“Salve Capo!”
Il commissario Reeves trasalì e alzò la testa di scatto, come se
stesse succedendo il finimondo.
Un Alex molto più che allegro e pimpante, addirittura euforico, fece vivacemente
irruzione nel suo ufficio. “Oh no! Tu qui? Ancora tu? Noooo! Non si bussa?”
s’infuriò Albert, già perdendo le staffe.
“Eh no, Capo!” lo sfidò Alex.
“Che cosa hai fatto questa volta? Sei stato arrestato dai miei
colleghi?”
“No, Capo! Non ho fatto nulla, non sono stato arrestato!”
“E allora... Che cosa ci fai qui dentro, nel mio ufficio? Nessuno ti
ha invitato! Esci di qui!” gridò Albert, che già sentiva la pressione che
saliva alle stelle. E in maniera molto più che esponenziale.
“Capo, io volevo solo farle un saluto! Sa che io e quella ragazza, la
mia dolce fatina, ci siamo ufficialmente fidanzati?” lo sfidò apertamente Alex
per prendersi gioco di lui.
Albert ignorava completamente il fatto che la dolce fatina in
questione fosse sua figlia Elizabeth. Il che rendeva la presa in giro molto più
che esilarante.
“Che cosa? Povera disgraziata! Non sa con chi si è messa. Che cosa le
hai fatto per convincerla, eh? Manigoldo!”
“Nulla, Capo. Sono semplicemente stato me stesso! Sa, io sono un tipo
che piace e poi... Io sono Alex e di Alex ce n’è uno solo!” lo prese in giro
Alex, ripetendogli le belle parole di Elizabeth della nottata precedente,
parole che in quel contesto assunsero un significato molto più che divertente.
“Sia lodato il Signore! Tu basti e avanzi, manigoldo!”
“Su via Capo, ancora con queste vecchie storie! In questi giorni non
ho fatto nulla, se non trascorrere una notte movimentata con la mia bella!”
“E lo vieni a dire a me! Che me ne importa, a me, di quello che fai
con lei? Non lo sai che si aspetta il matrimonio per queste cose?”
“Eeeeee, capo! Com’è all’antica! Io avevo quattordici anni la prima
volta! Però ora che ho conosciuto questa dolce fatina dei boschi, sono
diventato molto serio. Lei è l’unica per me.”
Il tono di Alex si tramutò all’improvviso. Si riempì d’amore, quando
pronunciò le ultime due frasi. Le ultime parole che aveva dedicato alla sua
amata Elizabeth. Lo sguardo rapito e sognante.
“Serio tu? Ma per favore!” sbuffò Albert. Non credeva a una sola
parola riguardo la serietà di Alex.
“Ma è vero capo! Non sono più andato a letto con nessuna da quando ho
conosciuto la mia dolce fatina! Mi ha incantato! E poi, io la sposerò!” lo
sfidò di nuovo Alex, ridendosela sotto i baffi.
“Poveretta! E con quali soldi?”
“Capo, io diventerò una rockstar ricca e famosa, finirò tra leggende
della storia della musica!” si vantò Alex con la sua solita aria da canaglia.
“Ma fammi il piacere! Guarda, smettila con queste cavolate ed esci
subito da quest’ufficio!” lo cacciò Albert in malo modo. Non ne poteva più di
tutte quelle sciocche fesserie.
“La inviterò al matrimonio! La saluto, Capo!” Alex se ne scappò
dall’ufficio, alzandogli il solito dito medio, lasciando Albert nella sua
solita crisi nervosa e isterica.
Albert stropicciò il foglio di carta che aveva in mano e lo strinse
saldamente nel pugno, grugnendo di rabbia, emanando fumo rovente dal naso. Il
viso paonazzo e la pressione alle stelle. Respirò pesantemente nel vano
tentativo di calmarsi. Poi esplose. E ridusse a brandelli il foglio che
stringeva nel pugno, urlando furioso di rabbia.
Poi si rese conto di ciò che aveva appena fatto.
“La relazione per il magistrato!” gridò esterrefatto, quando si
accorse che aveva appena fatto a brandelli un importantissimo documento
amministrativo. “Oh no!” si disperò Albert. “Quell’Alex dei miei stivali! E’
sempre colpa sua, se combino pasticci! Mannaggia a te, Alex! Io ti disintegrerò
prima o poi! Ti distruggerò e ti farò a brandelli come questo pezzo di carta!”
inveì Albert furibondo. “E adesso chi lo sente il magistrato? Barney! Barney!”
chiamò a squarciagola.
