sabato 2 dicembre 2017

Un manigoldo per genero - 12° puntata - di Ambra Tonnarelli


Nero. Era tutto nero. Il corpo intorpidito e la testa pesante come un macigno. Voci, suoni, rumori lontani. E Alex che se ne andava circondato dalle tenebre della sua furia.
“Elizabeth! Liz! Liz, aprì gli occhi coraggio!” La voce di Emile risuonava come un’eco lontana nella mente di Elizabeth.
Un gruppetto di persone si era radunato intorno a lei per dare una mano a Sandy ed Emile nel soccorrerla. Sentiva le voci, i suoni e i rumori della città come se fossero ricordi di una vita passata. Le ci vollero un paio di minuti prima di far mente locale e riprendere un po’ i sensi. Socchiuse leggermente gli occhi.
“Oh, finalmente!” esclamò Emile, cercando di sembrarle allegro per non farla agitare ulteriormente. “Liz, guardami. Sono io, Emile e c’è anche Sandy qui. Come ti senti?”
Elizabeth si rese conto di essere distesa a terra, uno sconosciuto le stava tenendo le gambe sollevate e c’era un gruppetto tutto attorno a lei, che la guardava. Era svenuta. In quei decimi di secondo rivide nitida davanti agli occhi la scena di Alex che sfrecciava via infuriato in sella alla sua moto. Le aveva detto addio. Quella parola le risuonò lugubre nelle orecchie, come un’inquietante campana a morto. Iniziò a singhiozzare, ancora semisvenuta.
“Liz, tesoro... Perché piangi? Apri bene gli occhi! Sta’ tranquilla, abbiamo chiamato il 911. Sta arrivando un’ambulanza ad aiutarci. Ti senti molto male?” tentò di scuoterla Emile più preoccupato che mai.
Non aveva mai visto Elizabeth in quelle condizioni. Mai. Nemmeno quella sera che piangeva trasfigurata in sala prove.
“Alex”, lo chiamò Elizabeth in un debole sussurro che solo Emile e Sandy riuscirono a sentire. “Alex, dove sei?”
Una lacrima le scese dagli occhi lucidi, rigandole il volto. Si frantumò a terra. Proprio come lei.
“Alex? Chi è Alex? Ma sta delirando?” si preoccupò Emile, temendo scioccamente che avesse sbattuto la testa da qualche parte prima di perdere i sensi tra le sue braccia.
Sandy scosse il capo con fare rassegnato. Aveva ragione. Elizabeth con la sua insicurezza aveva davvero combinato un bel pasticcio con Alex. “Emile, fa’ qualcosa di utile! Va’ a vedere se arriva l’ambulanza e portala proprio qui!” esclamò, sperando di aver inventato una balla decente per allontanarlo.
Emile, bamboccio e un po’ ingenuo, si alzò controvoglia, ma non era quello il momento di discutere.
“Alex... Chiamatemi Alex! Io devo chiedergli scusa”, bisbigliò di nuovo Elizabeth tra i singhiozzi, ancora cosciente solo a metà.
Sandy frugò nel borsone della sua amica alla ricerca del cellulare. Chiamò Alex diverse volte, ma lui non rispose mai. Sandy si sentì in dovere di mandargli almeno un messaggio. “Alex, sono Sandy. Elizabeth si è sentita male e chiede solo di te. Ti prego vieni. Sta molto male. Ti aspettiamo.”
Ma nulla. Era arrivata l’ambulanza e di Alex neanche l’ombra, né uno squillo, né un messaggio. Elizabeth fu trasportata in ospedale per dei controlli. In ambulanza e durante la visita dei medici in ospedale, Elizabeth non aveva fatto altro che fissare il vuoto, apatica, tra i singhiozzi. Non aveva risposto neanche a una domanda. Forse, non le aveva nemmeno udite. Rispose Sandy per lei, salita con l’amica in ambulanza. In ogni caso, Elizabeth rifiutò il ricovero, spiegando in un secondo momento ai medici di essersi sottoposta a un forte stress per le prove dei balletti. Ed essi le credettero: di fatti era davvero stress ciò che aveva. Elizabeth conosceva bene il suo male dell’anima e non ne avrebbe parlato con nessuno. Se non con Sandy.
