“Ma dove diavolo vai conciato così? Sembri uno sfigato!” lo prendevano
in giro i ragazzi della band, mentre Alex si preparava per andare a teatro.
Non potendoselo permettere e sapendo che non lo avrebbe mai più
rimesso, aveva affittato per una sera uno smoking con tanto di papillon. “Ve
l’ho detto! Vado a conquistare quella ragazza!” ribatté stizzito.
“Ah sì? E dove vai a prenderla? Al suo castello incantato?” lo prese
in giro Edward, suo migliore amico d’infanzia.
“Ah, ah, ah, ah! Molto divertente. Vado a vederla a un balletto di
danza classica. E’ la prima ballerina”, spiegò Alex.
I suoi amici esplosero in un mare di risate. “Una ballerina di danza
classica!” esclamò Edward, il chitarrista ricciolino, con le lacrime agli
occhi, mentre un altro batteva le mani divertito. “Alex, sempre numero uno!”
“Chiudete il becco, cretini! E’ la ragazza che mi sono rimorchiato
l’altra sera al locale.”
“Allora! C’è da star freschi! Con tutte le ragazze che ti sei fatto in
quel locale, vai un po’ a ricordarti chi era!” commentò sarcastico il bassista.
Alex gli tirò un pistatone sul piede in segno di avvertimento.
“Insomma! La biondina, capelli lunghi, alta, slanciata, delicata,
timida-timida. Quella che è scappata!”
“Ah, sì! Ho capito chi è!” intervenne il ricciolino. “Beh, davvero un
tipetto niente male! Proprio un bel bocconcino! Ma vale la pena vestirsi da
pinguino per lei? Voglio dire... Se è scappata...”
Alex alzò lo sguardo sognante al cielo, mentre tentava disperatamente
di aggiustarsi il papillon. “Ne vale la pena, ne vale la pena! E poi... Timida
fino a un certo punto: con me è stata inaspettatamente passionale.”
“Aaaah! Allora la ballerina ha colpito, eh!” incalzò Edward.
“Ha colpito, ha colpito. Ha colpito anche troppo.”
Il ricciolino lo scrutò dalla testa ai piedi con aria canzonatoria.
“Di’ un po’... Non è che te ne sei innamorato, no?”
“Ma che cosa stai blaterando! E’ solo che voglio rivederla perché mi
piace. Punto. Sei solo un quaquaraquà!” gli spiegò irritato, tirandogli un
cuscino.
“Va bene, non ti scaldare!”
“Piuttosto” –intervenne il bassista- “La porterai qui sul tuo cavallo
bianco?”
“Sì!” Il tono di Alex si faceva sempre più spazientito.
“E la sedurrai di nuovo?” proseguì il bassista, prendendolo per i
fondelli più che mai.
“Ci puoi giurare, somaro! Ora, se non vi dispiace, me ne vado!”
esclamò Alex, prendendo il biglietto.
“Vai, vai! Salutaci la tua ballerina!” lo prese in giro il ricciolino,
facendo ridere anche gli altri.
Alex, che si era ormai venduto tutta la pazienza, alzò loro il dito
medio e sbatté la porta.
Elizabeth finì di sistemarsi il trucco e indossò il tutù, pronta per
la replica de “Il lago dei cigni”, che tanto aveva riscosso consensi e
successo. Nonostante il gran nervosismo pre-spettacolo, però, c’era qualcosa di
diverso in lei. Stava ancora pensando a lui. A quel cantante. Non riusciva a
toglierselo dalla testa, così come non riusciva a scacciare i sensi di colpa
per essersi così facilmente concessa a lui, senza nemmeno sapere chi fosse. Si
era spesso e volentieri domandata quale fosse il suo nome, la sua età, le sue
origini, se fosse davvero il ribelle che il look suggeriva essere. Ma se da una
parte avrebbe tanto voluto chiamare Lucy e accettare di vederlo per scoprire
qualcosa in più su di lui, dall’altra avrebbe voluto solo dimenticare.
Dimenticare lui e ciò che avevano fatto. Se lo avesse saputo suo padre! No.
Meglio non pensarci. Gli avrebbe spezzato il cuore. E non poteva accettare di
spezzare il cuore a suo padre, né a sua madre, confessando loro che pasticcio
aveva combinato. Non poteva farsi scoprire. Avrebbe dovuto portare quel
fardello da sola e pagare per le sue colpe. Per aver svenduto così spudoratamente
il suo onore al primo capitato.