Il povero Barney sapeva che quel tono non prometteva nulla di buono.
Ormai lo conosceva anche troppo bene.
“Arrivo”, rispose senza troppo entusiasmo, mentre controvoglia si
trascinava nel suo ufficio. Era pronto a fargli da capro espiatorio. Come
sempre.
“Che cosa? Sei andato da mio padre e gli ha detto davvero quelle
cose?” gli chiese Elizabeth, sconvolta mentre camminavano.
Alex era andato come sempre a prenderla alle prove e le stava portando
il borsone. Le cinse un braccio sulla spalla per stringerla a sé, mentre si gustavano
un goloso gelato per merenda.
“Certo! Ero troppo felice. E lo sono ancora! Lo sarò sempre di più con
te!” esclamò Alex, apprezzando molto il sapore del cioccolato gianduia. “Mm!
Questo è proprio buono!”
“Anch’io, Alex, sono felice insieme a te. Quando sto con te, mi sento
viva. E comunque, sì. E’ proprio buono!” convenne Elizabeth, mentre gustava il
gelato alla nocciola.
Elizabeth iniziò a ridacchiare divertita compromettendo così la sua
capacità di parlare. “Mi sa che l’hai fatto arrabbiare!” suppose, cercando di
non farsi colare il gelato addosso.
Anche Alex se la stava ridendo di gusto. “Sì, sì. Si è arrabbiato!
Soprattutto quando gli ho fatto il piro!”
“Ma dai, povero papà!”
“Eh sì, Elizabeth! Lui vuole fare tanto il duro, fa salti mortali per
tenermi lontano da te e poi io e te abbiamo passato la notte insieme... E lui
se la prende nel culo! E’ quello il senso!” lo prese in giro Alex.
Elizabeth gli si accoccolò istintivamente addosso, mentre camminavano.
E rideva. Non aveva mai riso tanto in tutta la sua vita. “Ah, Alex, Alex... Che
cosa farei senza di te?”
Alex la strinse ancora di più e le scoccò un bacio sulla testa.
“Ti amo, Alex.”
“Anch’io ti amo, Elizabeth. Dunque dove ce ne andiamo a far danno,
oggi?” se ne uscì Alex pimpante.
“Dove vuoi tu! Ma prima sarà meglio che passiamo a casa mia a portare
il borsone. Non ho nessunissima voglia di trascinarmelo in giro per tutta la
città e per tutto il pomeriggio!”
“E i tuoi?” le domandò Alex, leccandosi le dita per pulirle dal
residuo del gelato.
“Papà è al lavoro e mia madre si deve fermare a scuola come sempre.
Non tornerà prima delle sette.”
“Ok. Io, però, non sono in macchina oggi. Ho la moto.”
“Ah, allora prendiamo l’autobus!” gli propose Elizabeth.
Ma Alex si sedette imperterrito sulla sella della sua cara amica di
corse e di velocità.
“Alex! No. Io non ci salgo, lì sopra. Ho paura”, protestò Elizabeth.
“Prometto che andrò pianissimo!” le disse lui, porgendole la mano.
Quella mano a cui Elizabeth non aveva mai saputo dire di no, quella
mano che attirava sempre la sua come una calamita.
“Ok”, cedette, prendendola e salendo dietro di lui, dopo essersi
ripresa il borsone. Era meglio che Alex si sentisse più libero per guidare.
“Alex, ma il casco?”
“Ne ho uno solo lì dietro. Prendilo tu, a me non serve! E non fare
quella faccia sconvolta! Tanto non lo metto mai!”
Elizabeth si infilò il casco ancora un po’ titubante. “Speriamo di non
incontrare la polizia”, si preoccupò Elizabeth, quando Alex mise in moto e
partì.
Elizabeth si stringeva forte a lui, ancora un po’ scettica e poco
convinta. Inoltre temeva di incontrare qualche poliziotto di pattuglia o peggio
ancora suo padre in persona. Stavano quasi per uscire dal quartiere della
scuola... E tutto andava ancora bene. Ma non per molto. Albert se ne stava parcheggiato
a bordo strada, ad aspettare il suo collega intento a fare una salatissima multa
a un autista suicida e impudente. Quando vide Alex in moto, senza casco, con
una ragazza fermarsi al semaforo alla sua destra.
“Alex! Accosta immediatamente e scendi subito da quella moto!” urlò
Albert, subito pronto a mettergli le manette per aver guidato di nuovo la moto
senza indossare il casco.
