Elizabeth era appena rientrata nel suo camerino, si sedette di fronte
allo specchio, guardandosi con soddisfazione: nonostante Emile, era riuscita a
calzare divinamente le vesti del personaggio di Giulietta e a esprimere al
meglio l’amore e la passione disperata per Romeo. Lo spettacolo era andato più
che bene. In un certo senso, se era riuscita sentire in maniera tanto profonda
il personaggio di Giulietta, il merito era solo di Alex. Proprio così. Se Alex
non fosse irrotto con tanta esuberanza nella sua vita, la sua interpretazione
non sarebbe stata altrettanto reale e sentita. Si rese improvvisamente conto di
quanto fossero simili e di quanto il suo bizzarro rapporto con Alex avesse in
comune con quello tormentato di Romeo e Giulietta. Come loro, lei e Alex erano
destinati alla clandestinità. Negare che provasse qualcosa per lui stava
diventando impossibile. Scosse il capo e deglutì, ricacciando quel
compromettente pensiero giù per il gargarozzo col solo scopo di calmarsi e
ricomporsi. Pensare ad Alex le faceva sempre un certo effetto. La sconvolgeva.
E lei non era abituata a essere sconvolta. E forse, questo, nemmeno le piaceva.
O forse sì. Da una parte, rimpiangeva la sua vita tranquilla e liscia come
l’acqua di un oceano in quiete, ma dall’altra era felice che Alex gliel’avesse
stravolta. Doveva ammettere almeno con se stessa che la vita che conduceva
prima di incontrare Alex fosse troppo noiosa. Monotona. Inerziale. Non sapeva
ancora come gestire la situazione, né come metterla con suo padre, ma decise di
non pensarci. Lo spettacolo era andato molto meglio del previsto. Lei era stata
fenomenale. Perché rovinare un momento simile con delle stupide congetture? No.
Doveva goderselo. Doveva vivere al cento per cento la soddisfazione che stava
provando. Aveva imparato da Alex.
Iniziò, quindi, a sciogliersi tranquilla l’elegante acconciatura da
scena, quando qualcuno bussò alla sua porta. Sperò con tutto il cuore che non
fosse Emile. Non voleva uscire con lui.
“Avanti!” esclamò timorosa.
Ma no. Non era Emile.
“Alex? Mio Dio, Alex! Che ci fai tu qui? Come hai fatto a entrare?” si
agitò.
Ma Alex aveva l’aria piuttosto offesa e le rispose con un’altra
domanda. “Cos’è questa storia della beneficenza?”
“Beneficenza?”
“Sì. Non far finta di cadere dalle nuvole! La storia che mi hai dato i
biglietti soltanto perché mi ritieni un ragazzo sbandato e sfortunato e che ti
faccio pena!”
“E che cosa avrei dovuto dire a mio padre? Che sono stata con te senza
neanche sapere il tuo nome e che ti ho dato i biglietti perché vorrei conoscerti
meglio? Insomma, arrivaci! Sei un ragazzo intelligente!”
Alex rimase colpito dalla sua reazione. Non aveva balbettato nessun
“se, ma, perché, vedi...” E soprattutto non aveva abbassato lo sguardo. Con lui
era stata sincera. E aveva di nuovo mentito a suo padre per permettergli di
andare a vederla. Si sentì uno schifo per non aver capito.
“Scusa”, le disse mortificato. “Lì per lì ci sono rimasto talmente
male che me la sono presa senza rifletterci su.”
“Non fa niente. Era normale che pretendessi spiegazioni. In effetti,
non è stato molto carino, ciò che ho detto a mio padre, ma non ho avuto altra
scelta. Non avrei potuto giustificare diversamente un simile comportamento nei
tuoi confronti.”
Alex annuì col capo e la guardò intensamente negli occhi. Si avvicinò
a lei e le prese le mani. Elizabeth si irrigidì.
“Eri stupenda su quel palco. Spero mi concederai l’onore di venire a
vederti di nuovo”, le sussurrò continuando a fissarla con i suoi occhi
magnetici completamente rapiti da lei.
Elizabeth annuì con un lieve cenno del capo. Rifletté per un istante.
Per Emile, era un onore accompagnarla a casa. Per Alex vederla danzare. Non
aveva alcun dubbio su cosa le facesse battere il cuore. Perché per lei, la
danza era tutto.
Alex si avvicinò inconsciamente alle sue labbra, come per baciarla.
Elizabeth, nonostante la sua rigidità fisica, sentì di nuovo quei brividi
correrle lungo la schiena, chiuse gli occhi e aprì leggermente la bocca, come
per prendere il suo bacio. Sentì le labbra di Alex sfiorare le sue...
“Alex, presto! Sta salendo il capo! Dobbiamo andare!” gli gridò Edward
dall’altra parte della porta, rimasto fuori a fare il palo.
“Mio Dio, Alex vai via! Presto!” esclamò Elizabeth completamente in
preda al panico, prendendolo per mano per trascinarlo verso la porta, questa
volta più preoccupata per lui che per se stessa. “Ascoltatemi bene”, –esordì
tentando di controllarsi sull’uscio del camerino, rivolgendosi ad Alex ed
Edward- “seguite il corridoio, poi scendete le scale sulla destra, fino in
fondo. C’è l’uscita di sicurezza, passate da lì, non vi vedrà nessuno ed è
dalla parte opposta da cui viene mio padre! Via, via! Presto!”
