sabato 14 ottobre 2017

Un manigoldo per genero - 5° puntata - di Ambra Tonnarelli


“Ma dove diavolo vai conciato così? Sembri uno sfigato!” lo prendevano in giro i ragazzi della band, mentre Alex si preparava per andare a teatro.
Non potendoselo permettere e sapendo che non lo avrebbe mai più rimesso, aveva affittato per una sera uno smoking con tanto di papillon. “Ve l’ho detto! Vado a conquistare quella ragazza!” ribatté stizzito.
“Ah sì? E dove vai a prenderla? Al suo castello incantato?” lo prese in giro Edward, suo migliore amico d’infanzia.
“Ah, ah, ah, ah! Molto divertente. Vado a vederla a un balletto di danza classica. E’ la prima ballerina”, spiegò Alex.
I suoi amici esplosero in un mare di risate. “Una ballerina di danza classica!” esclamò Edward, il chitarrista ricciolino, con le lacrime agli occhi, mentre un altro batteva le mani divertito. “Alex, sempre numero uno!”
“Chiudete il becco, cretini! E’ la ragazza che mi sono rimorchiato l’altra sera al locale.”
“Allora! C’è da star freschi! Con tutte le ragazze che ti sei fatto in quel locale, vai un po’ a ricordarti chi era!” commentò sarcastico il bassista.
Alex gli tirò un pistatone sul piede in segno di avvertimento. “Insomma! La biondina, capelli lunghi, alta, slanciata, delicata, timida-timida. Quella che è scappata!”
“Ah, sì! Ho capito chi è!” intervenne il ricciolino. “Beh, davvero un tipetto niente male! Proprio un bel bocconcino! Ma vale la pena vestirsi da pinguino per lei? Voglio dire... Se è scappata...”
Alex alzò lo sguardo sognante al cielo, mentre tentava disperatamente di aggiustarsi il papillon. “Ne vale la pena, ne vale la pena! E poi... Timida fino a un certo punto: con me è stata inaspettatamente passionale.”
“Aaaah! Allora la ballerina ha colpito, eh!” incalzò Edward.
“Ha colpito, ha colpito. Ha colpito anche troppo.”
Il ricciolino lo scrutò dalla testa ai piedi con aria canzonatoria. “Di’ un po’... Non è che te ne sei innamorato, no?”
“Ma che cosa stai blaterando! E’ solo che voglio rivederla perché mi piace. Punto. Sei solo un quaquaraquà!” gli spiegò irritato, tirandogli un cuscino.
“Va bene, non ti scaldare!”
“Piuttosto” –intervenne il bassista- “La porterai qui sul tuo cavallo bianco?”
“Sì!” Il tono di Alex si faceva sempre più spazientito.
“E la sedurrai di nuovo?” proseguì il bassista, prendendolo per i fondelli più che mai.
“Ci puoi giurare, somaro! Ora, se non vi dispiace, me ne vado!” esclamò Alex, prendendo il biglietto.
“Vai, vai! Salutaci la tua ballerina!” lo prese in giro il ricciolino, facendo ridere anche gli altri.
Alex, che si era ormai venduto tutta la pazienza, alzò loro il dito medio e sbatté la porta.

Elizabeth finì di sistemarsi il trucco e indossò il tutù, pronta per la replica de “Il lago dei cigni”, che tanto aveva riscosso consensi e successo. Nonostante il gran nervosismo pre-spettacolo, però, c’era qualcosa di diverso in lei. Stava ancora pensando a lui. A quel cantante. Non riusciva a toglierselo dalla testa, così come non riusciva a scacciare i sensi di colpa per essersi così facilmente concessa a lui, senza nemmeno sapere chi fosse. Si era spesso e volentieri domandata quale fosse il suo nome, la sua età, le sue origini, se fosse davvero il ribelle che il look suggeriva essere. Ma se da una parte avrebbe tanto voluto chiamare Lucy e accettare di vederlo per scoprire qualcosa in più su di lui, dall’altra avrebbe voluto solo dimenticare. Dimenticare lui e ciò che avevano fatto. Se lo avesse saputo suo padre! No. Meglio non pensarci. Gli avrebbe spezzato il cuore. E non poteva accettare di spezzare il cuore a suo padre, né a sua madre, confessando loro che pasticcio aveva combinato. Non poteva farsi scoprire. Avrebbe dovuto portare quel fardello da sola e pagare per le sue colpe. Per aver svenduto così spudoratamente il suo onore al primo capitato.
