sabato 11 novembre 2017

Un manigoldo per genero - 9° puntata - di Ambra Tonnarelli


Era già passato qualche giorno da quando Albert era stato magistralmente imbrogliato dall’amico riccio di Alex e ancora non si capacitava di averli visti sgusciare via dal suo stretto pugno di ferro. L’idea di essere stato beffa di un trucchetto da quattro soldi tanto ben riuscito gli aveva mandato il sangue al cervello. Il muso lungo e imbronciato che aveva messo su nei giorni a seguire andava a indurire i suoi lineamenti già spigolosi e marcati di natura, rendendolo stranamente più ridicolo che mai. Continuava a rimproverarsi spesso per non aver voluto sapere quella fatidica sera chi fosse la povera disgraziata che Alex si dava da fare per corteggiare, così da poter metterla in guardia su che razza di manigoldo fosse o da avvisare il padre. Se fosse stato lui il padre di quella povera anima candida e innocente, gli avrebbe sparato a strombattuto e a vista, senza pensarci due volte. Gli avrebbe fatto passare lui la voglia di molestare sua figlia. Ma, per fortuna, non era lui il padre di quella povera anima candida e innocente. Poteva dormire sonni tranquilli. Elizabeth era ben educata, istruita e al sicuro dalle grinfie delinquentesche di quel manigoldo incallito. Un sereno e soddisfatto sorrisetto curvò la sua bocca verso l’alto, mentre la pace perpetua gli invadeva l’anima. Sua figlia... Era al sicuro da quell’Alex dei suoi stivali. Non aveva di certo nulla da temere.
“Permesso, Commissario?” lo interruppe una voce.
Albert alzò di sobbalzo la testa dal rapporto che stava finendo di ricontrollare, tra un pensiero e l’altro.
“Buongiorno, agente Tasher. Prego, che cosa succede?”
“Eh beh... Che succede? Succede che c’è il solito Alex, Commissario! Che cosa vuole che succeda?” se ne uscì retorico il buon collega Tasher.
“Il solito Alex? Oh no! E’ una persecuzione, una punizione divina! Forse ho qualche grave peccato da scontare, di cui non mi rendo conto! Oh mio Dio! Che cosa ha combinato questa volta, il manigoldo?” si disperò Albert esasperato, già sull’orlo di una brutta e pesante crisi di nervi.
“Rissa, Commissario. Rissa! Li abbiamo arrestati tutti, ma quell’Alex insiste per voler parlare solo con lei!” spiegò Tasher.
“Mi vuole imbrogliare, come al solito!”
“Che faccio, Commissario? Lo faccio entrare?”
“Fallo passare! Sono proprio curioso di vedere come tenterà di imbrogliarmi questa volta!” accettò Albert, sfregandosi le mani, speranzoso di poter sbatterlo dentro una volta per tutte e di buttar via la chiave.
L’agente di polizia si scansò per far passare i due colleghi che scortavano Alex, con tanto di manette ai polsi, verso la sedia di Reeves. Il fedelissimo Barney, sempre al fianco destro di Albert come testimone oculare della deposizione del ragazzo.
“Salve Capo! Come andiamo?” salutò il birichino col suo solito sorriso di scherno in volto.
“Male, perché sei sempre qui! Che cosa vuoi da me?” s’irritò Albert. Di già.
“Capo, io non c’entro niente con questa rissa! Non ho alzato un dito!” spiegò Alex.
“E chi ti crede?” sbuffò Albert sarcastico.
“Capo, c’è un errore! Io stavo solo trascinando via il mio amico!”
“Bene, dovrai dimostrarlo! Fino ad allora, sarai sotto accusa e in stato di fermo!”
“Interroghi gli altri coinvolti, Capo! Vedrà che è come le dico io! Perciò, le conviene risparmiare tempo e voce, e lasciarmi andare”, suggerì Alex col suo solito risolino di scherno stampato in volto.
“Lasciarti andare? Ma come ci pensi?”