I due amici si afferrarono per le maniche delle giacche e si
catapultarono verso le scale indicate da Elizabeth, che intanto era rientrata
in camerino, schizzando via come un freccia. Tornò allo specchio e riprese a
spazzolarsi, cercando di sembrare il più naturale possibile. I secondi di
attesa sembravano non passare mai.
“Avanti!” esclamò ad alta voce, quando sentì bussare.
Albert fece il suo ingresso con sguardo sospettoso e indagatore,
scrutando in ogni dove della stanza, come se stesse cercando qualcosa. O qualcuno.
“Ciao papà. Che succede?” gli chiese Elizabeth, simulando con grande
maestria la sua innocenza.
“Niente, Elizabeth. Sei sola?”
“Certo! Con chi dovrei essere, scusa? La mamma è fuori che sta
ricevendo complimenti, come sempre del resto, e gli altri ballerini sono sulla
mia stessa barca. Ma che ti prende? Sei... Strano.”
“Sto cercando quell’Alex dei miei stivali.”
“E perché verresti a cercarlo qui? Ma sei impazzito?” gli chiese, fingendosi
preoccupata per lui, come se stesse delirando.
“Scusa, tesoro. Hai ragione. Ma è scappato a fine balletto col suo
amico riccio. Stanno combinando qualcosa e temevo che fossero venuti a
importunare te!”
Elizabeth sfoggiò un finto, ma naturale sorriso intenerito. “Papà...
Come sei buffo! Sei così premuroso e così pieno di attenzioni verso di me, che
a volte ti immagini cose che non esistono!”
“Lo so, tesoro. Ho solo paura che ti succeda qualcosa di male. Non c’è
da fidarsi di quel manigoldo lì!”
“Lo so, papà. Prima l’ho salutato solo per educazione. Spero che tu
l’abbia capito e che non ti sia arrabbiato.”
“L’ho capito, l’ho capito! Però mi sono arrabbiato... Con lui! Perché
si stava prendendo troppa confidenza nei tuoi confronti.”
“Grazie, papà. Sono felice di averti accanto e che tu sia sempre
pronto a proteggermi!”
“Dovere, tesoro. Ma non di poliziotto. Di papà. Ora ti lascio
cambiare. Ci vediamo di sotto.”
Le scoccò un bacio in fronte e se ne andò.
“Dovere di papà...”, si ripeté Elizabeth. “Povero papà. Mi vuole bene
sul serio. Lui vorrebbe davvero proteggermi. Ma non può. Non può proteggermi
dal passato. Credo che gli si spezzerebbe il cuore, se scoprisse che cosa ho fatto
con Alex e che cosa continuo a fare! Accidenti! Quel ragazzo è una calamita per
me! Non riesco proprio a stargli lontana. Ma che devo fare? Mi dispiace
mentirti, papà. Ma proprio non ci riesco a stargli lontana. E’ impossibile per
me rifiutarlo.”
Ripensò alle soffici e calde labbra di Alex, in quel fugace istante in
cui si erano appena sfiorate. Ripensò a quanto avrebbe voluto che lui la
baciasse, a quanto avrebbe di nuovo voluto stare con lui. E chissà che cosa
sarebbe accaduto, se non fosse arrivato suo padre! Elizabeth si accarezzò
delicatamente le labbra con le dita, come per rievocare a pieno quel ricordo,
come se custodissero un segreto prezioso e inviolabile. Chiuse gli occhi e tirò
un sospiro inequivocabile. Poi li riaprì e guardò il suo riflesso nello
specchio.
“No. Devo smetterla con questo atteggiamento. Va contro tutto ciò in
cui mi hanno educata. Se lo sapesse mio padre, ci ucciderebbe. No. Non è
possibile questo. Non posso più vederlo”, si disse risoluta e determinata,
sperando che tanta grinta non svanisse di nuovo non appena avesse rivisto Alex.
“Maledetto capo! Ed, stavamo per baciarci! Mannaggia alla miseria!”
Edward, seduto in auto accanto ad Alex suo sedile del passeggero, se la
sghignazzava davvero di gusto. “Dai, non prendertela, Alex! So che ti rompe,
però pensaci su! Come stavi per baciarla questa volta, sicuramente ti
ricapiterà. No?”
“No. Non con quell’intensità e con quella magia. Non l’avevo
programmato, di baciarla. Stava per succedere e basta. Non ti è mai capitato?”
Edward lo guardò come se stesse delirando. “Ehm, no. Mai.”
“Beh, quando ti capiterà, mi farai sapere. Piuttosto, prima di andare
a casa, devo fare un salto in studio. Mi servono gli accordi di piano che ho
scritto ieri. Ti rompe se ci facciamo un salto?”
“Ma no, figurati! Tanto, non ho nemmeno sonno!”
E quando mai avevano sonno? Quei due scapestrati erano proprio dei
nottambuli incalliti. Alex girò repentinamente il volante e si diresse
sgommando verso lo studio di registrazione, sfrecciando in qua e in là lungo le
strade sfavillanti di lucciole luminose di Los Angeles. I due ragazzi scesero
dall’auto ridendo e scherzando come pazzi, Alex aprì la porta dello studio
senza pensarci più di tanto e quello che lui e Edward trovarono al loro
ingresso fu a dir poco spiazzante. Da infarto. Un colpo al cuore. Un colpo al
cuore inferto alle spalle.
“Ehi! Ma che cazzo fai?” gridò Alex sconvolto, in preda a un attacco
di rabbia.