“Elizabeth, sei pronta?” le chiese la madre, entrando in camerino dopo
aver bussato e appoggiandole amorevolmente la mano sulla spalla, mentre lei si
finiva di sistemare gli orecchini davanti a un brillante specchio.
“Quasi.”
“Sei nervosa?”
“Un po’, ma non più del solito. Lo sai che dopo mi passa. Appena parte
la musica...”
“Sì, sì. Lo so tesoro. Ti ho vista molto giù in questi giorni. Lo ha
notato anche Emile”, esordì Hilary, sperando di indurla ad aprirsi con lei.
Sapeva che qualcosa non andava, che sua figlia stava male, ma non riusciva a
comprendere il perché. E non l’avrebbe mai neppure immaginato.
“Emile si preoccupa sempre troppo, mamma e tu lo sai. E’ molto
premuroso. A volte anche troppo. Sono solo un po’ stanca, ecco tutto. Capita.”
“Sì, hai ragione, tesoro. Cerca di riposare un po’, eh, nei prossimi
giorni”, le credette sua madre, per ingannar se stessa sul fatto che non fosse
nulla di grave.
Elizabeth annuì in silenzio con un cenno del capo.
“Ok, finisci di prepararti.”
Anche dopo che se ne fu andata, Elizabeth non rimase sola a lungo.
“Ehi!” esclamò pacatamente Emile entrando nel suo camerino. “Sei
bellissima, Liz!”
“Grazie. Anche tu”, si limitò a rispondere lei, imbarazzata, per non
sembrare scortese.
“Il teatro è pieno, stasera”, buttò lì Emile, nella speranza di dare
il via a una conversazione con lei.
“Sì, lo so, Emile. Me l’ha detto prima mia madre.”
Elizabeth era sempre dolce, ma allo stesso tempo un po’ freddina con
Emile. E non sapeva mai perché. “Perché non andiamo a fare un giro, dopo lo
spettacolo?”
“No, Emile. Finiremo tardissimo. Andrò a casa con i miei. Ma grazie lo
stesso per l’invito. Come dicevo poco fa a mia madre, sono molto stanca in
questo periodo e ho bisogno di riposare un po’.”
“Ok. Allora... Io vado. Ti aspetto dietro il sipario.”
Se ne andò mogio-mogio, deluso di non essere riuscito a strappare un
appuntamento a Elizabeth nemmeno in quell’occasione.
Elizabeth rimase davanti allo specchio, a controllare se
l’acconciatura, il trucco e il tutù fossero a posto. Pensava ancora a quel
ragazzo sconosciuto e carismatico. A quanto non volesse rivederlo mai più, ma
allo stesso tempo a quanto volesse anche rivederlo. Si sentiva sempre più male,
sempre più confusa, sempre più spaesata. Si sentiva persa. Completamente persa.
Si sistemò meglio le inseparabili scarpette di danza e uscì dal camerino,
cercando di concentrarsi sullo spettacolo e di trasformarsi in Odette.
“Permesso! Permesso, scusate!” esclamò Alex una volta nel palco,
infilando la sua sedia tra una buffa coppia di anziani.
“Ma che modi, giovanotto!” commentò stizzita la signora, vedendosi
divisa da suo marito e schiaffata verso la parete. “Lei è un gran maleducato!”
“Ma io devo vedere una ragazza! Sono qui appositamente per lei!
Abbiate un po’ di pazienza, che diamine!” protestò Alex, facendo sfoggio della
sua irresistibile sfacciataggine da canaglia.
“Se è così importante, perché non hai preso il posto di sotto?”
intervenne furioso il signore.
“Perché di sotto era tutto pieno, insomma!”
“E’ la tua ragazza, forse?” riprese la vecchia.
“Eh, magari! L’ho vista una sola volta e già mi ha fatto perdere la
testa! Devo assolutamente combinare con lei!”
“Te lo auguro, giovanotto, ma almeno facci stare vicini!” si lagnò la
vecchietta.
“Oh, la prego! Io devo vederla! Faccia un’opera buona!” la implorò
Alex con gli occhioni dolci.
L’anziana, ma elegante signora tirò un sospiro di rassegnazione. “Ho
capito. Mi sa che non lo vedremo per niente bene, questo balletto. Spero almeno
che tu riesca a conquistarla, altrimenti avremmo fatto questo sacrificio per
nulla”, cedette la signora. Non riuscì a dire di no alla bizzarra irriverenza
educata di quello strambo giovane.