“Elizabeth, sei pronta?” le chiese la madre, entrando in camerino dopo aver bussato e appoggiandole amorevolmente la mano sulla spalla, mentre lei si finiva di sistemare gli orecchini davanti a un brillante specchio.
“Quasi.”
“Sei nervosa?”
“Un po’, ma non più del solito. Lo sai che dopo mi passa. Appena parte la musica...”
“Sì, sì. Lo so tesoro. Ti ho vista molto giù in questi giorni. Lo ha notato anche Emile”, esordì Hilary, sperando di indurla ad aprirsi con lei. Sapeva che qualcosa non andava, che sua figlia stava male, ma non riusciva a comprendere il perché. E non l’avrebbe mai neppure immaginato.
“Emile si preoccupa sempre troppo, mamma e tu lo sai. E’ molto premuroso. A volte anche troppo. Sono solo un po’ stanca, ecco tutto. Capita.”
“Sì, hai ragione, tesoro. Cerca di riposare un po’, eh, nei prossimi giorni”, le credette sua madre, per ingannar se stessa sul fatto che non fosse nulla di grave.
Elizabeth annuì in silenzio con un cenno del capo.
“Ok, finisci di prepararti.”
Anche dopo che se ne fu andata, Elizabeth non rimase sola a lungo.
“Ehi!” esclamò pacatamente Emile entrando nel suo camerino. “Sei bellissima, Liz!”
“Grazie. Anche tu”, si limitò a rispondere lei, imbarazzata, per non sembrare scortese.
“Il teatro è pieno, stasera”, buttò lì Emile, nella speranza di dare il via a una conversazione con lei.
“Sì, lo so, Emile. Me l’ha detto prima mia madre.”
Elizabeth era sempre dolce, ma allo stesso tempo un po’ freddina con Emile. E non sapeva mai perché. “Perché non andiamo a fare un giro, dopo lo spettacolo?”
“No, Emile. Finiremo tardissimo. Andrò a casa con i miei. Ma grazie lo stesso per l’invito. Come dicevo poco fa a mia madre, sono molto stanca in questo periodo e ho bisogno di riposare un po’.”
“Ok. Allora... Io vado. Ti aspetto dietro il sipario.”
Se ne andò mogio-mogio, deluso di non essere riuscito a strappare un appuntamento a Elizabeth nemmeno in quell’occasione.
Elizabeth rimase davanti allo specchio, a controllare se l’acconciatura, il trucco e il tutù fossero a posto. Pensava ancora a quel ragazzo sconosciuto e carismatico. A quanto non volesse rivederlo mai più, ma allo stesso tempo a quanto volesse anche rivederlo. Si sentiva sempre più male, sempre più confusa, sempre più spaesata. Si sentiva persa. Completamente persa. Si sistemò meglio le inseparabili scarpette di danza e uscì dal camerino, cercando di concentrarsi sullo spettacolo e di trasformarsi in Odette.

“Permesso! Permesso, scusate!” esclamò Alex una volta nel palco, infilando la sua sedia tra una buffa coppia di anziani.
“Ma che modi, giovanotto!” commentò stizzita la signora, vedendosi divisa da suo marito e schiaffata verso la parete. “Lei è un gran maleducato!”
“Ma io devo vedere una ragazza! Sono qui appositamente per lei! Abbiate un po’ di pazienza, che diamine!” protestò Alex, facendo sfoggio della sua irresistibile sfacciataggine da canaglia.
“Se è così importante, perché non hai preso il posto di sotto?” intervenne furioso il signore.
“Perché di sotto era tutto pieno, insomma!”
“E’ la tua ragazza, forse?” riprese la vecchia.
“Eh, magari! L’ho vista una sola volta e già mi ha fatto perdere la testa! Devo assolutamente combinare con lei!”
“Te lo auguro, giovanotto, ma almeno facci stare vicini!” si lagnò la vecchietta.
“Oh, la prego! Io devo vederla! Faccia un’opera buona!” la implorò Alex con gli occhioni dolci.