Il loro manager aveva passato ogni limite.
“Stavamo per baciarci, Sandy! Ci stavo ricadendo di nuovo! Ma ti rendi
conto? Che mi succede?”
Le due ragazze camminavano di gran passo per non far tardi a scuola il
mattino seguente.
“Succede che lui ti piace. Ecco che ti succede!” Sandy non riusciva
proprio a capire l’atteggiamento di Elizabeth nei confronti di quel fantastico
ragazzo.
“Sandy, ma mio padre...”
“Lascia perdere tuo padre! E’ la tua vita! Non la sua!”
“Mio Dio! Sandy, tu non capisci! Se non fosse arrivato mio padre, io
avrei di nuovo fatto l’amore con lui! Niente mi avrebbe fermato!”
“E allora?”
“E allora? E allora, io mi sento così... Così facile, così
sgualdrinella!”
“Gli altri ragazzi ti fanno questo effetto?”
“No, assolutamente no!”
“Ti stai rispondendo da sola, Elizabeth. Non c’è niente di male! Lui
ti piace. Punto. Se provi qualcosa per un ragazzo, queste cose sono normali!”
“Ma io non provo niente per lui, Sandy!” mentì Elizabeth. A se stessa.
Sandy scoppiò in una sonora risata a più non posso. “Sì, raccontane
un’altra! Non prendere in giro te stessa! Dai entriamo in sala, ché è tardi.”
Albert se ne stava rintanato in ufficio a sbrigare le solite questioni
burocratiche che gli competevano, come ogni qualvolta non ci fosse qualche
delinquente da acciuffare o interrogare. Tranquillo. Beato. Ancora sotto
l’effetto rilassante della sentita e appassionata esibizione della figlia. Era
orgoglioso di lei.
“Buongiorno, capo.”
Albert alzò la testa già irritato, ma si sorprese molto quando Alex
fece il suo ingresso nell’ordinato, impeccabile, perfetto ufficio. Era strano. Molto
strano. Non aveva il suo solito sorrisetto di scherno in faccia, né tanto meno
voglia di scherzare. Era giù di corda, mogio-mogio. Sembrava deluso. Afflitto.
Albert non lo aveva mai visto così. A stento lo riconobbe.
“Che vuoi?” gli chiese cercando di non far trasparire la sua sorpresa.
“Devo fare una denuncia”, spiegò Alex.
“Una denuncia? Tu?” lo schernì Albert.
“Sì, capo! E la smetta di scherzare, ché qui non c’è proprio niente da
ridere! Io sono nella merda fino al collo, non ho più un manager e lei lo deve
arrestare!”
“E perché? Perché si è licenziato?” continuò a schernirlo Albert.
“No, capo. Io l’ho licenziato! E per un grave motivo. Ora, se mi fa
fare la denuncia, le dirò tutto.”
Albert era davvero stupito dal repentino cambiamento di Alex. Che
anche quel ragazzo avesse un cuore? O era soltanto una denuncia per un
capriccio? C’era un solo modo per scoprirlo. Prese i documenti per la denuncia
e si mise quasi con interesse ad ascoltare Alex. Il ragazzo tirò fuori dallo zaino
che si era portato quella mattina delle bustine con dentro dell’inequivocabile polverina
bianca.
“Questa merda qui, capo, ce l’aveva il mio manager”, esordì Alex. Lo
schiaffo di delusione al solo ricordo della scena che si era consumata la sera
prima nello studio di registrazione bruciava ancora.
“E tu?”
“Io, quella merda, non la prendo. E mai la prenderò. Non ci voglio
aver nulla a che fare. Non so nemmeno che cosa diavolo sia e non mi interessa.
Ieri sera, dopo il balletto di sua figlia, io e il mio amico Edward abbiamo
fatto un salto allo studio di registrazione, perché a me servivano gli accordi
di piano che avevo buttato giù qualche giorno fa e quando siamo entrati,
abbiamo trovato il nostro manager che se la sparava in vena. Io l’ho licenziato
su due piedi. Gli ho preso quella merda e l’ho portata qui. E se vuole, so
anche dirle in quale giro l’ha presa. Sa, ieri sera abbiamo fatto due
chiacchere, io e lui. Già. Proprio una bella chiacchierata.”
“Non oso chiedere come tu abbia fatto a farlo confessare...”
rabbrividì Albert, conoscendo Alex. Aveva intuito che la testa calda che era in
lui era esplosa come una bomba atomica e che gliele aveva suonate di santa
ragione.
“Meglio se non lo scriviamo sulle denuncia. Me la passa questa volta
l’aggressione?” gli domandò Alex, sperando che il suo gesto da paladino della
giustizia gli risparmiasse le incombenze di un’altra strigliata dal giudice al
processo.
Albert aggrottò le ciglia.
“Eh sì, capo! Io sputo sangue tutto il giorno per lavorare nella band
e per la band, mi faccio il culo per far sì che abbia successo con una buona
immagine e poi arriva lui che ci infanga il nome con quella merda bianca lì.
Nel nostro studio! Sì. Sì, l’ho preso a botte, se è questo che vuole sapere! Ma
come? Lui ci tradisce in questo modo vile e subdolo e lei pretende che io non
l’abbia gonfiato come un pallone aerostatico?”
“Molto bene, Alex. Dal momento che mi hai fornito delle informazioni
piuttosto preziose su un traffico di stupefacenti e che hai denunciato un
malvivente... Tu non l’hai mai preso a pugni. Mi sono spiegato, Alex?” cedette
Albert, concedendogli una possibilità. La possibilità di rendersi più integro
moralmente.