“Oh, grazie nonna! Lo sapevo che lei sarebbe stata comprensiva!”
La signora gli lanciò un’occhiataccia. “Io non sono tua nonna. E
poi... Con quei tutti quei tatuaggi e quei capelli lunghi... Un nipote come te
non lo voglio!” si stizzì, avendo notato i tatuaggi dalle maniche.
“Belli, vero? Li vuole vedere?”
“Ma per carità, giovanotto! Mi basta quello che ho visto!”
Alex sorrise sotto i baffi divertito e aggiunse: “Ho anche un piercing
al capezzolo destro!”
“Signore Benedetto! Chi ci doveva capitare! Che mascalzone!” esclamò
la signora schifata.
“Su via, nonna! Non sia così antica! Un piercing, tre tatuaggi e i
capelli lunghi non fanno di un ragazzo un mascalzone!” ci scherzò su Alex.
“Smettila di chiamarmi nonna! Ora sta’ zitto, ché comincia lo
spettacolo!”
Proprio in quell’istante, le luci si abbassarono e una donna
sofisticata ed elegante oltre misura comparve sul palco, a presentare lo
spettacolo. Alex si spaparanzò sul parapetto, appoggiandosi in modo che le
braccia potessero fargli da cuscino per il viso, che appoggiò appunto sulle
mani. La coppia di anziani si lanciò uno sguardo di schifato sconforto,
scuotendo la testa, in segno di rassegnazione.
“Deve essere la madre di Elizabeth. Guarda come le somiglia!” si disse
tra sé e sé.
E infatti. Disse di essere la proprietaria della scuola di ballo e la
dirigente delle compagnia, quando si presentò, ma Alex non prestò molta
attenzione alle sue parole di benvenuto. Aspettava solo lei. Elizabeth. Dopo
qualche infinito minuto di eterna attesa, il sipario si aprì. In posa, ferma
sul palco come una statua, c’era lei. Elizabeth.
“Eccola! Guardi, nonna!” esclamò Alex sotto voce.
“Ah, la prima ballerina. Tipo raffinato. Eeeeh, giovanotto,
giovanotto. Si vede che non sai come va il mondo. Non è per te. Tu sei uno
scapestrato, lei è una ragazza di classe.”
Alex, nonostante l’offesa della signora, decise di lasciar perdere.
Ormai aveva occhi solo per lei. Per Elizabeth. Sembrava davvero una dolce
fatina uscita da una fiaba: indossava un tutù bianco, con la gonna larga di
tulle tempestata Swarovski, i capelli raccolti in un’elegante e particolare
acconciatura, con un diadema sbrilluccicante sulla testa. Era una visione.
La musica attaccò ed Elizabeth iniziò a danzare con le movenze leggere
di un sofisticato cigno. Poi, fece il suo ingresso lui, il primo ballerino, il
Cicciobello della situazione, ma con sua grande sorpresa, questa volta la
gelosia non colpì Alex né in volto, né sullo stomaco. Era così preso da Elizabeth
che non riuscì nemmeno a essere geloso. Aveva occhi solo per lei. Per
Elizabeth. Rimase per tutta la durata dello spettacolo con il viso appoggiato
sulle braccia distese sul parapetto di velluto, con lo sguardo dolce, sensuale
e completamente rapito e assente. Fece tenerezza anche alla tosta signora
anziana, la quale rimase colpita dallo sguardo magnetico che il giovane
scapestrato rivolgeva a quella ragazza. Forse egli aveva ragione: non sono tre
tatuaggi, un piercing e i capelli lunghi a fare di un ragazzo un mascalzone.
“Che ragazzo stravagante!” esclamò tra sé e sé la signora.
Alex continuò sempre a fissare rapito Elizabeth, fino alla fine dello
spettacolo. Addirittura si commosse per la sua sentita interpretazione
nell’atto finale. Elizabeth non era solo una ballerina tecnicamente dotata:
sapeva sentire la musica e la interpretava nella sua anima. Lasciava che fosse
la danza a parlare per lei, a comunicare ciò che la scena doveva comunicare. E
ciò che sentiva lei. Era davvero una meraviglia per gli occhi e per il cuore.