L’anziana, ma elegante signora tirò un sospiro di rassegnazione. “Ho capito. Mi sa che non lo vedremo per niente bene, questo balletto. Spero almeno che tu riesca a conquistarla, altrimenti avremmo fatto questo sacrificio per nulla”, cedette la signora. Non riuscì a dire di no alla bizzarra irriverenza educata di quello strambo giovane.
“Oh, grazie nonna! Lo sapevo che lei sarebbe stata comprensiva!”
La signora gli lanciò un’occhiataccia. “Io non sono tua nonna. E poi... Con quei tutti quei tatuaggi e quei capelli lunghi... Un nipote come te non lo voglio!” si stizzì, avendo notato i tatuaggi dalle maniche.
“Belli, vero? Li vuole vedere?”
“Ma per carità, giovanotto! Mi basta quello che ho visto!”
Alex sorrise sotto i baffi divertito e aggiunse: “Ho anche un piercing al capezzolo destro!”
“Signore Benedetto! Chi ci doveva capitare! Che mascalzone!” esclamò la signora schifata.
“Su via, nonna! Non sia così antica! Un piercing, tre tatuaggi e i capelli lunghi non fanno di un ragazzo un mascalzone!” ci scherzò su Alex.
“Smettila di chiamarmi nonna! Ora sta’ zitto, ché comincia lo spettacolo!”
Proprio in quell’istante, le luci si abbassarono e una donna sofisticata ed elegante oltre misura comparve sul palco, a presentare lo spettacolo. Alex si spaparanzò sul parapetto, appoggiandosi in modo che le braccia potessero fargli da cuscino per il viso, che appoggiò appunto sulle mani. La coppia di anziani si lanciò uno sguardo di schifato sconforto, scuotendo la testa, in segno di rassegnazione.
“Deve essere la madre di Elizabeth. Guarda come le somiglia!” si disse tra sé e sé.
E infatti. Disse di essere la proprietaria della scuola di ballo e la dirigente delle compagnia, quando si presentò, ma Alex non prestò molta attenzione alle sue parole di benvenuto. Aspettava solo lei. Elizabeth. Dopo qualche infinito minuto di eterna attesa, il sipario si aprì. In posa, ferma sul palco come una statua, c’era lei. Elizabeth.
“Eccola! Guardi, nonna!” esclamò Alex sotto voce.
“Ah, la prima ballerina. Tipo raffinato. Eeeeh, giovanotto, giovanotto. Si vede che non sai come va il mondo. Non è per te. Tu sei uno scapestrato, lei è una ragazza di classe.”
Alex, nonostante l’offesa della signora, decise di lasciar perdere. Ormai aveva occhi solo per lei. Per Elizabeth. Sembrava davvero una dolce fatina uscita da una fiaba: indossava un tutù bianco, con la gonna larga di tulle tempestata Swarovski, i capelli raccolti in un’elegante e particolare acconciatura, con un diadema sbrilluccicante sulla testa. Era una visione.
La musica attaccò ed Elizabeth iniziò a danzare con le movenze leggere di un sofisticato cigno. Poi, fece il suo ingresso lui, il primo ballerino, il Cicciobello della situazione, ma con sua grande sorpresa, questa volta la gelosia non colpì Alex né in volto, né sullo stomaco. Era così preso da Elizabeth che non riuscì nemmeno a essere geloso. Aveva occhi solo per lei. Per Elizabeth. Rimase per tutta la durata dello spettacolo con il viso appoggiato sulle braccia distese sul parapetto di velluto, con lo sguardo dolce, sensuale e completamente rapito e assente. Fece tenerezza anche alla tosta signora anziana, la quale rimase colpita dallo sguardo magnetico che il giovane scapestrato rivolgeva a quella ragazza. Forse egli aveva ragione: non sono tre tatuaggi, un piercing e i capelli lunghi a fare di un ragazzo un mascalzone.
“Che ragazzo stravagante!” esclamò tra sé e sé la signora.
Alex continuò sempre a fissare rapito Elizabeth, fino alla fine dello spettacolo. Addirittura si commosse per la sua sentita interpretazione nell’atto finale. Elizabeth non era solo una ballerina tecnicamente dotata: sapeva sentire la musica e la interpretava nella sua anima. Lasciava che fosse la danza a parlare per lei, a comunicare ciò che la scena doveva comunicare. E ciò che sentiva lei. Era davvero una meraviglia per gli occhi e per il cuore. Alex non si risparmiò mai in fatto di applausi e complimenti, che di tanto in tanto gridava ad alta voce, facendo sobbalzare anche i due vecchietti. Il suo cuore batteva all’impazzata, come un cavallo imbizzarrito, come mai prima di allora. Sembrava che stesse battendo per la prima volta, come se prima Alex non fosse mai esistito e fosse andato avanti, brancolando a zonzo nel vuoto, solo per inerzia.