Ma quello che Albert non sapeva, era il fatto che Alex, nonostante
l’esuberanza e l’impulsività, fosse già moralmente integro tanto quanto lui. Se
non di più.
“Sì! Grazie, capo!” esclamò Alex.
“Eh, non cantar vittoria! Scrivi qui la tua deposizione, omettendo
l’aggressione, firmala e al resto ci pensiamo noi.”
Alex si mise controvoglia a scrivere. Ma era suo dovere farlo. Il
gesto del suo manager non poteva restare impunito. Albert lo guardò con un certo
disappunto, mentre faceva fluidamente scorrere la penna sulla carta. A parte la
terrificante, disastrata e disordinata calligrafia da Dottor Jekyll e Mister
Hyde, Alex non sembrava più lui.
“Ecco a lei, capo”, gli disse, porgendogli il foglio con tanto di
firma.
“Alex!” esclamò Albert, avendo visto che si asciugava una lacrima. “Ma
ti dispiace sul serio?”
“Sì, capo. Eravamo una famiglia. Non era solo il nostro manager. Era
anche nostro amico. E ci ha traditi nel modo più crudele!” si sfogò Alex,
lasciando cadere liberamente qualche lacrima. Per lui, l’amicizia era un dono
sacro, da custodire e da proteggere, di cui avere cura come un girasole in
pieno inverno.
Albert non sapeva nemmeno che cosa dirgli. Alex non si era mai
comportato così. “Bene, Alex. Dove lo posso trovare questo disgraziato?” se ne
uscì, infine.
Alex abbozzò un mezzo sorriso di soddisfazione personale. “Secondo
lei?”
Albert ci pensò su e lesse la risposta nello sguardo feroce e felino
di Alex. “In ospedale?”
Alex annuì in silenzio. “E io non ho la minima idea di come ci sia
arrivato, capo!” ribadì Alex, come per far capire al commissario che aveva ben
ricevuto il fatto che l’aggressione, gliel’aveva fatta passare liscia.
Alex uscì di scena, fiero del gesto che aveva appena compiuto, deluso
dal manager, che credeva suo amico. Alex detestava le ingiustizie e l’idea di
aver denunciato un fatto tanto grave riusciva a donargli un briciolo di forza
per reagire. Almeno un po’. Ma il tradimento di un amico fidato non si supera
tanto facilmente. Alex sapeva che ci sarebbe voluto del tempo, prima che la
ferita si rimarginasse. Per un momento pensò a Elizabeth. Chissà che cosa
avrebbe pensato del suo gesto? Allora, per un istante cercò di vedere l’unico
lato positivo della faccenda. Elizabeth sarebbe stata molto fiera di lui e
avrebbe capito finalmente che lui non era la feccia delinquenziale che le
descriveva il padre. Il che lo rincuorò. Elizabeth e il suo dolce sorriso da
fatina erano gli unici pensieri in grado di sanare una ferita tanto copiosa.
Non sapeva perché, ma ogni qualvolta la vedesse, ogni male dell’anima che si
portava appresso, ogni suo fantasma svaniva. Dissolto nell’aria.
Doveva rivederla al più presto.
Nonostante fossero senza manager e fossero stati traditi da un loro
caro amico, la band non si buttò giù. Guidati dalla carismatica grinta di Alex,
i ragazzi proseguirono senza sosta la loro inarrestabile corsa verso ciò che
più volevano. Fare musica. Volevano fare musica più di ogni altra cosa al mondo.
Senza il manager che prenotava i locali e programmava gli spettacoli, facendo
anche i conti con il budget a loro disposizione, la band doveva lavorare il
quadruplo di quanto già non facesse per riuscire a rimanere inseriti nel giro
dei musicisti, ma con la determinazione di Alex e la loro grande, buona volontà
riuscirono a stare al passo e a mantenersi bene. Ma Alex puntava più in alto.
Voleva trovare un altro manager, qualcuno più conosciuto che potesse farli
arrivare a qualche casa discografica importante. E se nessuno era disposto a
far da manager a sei scapestrati combinaguai come loro, alle grandi case
discografiche, ci sarebbero arrivati da soli. Dovevano solo farsi notare. E per
farsi notare, è necessario puntare in alto e prendersi dei rischi. Alle volte
anche importanti. Alex era intenzionato e molto più che deciso a organizzare un
concerto in una delle sale più popolari e in vista del centro, ove spesso e
volentieri si recavano pezzi grossi di case discografiche importanti, a veder
concerti. Il loro vecchio manager si era sempre rifiutato di dare ascolto ad
Alex riguardo la sua idea, in quanto troppo costosa per le loro tasche. Oltre a
non aver soldi a sufficienza, il rischio era quello di rimetterci. Ma Alex era
ben disposto a rischiare. Avrebbe lavorato dieci volte tanto per tirare su il
denaro necessario per organizzare le serate in una delle sale più importante
del centro. Potevano farcela. Alex sapeva quanto valesse la band, di quanto
talento musicale disponesse e di quanto ne fossero provvisti anche i suoi
cinque compari. Erano bravi. Molto bravi. Non avevano niente da invidiare a
nessuno. La metrica delle canzoni era ottima, i testi profondi e carichi di
significato, la parte strumentale di accompagnamento era di alto livello, ben
variata e articolata, così come gli assoli di chitarra di Edward, potenti e
pieni di energia, ma delicati e sentimentali quando servivano. C’erano due
chitarre, un basso, una tastiera, una batteria e la sua voce. E Alex lo sapeva.
