci su, non
avendo affatto colto la serietà di quanto aveva affermato la sua amica.
“Dovremmo ripeterla a tuo padre questa battuta!”
Elizabeth le tolse la mano dalla spalla e assunse inconsciamente
un’espressione seria e innamorata. I suoi felini occhi acquatici avevano un
incantato aspetto sognante. “Ma io non sto scherzando, Sandy. Alex mi ha
chiesto di sposarlo il giorno del mio compleanno e io ho risposto di sì. Ci
sposeremo, se tutto va bene, dopo la tournée che seguirà all’uscita del disco.
Non subito, certo, perché Alex vuole essere certo di provvedere a un bel futuro
insieme, però ci sposeremo.”
Un coro di congratulazioni, che attirò l’attenzione di mezza sala,
durante la pubblicità che precedeva il film, si levò dalla fila di sedie delle
ragazze.
“E con tuo padre come la metti?” le chiese Sandy, immaginando di quale
scenata si fosse reso protagonista Albert.
“E’ arrabbiato nero con tutti e due. Ma dovrà accettarlo.”
La determinazione di Elizabeth nel portare avanti una relazione
proibita da suo padre in questo modo spiazzò tutte quante, Sandy in primo
luogo, vista la situazione emotiva di Elizabeth, quando aveva conosciuto Alex.
In quei pochi mesi di fidanzamento era davvero maturata. Aveva finalmente
capito che cosa volesse significare lottare per qualcuno che ami e per qualcosa
in cui credi. Dopo la commedia strappa-risate, le ragazze si salutarono
all’ingresso del cinema. Dove Elizabeth trovò ad attenderla per riportarla a
casa una persona del tutto inaspettata.
“Papà? Ciao. Che cosa ci fai tu qui?” La sua voce lasciò trasparire
tutto lo stupore e il disappunto del momento.
“Ciao Elizabeth. Sono venuto a prenderti”, le disse piuttosto serio e
avvilito.
Elizabeth lo fissò come se fosse in preda all’ultimo dei deliri. “A
prendermi? Grazie, ma non c’è bisogno. Sta venendo Alex.”
La delusione di Albert lo colpì in pieno stomaco, come un pugno
sferrato all’improvviso. Col suo atteggiamento, stava davvero perdendo sua
figlia. Ma quell’Alex proprio non riusciva ad accettarlo. L’unica cosa che
poteva fare era tentare di recuperare almeno un po’ il rapporto con Elizabeth,
il cui comportamento freddo e distaccato trasmetteva da solo il suo stato
d’animo nei confronti di Albert.
“Ah. Dovete andare da qualche parte adesso?” le chiese stranamente
calmo, tentando di nascondere la sua disperazione.
“No. Mi viene a prendere per portarmi a casa. Oggi non ci siamo visti
per niente a causa delle registrazioni, quindi resta a dormire da me.”
Elizabeth si aspettava che suo padre iniziasse a sclerare come al solito e si
preparò a fronteggiarlo con le unghie.
“Beh, mandagli un messaggio e scrivigli di raggiungerti direttamente a
casa. Ormai sono qui io.”
La reazione di suo padre spiazzò Elizabeth nel peggiore dei modi.
Restò lì, a fissarlo imbambolata, come se fosse caduta in una specie di trans.
Che gli stava capitando? Elizabeth se ne rese conto solo allora. Gli aveva
procurato un dolore, fidanzandosi con Alex. Ora lo sapeva. Credeva che suo
padre fosse soltanto un despota iper-protettivo e troppo perfido per accettare
Alex, ma in realtà soffriva davvero. E tanto. Aveva il cuore squarciato dal
dolore. E le dispiacque per questo. Ma lei amava Alex e Alex amava lei. Come
sarebbe riuscita a farglielo capire? Come sarebbe riuscita a chiedergli di
guardare Alex e di vederlo con gli occhi con cui lo vedeva lei.
“Sono pur sempre tuo padre”, aggiunse serio, vedendo che lei non
rispondeva.
Quella frase riportò Elizabeth alla realtà. “Va bene. Dove hai la
macchina?” acconsentì infine, prendendolo a braccetto, come era solita fare
prima che si innamorasse di Alex e i loro rapporti si guastassero.
