sabato 13 gennaio 2018

UN MANIGOLDO PER GENERO 2° STAGIONE - 1°PUNTATA - di Ambra Tonnarelli


“Salve Capo!”
Il commissario Reeves trasalì e alzò la testa di scatto, come se stesse succedendo il finimondo.
Un Alex molto più che allegro e pimpante, addirittura euforico, fece vivacemente irruzione nel suo ufficio. “Oh no! Tu qui? Ancora tu? Noooo! Non si bussa?” s’infuriò Albert, già perdendo le staffe.
“Eh no, Capo!” lo sfidò Alex.
“Che cosa hai fatto questa volta? Sei stato arrestato dai miei colleghi?”
“No, Capo! Non ho fatto nulla, non sono stato arrestato!”
“E allora... Che cosa ci fai qui dentro, nel mio ufficio? Nessuno ti ha invitato! Esci di qui!” gridò Albert, che già sentiva la pressione che saliva alle stelle. E in maniera molto più che esponenziale.
“Capo, io volevo solo farle un saluto! Sa che io e quella ragazza, la mia dolce fatina, ci siamo ufficialmente fidanzati?” lo sfidò apertamente Alex per prendersi gioco di lui.
Albert ignorava completamente il fatto che la dolce fatina in questione fosse sua figlia Elizabeth. Il che rendeva la presa in giro molto più che esilarante.
“Che cosa? Povera disgraziata! Non sa con chi si è messa. Che cosa le hai fatto per convincerla, eh? Manigoldo!”
“Nulla, Capo. Sono semplicemente stato me stesso! Sa, io sono un tipo che piace e poi... Io sono Alex e di Alex ce n’è uno solo!” lo prese in giro Alex, ripetendogli le belle parole di Elizabeth della nottata precedente, parole che in quel contesto assunsero un significato molto più che divertente.
“Sia lodato il Signore! Tu basti e avanzi, manigoldo!”
“Su via Capo, ancora con queste vecchie storie! In questi giorni non ho fatto nulla, se non trascorrere una notte movimentata con la mia bella!”
“E lo vieni a dire a me! Che me ne importa, a me, di quello che fai con lei? Non lo sai che si aspetta il matrimonio per queste cose?”
“Eeeeee, capo! Com’è all’antica! Io avevo quattordici anni la prima volta! Però ora che ho conosciuto questa dolce fatina dei boschi, sono diventato molto serio. Lei è l’unica per me.”
Il tono di Alex si tramutò all’improvviso. Si riempì d’amore, quando pronunciò le ultime due frasi. Le ultime parole che aveva dedicato alla sua amata Elizabeth. Lo sguardo rapito e sognante.
“Serio tu? Ma per favore!” sbuffò Albert. Non credeva a una sola parola riguardo la serietà di Alex.
“Ma è vero capo! Non sono più andato a letto con nessuna da quando ho conosciuto la mia dolce fatina! Mi ha incantato! E poi, io la sposerò!” lo sfidò di nuovo Alex, ridendosela sotto i baffi.
“Poveretta! E con quali soldi?”
“Capo, io diventerò una rockstar ricca e famosa, finirò tra leggende della storia della musica!” si vantò Alex con la sua solita aria da canaglia.
“Ma fammi il piacere! Guarda, smettila con queste cavolate ed esci subito da quest’ufficio!” lo cacciò Albert in malo modo. Non ne poteva più di tutte quelle sciocche fesserie.
“La inviterò al matrimonio! La saluto, Capo!” Alex se ne scappò dall’ufficio, alzandogli il solito dito medio, lasciando Albert nella sua solita crisi nervosa e isterica.
Albert stropicciò il foglio di carta che aveva in mano e lo strinse saldamente nel pugno, grugnendo di rabbia, emanando fumo rovente dal naso. Il viso paonazzo e la pressione alle stelle. Respirò pesantemente nel vano tentativo di calmarsi. Poi esplose. E ridusse a brandelli il foglio che stringeva nel pugno, urlando furioso di rabbia.
Poi si rese conto di ciò che aveva appena fatto.
“La relazione per il magistrato!” gridò esterrefatto, quando si accorse che aveva appena fatto a brandelli un importantissimo documento amministrativo. “Oh no!” si disperò Albert. “Quell’Alex dei miei stivali! E’ sempre colpa sua, se combino pasticci! Mannaggia a te, Alex! Io ti disintegrerò prima o poi! Ti distruggerò e ti farò a brandelli come questo pezzo di carta!” inveì Albert furibondo. “E adesso chi lo sente il magistrato? Barney! Barney!” chiamò a squarciagola.