Al termine dello spettacolo, mentre i ballerini si inchinavano e salutavano il pubblico, Alex si alzò fulmineo dalla sedia. “Arrivederci nonni! E grazie!”
Schizzò via verso l’atrio d’ingresso del teatro nell’intento di beccarla all’uscita. La coppia si lanciò uno sguardo piuttosto interrogativo.
“Che strano ragazzo!” commentò la signora.
E il marito non poté far altro che darle ragione.

Alex era già di sotto da un pezzo. Se ne stava lì, appostato su una colonna vicino all’ingresso, da cui poteva tener d’occhio tutto l’atrio d’ingresso del teatro. Scrutava il volto di ogni donna e di ogni ragazza nella speranza che fosse quello di Elizabeth. Ma ancora niente. Vide passargli accanto, mentre usciva amareggiato, il primo ballerino. Alex gli lanciò un’occhiata compiaciuta e tornò a scrutare, felice di sapere che Elizabeth non sarebbe andata a festeggiare lo spettacolo con lui. Il tempo sembrava non passare mai, addirittura credeva di averla persa. Temette che potesse essere passata da un’uscita sul retro, finché... Eccola. Lì, sì proprio lì, ai piedi della scalinata che portava nei camerini, che aspettava. Era davvero elegante, un cigno, una fata, una creatura mitologica. Il corto tubino blu notte l’abbracciava nel suo tessuto raffinato, disegnando le forme definite e delicate del suo corpo atletico, ma aggraziato. La pochette tempestata di brillantini, che Elizabeth stringeva in mano, rifletteva frammenti di luce arcobaleno ovunque, dipingendo l’atrio di magia.
Alex fece il giro della sala, cercando di non farsi vedere e le si avvicinò da dietro, in modo che lei non potesse scappare, colta alla sprovvista. Stava stringendo la mano a un signorotto che si complimentava con lei.
Alex attese pazientemente che questo se ne andasse, dopodiché le arrivò alle spalle.
“Ciao”, le disse, cercando di contenere la gioia che lei fosse proprio lì, davanti a lui. La gioia di poterle finalmente parlare.
Al suono di quella voce a lei così familiare, Elizabeth trasalì e sgranò gli occhi dal terrore. Il respiro affannoso, riflesso del panico che esponenzialmente cresceva in lei.
Si girò lentamente, sperando di trovare una persona diversa da quella che si aspettava di vedere. E invece, no. Era proprio lui. Il bel cantante dal fascino magnetico.
Elizabeth fece per scappare di nuovo, pronta a correre, ma Alex la fermò prontamente, afferrandola per un braccio.
“No, no! Ti prego, Elizabeth! Non scappare. Vorrei solo parlarti. Ho smosso mari e monti per trovarti. Concedimi solo cinque minuti!” la implorò Alex, mentre la gioia di parlare si tramutò in terrore. Terrore che lei lo respingesse, senza possibilità di rimedio.
Elizabeth si placò di colpo, fulminata dalla disperata sicurezza negli occhi grigioverdi di lui. Si limitò ad annuire con un cenno del capo e lui le lasciò il braccio.
“Che ci fai tu, qui? Come hai fatto a trovarmi? Te l’ha detto Lucy, vero?” gli domandò Elizabeth con le prime lacrime che le cadevano dagli occhi.
Era la prima volta che Alex sentiva la sua voce. Era delicata e soffice, proprio come lei. Dolce. E soave. Una voce che gli ridonò la vita. “Non sciupare degli occhi così belli con delle stupide e inutili lacrime, Elizabeth.” La ragazza smise improvvisamente di singhiozzare. Nessuno le aveva mai parlato in quel modo, con tanta sicurezza e intensità, al tempo stesso.
“Comunque no. Non me l’ha detto Lucy. Ho solo pensato che danzassi molto bene e ho visto che tenevi le punte tese, mentre ballavamo. Così ho solo fatto due conti.”