“Tanto io non c’entrooooo! Se lo ficchi bene in quella testaccia di legno, Capo! Io non c’entro!” lo sfidò Alex, cantilenando un po’.
“Testaccia di legno? Faccio finta di non aver sentito, altrimenti ti aggiungo anche l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale!”
“Che stronzo!” sbuffò Alex, sfidandolo nuovamente. “Non ha il senso dell’umorismo, Capo!”
Albert spezzò l’ennesima matita in due per l’offesa subita.
“Commissario! Si calmi! Si ricordi che soffre di pressione alta!” intervenne Barney, avendo intuito il pericolo “esplosione commissario” in arrivo.
Ma peggiorò solo la situazione del crollo nervoso del suo superiore.
“Sta’ zitto, Barney! Continui sempre a parlare! Parli, parli, parli a vuoto!”
“Ma Commissario! Ultimamente si è sempre avverato tutto quello che ho detto!” protestò Barney, piagnucolando, stanco di essere sempre il capro espiatorio, la vittima sacrificale per le sfuriate pazze di Reeves.
“Appunto! Mi porti anche sfortuna! Chiudi il becco o mi farai venire un infarto, uccellaccio del malaugurio!” gridò Albert, mentre lanciava il portapenne al suo collega.
Alex, che nel frattempo non aveva fatto altro che godersela e sghignazzare sotto i baffi con aria alquanto sadica e soddisfatta, sfilò un cellulare ben nascosto dal calzino sulla caviglia, un cellulare di cui tutti ignoravano l’esistenza e scattò furtivamente una foto al commissario fuori di nervi, rosso di rabbia, mentre lanciava il portapenne a un Barney sconvolto, impaurito e mortificato, il quale non fu abbastanza agile da schivare il colpo. Si chinò in fretta e furia col capo dolorante per la botta a raccogliere penne e matite.
“Ora, tornando a noi...” riprese Albert, tornando a rivolgersi ad Alex, ma un delicato toc-toc lo interruppe.
Albert perse di nuovo le staffe e scattò come una molla compressa fino allo sfinimento. “Sì? Chi è adesso che mi rompe le scatole? Sto lavorando, insomma!”
La porticina del suo ufficio si aprì timidamente e ne sbucò una figura leggiadra ed elegantemente delicata. “Ciao papà”, lo salutò timorosa Elizabeth.
“Oh, Elizabeth! Sei tu”, si calmò di colpo Albert, come se l’inaspettata e improvvisa comparsa della figlia avesse agito come il più potente dei tranquillanti sulla sua anima dannatamente furibonda e in fiamme. “Papà, ma che succede? Si sentono le tue urla fino all’ingresso del commissariato! Comunque, ti ho portato questi documenti che stamattina ti sei dimenticato a ca... Alex? Ehi! Ma tu che ci fai qui?” si lasciò sfuggire, quando lo vide, tra un misto incontrollato di sorpresa e gioia di vederlo, anche se forse il luogo non era dei migliori. Né dei più opportuni.
Albert si alzò di scatto in piedi sulla sedia come se avesse avuto un tappeto elastico chiodato sotto il sedere.
“Guarda, Elizabeth, questa volta non c’entro proprio niente! Tuo padre ha preso un bel granchio!”
Albert si allontanò dalla scrivania frapponendosi tra i due. Fissò Alex poi la figlia, poi di nuovo Alex e di nuovo la figlia, facendo scorrere rapido il suo stupito e interrogativo sguardo sospettoso e indagatore tra i due per diversi secondi, prima di posarlo negli occhi acquatici della figlia, che stava disperatamente tentando di mantenere la calma e di rimanere il più disinvolta possibile. Ma come aveva potuto commettere una tale leggerezza e salutare così confidenzialmente Alex alla stazione di polizia, per giunta nell’ufficio di suo padre?
“Lo hai chiamato per nome? Che cos’è tutta questa confidenza da parte di entrambi? Allora vi conoscete!” se ne uscì Albert finalmente, dopo lunghi attimi di tensione.