Il povero Barney sapeva che quel tono non prometteva nulla di buono. Ormai lo conosceva anche troppo bene.
“Arrivo”, rispose senza troppo entusiasmo, mentre controvoglia si trascinava nel suo ufficio. Era pronto a fargli da capro espiatorio. Come sempre.

“Che cosa? Sei andato da mio padre e gli ha detto davvero quelle cose?” gli chiese Elizabeth, sconvolta mentre camminavano.
Alex era andato come sempre a prenderla alle prove e le stava portando il borsone. Le cinse un braccio sulla spalla per stringerla a sé, mentre si gustavano un goloso gelato per merenda.
“Certo! Ero troppo felice. E lo sono ancora! Lo sarò sempre di più con te!” esclamò Alex, apprezzando molto il sapore del cioccolato gianduia. “Mm! Questo è proprio buono!”
“Anch’io, Alex, sono felice insieme a te. Quando sto con te, mi sento viva. E comunque, sì. E’ proprio buono!” convenne Elizabeth, mentre gustava il gelato alla nocciola.
Elizabeth iniziò a ridacchiare divertita compromettendo così la sua capacità di parlare. “Mi sa che l’hai fatto arrabbiare!” suppose, cercando di non farsi colare il gelato addosso.
Anche Alex se la stava ridendo di gusto. “Sì, sì. Si è arrabbiato! Soprattutto quando gli ho fatto il piro!”
“Ma dai, povero papà!”
“Eh sì, Elizabeth! Lui vuole fare tanto il duro, fa salti mortali per tenermi lontano da te e poi io e te abbiamo passato la notte insieme... E lui se la prende nel culo! E’ quello il senso!” lo prese in giro Alex.
Elizabeth gli si accoccolò istintivamente addosso, mentre camminavano. E rideva. Non aveva mai riso tanto in tutta la sua vita. “Ah, Alex, Alex... Che cosa farei senza di te?”
Alex la strinse ancora di più e le scoccò un bacio sulla testa.
“Ti amo, Alex.”
“Anch’io ti amo, Elizabeth. Dunque dove ce ne andiamo a far danno, oggi?” se ne uscì Alex pimpante.
“Dove vuoi tu! Ma prima sarà meglio che passiamo a casa mia a portare il borsone. Non ho nessunissima voglia di trascinarmelo in giro per tutta la città e per tutto il pomeriggio!”
“E i tuoi?” le domandò Alex, leccandosi le dita per pulirle dal residuo del gelato.
“Papà è al lavoro e mia madre si deve fermare a scuola come sempre. Non tornerà prima delle sette.”
“Ok. Io, però, non sono in macchina oggi. Ho la moto.”
“Ah, allora prendiamo l’autobus!” gli propose Elizabeth.
Ma Alex si sedette imperterrito sulla sella della sua cara amica di corse e di velocità.
“Alex! No. Io non ci salgo, lì sopra. Ho paura”, protestò Elizabeth.
“Prometto che andrò pianissimo!” le disse lui, porgendole la mano.
Quella mano a cui Elizabeth non aveva mai saputo dire di no, quella mano che attirava sempre la sua come una calamita.
“Ok”, cedette, prendendola e salendo dietro di lui, dopo essersi ripresa il borsone. Era meglio che Alex si sentisse più libero per guidare. “Alex, ma il casco?”
“Ne ho uno solo lì dietro. Prendilo tu, a me non serve! E non fare quella faccia sconvolta! Tanto non lo metto mai!”
Elizabeth si infilò il casco ancora un po’ titubante. “Speriamo di non incontrare la polizia”, si preoccupò Elizabeth, quando Alex mise in moto e partì.
Elizabeth si stringeva forte a lui, ancora un po’ scettica e poco convinta. Inoltre temeva di incontrare qualche poliziotto di pattuglia o peggio ancora suo padre in persona. Stavano quasi per uscire dal quartiere della scuola... E tutto andava ancora bene. Ma non per molto. Albert se ne stava parcheggiato a bordo strada, ad aspettare il suo collega intento a fare una salatissima multa a un autista suicida e impudente. Quando vide Alex in moto, senza casco, con una ragazza fermarsi al semaforo alla sua destra.