“Ma che cosa vuoi, tu, da me? Ti prego, lasciami in pace. Io voglio solo dimenticare”, lo supplicò, disperata che lui non riuscisse a comprendere il suo gravoso stato d’animo, né i pesanti sensi di colpa che la schiacciavano a terra.
“Io no. Sono stato davvero bene con te. Non può finire così.”
“Non può finire qualcosa che non è mai neanche iniziato. Non so nemmeno il tuo nome.” Inutili le parole di lui: Elizabeth dovette asciugarsi di nuovo una lacrima che le stava già rigando la gota di rosa.
“Mi chiamo Alex”, si limitò a dirle lui, guardandola intensamente negli occhi.
“Alex...” ripeté lei, ancora un po’ scossa, facendolo suonare all’orecchio. “Hai un bel nome, Alex.”
Alex le sorrise dolcemente. “Grazie. Ascoltami, Elizabeth, mi dispiace tanto. Non credevo che la prendessi così male. Però non puoi negare che siamo stati davvero bene, insieme.”
“Invece, sì. Lo nego. Io non sono stata per niente bene”, ribatté ostinata.
Alex sbuffò divertito. “No. Tu sei stata bene con me. Semmai, sei stata male dopo. Allora perché sei venuta con me, se non volevi? Io non ti avrei toccata con un dito, se tu mi avessi fermato.”
“E’ stato un momento di debolezza, un colpo di testa. Non so cosa mia sia preso, Alex.”
“Perché ti sono piaciuto.”
Elizabeth scosse il capo, agitata, avendole il panico tolto persino la parola.
“Sì, sì. Io ti sono piaciuto così come tu sei piaciuta a me. Perché non ci vediamo in amicizia, qualche volta? Così ci conosciamo meglio. Prometto che non ti toccherò con un dito!”
“Mi dispiace, no. Io non voglio rivederti mai più. Lasciami in pace, ti prego!” lo supplicò cercando di trattenere le lacrime e di recuperare la parola perduta. La voce sottile e strozzata.
“No, Elizabeth. Non ti lascerò in pace. Non rinuncerò a te al primo no. Mi piaci troppo. Vorrei che tu mi conoscessi meglio e mi apprezzassi così come sono!”
“Ti prego...” lo supplicò Elizabeth, straziata dalla situazione e dai ricordi che scaturivano in lei.
Alex sbuffò di nuovo. “Tanto non mi scappi. Ormai lo so dove trovarti. Prima o poi, un appuntamento me lo concederai.”
“Non ti conviene importunarmi. Mio padre...” lo minacciò Elizabeth, cercando di recuperare un’autorevolezza che non aveva mai avuto.
“Spero di non doverti arrestare anche stasera, ché sono fuori servizio, Alex!” Una voce fredda, ma pacata e autoritaria allo stesso tempo li raggiunse di gran passo.
Elizabeth giurò di aver sentito il cuore fermarsi e il sangue gelarsi nelle vene.
“Salve Capo! Anche lei qui?” sì voltò Alex stupito, cercando di ostentare una calma, che lo stava via via abbandonando.
Che ci faceva lì, il commissario Reeves? E soprattutto, perché doveva sempre arrivare nei momenti più delicati e inopportuni? Alex non poteva fare a meno di domandarsi spesso, se Reeves non avesse conseguito anche una laurea specialistica nell’ardua disciplina del “Guastafeste”, insieme ai mille e mille titoli di studio che già aveva.
“Già. Che cosa vuoi da mia figlia? Perché le parli?” gli domandò Reeves in tono secco, già sul piede di guerra.
Lo stupore e la sorpresa più inaspettati colpirono Alex dritto-dritto al cuore. “Ah, que-que-questa è sua figlia?” se ne uscì a bocca aperta, mentre un lugubre sconforto lo invase a tradimento.
Elizabeth, la figlia del commissario Albert Reeves? Quella proprio non ci voleva. Alex iniziò a pensare di essere perseguitato dalla sfortuna più nera, a discapito della buona sorte che sempre lo baciava in qualsivoglia tipo di impresa che decidesse di portare a compimento.
“Sì. Proprio così!” confermò Albert.
“Che buffo! Non si direbbe! Non le somiglia per niente!” lo sfidò Alex, tentando di ricomporsi meglio che poteva.