Elizabeth prese un bel respiro, sperando di riuscire a improvvisare una balla molto più che decente e convincente, ma quel respiro le morì in gola. Alex la precedette per un istante e fu lui a parlare per primo, facendo così scattare lo sguardo tagliente e fulminante di Albert verso di lui. Gli occhi ridotti a due fessurine velenose, pronte a far fuoco e a disintegrarlo lì, su due piedi.
“Su via, Capo! Non la faccia tanto lunga! Un paio di giorni fa passavo per il centro e ho incrociato sua figlia che andava alle prove. Aveva il borsone che pesava più di lei, così mi sono offerto di portarglielo fino a scuola!”
Albert sembrò poco convinto, alzò un dito per parlare, ma Elizabeth lo interruppe di nuovo.
“E’ vero, papà. Ci siamo incrociati, mi ha salutato e mi ha portato il borsone. E’ stato così educato e gentile, che non mi sono sentita di mandarlo via e rifiutare il suo gesto. Si è comportato come un vero cavaliere, papà. E poi non ero da sola. C’era Sandy con noi. Stavo andando a scuola con Sandy, quando abbiamo incrociato Alex.”
Elizabeth aveva fatto il suo nome, perché sapeva che era l’unica amica che aveva, l’unica persona talmente fedele alla loro amicizia, che l’avrebbe coperta senza neanche che le venisse chiesto. E poi... A Sandy piaceva il fatto che Elizabeth uscisse con Alex. Sosteneva che per lei quel ragazzo fosse un toccasana e che fossero fatti l’uno per l’altra.
Albert credette all’istante alle parole di Elizabeth. Aveva educato sua figlia a ubbidirgli, a dirgli sempre la verità. Non gli avrebbe mai mentito, tanto meno in quell’occasione, in cui non ne avrebbe avuto motivo. Non avrebbe avuto nessuna ragione per difendere un manigoldo che conosceva solo di vista. Tornò di nuovo a fulminare Alex, afferrandolo per l’orecchio. “Pur stando così le cose, ti proibisco di avvicinarti di nuovo a mia figlia e soprattutto di abusare della sua buona educazione. Mi sono spiegato?”
“Va bene, va bene, Capo! Non la faccia tanto lunga, eh! Ma vai a far del bene, tu!” si finse seccato.
“Ah, così adesso fai anche il buon samaritano, eh? Fai anche il gentleman! Sarà meglio per te che...”
Di nuovo un sonoro toc-toc sulla porta.
“Sì? Ancora? Chi è, adesso?” sbottò Albert.
L’agente Tasher si sbrigò a entrare e parlò a macchinetta dal terrore. “Lo possiamo rilasciare, Commissario!”
“Che cosaaaaa?” domandò Albert sbigottito con gli occhi fuori dalle orbite.
“Tutti i coinvolti nella rissa nel bar, più il barista e il personale hanno confermato che il qui presente Alex Tennence è estraneo alla rissa e che stava solo tentando di portare via il suo amico, Commissario!”
“Va bene, Tasher. Puoi andare!”
Il Commissario Reeves alle volte sapeva suscitare così tanta soggezione che l’agente Tasher inciampò per uscire dal suo ufficio.
“Gliel’avevo detto, Capo!” commentò Alex vittorioso, col suo solito strafottente ghigno di superiorità e soddisfazione stampato in volto.
“Va bene, va bene! Levategli le manette e poi vattene!” lo cacciò Albert, nervoso e molto più che irritato di non poter sbatterlo dentro una volta per tutte, come aveva a lungo sperato. E come da sempre sperava. Ma ogni volta, gli estremi per farlo venivano puntualmente a mancare. Purtroppo per Albert. Per fortuna per Alex.
“Non posso, Capo!” esclamò Alex.
“E perché non puoi? Che cosa vuoi ancora? Vattene”
“Ma Capo, io devo parlare con sua figlia!”
“Con mia figlia?” sobbalzò Albert a mo’ di molla come il suo solito. “Ti ho appena impartito il perentorio ordine di non avvicinarti mai più a lei!”