Alex non si risparmiò mai in fatto di applausi e complimenti, che di tanto in
tanto gridava ad alta voce, facendo sobbalzare anche i due vecchietti. Il suo
cuore batteva all’impazzata, come un cavallo imbizzarrito, come mai prima di
allora. Sembrava che stesse battendo per la prima volta, come se prima Alex non
fosse mai esistito e fosse andato avanti, brancolando a zonzo nel vuoto, solo
per inerzia.
Al termine dello spettacolo, mentre i ballerini si inchinavano e
salutavano il pubblico, Alex si alzò fulmineo dalla sedia. “Arrivederci nonni!
E grazie!”
Schizzò via verso l’atrio d’ingresso del teatro nell’intento di
beccarla all’uscita. La coppia si lanciò uno sguardo piuttosto interrogativo.
“Che strano ragazzo!” commentò la signora.
E il marito non poté far altro che darle ragione.
Alex era già di sotto da un pezzo. Se ne stava lì, appostato su una
colonna vicino all’ingresso, da cui poteva tener d’occhio tutto l’atrio d’ingresso
del teatro. Scrutava il volto di ogni donna e di ogni ragazza nella speranza
che fosse quello di Elizabeth. Ma ancora niente. Vide passargli accanto, mentre
usciva amareggiato, il primo ballerino. Alex gli lanciò un’occhiata compiaciuta
e tornò a scrutare, felice di sapere che Elizabeth non sarebbe andata a
festeggiare lo spettacolo con lui. Il tempo sembrava non passare mai,
addirittura credeva di averla persa. Temette che potesse essere passata da
un’uscita sul retro, finché... Eccola. Lì, sì proprio lì, ai piedi della
scalinata che portava nei camerini, che aspettava. Era davvero elegante, un
cigno, una fata, una creatura mitologica. Il corto tubino blu notte
l’abbracciava nel suo tessuto raffinato, disegnando le forme definite e
delicate del suo corpo atletico, ma aggraziato. La pochette tempestata di
brillantini, che Elizabeth stringeva in mano, rifletteva frammenti di luce
arcobaleno ovunque, dipingendo l’atrio di magia.
Alex fece il giro della sala, cercando di non farsi vedere e le si
avvicinò da dietro, in modo che lei non potesse scappare, colta alla sprovvista.
Stava stringendo la mano a un signorotto che si complimentava con lei.
Alex attese pazientemente che questo se ne andasse, dopodiché le
arrivò alle spalle.
“Ciao”, le disse, cercando di contenere la gioia che lei fosse proprio
lì, davanti a lui. La gioia di poterle finalmente parlare.
Al suono di quella voce a lei così familiare, Elizabeth trasalì e
sgranò gli occhi dal terrore. Il respiro affannoso, riflesso del panico che
esponenzialmente cresceva in lei.
Si girò lentamente, sperando di trovare una persona diversa da quella
che si aspettava di vedere. E invece, no. Era proprio lui. Il bel cantante dal
fascino magnetico.
Elizabeth fece per scappare di nuovo, pronta a correre, ma Alex la
fermò prontamente, afferrandola per un braccio.
“No, no! Ti prego, Elizabeth! Non scappare. Vorrei solo parlarti. Ho
smosso mari e monti per trovarti. Concedimi solo cinque minuti!” la implorò
Alex, mentre la gioia di parlare si tramutò in terrore. Terrore che lei lo
respingesse, senza possibilità di rimedio.
Elizabeth si placò di colpo, fulminata dalla disperata sicurezza negli
occhi grigioverdi di lui. Si limitò ad annuire con un cenno del capo e lui le
lasciò il braccio.
“Che ci fai tu, qui? Come hai fatto a trovarmi? Te l’ha detto Lucy,
vero?” gli domandò Elizabeth con le prime lacrime che le cadevano dagli occhi.
Era la prima volta che Alex sentiva la sua voce. Era delicata e
soffice, proprio come lei. Dolce. E soave. Una voce che gli ridonò la vita.
“Non sciupare degli occhi così belli con delle stupide e inutili lacrime,
Elizabeth.” La ragazza smise improvvisamente di singhiozzare. Nessuno le aveva
mai parlato in quel modo, con tanta sicurezza e intensità, al tempo stesso.
“Comunque no. Non me l’ha detto Lucy. Ho solo pensato che danzassi
molto bene e ho visto che tenevi le punte tese, mentre ballavamo. Così ho solo
fatto due conti.”