“Alex! Accosta immediatamente e scendi subito da quella moto!” urlò Albert, subito pronto a mettergli le manette per aver guidato di nuovo la moto senza indossare il casco.
Elizabeth trasalì. Lei aveva il casco. Forse suo padre non l’aveva riconosciuta.
“Tieniti forte!” le gridò Alex, alzando il solito dito al capo, mentre ripartiva, ignorando il semaforo rosso. Albert impazzì di nervi. Scattò al suo inseguimento, lasciando Barney a piedi.
“Commissario! Mi aspetti, commissario!”
Ma nulla. Albert stava già alle costole di Alex, il quale era tutto concentrato a esibirsi con grande maestria in numeri e manovre degni della moto GP. Sfrecciava a gran velocità tra le auto nel grosso traffico in centro. Albert con le sirene spiegate riuscì a farsi largo e a corrergli dietro. Elizabeth avrebbe voluto gridare a più non posso, terrorizzata a livelli orbitali. Non sapeva se la spaventava più il fatto che suo padre avrebbe potuto prenderli e scoprirli, o la velocità e la guida spericolata con cui Alex stava portando la moto. Ma doveva controllarsi. Se avesse gridato e se suo padre l’avesse sentita, l’avrebbe senz’altro riconosciuta. La sua voce era inconfondibile, così come lo era il suo modo di gridare. L’unica cosa che poteva fare era stringersi più che poteva ad Alex.
“Fermati, disgraziato! Manigoldo! Così l’ammazzi, quella povera ragazza! Alex, fermati! E’ un ordine!” gli gridava Albert di tanto in tanto, pur essendo consapevole che, con tutto quel vento che aveva nelle orecchie, Alex riuscisse a sentire a stento le sirene.
“Tranquilla, amore mio! So quello che faccio”, le disse Alex a tutte corde vocali, avendo percepito la spaventata stretta di lei che aumentava esponenzialmente di forza. Alex attirò Albert in una strada secondaria della periferia, dove, grazie al traffico ridotto, riuscì a sgassare fino in fondo e ad accelerare a più non posso per seminarlo. Elizabeth si sentì mancare il respiro, quando Alex aprì la valvola del gas, sparando la moto a oltre duecento all’ora. A quella velocità, fu come se Albert fosse rimasto fermo lì, rispetto ad Alex che era già parecchio lontano per essere raggiunto. Era come se fosse rimasto a piedi.
“Quell’Alex dei miei stivali! Me l’ha fatta di nuovo!” imprecò nervosamente Albert, picchiano stizzito le mani sul volante.
E scattò ancora di più quando si accorse che il telefono stava squillando da un bel po’. Ben otto chiamate perse.
“Che c’è? Chi è?” tuonò Albert.
“Commissario, sono io, Barney! Mi ha lasciato a piedi in centro!”
“Mannaggia e te, Barney! Ecco dov’eri! Non ci sei mai, quando ho bisogno di te!”
“Ma commissario...” balbettò il poveraccio.
“Niente ma! Dimmi dove accidenti ti sei cacciato, ché arrivo! Devo sempre starti appresso come i bambini piccoli!”
Quando lo raggiunse, Barney intuì che sarebbe stato meglio non fare allusione al fatto che Albert fosse schizzato via, lasciandolo a piedi mentre faceva il suo lavoro.
“Allora commissario, l’ha preso?” gli domandò, invece. Ingenuamente.
“Secondo te?”
“Ma è riuscito a vedere la ragazza?”
“No, aveva il casco. L’unica cosa che ho visto sono i capelli biondi e il borsone da palestra. Non sembrava male, vedendola così all’inseguimento. E’ troppo per lui! Senza contare il fatto che l’ha quasi ammazzata, quel manigoldo!”
“Già, commissario. Chissà, forse dopo un episodio così, si lasciano!”
“Non ci contare, Barney. Quello, se vuole, ci sa fare. Torniamo in centrale. Magari qualcuno avvisterà quella moto e noi...” si sfregò le mani Albert, ridendo sadicamente.