Elizabeth trasalì. Lei aveva il casco. Forse suo padre non l’aveva
riconosciuta.
“Tieniti forte!” le gridò Alex, alzando il solito dito al capo, mentre
ripartiva, ignorando il semaforo rosso. Albert impazzì di nervi. Scattò al suo
inseguimento, lasciando Barney a piedi.
“Commissario! Mi aspetti, commissario!”
Ma nulla. Albert stava già alle costole di Alex, il quale era tutto
concentrato a esibirsi con grande maestria in numeri e manovre degni della moto
GP. Sfrecciava a gran velocità tra le auto nel grosso traffico in centro.
Albert con le sirene spiegate riuscì a farsi largo e a corrergli dietro.
Elizabeth avrebbe voluto gridare a più non posso, terrorizzata a livelli
orbitali. Non sapeva se la spaventava più il fatto che suo padre avrebbe potuto
prenderli e scoprirli, o la velocità e la guida spericolata con cui Alex stava
portando la moto. Ma doveva controllarsi. Se avesse gridato e se suo padre
l’avesse sentita, l’avrebbe senz’altro riconosciuta. La sua voce era
inconfondibile, così come lo era il suo modo di gridare. L’unica cosa che
poteva fare era stringersi più che poteva ad Alex.
“Fermati, disgraziato! Manigoldo! Così l’ammazzi, quella povera
ragazza! Alex, fermati! E’ un ordine!” gli gridava Albert di tanto in tanto,
pur essendo consapevole che, con tutto quel vento che aveva nelle orecchie,
Alex riuscisse a sentire a stento le sirene.
“Tranquilla, amore mio! So quello che faccio”, le disse Alex a tutte
corde vocali, avendo percepito la spaventata stretta di lei che aumentava
esponenzialmente di forza. Alex attirò Albert in una strada secondaria della
periferia, dove, grazie al traffico ridotto, riuscì a sgassare fino in fondo e
ad accelerare a più non posso per seminarlo. Elizabeth si sentì mancare il
respiro, quando Alex aprì la valvola del gas, sparando la moto a oltre duecento
all’ora. A quella velocità, fu come se Albert fosse rimasto fermo lì, rispetto
ad Alex che era già parecchio lontano per essere raggiunto. Era come se fosse
rimasto a piedi.
“Quell’Alex dei miei stivali! Me l’ha fatta di nuovo!” imprecò
nervosamente Albert, picchiano stizzito le mani sul volante.
E scattò ancora di più quando si accorse che il telefono stava
squillando da un bel po’. Ben otto chiamate perse.
“Che c’è? Chi è?” tuonò Albert.
“Commissario, sono io, Barney! Mi ha lasciato a piedi in centro!”
“Mannaggia e te, Barney! Ecco dov’eri! Non ci sei mai, quando ho
bisogno di te!”
“Ma commissario...” balbettò il poveraccio.
“Niente ma! Dimmi dove accidenti ti sei cacciato, ché arrivo! Devo
sempre starti appresso come i bambini piccoli!”
Quando lo raggiunse, Barney intuì che sarebbe stato meglio non fare
allusione al fatto che Albert fosse schizzato via, lasciandolo a piedi mentre
faceva il suo lavoro.
“Allora commissario, l’ha preso?” gli domandò, invece. Ingenuamente.
“Secondo te?”
“Ma è riuscito a vedere la ragazza?”
“No, aveva il casco. L’unica cosa che ho visto sono i capelli biondi e
il borsone da palestra. Non sembrava male, vedendola così all’inseguimento. E’
troppo per lui! Senza contare il fatto che l’ha quasi ammazzata, quel
manigoldo!”
“Già, commissario. Chissà, forse dopo un episodio così, si lasciano!”
“Non ci contare, Barney. Quello, se vuole, ci sa fare. Torniamo in
centrale. Magari qualcuno avvisterà quella moto e noi...” si sfregò le mani
Albert, ridendo sadicamente.
Come tutte le volte, già s’immaginava il momento in cui avrebbe messo
le grinfie su Alex poco più tardi quel pomeriggio e il modo fiero e autoritario
in cui lo avrebbe sbattuto dentro una volta per tutte, per poi gettar via la
chiave. Ormai i capi di accusa si erano accumulati: eccesso di velocità, guida
pericolosa, guida in moto senza l’uso del casco, resistenza all’arresto,
oltraggio a pubblico ufficiale... Ne aveva abbastanza per stare dentro per un
bel po’ di tempo. E siccome non era la prima volta che finiva dentro con certi
capi d’accusa, la chiave, Albert, avrebbe potuto buttarla via una volta per
tutte. Già pregustava quel momento! Sperava con tutte le sue forze, con tutto
il cuore, che qualche collega in altri distretti avvistasse Alex e la sua moto.