La sua voce era arte allo stato puro. Non solo aveva un timbro fuori del
comune, ma era dotato di un’estensione vocale vastissima, che gli permetteva di
raggiungere qualunque nota. Ricordava che da bambino, a scuola, il suo maestro
di canto non sapeva mai dove collocarlo perché era adatto per fare tutto.
Versatile e potente, Alex sapeva giocare con le sfumature della sua voce e con
le note. La sua voce era lo strumento chiave per la band, quello che dava loro
accesso a tutto, quello che permetteva loro di cimentarsi sia in pezzi rock
freddi o scatenati, che in ballate dolci e delicate. Alex poteva fare tutto. La
sua voce era un dono. Il suo talento era un dono, la sua grinta era un dono.
Alex era un dono. Un dono per la band. Un dono per se stesso.
E sapeva comporre i pezzi. Li scriveva lui stesso. Il supporto della
band era minimo, alle volte addirittura assente. Alex sentiva la musica. La
portava ogni giorno con sé, nel cuore. E lasciava che ella si prendesse cura di
lui e che gli nutrisse lo spirito. Alex sapeva quanto valesse. Ma non se ne
vantava. Consapevole delle proprie capacità e della sua spiccata intelligenza,
con gli altri Alex rimaneva sempre una persona umile e semplice, sempre pronto
a dar consigli e ad ascoltarli, senza criticare. Senza giudicare. Senza
sentirsi superiore a nessuno.
Si alzò piuttosto presto quel mattino. Era carico e grintoso, pronto
per affrontare la giornata nel migliore dei modi. Col sorriso. Con energia. Con
lo sprint vitale e coraggioso che lo caratterizzava. Aprì il frigorifero e
ruppe qualche uovo da cuocere a occhio di bue e cosse un paio di salsicce alla
griglia, per poi sistemarli con del pane su un bel piattone piano.
Ed eccolo lì.
Pronto per fare una buona colazione, non proprio la più sana del
mondo, ma senz’altro molto nutriente. Quello che gli serviva per affrontare con
grinta e sorriso la giornata. Si vestì, indossando i suoi strambi abiti da
rockstar che tanto gli piacevano, si legò la fascia da rocker sulla fronte e
via! Pronto a partire. Per raggiungere la band in studio. Pronto per esporre
loro la sua folle idea suicida per farsi notare. Anche senza manager.
“Alex, sei fuori? Siamo senza manager e tu vuoi organizzare un
concerto nel posto più popolare del centro?” si agitò Edward, imprecando verso
Alex come se questo stesse delirando e perdendo il lume della ragione.
“Sì, Ed. E’ così. Dobbiamo farci notare.”
“Alex, ma i soldi? Dove li prendiamo tutti quei soldi per affittare
quel posto per una serata?”
“Abbiamo accumulato un bel po’ con le serate come band fissa al
locale! Mettendo insieme i nostri risparmi, possiamo farcela, ne sono sicuro! E
poi non dobbiamo più pagare il manager!”
“Alex... E se non lo riempiamo? Non riusciremo a coprire tutte le
spese. Saremo in grossi guai.”
Ma Alex fu irremovibile. La sua sicurezza e determinazione erano contagiose
e coinvolgenti. “Ed, dobbiamo rischiare! In quel locale nessuno ci noterà mai!
Dobbiamo organizzare almeno tre serate in quella sala! So che è una follia, ma
dobbiamo rischiare! Dobbiamo fare i volantini, portarli e appenderli in ogni
dove della città. E mandare dei biglietti gratuiti ai principali boss delle
case discografiche. Dobbiamo provarci. O la va, o la spacca!”
Gli altri ragazzi della band, che erano rimasti in silenzio fino a
quel momento, si alzarono in piedi e si sedettero accanto ad Alex, sul
divanetto dello studio. “Noi ci stiamo!” dissero uno dietro l’altro.
Edward ci rifletté su. Non poté far altro che unirsi al gruppo. Non
per conformismo, ma perché, in fondo, sapeva che Alex aveva ragione. “O la va,
o la spacca. Ci sto anch’io, Alex. Però dobbiamo trovarci un altro manager, o
non ce la faremo da soli, a organizzar tutto.”
Ma Alex scosse la testa. “No, Ed. Non riusciremo a pagare un altro
manager, se vogliamo fare quelle serate. Dovremo farci il culo e cavarcela da
soli, come abbiamo sempre fatto. Mi muoverò io. Voi pensate solo alle prove e
alle canzoni. Al resto ci penso io.”
Quando si trattava di mettersi al lavoro duramente e di muoversi,
nessuno era come Alex Tennence.
Alla faccia di quello che diceva il capo!
“Ehi, guarda quello! Che buffo! E il mangiafuoco!” esclamò Sandy.
“Oddio Sandy, mi fa senso! Ma come farà!” replicò Elizabeth sconvolta.
Le ragazze si stavano divertendo davvero molto. In un parco verso il
centro, si svolgeva una manifestazione di beneficenza per un ospedale pediatrico,
con artisti di strada, clown, musica e bancarelle che vendevano oggetti
realizzati dai bambini malati in ospedale. Elizabeth e Sandy avevano comprato
diverse cosette, più per la beneficenza che per gli oggettini in sé e per sé.