“Io non mi avvicino mica, Capo! Posso parlarle anche da questa distanza. Dal momento che è qui, vorrei chiederle se riesce a procurarmi un paio di biglietti per il suo prossimo spettacolo. Verrà anche il chitarrista della mia band, che vuole capire come inserire questa strana forma d’arte nella nostra musica!”
Albert prese fuoco ed esplose come una bomba a orologeria. Di nuovo. “E perché, allora, non vai a teatro e non te li compri da solo?” gridò così forte, che Elizabeth fu costretta a tapparsi per un istante le orecchie.
“Perché, Capo, io sono molto impegnato...”
“Sì, a far danno!”
“Non mi interrompa quando parlo, Capo! Non faccia il maleducato. Io sono molto impegnato con le prove, abito dall’altra parte della città e non ho tempo di passare a teatro. E poi, Capo... Io ho da fare con quella ragazzaaaaa!” aggiunse Alex a mo’ di cantilena.
“Ancora con questa ragazza! Sono proprio curioso di sapere chi sia questa povera disgraziata che ha avuto la sfortuna di avere a che fare con te.”
“Ah no, Capo! Quando glielo volevo dire, lei non ha voluto saperlo, quindi ora si arrangia. Le posso solo dire che è una dolce fatina… Una ragazza in gamba, insomma!” replicò sempre prontamente Alex, lanciando un fugace, ma eloquente sguardo a Elizabeth, che dovette fermare le labbra, già curvanti verso l’alto in un intenerito e divertito sorriso.
“Povera ragazza! Comunque muoviti con questi biglietti e levati dalle scatole!”
Elizabeth tirò fuori dalla borsa un paio di biglietti, con un modo di fare così leggiadro e delicato che sciolse i cuori di tutti in quell’ufficio. “Ecco, Alex, prendi questi. Erano di due parenti che non possono più venire. Li avrei buttati.”
“E di chi?” li interruppe Albert.
“Della zia Luigina e dello zio Esmeraldo, papà!”
Alex soffocò una risata. Non voleva offendere Elizabeth, ma i nomi di quei due lo facevano piegare in due dal ridere. Avrebbero avuto lo stesso effetto persino sulla persona più seria del mondo. Eccetto Albert, ovviamente.
“Ah già. Quei due vecchi bacucchi!” ricordò Albert.
“Ma papà! Non essere scortese con i miei zii.”
“No, sono zii di tua madre!”
“Anche miei, papà. Di terzo grado, un po’ alla lontana, certo, ma sono pur sempre i miei zii! E sono sempre stati carini con noi!”
“Vede, non faccia l’ingrato, Capo!” intervenne irriverente Alex.
“Fa’ silenzio, tu! Forza, prendi quei biglietti e levati dalle scatole!”
Alex li prese, sfiorando volutamente la mano di Elizabeth, facendo alzare ad Albert gli occhi al cielo dall’esasperazione.
“Quanto ti devo per questi?” le domandò Alex.
“Nulla, Alex. Nulla. Te li regalo volentieri.”
“Coooosa!” ruggì Albert.
“Ma papà, tanto li avrei buttati. E’ il mio modo di sdebitarmi con lui per avermi così gentilmente portato il borsone!”
“Capo, se le dà tanto fastidio, glieli pago!”
“Va bene! Te li regala, te li regala! Basta che ora ti tolga dalle scatole!”
“Arrivederci Capo! E non si arrabbi troppo in questi giorni! Si ricordi che cosa le ha detto il suo collega sulla pressione!”
“Vai via!” scattò Albert, lanciando anche a lui il portapenne, ma senza ottenere il risultato sperato.
Alex era un razzo, proprio come quando sfrecciava in moto, e lo schivò, richiudendo la porta alle sue spalle, facendo così spargere tutto il contenuto del portapenne a terra.
Elizabeth rimase lì, in piedi al centro dell’ufficio col cuore che batteva all’impazzata per l’emozione di aver rivisto Alex così in breve tempo. Un’inspiegabile emozione, che mai aveva provato prima di allora. Sapeva di essere viva.