“Ehi!” le andò incontro Sandy premurosa, mentre usciva dallo studio del dottore. “Emile aveva un impegno urgente con suo padre e siccome io ho perfettamente capito che ti sei cacciata in un bel guaio con Alex, ho insistito perché se ne andasse.”
“Grazie, Sandy”, le rispose molto debolmente Elizabeth.
“Allora, Liz, come ti senti?”
“Un vero schifo. Mi è crollato il mondo addosso. Sono solo una stupida. Alex?”
Sandy scosse il capo mortificata, non sapendo come dirglielo. Ma doveva. “Mi dispiace, Liz. L’ho chiamato diverse volte e gli ho anche scritto un messaggio, ma lui non si è visto. Né sentito. Mi dispiace.”
“Voglio andare a casa. Puoi chiamare mio padre, per favore?”
Sandy rimase piuttosto stupita, ma del resto... Sua madre era ancora a scuola e nessuno l’aveva chiamata per non farla agitare, iper-ansiosa com’era, e non poteva neanche andare a prenderla.
“Pronto, signor Reeves? Sono Sandy. Elizabeth non si è sentita molto bene poco fa”, esordì Sandy al telefono con Albert.
“Mia figlia non sta bene?” Albert sembrava piuttosto agitato dall’altra parte del telefono. Teneva davvero a sua figlia. A modo suo, ma ci teneva.
“Sì, signor Reeves. Ha avuto un mancamento e adesso è con me. Io ho avuto paura e ho chiamato il 911, ma i medici l’hanno già dimessa perché non ha nulla. Dicono che sia stato solo un po’ di stress, però non se la sente di tornare a casa a piedi, né tanto meno con i mezzi pubblici. Io ho lasciato la macchina a scuola perché sono salita con lei in ambulanza per non lasciarla sola.”
“Ti ringrazio, Sandy, per la tua gentilezza e amicizia. Aspettatemi dentro, in sala d’attesa e falla sedere. Io arrivo subito.”
Sandy aiutò Elizabeth a sedersi. “Ecco, adesso viene.”
“Grazie.”
“Hai litigato con Alex, vero?”
Elizabeth annuì e si asciugò le prime lacrime.
“Non piangere, Liz. O avrai un altro mancamento! Vedrai, tutto si aggiusta.”
“No, Sandy. E’ troppo arrabbiato. E ha ragione. Gli... Gli ho detto delle cose che...” Le parole morirono in gola. “Che devo fare Sandy?”
“Beh, intanto asciugati le lacrime e raccontami tutto, prima che arrivi tuo padre!”
Elizabeth si sforzò di essere concisa e sintetica, cercando di non divagare. “E così lui... Mi ha detto addio. Ha detto che non vuole più vedermi. E ha ragione. Sono solo una vigliacca.”
“In effetti, è vero. Non ti sei comportata mai molto bene con lui. Sei sempre stata l’eterna indecisa, sempre a permettere alle parole di tuo padre di farti il lavaggio del cervello. Però dammi retta, per una volta. Tu e quella testaccia dura! Fagli sbollire un po’ la rabbia del momento. E tu riprenditi. Poi lo chiami.”
“Tu non lo conosci. Non mi risponderà.”
“Ed è un problema?”
Le due amiche si scambiarono uno sguardo complice.
“Ho capito. Andrò io da lui. E se non vuole parlarmi?”
Sandy le prese la mano per infonderle coraggio. “Allora, fatti valere. Se davvero vuoi chiedergli scusa, il modo, lo trovi. Fatti valere. Oh, arriva tuo padre!”