Le ragazze passeggiavano tra musica, arte e allegria, divertendosi a più non
posso e ammirando chi aveva pensato di organizzare un evento tanto giocoso per
aiutare i bambini malati e per prendersi cura di loro. Per la prima volta dopo
tanto tempo, Elizabeth sembrava svagarsi. Nessun’ombra tenebrosa si stagliava
sopra di lei e sopra l’allegria spensierata che aveva ritrovato immergendosi in
un mondo creato dai bambini e per i bambini. Rimase molto colpita da ciò che i
bimbi malati in ospedale avessero realizzato per l’evento e soprattutto rimase
estasiata e ammaliata dagli artisti di strada. Scoprì una nuova forma d’arte a
lei sconosciuta e che spesso e volentieri rimane nell'ombra. L’arte del far ridere
con numeri fenomenali e oggetti semplici. Dei numeri genuini.
“Ehi guarda quel giocoliere! Ma è fantastico!” esclamò Elizabeth,
ammirando il buffo e strano artista che creava delle figure geniali in aria con
le palline che lanciava e riprendeva. Era davvero incredibile. “Oh no!” sbiancò
di colpo Elizabeth.
“E ora che c’è? Ti senti forse male?”
“Oh mio Dio, Sandy! C’è Alex, laggiù!” Era tornato. Il suo spettro più
tenebroso era tornato a tormentarla. Sembrava non volerla lasciare mai in pace.
Al contrario, Sandy andò su tutte le gioie. “Dove? Dove? Devi andare
da lui!”
“No, no! Farò finta di non averlo visto!”
Troppo tardi. Alex si era già accorto di lei e la salutò con grande
entusiasmo, dirigendosi sicuro e deciso verso le due amiche.
“Ciao, dolce fatina! Anche tu qui?” la salutò allegro e sorpreso di
trovarla lì.
Elizabeth gli sorrise, un po’ imbarazzata, memore del quasi bacio nel
suo camerino al termine dello spettacolo. Il momento in cui aveva deciso di non
vederlo mai più. Ma l’aveva rivisto. Per sbaglio, ma l’aveva rivisto. E a
discapito di tutto ciò che si era detta e ripromessa, era più felice che mai.
“Elizabeth, non mi presenti il tuo amico?” s’intromise Sandy,
fingendosi offesa.
“Ehm, sì, giusto. Alex, ti presento Sandy, la mia migliore amica.”
I due si salutarono e si strinsero la mano.
Sandy aveva un’espressione assai furba. “Molto piacere, Alex. Però che
figo che sei! Sai, io sono l’amica che l’ha fatta uscire con te al parco,
l’altro pomeriggio!”
“Ah, bene! Ti devo ringraziare, allora! Ricordami di farti un regalo!”
sorrise subito Alex.
Elizabeth provò una punta di inaspettata e infondata gelosia. “Vuoi
provarci anche con lei, Alex?”
Alex se la rise, godendosi la soddisfazione nel vederla ingelosita.
Ora, sapeva di piacerle veramente. Ora sapeva che contava qualcosa per lei.
“Assolutamente no. Con tutto il rispetto, Sandy, sei molto graziosa, ma non sei
il mio tipo. Il mio sguardo è rivolto solo a Elizabeth, la dolce fatina qui,
accanto a te.”
“Lo so”, lo interruppe la cara e vecchia Sandy. “Tu hai occhi solo per
lei. E poi, non mi permetterei mai di far torto a Elizabeth. Però, sei anche
poetico! Fortunata Elizabeth!” scherzò Sandy, ritendendo però seriamente che
Alex ed Elizabeth fossero una coppia perfetta.
Elizabeth, dal canto suo, la fulminò con gli occhi. Sandy stava dando
fin troppa man forte ad Alex, per i suoi gusti.
“Vieni, Elizabeth!” la prese per mano Alex. “Facciamo un giro!”
“No, Alex! Non posso! Sono con la mia amica!” rifiutò Elizabeth già
agitata. Come al solito.
Sandy, per tutta risposta, le diede uno spintone e la gettò
direttamente tra le braccia di Alex. “Vai con lui! Con lui starai meglio che
con me! Vai, e divertiti!”
“Ma Sandy...” protestò Elizabeth. O perlomeno, ci provò.
“Niente ma! Ora chiamiamo tuo padre e gli diciamo che farai tardi e
che vieni a casa mia. Così non ti romperà tanto le scatole! Ma devo proprio
insegnarti tutto?”
Alex non ne poteva davvero più. Si stava letteralmente spaccando in
due dalle risate. Elizabeth e Sandy costituivano il perfetto duo comico per far
ridere alla televisione.
“Alex, svegliamela un po’, questa figliola! E’ tutta tua!” gli disse
poi Sandy, lanciandogli un furbo occhiolino.
“Non temere, è in ottime mani con me!”
“Ah, non ne dubito! Piuttosto, tornando al regalo che devi farmi
perché ti sto facendo combinare con lei... Non è che per caso hai qualche amico
figo e interessante come te da presentarmi, visto che io resto qui da sola?”
Elizabeth sgranò gli occhi, sorpresa: stava scoprendo un lato alquanto
libertino di Sandy di cui ignorava l’esistenza.
Alex le indicò un gruppo di ragazzi, che Elizabeth riconobbe
all’istante. La band di Alex.
“Vieni, Sandy. Vedi quei ragazzi laggiù? Sono i miei amici, la mia
band. Va’ da loro, presentati e di’ pure che ti manda Alex!”