“Papà, io andrei. Ecco, tieni i documenti”, gli disse, porgendogli il motivo della sua improvvisata.
“Grazie, tesoro. Sei sempre impagabile. Perdona la mia collera, ma quell’Alex dei miei stivali riesce sempre a farmi dare i numeri.”
“Lo so, papà. Perdona la mia buona educazione. So che non avrei dovuto farlo avvicinare, ma...”
“Lo so, lo so, tesoro di papà. Non è con te, che ce l’ho. Ma con quel manigoldo che si approfitta delle buone maniere delle ragazze per molestarle. Hai fatto comunque bene ad agire così. Ricorda. Tu sei sempre una gran signora”, le disse
 Albert stravedeva per sua figlia. Ogni sua azione era giustificata e giustificabile. Se solo avesse saputo la verità!
Elizabeth annuì col capo, aiutò Barney a raccogliere le penne e se ne andò, col cuore che ogni istante accelerava i suoi battiti, stravolto dalle forti emozioni che provava in presenza di Alex.

“Non capisco perché debba venire anch'io!” si lamentò Edward, il ricciolino, chitarrista solista della band e miglior amico di Alex.
Due ragazzi scapestrati e combinaguai, provenienti dal ghetto entrambi senza un soldo in tasca, col rock nel cuore e tanta voglia di sfondare.
“Te l’ho detto, Ed! Il capo sospetterà, se vado di nuovo da solo! Ormai ho detto che ci vieni! E ci verrai! Guarda che è molto meglio di quanto pensi! Se davvero riuscissimo a mescolare la musica classica con la musica rock, beh... Faremo un gran bel salto di qualità sia dal punto di vista artistico, sia dal punto di vista umano! Vedila così. Non possiamo fare sempre la solita musica! Il pubblico si annoierà e penserà che sappiamo fare solo quello. Dobbiamo aprirci di più, guardare avanti, ricercare l’originalità pur mantenendo sempre la nostra impronta”, gli spigò Alex.
“Eh, come se fosse semplice!”
“Non fare il solito puffo brontolone! Siamo artisti! Non abbiamo regole! Possiamo esprimerci come vogliamo!”
“Giàààà... Mi hai convinto, vecchia canaglia! Vedremo se questa Elizabeth è davvero così bella, da valere tutti questi sforzi!” sghignazzò Edward davvero curioso di scoprire come fosse l’unica ragazza in grado di fare perdere la testa ad Alex in quel modo assurdo.
“Lo è, lo è, Ed! Ma non guardarla troppo!”
“Tienitela pure! Di una delicata ballerina d danza classica, io, non me ne faccio nulla. Però...” sogghignò divertito.
“Però cosa?” si irritò Alex.
“Per tenertela, Alex, devi prima conquistarla!”
“Oh, piantala!” esclamò seccato, lanciandogli un cuscino del divano, come ogni volta che Edward lo esasperava con le sue punzecchiate.
“Ah, l’amore è nell’aria! E mi sa che tu, caro il mio Alex, lo senti più di tutti!” lo prese in giro Edward.
“Chiudi il becco! Io non sono innamorato di lei! La voglio e basta. Mi piace. E allora?” si spazientì Alex sulla difensiva.
“La vuoi, perché ne sei innamorato. Non negarlo, perché non ci sarebbe niente di male! Guarda che ti ho visto al locale. Ti ho visto respingere un sacco di ragazze molto carine che ci provavano con te. E non ti ho più visto provarci con nessuna. Se n’è accorto anche Max, il barista. Pensa che tu stia male! O che abbia preso una botta in testa. Di’ un po’... Quand’è stata l’ultima volta che sei stato con una ragazza?”
Alex ci rifletté bene prima di rispondere. Sembrava impossibile anche a lui. Non ci aveva mai fatto caso. “E’ stata con Elizabeth. Poi basta. Credo.”