“Ah, fai anche lo spiritoso, adesso?” perse le staffe Albert.
Elizabeth, che non aveva più aperto bocca da quando suo padre aveva fatto bruscamente irruzione nella loro conversazione, si risvegliò a stento dal suo stato di trans. Alex, il bel cantante sconosciuto con cui aveva vissuto una notte di trasgressione, era quindi un delinquente di strada? La nausea le strangolò il collo, togliendole il respiro.
“Arrestare?” sussurrò confusa e spaesata.
“Sì, cara. Arrestare. Questo manigoldo qui è un avanzo di galera! Entra ed esce. Tra un po’, lo faremo trasferire al commissariato!” le spiegò Albert, in tono di superiorità, senza però nascondere il suo perenne astio nei confronti di Alex.
“Che paroloni che usa, Capo! Avanzo di galera!” cercò di sdrammatizzare Alex.
Quell’intoppo proprio non ci voleva. Stava perdendo in una sola manche quel briciolo di fiducia che si stava lentamente conquistando da parte di Elizabeth.
“Perché? Non è quello che sei, manigoldo? Te lo chiedo ancora una volta. Che cosa vuoi da mia figlia? Ti sta forse importunando, tesoro?” si rivolse poi alla figlia.
La sua risposta stupì Alex, che si aspettava una pesante affermazione, ma soprattutto se stessa.
“Ma no, papà! Nel modo più assoluto! Con me, è stato cortese ed educato. Mi stava solo gentilmente chiedendo un autografo.”
Lo aveva protetto. Solo un attimo prima, stava minacciando Alex di far intervenire suo padre. E ora? Solo pochi istanti dopo lo stava proteggendo proprio da suo padre stesso.
“Un autografo?” chiese Albert, confuso e in tono sospettoso.
“Sì, papà. A quanto pare, è un mio fan”, mentì Elizabeth. Ciò che la meravigliò di più fu la naturale disinvoltura con cui lo fece.
“Un tuo fan? E da quando in qua sei fan del balletto e di mia figlia, eh, manigoldo che non sei altro? Che cosa stai tramando in quel tuo cervelletto pervertito da delinquente?” gli domandò Albert, facendogli il terzo grado da interrogatorio.
“Ah, Capo! Sta diventando paranoico, adesso! Non tramo nulla! Mi sono appassionato di recente al balletto classico e all’opera! Io sono un cantante, un musicista... Un artista! E gli artisti viaggiano con la mente a trecentosessanta gradi e sono aperti a ogni nuova forma d’arte! E sua figlia, di arte nelle vene, ne ha da vendere, mi creda! E’ una ballerina straordinaria e piena di talento!”
Elizabeth rimase alquanto colpita dalle parole di Alex riguardo all’arte. Verso di essa, nutrivano la stessa passione e vivevano degli stessi pensieri. E forse, la sua musica rock scatenata, non era poi tanto male. Era solo... Diversa. Per lei, lo era.
Albert, invece, sbuffò un ghigno, in segno di disprezzo. “Un artista! Tz! Un artista da strapazzo, direi. Elizabeth, per favore. Fagli quel dannato autografo e mandalo via! Anzi, no! Ce lo mando io!”
“Non ho la penna, papà. Né il foglio.”
“Tieni. Prendi la mia penna e il foglio dalla mia agenda e mandalo via!”
Elizabeth si sbrigò a firmare l’autografo, sotto gli occhi colmi di stupore di Alex, che, ancora una volta, fece leva sulla sua sicurezza e irriverenza canagliesca, sfidando apertamente Albert. “Non è che, per caso, sotto l’autografo, mi scrivi anche il tuo numero di telefono?” le domandò, lanciandole un seducente sguardo da latin lover, con il duplice scopo di prendere in giro Albert e allo stesso tempo conquistare il cuore di Elizabeth.
Alex aveva fascino. E lo sapeva.
Non se ne vantava con gli altri, in quanto ragazzo umile e modesto, ma non mancava mai di sfoderarlo ogni qualvolta ne avesse bisogno. E quella era un’emergenza. Una divertente emergenza.
Albert sgranò gli occhi, di nuovo paonazzi e colmi di impazienza. “Sparisci! Sparisci, manigoldo! O ti ammazzo! Sta’ lontano da mia figlia!” gridò col viso rosso dal nervosismo.