“Grazie gran figone!” E così dicendo, Sandy sparì tra folla,
schizzando a tutta birra verso quel gruppo di ragazzi scapestrati e
affascinanti quanto Alex. No. Nessuno era scapestrato e affascinante quanto
Alex.
Alex prese Elizabeth per mano e la trascinò con sé al parcheggio. La
ragazza trasalì.
“Che c’è Elizabeth?” le domandò preoccupato.
“Niente. Brutti ricordi…”
“Per me, invece, è il ricordo più bello che ho da quando sono nato.
Senti” –aggiunse, avendo colto a pieno il suo grande disagio dettato da quel
trauma che proprio non riusciva a superare- “appena saliamo, metto subito in
moto. Niente scherzi.”
Elizabeth non riuscì a dirgli di no, come sempre del resto. Non doveva
dimenticarsi che Alex era come una calamita per lei. Salì in macchina e si
allacciò la cintura. Alex, come da parola data, fece rombare il motore e partì.
“Allora... Andiamo in discoteca! Ti va?” le propose lui.
Elizabeth non volle nascondergli il suo imbarazzo. “Non lo so... E’
che... Non ci sono mai andata...”
“Coooosa? Non sei mai andata a ballare in discoteca? Tu, che sei una
ballerina formidabile! Per tutte le chitarre, dobbiamo andarci subito allora!
Non ti riporterò a casa tardi! Promesso!” esclamò Alex, girando il volante in
direzione della discoteca che riteneva più adatta a lei. Quella più tranquilla,
con gente a posto.
Non voleva metterla a disagio più di quanto non fosse già. Elizabeth
era per lui il suo tesoro più prezioso. Ora era tranquillo. Con lei al suo
fianco, i fantasmi del proprio passato si placarono. Ma quello più recente,
ancora fluttuava come un’ombra sopra la sua testa. Come un’ombra sul suo cuore.
Doveva raccontarglielo. Doveva parlarne con lei.
“Che ti succede, Alex? Di colpo sei diventato mogio-mogio”, notò
Elizabeth preoccupata per il suo repentino cambiamento.
“Niente. E’ solo che... Ripensavo a una cosa brutta che mi è successa
qualche giorno fa.”
“Ti va di parlarne?”
“Sei l’unica persona con cui ne parlerei. Sono stato al commissariato
da tuo padre qualche giorno fa”, esordì Alex senza distogliere lo sguardo cupo,
ma concentrato, dalla strada.
“Da mio padre? Alex, ma perché? Hai forse combinato qualche guaio più
serio di quelli in cui ti cacci di solito?” si agitò Elizabeth, temendo che il
temperamento troppo impulsivo di Alex potesse averlo messo in gravi pasticci
con la legge.
“No!” esclamò Alex agitato dal fatto che lei si fosse agitata. Non
voleva che pensasse certe cose di lui. “Io sono la vittima del guaio! E il
guaio l’ha fatto il mio manager. Anzi, ex-manager.”
“Il tuo manager? Perché? Che cos’ha fatto, Alex?”
“Una cosa gravissima. Sono andato da tuo padre per denunciarlo. Lo
credevo mio amico. Tutti noi della band lo credevamo nostro amico. E lui ci ha
traditi nel modo più crudele. Elizabeth...”
Alex sentì il bisogno di accostare l’auto al bordo del marciapiede e
si lasciò andare a un pianto di sfogo nervoso represso per giorni.
“Alex”, sussurrò Elizabeth, avvicinandosi a lui.
Allungò la mano a prendere quella di Alex e la strinse cercando di
scaldargli il cuore.
“Elizabeth... Lui si sparava droghe in vena nel nostro studio di
registrazione”, le confidò.
Elizabeth si portò una mano alla bocca un po’ per lo stupore verso un
fatto tanto grave, un po’ perché dispiaciuta per Alex. Ci stava davvero male,
poverino. “Come l’hai scoperto?” gli domandò.
“Dopo il balletto, quella sera, io e Edward abbiamo fatto un salto in
studio a prendere gli accordi di piano che avevo composto qualche giorno prima
e quando siamo entrati... Lui si stava sparando la dose in vena. Io non ci ho
visto più. Gli ho domandato il perché. Lui mi ha risposto per sballare! Ma ti
rendi conto? Nessuno sa quanto io e i ragazzi abbiamo lavorato per avere una
buona immagine per il pubblico e lui ci tradisce nel modo più crudele! E’
andato contro ogni principio su cui si fonda la band! Niente fumo. Niente
alcolismo. Niente droga. Soltanto musica. Non solo ha rischiato di buttare nel
cesso quasi cinque anni di duro lavoro, ma ha anche tradito la nostra amicizia.
La nostra fiducia. Si fregava i soldi da noi guadagnati per comprarsi la roba.
Ho dovuto denunciarlo, capisci? Anche se era un mio amico. Io ho dovuto! Per
quanto tra me e tuo padre non corra buon sangue, ho dovuto farlo. Il mattino
seguente, dopo aver gonfiato quella sanguisuga drogata come un pallone
aerostatico, sono corso da tuo padre a cantargli tutto. E gli ho consegnato la
roba che quel verme aveva con sé, dicendogli anche dove l’aveva presa”, si
sfogò Alex agitato, gesticolando animatamente e battendo pugni sul volante di
tanto in tanto.