Albert corse subito ad abbracciare sua figlia. “Amore di papà, come ti senti?” le domandò premuroso e col cuore in gola. Se fosse successo qualcosa di grave a sua figlia, lui...
“Meglio adesso. Voglio solo andare a casa.”
“Ma certo! Andiamo! Vieni con noi, Sandy. Ti accompagno a scuola a riprendere la macchina.”
Durante il tragitto nessuno osò proferir parola. Arrivarono presto alla scuola di danza. “Grazie di tutto, Sandy. Sei un’amica.”
“Di nulla, Liz. Sennò a che servono gli amici?”
Anche Albert la ringraziò caldamente. Una volta salutata, Albert si rimise al volante e girò verso casa. In silenzio.
“Grazie papà, per essere venuto subito”, disse Elizabeth, ancora un po’ frastornata.
“Di nulla, Elizabeth. Dovere di papà. E’ una cara figliola, quella Sandy. Non dimenticherò mai quello che ha fatto per te oggi.”
“Lo so, papà. Per me è come una sorella.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire. E Emile?” buttò lì, sperando che nel frattempo le fosse scattata quella scintilla di cui lei spesso gli parlava. Quella sciocca scintilla.
“Papà, lo sai già. Ormai dovresti averlo intuito. Per me è solo un collega. Un buon collega, ma niente di più.” “Capisco. Eccoci. Ci siamo!”
Al rientro a casa Elizabeth fece subito per salire le scale e andare in camera.
“Tesoro, tra un po’ torna anche tua madre. Preparo io la cena. Hai preferenze?” le domandò premuroso suo padre.
“No papà, grazie. Non mi va di mangiare niente, ho ancora lo stomaco un po’ sottosopra. Dillo tu alla mamma, per favore. Io vado a dormire. Ho bisogno di riposare.”
Ma non lo fece. Una volta in camera, chiuse la porta a chiave, si buttò sul letto stanca e sconvolta e iniziò a chiamare Alex. Lo tempestò di chiamate e di messaggi. Ma lui niente. Non le rispose mai. Alex, dall’altra parte della città, al locale, era furibondo e deluso. Aveva il cuore spezzato. Credeva che fosse tutta una farsa, una messinscena, anche il fatto che Elizabeth si fosse sentita male. Solo per farlo correre da lei.
“Tanto non ci casco in questi sporchi tranelli. Sono degni di lei”, aveva pensato dopo aver letto il messaggio di Sandy. Ormai era convinto che Elizabeth facesse una sorta di doppio gioco, perché era un’eterna indecisa. Alex le piaceva, ma allo stesso tempo aveva paura di suo padre, quindi le avrebbe fatto comodo vederlo solo per diletto qualche volta, di tanto in tanto. Per lui era una storia finita. Stappò deciso la bottiglietta di birra che aveva in mano, molto più che determinato a bere solo quella e a non prendersi una sbronza. Ormai aveva capito che bere per annegare il proprio dolore non gli sarebbe servito a nulla, se non a rovinarsi il fegato. Le emozioni vanno affrontate di petto, perché l’alcool non le fa sparire. Il dolore torna a tormentarti più forte, perché l’hai represso. L’alcool non fa sparire il dolore. Lo rinvigorisce.
E Alex, questo, l’aveva imparato bene. A proprie spese.

Erano già passati un paio di giorni e Edward era in mezzo alla strada già da un po’ a distribuire volantini ai passanti e ad affiggerli in ogni dove del quartiere, quando notò un’elegante figura dall’aria completamente afflitta e assente passargli accanto.
“Ehi! Elizabeth!”, la fermò lui.
“Oh. Ciao. Scusami, io... Sono così distratta questa mattina, che non ti ho neanche visto. Che cosa fai da queste parti?”
“Volantinaggio. Distribuisco e appiccico questi volantini in giro, per i nostri concerti. Abbiamo affittato tre serate in una delle sale più rinomate del centro. Ognuno di noi si è preso una zona della città.”