Mentre si incamminavano verso l’auto nell’immenso e buio parcheggio di
fronte al cinema nessuno dei due osò proferir parola, tanto era l’imbarazzo che
l’uno provava verso l’altra. Nessuno dei due sapeva che cosa dire. Il gesto
paterno di Albert era stato dettato dal suo istinto, non dal suo io conscio e
razionale. Mentre raggiungevano l’auto, due ragazzi dall’aria molto più che
depravata e delinquenziale sbarrarono loro la strada. Quelli sì, che erano veri
delinquenti. Non Alex.
“Buonasera, commissario Reeves. Si ricorda di noi? Ci siamo fatti due
anni di riformatorio per colpa sua”, esordì uno.
“Questa è sue figlia? Carina”, la scrutò l’altro.
Albert non disse nulla e fece per estrarre bruscamente la pistola,
pronto a difendere Elizabeth da quei due delinquenti che aveva arrestato due
anni prima, ma venne colpito alla testa di sorpresa e alle spalle da un terzo
ragazzo, complice dei due, e cadde a terra, non del tutto privo di sensi, ma
tramortito e incapace di agire.
“Papà!” gridò Elizabeth terrorizzata e sotto shock. Istintivamente,
raccolse la pistola del padre e la puntò verso i ragazzi. “State indietro, o vi
sparo”, sussurrò trattenendo le lacrime. Gelidi brividi di terrore le salirono
lungo la schiena. Che ne sarebbe stato di suo padre? E di lei? Sapeva che cosa
volevano farle. Pensò ad Alex e a quanto lo amasse. A quanto lui l’amasse. Come
se potesse farla sentire meglio. Come se potesse migliorare la situazione.
I ragazzi le risero in faccia, prendendosi gioco di lei. Il terzo
ragazzo, quello che aveva colpito suo padre, era quello più scattante e
sfuggente al controllo di Elizabeth e le sgattaiolò di nuovo alle spalle,
aiutato anche dall’oscurità della notte, e le tolse l’arma.
“Questa è meglio che la prendiamo noi. Però... Oltre che carina, sei
anche combattiva. Ci piacciono le ragazze così. Sei degna di tuo padre”, le
disse, divertito, iniziando a toccarla sotto la maglia.
“Non mi toccare!” gridò Elizabeth terrorizzata, tentando di
divincolarsi, ma i due complici le si stavano già avvicinando per fare quanto
stava già facendo il loro compare. “PAPA’! PAPA’ AIUTO!” iniziò a gridare
disperata.
Albert tentò di rialzarsi, ma uno dei ragazzi gli tirò un paio di
calcioni sullo stomaco e gli sollevò la testa in direzione dei compagni, per
costringerlo a guardare. “Questo è il prezzo da pagare per averci fatto perdere
due anni della nostra vita in un riformatorio! E quando avranno finito loro,
toccherà a me. Dopo ci occuperemo anche di lei”, gli sussurrò nell’orecchio,
con velenosa perfidia nella voce.
Elizabeth continuava a gridare aiuto, nella vana speranza che qualcuno
passasse e potesse sentirla. Ma non sarebbe passato nessuno. Tentava con tutte
le forze di dimenarsi, ma non c’era nulla che potesse fare. I due ragazzi erano
il doppio più robusti di lei, erano forti, incontrollabili. I due ragazzi le
gettarono a terra, uno la teneva ferma mentre il suo compare si mise sopra di
lei e le abbassò con prepotenza i jeans, prima di fare altrettanto con i suoi.
Elizabeth continuava a gridare e piangere senza più alcuna speranza, quando
qualcuno afferrò all’improvviso alle spalle la bestia che stava per stuprarla.
Questo venne scaraventato via con una forza mastodontica, quasi sovraumana.
“Non vi azzardate a toccarla, stronzi schifosi!” li minacciò una voce
potente e familiare, tanto arrabbiata, quando disperata.
Una luce abbagliante più del Sole accecò Elizabeth, andando a
riaccendere quella brace spenta di speranza nel suo cuore. Un senso di mistico
sollievo si perfuse nel suo corpo.
Alex.
Alex l’avrebbe protetta.