“Ma che cosa vuoi, tu, da me? Ti prego, lasciami in pace. Io voglio
solo dimenticare”, lo supplicò, disperata che lui non riuscisse a comprendere
il suo gravoso stato d’animo, né i pesanti sensi di colpa che la schiacciavano
a terra.
“Io no. Sono stato davvero bene con te. Non può finire così.”
“Non può finire qualcosa che non è mai neanche iniziato. Non so
nemmeno il tuo nome.” Inutili le parole di lui: Elizabeth dovette asciugarsi di
nuovo una lacrima che le stava già rigando la gota di rosa.
“Mi chiamo Alex”, si limitò a dirle lui, guardandola intensamente
negli occhi.
“Alex...” ripeté lei, ancora un po’ scossa, facendolo suonare
all’orecchio. “Hai un bel nome, Alex.”
Alex le sorrise dolcemente. “Grazie. Ascoltami, Elizabeth, mi dispiace
tanto. Non credevo che la prendessi così male. Però non puoi negare che siamo
stati davvero bene, insieme.”
“Invece, sì. Lo nego. Io non sono stata per niente bene”, ribatté
ostinata.
Alex sbuffò divertito. “No. Tu sei stata bene con me. Semmai, sei
stata male dopo. Allora perché sei venuta con me, se non volevi? Io non ti
avrei toccata con un dito, se tu mi avessi fermato.”
“E’ stato un momento di debolezza, un colpo di testa. Non so cosa mia
sia preso, Alex.”
“Perché ti sono piaciuto.”
Elizabeth scosse il capo, agitata, avendole il panico tolto persino la
parola.
“Sì, sì. Io ti sono piaciuto così come tu sei piaciuta a me. Perché
non ci vediamo in amicizia, qualche volta? Così ci conosciamo meglio. Prometto
che non ti toccherò con un dito!”
“Mi dispiace, no. Io non voglio rivederti mai più. Lasciami in pace,
ti prego!” lo supplicò cercando di trattenere le lacrime e di recuperare la
parola perduta. La voce sottile e strozzata.
“No, Elizabeth. Non ti lascerò in pace. Non rinuncerò a te al primo
no. Mi piaci troppo. Vorrei che tu mi conoscessi meglio e mi apprezzassi così
come sono!”
“Ti prego...” lo supplicò Elizabeth, straziata dalla situazione e dai
ricordi che scaturivano in lei.
Alex sbuffò di nuovo. “Tanto non mi scappi. Ormai lo so dove trovarti.
Prima o poi, un appuntamento me lo concederai.”
“Non ti conviene importunarmi. Mio padre...” lo minacciò Elizabeth,
cercando di recuperare un’autorevolezza che non aveva mai avuto.
“Spero di non doverti arrestare anche stasera, ché sono fuori
servizio, Alex!” Una voce fredda, ma pacata e autoritaria allo stesso tempo li
raggiunse di gran passo.
Elizabeth giurò di aver sentito il cuore fermarsi e il sangue gelarsi
nelle vene.
“Salve Capo! Anche lei qui?” sì voltò Alex stupito, cercando di
ostentare una calma, che lo stava via via abbandonando.
Che ci faceva lì, il commissario Reeves? E soprattutto, perché doveva
sempre arrivare nei momenti più delicati e inopportuni? Alex non poteva fare a
meno di domandarsi spesso, se Reeves non avesse conseguito anche una laurea
specialistica nell’ardua disciplina del “Guastafeste”, insieme ai mille e mille
titoli di studio che già aveva.
“Già. Che cosa vuoi da mia figlia? Perché le parli?” gli domandò
Reeves in tono secco, già sul piede di guerra.
Lo stupore e la sorpresa più inaspettati colpirono Alex dritto-dritto
al cuore. “Ah, que-que-questa è sua figlia?” se ne uscì a bocca aperta, mentre
un lugubre sconforto lo invase a tradimento.
Elizabeth, la figlia del commissario Albert Reeves? Quella proprio non
ci voleva. Alex iniziò a pensare di essere perseguitato dalla sfortuna più
nera, a discapito della buona sorte che sempre lo baciava in qualsivoglia tipo
di impresa che decidesse di portare a compimento.
“Sì. Proprio così!” confermò Albert.
“Che buffo! Non si direbbe! Non le somiglia per niente!” lo sfidò Alex,
tentando di ricomporsi meglio che poteva.
“Ah, fai anche lo spiritoso, adesso?” perse le staffe Albert.