“Credi, perché è così. Alex, non rimorchi più una ragazza da qualche settimana, ormai. Non è da te. Capirai, prima rimorchiavi una sera sì e l’altra pure! Senza contare il fatto che ne hai cambiate anche due o tre in una sola serata, prima di scegliere quella che ti piaceva di più. Perché ora te ne stai in clausura come i preti?”
Alex si vide costretto a tapparsi la bocca e a rifletterci su. Era tutto vero. Non aveva più nemmeno guardato una ragazza, da quando era stato con Elizabeth e non se ne era mai reso conto. Figuriamoci se poteva capire il perché. “Non lo so, Ed. E’ solo che... Non mi va. Non mi va stare con nessuna, se non con lei. Con lei, sì! Credo che non ne avrei mai abbastanza. Ma questo non vuol dire che io sia innamorato!”
“Bah, se lo dici tu, sarà vero... Ragazzo innamorato!” lo derise il ricciolino.
“Falla finita! Ora andiamo, ché si sta facendo tardi”, lo spronò Alex per non dover affrontare l’argomento.
Mentre era al volante, Alex rimase turbato e silenzioso durante tutto l’arco del tragitto verso il teatro. In realtà, anche se non voleva litigare col suo migliore amico, era arrabbiato con Edward. Era arrabbiato perché in fondo al cuore, nell’inconscio più profondo e nascosto, sapeva che Edward aveva ragione. Elizabeth non era stata una semplice avventuretta da quattro soldi priva di significato, bensì molto, molto di più. Non poteva negare ciò che aveva provato assieme a lei e non poteva cancellare quel ricordo. Il ricordo di ciò che era accaduto dopo. Non poteva dimenticare l’aura di serenità che Elizabeth aveva portato e che sempre portava con sé, quell’aura di serenità che gli aveva permesso di dormire tranquillo e senza incubi, dopo aver fatto l’amore con lei. Perché Alex non dormiva. La notte, Alex era tormentato dai suoi spettri, perseguitato dai suoi incubi, dai ricordi del padre che picchiava lui e la madre, le sfuriate con cui devastava la casa, quando rientrava ubriaco e fuori di sé per aver perso tutto al gioco d’azzardo. Alex era ormai abituato a dormire poco e male. Da quando era piccolo. Eppure, accanto a Elizabeth si era addormentato. Aveva dormito, come mai aveva dormito in tutta la sua vita. Sereno. Rilassato. Un sonno profondo e senza quegli incubi che gli andavano a far visita e che lo tormentavano ogni notte. Elizabeth significava troppo per lui. Era la sua pace. Era la sua serenità. Era il suo amore.
Proprio così. Edward aveva ragione. E ammetterlo con se stesso fu davvero rigenerante. Era innamorato di Elizabeth. Lo era sempre stato. Era certo di averla amata nel primo istante in cui l’aveva vista, lì, al locale, seduta in quell’angolino sperduto e dimenticato dal mondo. Proprio come lo era sempre stato lui. Dimenticato dal mondo. Dal padre. Dalla madre. Da tutti. La band era tutto ciò che aveva sempre avuto. Ma ora, aveva l’amore. L’amore per Elizabeth. Alex l’amava. Amava tutto di lei. La sua dolcezza, la sua delicatezza. La grazia, la gentilezza, l’eleganza. L’arte. L’arte scaturiva in lei, in Elizabeth.
Elizabeth era un’opera d’arte. La più bella e pura, che Alex avesse mai avuto l’onore di ammirare.

Albert aveva preso posto già da un pezzo, pur di non rischiare di far tardi al balletto. Era emozionato, come si emozionava ogni qualvolta vedesse sua figlia danzare. In fondo in fondo, un cuore nascosto da qualche parte, in chissà in quale spazio dimenticato e remoto del petto, ce l’aveva anche lui. Sua figlia Elizabeth era la cosa più importante che possedeva, insieme alla moglie. Era il suo orgoglio, il suo gioiello più prezioso. Amava davvero sua figlia. E avrebbe voluto solo il meglio per lei. Lo spettacolo doveva ancora iniziare e lui era già piombato in un inquieto stato d’ansia. Non vedeva l’ora di vedere sua figlia nei panni di Giulietta, con al fianco un eccellente Emile, che aveva da sempre sperato diventasse il suo Romeo. Cosa che sembrava proprio non voler accadere. Si domandava spesso che cosa passasse per la testa a Elizabeth. Quando mai avrebbe avuto l’occasione di incontrare nuovamente un buon partito come Emile? Un buon partito, innamorato di lei, per giunta! Accidenti a lei e alla sue fandonie sui sentimenti!