“Caspita! Vi faccio tanti auguri. Spero che riscuotiate un grande successo, perché ve lo meritate. Dammene un po’! Li porto a scuola.”
Edward esplose in una sonora e teatrale risata. “In una scuola di danza classica?”
“E perché no? La scuola è piena di giovani studenti, non si sa mai. Poi li appenderei anche fuori e lungo la via. E’ una strada centrale e molto transitata, quella.”
“Ok, allora ti ringrazio. Sei molto gentile!”
“Figurati. Dammene una bella manciata.”
Edward gliene pose un bel mucchietto tra le braccia. “Grazie Elizabeth.”
“Di nulla. Come sta Alex?” Non era più riuscita a trattenersi.
“Alex è molto giù in questi giorni, però si stando parecchio da fare per i concerti. Sai com’è fatto! Non lo ferma mai niente. Lui dice di stare bene, ma si vede lontano un chilometro che è letteralmente a pezzi. Gli hai dato una bella botta.”
“E’ lui che se la stando da solo. Sono giorni che provo a chiamarlo, ma lui non mi risponde mai.”
“E’ ancora arrabbiato e non credo che gli passerà facilmente.”
“Lo so, Edward. E ha ragione.”
“Ha detto che ti sei persino inventata di star male per farlo correre da te!”
“No, no! Mi sono sentita male sul serio! Mi hanno dovuta portare al pronto soccorso. Se domani sei di nuovo da queste parti, ti porto la documentazione che mi hanno rilasciato in ospedale. Potresti mostrarla ad Alex?” “Ma sì, certo! Però Elizabeth, devi essere sicura, questa volta, di quello che fai. Alex è distrutto, poverino.”
“Lo so, Edward. Ma per me non è facile. Mio padre...”
“Alex dice che se lo amassi sul serio, te ne fregheresti di tutto”, la interruppe lui.
“Il punto è che una relazione con lui sarebbe piuttosto complicata. Io non sono una ragazza come le altre. Una ragazza scappa di casa e via, fa perdere le sue tracce! Ma se scappo io, mio padre mi troverà ovunque, anche all’estero. Se scopre una relazione tra me e Alex, ci ammazza tutti e due. E l’unica cosa che faremo insieme sarà il funerale.”
“Beh, è un modo molto originale di stare insieme, no?” ci scherzò su Edward, sperando di regalarle un sorriso.
Elizabeth abbozzò un sorrisetto divertito. Edward era appena riuscito a strapparglielo. “Già. Devo andare alle prove, o faccio tardi. Ciao!”
Elizabeth, tanto distrutta quanto Alex, sperava davvero in cuor suo che Edward potesse fare qualcosa per convincere Alex ad abbassare la guardia.
E Edward ci provò. Aveva sempre saputo che Alex ed Elizabeth erano fatti l’uno per l’altra. E Alex era un suo amico. Il suo migliore amico. Suo fratello. Doveva fare tutto ciò che era in suo potere per aiutarlo. Il giorno seguente, attese Elizabeth che gli portò i documenti del suo mezzo ricovero in ospedale e li mostrò ad Alex quanto prima.
“Alex, ho incontrato Elizabeth e mi ha chiesto di darti questi. Sono i documenti dell’ospedale. Vedi che si era sentita male sul serio, zucca vuota?” lo rimproverò severamente, sperando di scuoterlo. Di scuotere qualcosa in qualche angolo remoto in quella testaccia dura del suo amico.
Ma Alex divenne sempre più scettico. “Avrà finto un malore.”
“Non credo che l’ospedale rilasci questi documenti, se non hai avuto niente. Loro capiscono se fingi.”
“Non con Elizabeth. E’ furba, quella!” lo zittì Alex. Si chiuse in sala di registrazione per non dover sentire altre frottole. E Edward ci credeva pure! Al diavolo tutti.

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