Come tutte le volte, già s’immaginava il momento in cui avrebbe messo le grinfie su Alex poco più tardi quel pomeriggio e il modo fiero e autoritario in cui lo avrebbe sbattuto dentro una volta per tutte, per poi gettar via la chiave. Ormai i capi di accusa si erano accumulati: eccesso di velocità, guida pericolosa, guida in moto senza l’uso del casco, resistenza all’arresto, oltraggio a pubblico ufficiale... Ne aveva abbastanza per stare dentro per un bel po’ di tempo. E siccome non era la prima volta che finiva dentro con certi capi d’accusa, la chiave, Albert, avrebbe potuto buttarla via una volta per tutte. Già pregustava quel momento! Sperava con tutte le sue forze, con tutto il cuore, che qualche collega in altri distretti avvistasse Alex e la sua moto. Avrebbe salvato quella povera ragazza e l’avrebbe restituita alla sua famiglia dopo quella brutta avventura! E avrebbe arrestato quell’Alex. Avrebbe scritto la parola fine sulla storia delle sue malefatte in giro una volta per tutte.

Alex rallentò un pochino non appena si accorse di aver seminato Albert, ma non si fermò finché non raggiunse la casa di Elizabeth. Parcheggiò la moto poco più in giù della villa, dall’altra parte della strada, per dar meno nell’occhio che poteva. Non appena si fermò, Elizabeth si tolse maldestramente di fuga il casco e si gettò a terra, sconvolta, impaurita, terrorizzata. Quasi piangeva, tremava e aveva un fiatone spaventoso. La mano al petto.
Alex si gettò vicino a lei e la prese tra la braccia, stringendola a sé con fare protettivo. “Amore, amore, guardami! Va tutto bene. E’ finita. E’ tutto passato.”
Elizabeth alzò lo sguardo e lo posò nei suoi occhi magnetici. La sicurezza di Alex le infuse nel corpo e nell’anima un senso di protezione e tranquillità che la portarono immediatamente a calmarsi. “Credi che mi abbia riconosciuta?” gli chiese ancora un po’ sottosopra.
“No, non credo. Avevi il casco e nella foga dell’inseguimento credo che abbia pensato a tutto meno al fatto che potessi essere tu.”
“Ok. Vieni, entriamo in casa.” Elizabeth aprì ancora un po’ tremante il cancello.
Un cagnone enorme, un bel pastore tedesco dall’aria aggressiva e giocherellona le corse incontro facendole un mucchio di feste.
“Ciao Rex!” lo salutò lei gioiosa.
“Rex? Che fantasia!” commentò Alex, accarezzandogli il muso e simpatizzando di già col cagnone.
“Mio padre, Alex. Mio padre”, gli spiegò Elizabeth concisa e sarcastica.
“Già, dimenticavo. Classico come al solito! Quanti anni ha?”
“Solo quattro. Gli sei simpatico, il che è un fatto piuttosto raro. Di solito tenta di sbranare tutte le facce sconosciute che vede!”
“Eh, mia cara Elizabeth, ma io sono Alex!” si vantò lui con fare canagliesco.
“Giusto! E di Alex ce n’è uno solo!” aggiunse lei. “Dai, Alex vieni. Entriamo, così ti mostro la casa.”
Alex rimase strabiliato dal lusso, dall’ordine e dalla pulizia che vigevano in quella dimora. Ma l’unica cosa da cui fu attratto fu il pianoforte in soggiorno. Non appena lo vide, vi si catapultò e iniziò a suonare melodie prima classiche e poi da lui inventate e improvvisate. Elizabeth rimase incantata dal suo talento e dalla sua originalità geniale. Alex aveva un modo tutto suo di percepire l’arte con l’anima e lo mostrava con le melodie che componeva. Era davvero estroso e talentuoso. Un vero musicista. Un vero artista.
“Mio Dio, Alex! Se ti incontrassi ora per la prima volta, basterebbe questo per farmi innamorare di te!”
“A saperlo, l’avrei fatto subito! Mi sarei risparmiato un sacco di casini!”
Si fissarono in silenzio per qualche istante, per poi esplodere in una sonora, allegra, divertita risata. Le loro risa piene d’amore e di vita irruppero in ogni angolo della casa, donandole un’anima propria.
“Dai, vieni di sopra, così ti mostro la mia camera”, gli disse poi Elizabeth, ancora col sorriso sulle labbra.