“Salve Capo! Le dispiace se mi siedo?” lo distrasse una voce deridente e familiare. Anche troppo familiare.
“No! Oh no! Tu no! Anche qui ti devo trovare! Va’ a sederti da un’altra parte!” lo cacciò Albert, quando vide Alex sedersi sulla poltrona accanto alla sua.
“Ma Capo, si dà il caso che questo sia il mio posto!” protestò Alex con la sua solita aria di scherno e il sorrisetto da canaglia.
“Il tuo posto?”
“Sì, i biglietti che mi ha dato Elizabeth. Ricorda?”
“Ah già”, sospirò Albert rassegnato.
“Grazie Capo! Ah, lei si ricorda del mio amico, Edward. Vero?” chiese con aria canzonatoria, indicando il ragazzo ricciolino che si era seduto accanto a lui, ragazzo che Albert riconobbe all’istante.
“Come potrei dimenticarlo?” Albert decise di lasciar correre solo per quella volta l’episodio della moto e del dito. Non voleva rovinarsi la serata. “Mannaggia a mia figlia! Con questa sua beneficenza sta rovinando anche gli altri!” si lamentò Albert.
“Beneficenza?”
“Sì, Alex. Beneficenza. Ti ha dato quei biglietti solo perché ti ritiene un povero ragazzo sbandato e sfortunato, perché le fai pena insomma. Cosa credi? Di starle simpatico? Levati queste assurde e insensate idee dalla testa!”
Per Alex fu come ricevere un colpo al cuore. “Così mi offendo, capo.”
“Beh, peggio per te! Oh, tu sei furbo. Ma a me, non m’incanti! Non la bevo la storia del povero ragazzo sbandato e sfortunato come l’ha bevuta lei, anima innocente e candida. Tu sei un gran manigoldo!”
Edward non aveva fatto altro che sghignazzare da quando Albert aveva definito Elizabeth un’anima innocente e candida. Innocente forse lo era, ma candida... Non più, ormai. Non dopo essere stata con Alex al primo incontro!
“Che cos’ha da ridacchiare il tuo amico?” domandò Albert in tono sospettoso.
“Niente, Capo. Ha la coda di paglia?” lo seccò Alex.
Nel backstage intanto convivevano frenesia e ordine. Ognuno fremeva d’ansia per salire sul palco e dare il meglio di sé e tutti si stavano già posizionando ai loro posti. Elizabeth si comportava in maniera alquanto bizzarra. Invece di starsene in camerino fino alla fine come al suo solito, gironzolava come un’anima in pena in ogni dove dei retroscena, suscitando così la curiosità di Emile che, vedendola così in libertà quella sera, non perse l’occasione di corteggiarla un po’, né di starle appiccicato addosso. Elizabeth non mancava di maltrattarlo un pochino di tanto in tanto. Emile stava diventando così esasperante, che spesso e volentieri Elizabeth perdeva il controllo e scattava un po’. Era davvero agitata. Non sapeva il perché, ma il fatto di sapere che Alex fosse lì tra il pubblico in prima fila la emozionava in maniera alquanto bizzarra e magica. Già. Era lì in prima fila, a guardarla, proprio accanto a suo padre. A suo padre?
“Oh no! Che pasticcio ho combinato!” esclamò ad alta voce, prendendo finalmente atto che aveva dato ad Alex e al suo amico i biglietti per i posti in platea in prima fila, proprio accanto al padre.