“D’accordo, Capo! Me ne vado! Con quest’ultima frase, mi ha convinto. Mi è arrivato al cuore”, recitò drammatico, portandosi una mano al petto. “Non resterei qui, neppure se insistesse. Neanche per un caffè o per una birra! Arrivederci, Capo!” Poi rivolse il suo sguardo seduttivo a Elizabeth. “Ciao dolcezza!” la salutò sensuale, scoccandole un sonoro bacio sulla guancia.
E corse via
“T’ammazzo! Vieni qui, manigoldo, ché t’ammazzo!” gridò Albert, tentando di tirargli un calcio, ma invano. Calciò l’aria.
Alex, fulmineo come una scheggia, se l’era già filata. Albert scivolò e cadde all’indietro, attirando così, l’attenzione della folla che passava.
“Capo! La smetta di fare il ragazzino!” gli gridò Alex, già sulla soglia dell’uscita. “Non ha più l’età per fare certe cose!” E detto questo, se ne scappò a gambe levate, sperando di aver impressionato Elizabeth quanto bastasse e di averla colpita più delle dure parole del padre. Sperava che l’essere sempre se stesso le avesse in qualche modo toccato il cuore. Un cuoricino timido, infreddolito e spaventato.
Durante tutta la rocambolesca scena a cui aveva assistito, Elizabeth fu costretta a sotterrare un mare di risate. In fondo, Alex le era rimasto anche simpatico. Ma Elizabeth dovette comunque smettere di ridacchiare e aiutare suo padre. Allo stesso tempo, si preoccupava per lui.
“Oh mio Dio! Papà! Ti sei fatto male?” lo aiutò a rialzarsi, soffocando le risate.
“Ma che male? Sono una roccia, io, sai? Guarda, è meglio che recuperiamo tua madre e che ce ne andiamo a casa! Altrimenti, mi comprometto la carriera!” ripeté a mo’ di disco inceppato, come ogni qualvolta ci fosse quell’Alex nei paraggi.
In auto non si fece altro che parlare di quello strano ragazzo. La madre di Elizabeth, Hilary, aveva assistito in lontananza alla vistosa e ridicola caduta del marito e volle saperne di più. Ovviamente Albert non si risparmiò in fatto di insulti gratuiti ad Alex e di assillanti raccomandazioni alla figlia.
“Quello lì è un delinquente, Elizabeth. Un vero e proprio avanzo di galera, un manigoldo! Tienilo a debita distanza, mi raccomando. Ma tu sapevi chi era? Perché ci parlavi?”
“Ma no, papà. Io non sapevo nemmeno chi fosse. Mi si è solo avvicinato per farmi i complimenti e le congratulazioni, te l’ho detto. In ogni caso, papà, non credo che lo rivedrò più. Però se dovesse accadere, ti prometto che non lo farò neppure avvicinare.”
“Brava, non dargli alcun tipo di confidenza e se dovesse ripresentarsi, chiamami!”
“Lo farò, papà. Ma dimmi piuttosto, di che cosa è accusato di solito?” gli domandò, nella speranza che il padre esagerasse. Sapeva che Albert era un uomo alquanto suscettibile, quando si trattava di soggetti irriverenti come Alex, quindi volle saperne di più. Soprattutto per lenire i sensi di colpa che tanto la tormentavano. Aveva bisogno di sapere che, in fondo in fondo, quel ragazzo tanto male non era.
“Di che cosa è accusato? Da dove comincio, figlia mia! Dunque: guida pericolosa in stato di ebbrezza, eccesso di velocità, rissa e incitamento alla rissa, resistenza all’arresto, violazione di domicilio e danneggiamento di proprietà privata. Ma la cosa che mi irrita di più è... OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE! La sua strafottenza e la sua arroganza mi fanno sempre alzare la pressione! La prima volta che l’ho arrestato, mi ha sputato in un occhio! E non manca mai di insultare me e i miei colleghi, né di tirarci qualche pugno! E’ un gran ribelle, quel manigoldo lì!”
Lo stato d’animo di Elizabeth si oscurava sempre più. Non solo si era svenduta al primo sconosciuto che l’aveva sedotta, ma questo si stava anche rivelando essere un poco di buono.
E di nuovo, si addormentò sopra un cuscino fradicio di lacrime, come se ormai, addormentarsi piangendo, fosse diventata una consuetudine. 

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