Elizabeth, che non aveva più aperto bocca da quando suo padre aveva
fatto bruscamente irruzione nella loro conversazione, si risvegliò a stento dal
suo stato di trans. Alex, il bel cantante sconosciuto con cui aveva vissuto una
notte di trasgressione, era quindi un delinquente di strada? La nausea le
strangolò il collo, togliendole il respiro.
“Arrestare?” sussurrò confusa e spaesata.
“Sì, cara. Arrestare. Questo manigoldo qui è un avanzo di galera!
Entra ed esce. Tra un po’, lo faremo trasferire al commissariato!” le spiegò
Albert, in tono di superiorità, senza però nascondere il suo perenne astio nei
confronti di Alex.
“Che paroloni che usa, Capo! Avanzo di galera!” cercò di
sdrammatizzare Alex.
Quell’intoppo proprio non ci voleva. Stava perdendo in una sola manche
quel briciolo di fiducia che si stava lentamente conquistando da parte di
Elizabeth.
“Perché? Non è quello che sei, manigoldo? Te lo chiedo ancora una
volta. Che cosa vuoi da mia figlia? Ti sta forse importunando, tesoro?” si
rivolse poi alla figlia.
La sua risposta stupì Alex, che si aspettava una pesante affermazione,
ma soprattutto se stessa.
“Ma no, papà! Nel modo più assoluto! Con me, è stato cortese ed
educato. Mi stava solo gentilmente chiedendo un autografo.”
Lo aveva protetto. Solo un attimo prima, stava minacciando Alex di far
intervenire suo padre. E ora? Solo pochi istanti dopo lo stava proteggendo
proprio da suo padre stesso.
“Un autografo?” chiese Albert, confuso e in tono sospettoso.
“Sì, papà. A quanto pare, è un mio fan”, mentì Elizabeth. Ciò che la
meravigliò di più fu la naturale disinvoltura con cui lo fece.
“Un tuo fan? E da quando in qua sei fan del balletto e di mia figlia,
eh, manigoldo che non sei altro? Che cosa stai tramando in quel tuo cervelletto
pervertito da delinquente?” gli domandò Albert, facendogli il terzo grado da
interrogatorio.
“Ah, Capo! Sta diventando paranoico, adesso! Non tramo nulla! Mi sono
appassionato di recente al balletto classico e all’opera! Io sono un cantante,
un musicista... Un artista! E gli artisti viaggiano con la mente a
trecentosessanta gradi e sono aperti a ogni nuova forma d’arte! E sua figlia,
di arte nelle vene, ne ha da vendere, mi creda! E’ una ballerina straordinaria
e piena di talento!”
Elizabeth rimase alquanto colpita dalle parole di Alex riguardo
all’arte. Verso di essa, nutrivano la stessa passione e vivevano degli stessi
pensieri. E forse, la sua musica rock scatenata, non era poi tanto male. Era
solo... Diversa. Per lei, lo era.
Albert, invece, sbuffò un ghigno, in segno di disprezzo. “Un artista!
Tz! Un artista da strapazzo, direi. Elizabeth, per favore. Fagli quel dannato
autografo e mandalo via! Anzi, no! Ce lo mando io!”
“Non ho la penna, papà. Né il foglio.”
“Tieni. Prendi la mia penna e il foglio dalla mia agenda e mandalo
via!”
Elizabeth si sbrigò a firmare l’autografo, sotto gli occhi colmi di
stupore di Alex, che, ancora una volta, fece leva sulla sua sicurezza e
irriverenza canagliesca, sfidando apertamente Albert. “Non è che, per caso,
sotto l’autografo, mi scrivi anche il tuo numero di telefono?” le domandò,
lanciandole un seducente sguardo da latin lover, con il duplice scopo di
prendere in giro Albert e allo stesso tempo conquistare il cuore di Elizabeth.
Alex aveva fascino. E lo sapeva.
Non se ne vantava con gli altri, in quanto ragazzo umile e modesto, ma
non mancava mai di sfoderarlo ogni qualvolta ne avesse bisogno. E quella era
un’emergenza. Una divertente emergenza.
Albert sgranò gli occhi, di nuovo paonazzi e colmi di impazienza. “Sparisci!
Sparisci, manigoldo! O ti ammazzo! Sta’ lontano da mia figlia!” gridò col viso
rosso dal nervosismo.
“D’accordo, Capo! Me ne vado! Con quest’ultima frase, mi ha convinto.