“Mi dispiace, Alex. Non so cos’altro dirti. E’ troppo grave quello che
lui ha fatto a se stesso, alla legge e soprattutto a voi. Hai fatto bene a
denunciarlo, anche se capisco lo sforzo che può esserti costato”, gli disse
Elizabeth, non sapendo come donargli conforto.
Eppure, senza saperlo, gliene aveva già donato. E molto.
“Neanche tanto. Elizabeth, io detesto le ingiustizie, detesto chi
tradisce la mia fiducia. Mi sento abbandonato e tradito, così come mi ha
abbandonato e tradito mio padre. Il mio manager mi ricorda lui, in un certo
senso.”
“Mi hai detto che tuo padre è un alcolista col vizio del gioco...”
“E allora? Non sono forse droghe, quelle?” le domandò Alex con gli
occhi ancora lucidi.
“Sì, è vero. Hai ragione. Quello che il manager ti ha fatto, ti ha
ricordato tuo padre, non è così?”
“Sì, è così. E se ripenso al male che mi ha fatto... Al male che mi
hanno fatto. Sembra proprio che io non riesca a liberarmi di alcool e droga
attorno a me. Sembra che i loro spettri mi seguano ovunque io vada. Prima mio
padre, poi uno che credevo mio amico. I padri e gli amici, di solito, non si
comportano così.”
“Alex, adesso basta. So quanto tu stia soffrendo in questo momento, so
quanto male ti abbia fatto tuo padre, ma ora tu sei qui. Lui non può più farti
del male. Così come non può più fartene il tuo manager. Né a te, né alla band.
Hai solo riposto la tua fiducia nella persona sbagliata e questo può capitare a
chiunque, Alex. Lascia che le ferite sanguinino copiose e che così espellano
tutta la rabbia e l’odio che ti consumano. Poi vai avanti. Ricordati. Tu,
adesso, sei qui. Al sicuro. Lontano da loro. E non possono più farti del male.
Vai avanti. Tu sei forte, Alex. Vai avanti. Me l’hai insegnato tu. Ricordi?”
gli disse Elizabeth. La mano di Alex stretta nella sua.
Alex si tirò indietro i capelli rossicci con la mano libera e respirò
profondamente. Elizabeth lo avvicinò a sé e gli appoggiò la testa sulla
spallina delicata, ma forte. E lo strinse in un abbraccio. Alex si aggrappò a
lei con tutte le sue forze, chiuse gli occhi e si abbandonò alla serenità che
Elizabeth gli infondeva nell’animo. Che solo Elizabeth sapeva infondergli
nell’animo.
Ci volle qualche minuto, prima che si staccassero.
“Grazie”, le sussurrò Alex.
“Di nulla. Adesso che farai, Alex? Cosa farete tu e i ragazzi?”
“Siamo nella merda, Elizabeth. Senza manager, siamo proprio nella
merda. Ma faremo ciò che va fatto. Ci dirigiamo verso lo spiraglio di luce e
andiamo avanti. Stiamo organizzando tre serate nella sala più rinomata di tutta
Los Angeles con tutti i rischi che una tale follia comporta. Dobbiamo farci
notare sia da manager più in vista che da case discografiche ancora più in
vista. Ce la faremo.”
“Sì. Ce la farete. Io lo so. Perché tu, Alex, hai una grinta e una
forza di volontà non concesse a tutti. Hai sopportato ciò che hai sopportato da
bambino, eppure sei qui! E sei una persona straordinaria”, si lasciò sfuggire
Elizabeth momentaneamente libera dalla rigida voce martellante di suo padre.
“Io non so cosa avrei fatto nelle tue condizioni. Forse avrei tentato il
suicidio.”
“Non devi dirlo neanche per scherzo, Elizabeth. La vita è bella! Non
lasciare mai che ti spengano il sorriso. Perché ridere è la cosa più bella che
ci sia! Si può essere felici anche in mezzo all’oscurità più nera. Basta
volerlo, Elizabeth. C’è sempre uno spiraglio di luce. Non dimenticarlo mai. Io
lo sono. Sono felice. Nonostante gli spettri che mi porto dietro e i rari
momenti in cui sento il bisogno di sfogarmi, io voglio essere felice. E
allegro.”
Elizabeth si lasciò sfuggire un dolce sorriso intenerito. Voleva
scaldare il cuore di Alex, ma in realtà era stato lui a scaldarle il suo. “Gli
spettri, quelli, te li porterai sempre dietro. Sono parte di te, del tuo
passato. Devi imparare a conviverci”, gli disse. “So che non è facile, ma...”
“No. Non lo è. Ma io voglio essere felice. E voglio realizzare i miei
sogni. E non saranno due stronzi come mio padre e il mio manager a
impedirmelo!” si ricaricò Alex.
“Bravo, Alex! E’ così che voglio sentirti! E’ questo l’Alex che io ho
conosciuto!”
E anche quello che mi fa girare
la testa tutte le volte pensò tra sé e sé.
“Dai, Alex. Adesso fammi uno dei tuoi sorrisi da canaglia e portami in
disco! Che sia la volta buona che impari a divertirmi come te!” esclamò
Elizabeth.
“D’accordo. Andiamo!” esclamò Alex, accendendo un luminoso sorriso e
il motore dell’auto.
Ora sapeva che, nonostante le severe parole del padre, Elizabeth lo
riteneva una persona straordinaria. E tale consapevolezza rimarginò ogni
ferita, mettendo a tacere per un po’ ogni suo spettro.
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