“Che hai fatto, Liz? Sta’ calma!” si precipitò Emile ansioso e confuso.
“Emile, fatti gli affari tuoi e lasciami un po’ in pace, stasera! Mi stai appiccicato come un’inutile zecca!” scattò lei, non potendone davvero più.
Emile ne rimase piuttosto mortificato. Conquistare il cuore di Elizabeth si stava rilevando una vera e propria sfida titanica per lui.
La ragazza, intanto, aveva subito approfittato dell’attimo di spaesamento di Emile per scattare verso il sipario. Scostò timidamente la tenda e fece capolino con la testa, alla ricerca di Alex, come se volesse verificare che fosse tutto a posto, come per controllare che Alex riuscisse a cavarsela con suo padre anche in quell’occasione poco piacevole tutti. Forse non per Alex. Sembrava divertirsi in maniera smisurata in presenza di Albert. Perché, da brava canaglia, non faceva altro che prendersi gioco di lui! Eccolo lì! Elizabeth lo trovò in un attimo. Proprio accanto a suo padre, il quale aveva l’aria alquanto seccata, come se si stesse trattenendo a fatica dall’esplodere come una bomba a orologeria da un momento all’altro. Se ne stava lì, seduto a braccia conserte col muso lungo e corrucciato, fumando aria rovente dalle narici come un toro inferocito, pronto a caricare il torero.
Non Elizabeth appena vide Alex, un dolce sorriso e un tenero saluto con la mano fuggirono al suo controllo. Alex ricambiò con altrettanto entusiasmo, come se le parole pronunciate poco prima da Albert riguardo la beneficenza non fossero mai state esistite.
“Smettila di dare confidenza a mia figlia! Se ti sta salutando, è solo per buona educazione! E perché le fai pena, manigoldo!” scattò Albert, iniziando a spazientirsi.
“Su via, Capo! Non la faccia tanto lunga per un saluto di circostanza! E ora faccia silenzio, ché comincia lo spettacolo!” lo zittì Alex.
E Edward sghignazzava sadico e divertito sotto i baffi.
Le luci si affievolirono fino a spegnersi, lasciando soltanto una scia bianca e luminosa puntata verso il palco. Il sipario si aprì, ed eccola lì, la bella Giulietta. Elizabeth. Inutile dire quanto fosse spettacolare e magica la sua esibizione. Volteggiava leggera e sofisticata sulle punte, conferendo a Giulietta la delicatezza tipica dell’angelo che la caratterizzava. Alex riuscì a stento a mantenere un atteggiamento indifferente e disinvolto verso di lei. La stessa sensazione di benessere e serenità che aveva provato stando con lei lo invase con prepotenza e scaldò il suo cuore tremolante e infreddolito a causa di anni e anni di dolore e sofferenza. Elizabeth era la sua fatina risanatrice, in grado di guarire qualunque male dell’anima. E Edward se ne accorse. Conosceva troppo bene Alex. Glielo leggeva in faccia. Alex vide il commissario commuoversi durante l’esibizione della figlia, un comportamento piuttosto raro da parte sua. Forse, anche lui aveva un cuore. Ben nascosto dietro una maschera di ferro. Ben sepolto sotto anni e anni di troppa rigidità antica, appesantita dall’integrità morale dell’uniforme che portava. Ma ce l’aveva.
Elizabeth danzava. Albert si commosse. Alex sentiva la pace dell’anima.
Edward sbadigliava.
Non appena lo spettacolo finì, le luci si riaccesero e i ballerini si inchinarono al pubblico. Albert lanciò un occhio alla sua sinistra per controllare l’atteggiamento di quel manigoldo, ma lui non c’era. Non c’era più. Era come sparito, volatilizzatosi nel nulla. Schizzato via. E con lui il suo amico.
“Ma che cosa stanno combinando quei due?” si chiese, irritato e sospettoso.
Deformazione professionale. Scosse il capo e decise di lasciar perdere. Avrebbe indagato nel giro di qualche minuto.
Ora non desiderava altro che applaudire sua figlia.

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