Mi è arrivato al cuore”, recitò drammatico, portandosi una mano al petto. “Non
resterei qui, neppure se insistesse. Neanche per un caffè o per una birra!
Arrivederci, Capo!” Poi rivolse il suo sguardo seduttivo a Elizabeth. “Ciao
dolcezza!” la salutò sensuale, scoccandole un sonoro bacio sulla guancia.
E corse via
“T’ammazzo! Vieni qui, manigoldo, ché t’ammazzo!” gridò Albert,
tentando di tirargli un calcio, ma invano. Calciò l’aria.
Alex, fulmineo come una scheggia, se l’era già filata. Albert scivolò
e cadde all’indietro, attirando così, l’attenzione della folla che passava.
“Capo! La smetta di fare il ragazzino!” gli gridò Alex, già sulla
soglia dell’uscita. “Non ha più l’età per fare certe cose!” E detto questo, se
ne scappò a gambe levate, sperando di aver impressionato Elizabeth quanto bastasse
e di averla colpita più delle dure parole del padre. Sperava che l’essere
sempre se stesso le avesse in qualche modo toccato il cuore. Un cuoricino
timido, infreddolito e spaventato.
Durante tutta la rocambolesca scena a cui aveva assistito, Elizabeth
fu costretta a sotterrare un mare di risate. In fondo, Alex le era rimasto
anche simpatico. Ma Elizabeth dovette comunque smettere di ridacchiare e
aiutare suo padre. Allo stesso tempo, si preoccupava per lui.
“Oh mio Dio! Papà! Ti sei fatto male?” lo aiutò a rialzarsi,
soffocando le risate.
“Ma che male? Sono una roccia, io, sai? Guarda, è meglio che
recuperiamo tua madre e che ce ne andiamo a casa! Altrimenti, mi comprometto la
carriera!” ripeté a mo’ di disco inceppato, come ogni qualvolta ci fosse
quell’Alex nei paraggi.
In auto non si fece altro che parlare di quello strano ragazzo. La
madre di Elizabeth, Hilary, aveva assistito in lontananza alla vistosa e
ridicola caduta del marito e volle saperne di più. Ovviamente Albert non si
risparmiò in fatto di insulti gratuiti ad Alex e di assillanti raccomandazioni
alla figlia.
“Quello lì è un delinquente, Elizabeth. Un vero e proprio avanzo di
galera, un manigoldo! Tienilo a debita distanza, mi raccomando. Ma tu sapevi
chi era? Perché ci parlavi?”
“Ma no, papà. Io non sapevo nemmeno chi fosse. Mi si è solo avvicinato
per farmi i complimenti e le congratulazioni, te l’ho detto. In ogni caso, papà,
non credo che lo rivedrò più. Però se dovesse accadere, ti prometto che non lo farò
neppure avvicinare.”
“Brava, non dargli alcun tipo di confidenza e se dovesse
ripresentarsi, chiamami!”
“Lo farò, papà. Ma dimmi piuttosto, di che cosa è accusato di solito?”
gli domandò, nella speranza che il padre esagerasse. Sapeva che Albert era un
uomo alquanto suscettibile, quando si trattava di soggetti irriverenti come
Alex, quindi volle saperne di più. Soprattutto per lenire i sensi di colpa che tanto
la tormentavano. Aveva bisogno di sapere che, in fondo in fondo, quel ragazzo
tanto male non era.
“Di che cosa è accusato? Da dove comincio, figlia mia! Dunque: guida
pericolosa in stato di ebbrezza, eccesso di velocità, rissa e incitamento alla
rissa, resistenza all’arresto, violazione di domicilio e danneggiamento di
proprietà privata. Ma la cosa che mi irrita di più è... OLTRAGGIO A PUBBLICO
UFFICIALE! La sua strafottenza e la sua arroganza mi fanno sempre alzare la
pressione! La prima volta che l’ho arrestato, mi ha sputato in un occhio! E non
manca mai di insultare me e i miei colleghi, né di tirarci qualche pugno! E’ un
gran ribelle, quel manigoldo lì!”
Lo stato d’animo di Elizabeth si oscurava sempre più. Non solo si era
svenduta al primo sconosciuto che l’aveva sedotta, ma questo si stava anche
rivelando essere un poco di buono.
E di nuovo, si addormentò sopra un cuscino fradicio di lacrime, come
se ormai, addormentarsi piangendo, fosse diventata una consuetudine.
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