La stanza di Elizabeth sembrava una casa di bambole. Un tenue e delicato azzurrino trasformava l’ambiente in un singolare acquario. Al centro della camera, un bel grande lettone con coperte in tinta alla carta da parati. Un’ordinatissima scrivania con televisione se ne stava in solitaria appoggiata al muro di fronte al letto, alla cui destra un’immensa finestra riempiva la stanza di luminosissima luce. Sotto di essa, un piccolo soprammobile con le foto di Elizabeth da quando era piccolina e i riconoscimenti che aveva ottenuto nella danza. A destra della finestra, si stagliava un’elegante e alta libreria, in cui Elizabeth teneva accuratamente custoditi i suoi adorati romanzi, libri di danza, di letteratura, di musica classica, di filosofia e le fiabe di quando era bambina. A sinistra del letto, in solitaria come la scrivania, prendevano posto il mobiletto con lo specchio e i trucchi, i profumi e il portagioie di Elizabeth e al suo fianco un imponente armadio pieno di abiti e scarpe. “Però... Che lusso! E che ordine! Mi fai paura!” commentò Alex.
“Non ti ho ancora mostrato il mio bagno”, proseguì Elizabeth.
“Il tuo bagno?” Alex assunse un’espressione tra lo sconvolto e il divertito. Camera con bagno suonava alle sue orecchie di povero ragazzo di strada un po’ ridicolo.
“Sì, ho il bagno in camera. Di qua!” gli indicò Elizabeth, aprendo la porta a destra della scrivania.
“No comment!” esclamò Alex, disorientato e in disappunto per colpa di tutto quel lusso che si stagliava imponente intorno a lui. “Così mi sento a disagio. Io sono un ragazzo di strada, un poveraccio!”
“Non devi, Alex. Non voglio che tu ti senta così.”
“Beh, Elizabeth, guarda in faccia la realtà! Io sono un poveraccio! Per ora!” le sorrise con grande spirito.
Elizabeth gli accarezzò delicatamente la guancia, col candore e la morbidezza della colomba quale era. “Alex, non è la provenienza sociale a dire chi siamo. Siamo noi a dirlo. Non è la provenienza sociale che ci rende ciò che siamo, ma è quello che abbiamo dentro. Prendi Emile! Suo padre è un imprenditore e sua madre un avvocato. Eppure ha la testa piena di segatura! Poi prendi te stesso. La tua mamma è operaia e tuo padre un disoccupato. E tu sei la persona più straordinaria, più buona, più sensibile che io abbia incontrato. Sei più nobile tu di quanto non lo sia un re. Perché sei pieno dentro. Quindi, per favore non sentirti a disagio. Perché non hai nulla di cui vergognarti. Io ti amo così come sei. Non cambiare mai, Alex.”
Alex, invaso e animato da nuova vita, non poté far altro che avvicinare il suo volto a quello di lei e poggiare delicatamente le labbra sulle sue. Il suo cuore si era sciolto come cioccolato al Sole. Le parole di Elizabeth. Quelle sì, che erano vita. Perché gliele aveva pronunciate lei.
“Elizabeth, amore mio, io non cambierò mai. Neanche se e quando sarò famoso. Te lo prometto.”
Elizabeth gli sorrise dolcemente prima di cambiare completamente discorso. “Sai, in fondo è stato divertente!” se ne uscì all’improvviso.
Alex aggrottò le ciglia, confuso. “Che cosa?”
“La corsa in moto!”
“Ah, la corsa in moto! Elizabeth, ti ho fatto morire di paura. E ti ho messa in pericolo per sfrecciare così veloce. Mi dispiace un sacco.”
“Beh, in fondo è stato divertente! Un po’ di adrenalina nel sangue, a volte, non fa male. Non avevo mai provato il brivido della velocità in questo modo! E’ stato molto eccitante! Ho accumulato così tanta adrenalina tra emozioni e paura che non so neanche come smaltirla!”
Alex le lanciò un eloquente e furbo sguardo da canaglia. “Io un modo, ce l’avrei.”
Elizabeth ricambiò il suo sguardo, avendo già intuito a che cosa stava pensando Alex. “E... Sarebbe a dire?” “Beh, sai questo letto, qui, è molto invitante…” la stuzzicò Alex. Gli occhi che brillavano di furbizia.
Elizabeth ricambiò lo sguardo, provocandolo con i suoi occhi felini da gatta seduttrice, mordendosi il labbro e giocherellando con una ciocca di capelli. Poi, saltò in braccio al suo Alex, andando a cadere con lui sopra il lettone. I baci esplosero tra loro, andando ad accendere un’infuocata passione che ogni volta aumentava la potenza della sua fiamma. Non avevano tenuto conto, però, del fatto che in casa Reeves il pericolo fosse sempre in agguato...

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