Gli altri due ragazzi non fecero nemmeno in tempo a prendere atto e
coscienza di quanto stesse accadendo. Dopo aver scaraventato via con violenza
il primo, Alex si avventò contro gli altri due come una furia, dando il via a
una terribile rissa. Il terzo ragazzo si rialzò da terra e tentò di dar man
forte ai suoi amici, ma non c’era nulla da fare contro la belva selvaggia che
si era scatenata in Alex. La sua aggressività, quella che si portava dentro da
una vita, esplose con furente irruenza alimentata da una rabbia incontrollata,
che aveva preso fuoco e bruciato in lui da quando aveva sentito Elizabeth
gridare aiuto, disperata, dai finestrini aperti della sua auto, mentre
raggiungeva il parcheggio. Alex li riempì di pugni e calci, andando a mirare
nei punti giusti per metterli k.o. Li stese tutti e tre, in quattro e quattr’otto.
Quando fu certo che fossero privi di sensi, che ci sarebbero rimasti
sicuramente per un po’ e che, anche una volta svegli, non sarebbero comunque
stati in grado di rialzarsi, si precipitò rapido come il vento dalla sua
Elizabeth, che aveva assistito spaventata e rincuorata alla cruda scena, mentre
si era tirata su con foga e paura i jeans.
“Elizabeth! Amore mio! Stai bene?” le chiese molto più che preoccupato
e premuroso, mentre si inginocchiava accanto a lei per aiutarla a sedersi.
Elizabeth annuì scossa col capo, ancora piangente e sconvolta. Si girò
di scatto a vomitare per terra, ancora terrorizzata. Quando ebbe finito, Alex
la strinse forse a sé ed Elizabeth ricambiò la stretta, aggrappandosi a lui
come una cozza fa con lo scoglio, tremante come una foglia. Singhiozzava e
aveva delle brutte convulsioni.
“E’ finita, è finita. E’ tutto passato, amore, è tutto finito. Sono
qui”, le sussurrò dolce e premuroso, mentre la coccolava.
Albert riuscì a stento a rialzarsi, ancora un po’ frastornato dalla
botta in testa e dai forti calci sullo stomaco. Chiamò i rinforzi e si diresse
traballante e malconcio verso Elizabeth. Sembrava aver visto un fantasma. Sua
figlia era quasi stata stuprata da tre delinquenti con precedenti e lui non
c’era. Non era riuscito a proteggerla. L’aveva quasi persa.
“Come sta?” chiese con un filo di voce.
Alex alzò i suoi espressivi occhi grigioverdi, colmi d’amore, premura
e preoccupazione e li posò in quelli disperati di Albert, terrorizzato che quei
pervertiti fossero riusciti nel loro intento di stuprarla. “Sta bene. Appena in
tempo, Capo. C’è mancato davvero poco. E’ solo molto scossa. E lei?” gli
chiese, indicandogli con la testa il brutto ematoma che aveva vicino alla
fronte, mentre Elizabeth piangeva lacrime di sfogo e di terrore con il volto
sprofondato nel petto caldo e protettivo di Alex.
“Sopravvivrò. In fondo, è solo una botta in testa.” Albert osservò con
estrema attenzione il modo in cui Alex stringeva Elizabeth, con quanta forza,
con quanta passionalità, il suo fare protettivo... E soprattutto con quanto
amore. L’aveva salvata da dei veri delinquenti. “Bravo, Alex. Sei stato molto
coraggioso”, si limitò a concedergli Albert, ancora frenato dal suo
incrollabile orgoglio di padre-poliziotto.
“Grazie, Capo. Ma qui non si è trattato solo di coraggio. Non avrei
mai permesso che facessero del male alla mia Elizabeth. Mai. A costo di perdere
la vita, perché lei è la mia vita. Perché io la amo.”
Albert continuava a fissarlo, con sguardo imperscrutabile. Difficile
dire a che cosa stesse pensando e che cosa stesse per dire. “Portala a casa,
Alex. Qui ci penso io. A breve arriveranno i rinforzi.”
Alex annuì con la testa, sempre stringendo Elizabeth, ancora piangente
e tremante, saldamente a sé. Albert e Alex si scambiarono un eloquente sguardo
di riconoscimento e gratitudine. Alex sollevò Elizabeth di peso tra le sue
braccia e la portò con sé in macchina. Albert continuò a fissare Alex in
maniera imperscrutabile, mentre il ragazzo l’aveva presa in braccio e messa in
auto.
“Ah! Alex!”
Alex si voltò di scatto.
Albert avrebbe voluto dirgli una miriade di cose in quell’istante, ma
dalla sua voce non uscì nulla. Non riuscì a dirgli niente di tutto ciò che gli
balenava per la testa. “Grazie”, si limitò a dire.
Alex annuì riconoscente col capo e salì in macchina, portando a casa
la sua Elizabeth.