Avrebbe salvato quella povera ragazza e l’avrebbe restituita alla sua famiglia
dopo quella brutta avventura! E avrebbe arrestato quell’Alex. Avrebbe scritto
la parola fine sulla storia delle sue malefatte in giro una volta per tutte.
Alex rallentò un pochino non appena si accorse di aver seminato
Albert, ma non si fermò finché non raggiunse la casa di Elizabeth. Parcheggiò
la moto poco più in giù della villa, dall’altra parte della strada, per dar
meno nell’occhio che poteva. Non appena si fermò, Elizabeth si tolse
maldestramente di fuga il casco e si gettò a terra, sconvolta, impaurita,
terrorizzata. Quasi piangeva, tremava e aveva un fiatone spaventoso. La mano al
petto.
Alex si gettò vicino a lei e la prese tra la braccia, stringendola a
sé con fare protettivo. “Amore, amore, guardami! Va tutto bene. E’ finita. E’
tutto passato.”
Elizabeth alzò lo sguardo e lo posò nei suoi occhi magnetici. La
sicurezza di Alex le infuse nel corpo e nell’anima un senso di protezione e
tranquillità che la portarono immediatamente a calmarsi. “Credi che mi abbia
riconosciuta?” gli chiese ancora un po’ sottosopra.
“No, non credo. Avevi il casco e nella foga dell’inseguimento credo
che abbia pensato a tutto meno al fatto che potessi essere tu.”
“Ok. Vieni, entriamo in casa.” Elizabeth aprì ancora un po’ tremante
il cancello.
Un cagnone enorme, un bel pastore tedesco dall’aria aggressiva e
giocherellona le corse incontro facendole un mucchio di feste.
“Ciao Rex!” lo salutò lei gioiosa.
“Rex? Che fantasia!” commentò Alex, accarezzandogli il muso e
simpatizzando di già col cagnone.
“Mio padre, Alex. Mio padre”, gli spiegò Elizabeth concisa e
sarcastica.
“Già, dimenticavo. Classico come al solito! Quanti anni ha?”
“Solo quattro. Gli sei simpatico, il che è un fatto piuttosto raro. Di
solito tenta di sbranare tutte le facce sconosciute che vede!”
“Eh, mia cara Elizabeth, ma io sono Alex!” si vantò lui con fare
canagliesco.
“Giusto! E di Alex ce n’è uno solo!” aggiunse lei. “Dai, Alex vieni.
Entriamo, così ti mostro la casa.”
Alex rimase strabiliato dal lusso, dall’ordine e dalla pulizia che
vigevano in quella dimora. Ma l’unica cosa da cui fu attratto fu il pianoforte
in soggiorno. Non appena lo vide, vi si catapultò e iniziò a suonare melodie
prima classiche e poi da lui inventate e improvvisate. Elizabeth rimase
incantata dal suo talento e dalla sua originalità geniale. Alex aveva un modo
tutto suo di percepire l’arte con l’anima e lo mostrava con le melodie che
componeva. Era davvero estroso e talentuoso. Un vero musicista. Un vero
artista.
“Mio Dio, Alex! Se ti incontrassi ora per la prima volta, basterebbe
questo per farmi innamorare di te!”
“A saperlo, l’avrei fatto subito! Mi sarei risparmiato un sacco di
casini!”
Si fissarono in silenzio per qualche istante, per poi esplodere in una
sonora, allegra, divertita risata. Le loro risa piene d’amore e di vita
irruppero in ogni angolo della casa, donandole un’anima propria.
“Dai, vieni di sopra, così ti mostro la mia camera”, gli disse poi
Elizabeth, ancora col sorriso sulle labbra.
La stanza di Elizabeth sembrava una casa di bambole. Un tenue e
delicato azzurrino trasformava l’ambiente in un singolare acquario. Al centro
della camera, un bel grande lettone con coperte in tinta alla carta da parati.
Un’ordinatissima scrivania con televisione se ne stava in solitaria appoggiata
al muro di fronte al letto, alla cui destra un’immensa finestra riempiva la
stanza di luminosissima luce. Sotto di essa, un piccolo soprammobile con le
foto di Elizabeth da quando era piccolina e i riconoscimenti che aveva ottenuto
nella danza. A destra della finestra, si stagliava un’elegante e alta libreria,
in cui Elizabeth teneva accuratamente custoditi i suoi adorati romanzi, libri
di danza, di letteratura, di musica classica, di filosofia e le fiabe di quando
era bambina. A sinistra del letto, in solitaria come la scrivania, prendevano
posto il mobiletto con lo specchio e i trucchi, i profumi e il portagioie di
Elizabeth e al suo fianco un imponente armadio pieno di abiti e scarpe.
“Però... Che lusso! E che ordine! Mi fai paura!” commentò Alex.
“Non ti ho ancora mostrato il mio bagno”, proseguì Elizabeth.
“Il tuo bagno?” Alex assunse un’espressione tra lo sconvolto e il
divertito. Camera con bagno suonava alle sue orecchie di povero ragazzo di
strada un po’ ridicolo.
“Sì, ho il bagno in camera. Di qua!” gli indicò Elizabeth, aprendo la
porta a destra della scrivania.
“No comment!” esclamò Alex, disorientato e in disappunto per colpa di
tutto quel lusso che si stagliava imponente intorno a lui. “Così mi sento a
disagio. Io sono un ragazzo di strada, un poveraccio!”
“Non devi, Alex. Non voglio che tu ti senta così.”
“Beh, Elizabeth, guarda in faccia la realtà! Io sono un poveraccio!
Per ora!” le sorrise con grande spirito.
Elizabeth gli accarezzò delicatamente la guancia, col candore e la
morbidezza della colomba quale era. “Alex, non è la provenienza sociale a dire
chi siamo. Siamo noi a dirlo. Non è la provenienza sociale che ci rende ciò che
siamo, ma è quello che abbiamo dentro. Prendi Emile! Suo padre è un
imprenditore e sua madre un avvocato. Eppure ha la testa piena di segatura! Poi
prendi te stesso. La tua mamma è operaia e tuo padre un disoccupato. E tu sei
la persona più straordinaria, più buona, più sensibile che io abbia incontrato.
Sei più nobile tu di quanto non lo sia un re. Perché sei pieno dentro. Quindi,
per favore non sentirti a disagio. Perché non hai nulla di cui vergognarti. Io
ti amo così come sei. Non cambiare mai, Alex.”
Alex, invaso e animato da nuova vita, non poté far altro che
avvicinare il suo volto a quello di lei e poggiare delicatamente le labbra
sulle sue. Il suo cuore si era sciolto come cioccolato al Sole. Le parole di
Elizabeth. Quelle sì, che erano vita. Perché gliele aveva pronunciate lei.
“Elizabeth, amore mio, io non cambierò mai. Neanche se e quando sarò
famoso. Te lo prometto.”
Elizabeth gli sorrise dolcemente prima di cambiare completamente
discorso. “Sai, in fondo è stato divertente!” se ne uscì all’improvviso.
Alex aggrottò le ciglia, confuso. “Che cosa?”
“La corsa in moto!”
“Ah, la corsa in moto! Elizabeth, ti ho fatto morire di paura. E ti ho
messa in pericolo per sfrecciare così veloce. Mi dispiace un sacco.”
“Beh, in fondo è stato divertente! Un po’ di adrenalina nel sangue, a
volte, non fa male. Non avevo mai provato il brivido della velocità in questo
modo! E’ stato molto eccitante! Ho accumulato così tanta adrenalina tra
emozioni e paura che non so neanche come smaltirla!”
Alex le lanciò un eloquente e furbo sguardo da canaglia. “Io un modo,
ce l’avrei.”
Elizabeth ricambiò il suo sguardo, avendo già intuito a che cosa stava
pensando Alex. “E... Sarebbe a dire?” “Beh, sai questo letto, qui, è molto
invitante…” la stuzzicò Alex. Gli occhi che brillavano di furbizia.
Elizabeth ricambiò lo sguardo, provocandolo con i suoi occhi felini da
gatta seduttrice, mordendosi il labbro e giocherellando con una ciocca di
capelli. Poi, saltò in braccio al suo Alex, andando a cadere con lui sopra il
lettone. I baci esplosero tra loro, andando ad accendere un’infuocata passione
che ogni volta aumentava la potenza della sua fiamma. Non avevano tenuto conto,
però, del fatto che in casa Reeves il pericolo fosse sempre in agguato...
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