La sala era gremita. Gli applausi del pubblico sfumarono verso un
delicato tacere colmo di trepidazione. E di attesa. Il sipario si alzò ed
Elizabeth si trovava proprio al centro del palco, in pasto alla folla, in una leggiadra
figura statica in punta dei piedi, un cigno meraviglioso che a momenti avrebbe
spiccato il volo. Suspense. Il tempo sembrava fermarsi, mentre gli animi del
pubblico trepidavano, ansiosi di vedere quell’opera d’arte prendere vita.
Elizabeth temeva che il suo cuore battesse tanto forte, da potersi udire in
platea e persino sugli spalti. Era nervosa. Davvero nervosa. Troppo nervosa.
Sperava soltanto che la musica in procinto di partire sortisse in lei il
solito, dolce effetto calmante. Un effetto, che la estraniava dalla realtà.
Chiuse gli occhi per qualche istante d’eterno, ricordando a se stessa per
l’ennesima volta che quella sul palco non era lei, bensì Odette. “Il lago dei
cigni”. Ore e ore di prove, che per la sua innata insicurezza mai sarebbero
state sufficienti. Il cuore batteva. Il pubblico attendeva. La musica partì.
Con essa, Elizabeth perse completamente il controllo del proprio corpo, che
iniziò elegante a muoversi sciolto e disinvolto. La coreografia, provata ore e
ore al giorno, prese vita da sé, la danza scaturì nella sua anima, leggiadra e
potente come il cigno che si nascondeva in lei e che usciva allo scoperto ogni
qualvolta indossasse le sue inseparabili scarpette. Il tempo si fermava, quando
ballava, il mondo smetteva di girare, mentre si perdeva tra passi e delicate
figure artistiche. Non sentiva più nulla, nemmeno il pubblico che l’applaudiva
e l’acclamava per il suo innato talento ed eccezionale grazia. Era nella sua
bolla, chiusa tra le dolci sbarre della musica, persa tra le note, liberamente
incatenata nei passi. Eppure, comunicava. Parlava col pubblico attraverso la
sua danza, perché lei era la danza. Interpretava i personaggi, trasmetteva le
emozioni da essi provate, che si fondevano con quelle che sentiva lei, in una
mistica essenza chiamata arte. Potenti salti leggiadri e delicati, passi a due
mozzafiato, piroette, emozioni… Le parve di uscire da una dimensione amorfa,
senza spazio e senza tempo, quando la musica cessò di suonare per l’ultima
volta e il balletto terminò. Si recò al bordo del palco con gli altri ballerini
per l’inchino finale, sommersa dalle grida del pubblico in estasi e da rose che
volavano sul palco. Le pareva di essere appena uscita da un sogno.
Dal sogno della danza.
Con il termine dell’ennesimo balletto, riprese anche la vita di tutti
giorni nella compagnia di balletti più prestigiosa della città, la cui scuola
era sotto la proprietà della signora Hilary, madre di Elizabeth. La giovane
ballerina dai lunghi capelli biondi e grandi zaffiri luminosi non aveva proprio
ereditato il talento di sua madre, ex-ballerina in gamba, ma non eccellente
quanto sua figlia. Elizabeth aveva una potenza espressiva rara, forse unica,
derivata da una connaturata sensibilità e immensa empatia. La bella Elizabeth,
dalla corporatura slanciata, ma definita e potente, si era da sempre distinta
per la sua grazia e delicatezza, proprio per questo aveva ben presto ottenuto
il ruolo di prima ballerina della compagnia e non solo perché figlia di sua
madre, una donna professionale e obiettiva, che mai aveva ostentato favoritismi
nei confronti di Elizabeth. Al contrario, ogni successo che la ragazza aveva
ottenuto era frutta di un duro lavoro fuori del comune, che sua madre le aveva
fatto sudare e patire. Elizabeth meritava il ruolo che ricopriva all’interno
della compagnia. Se lo meritava tutto. Al cento per cento. Diventare ballerina
era sempre stato il più grande sogno, forse l’unico, di Elizabeth. Aveva fin da
bambina mostrato un curioso e smisurato interesse verso la disciplina che
insegnava sua madre. No. Non era un interesse. Era una potente passione. E
quella potente passione la stava portando lontano, sulle ali della danza,
proprio dove voleva lei.
Nonostante l’immenso successo che stava ottenendo come ballerina,
però, la sua semplicità e bontà non erano venute meno. A tempo perso dava
lezioni di danza classica per due soldi, alle volte anche private, persino agli
adulti o a giovani della sua età, per condividere con loro una delle più nobili
tra le arti. Quel pomeriggio, uno come tanti, stava facendo lezione a una sua
cara amica, conosciuta per sbaglio alla portineria del teatro qualche mese prima.
La sua vita era perfetta. Ma non sapeva che presto sarebbe cambiata.
“Ok, abbiamo finito! Basta per oggi” disse Elizabeth, concludendo la
lezione.
“Uff! Sono a pezzi, ma soddisfatta. Anche oggi abbiamo fatto mezz’ora
in più. Ti pago un’altra lezione!” si offrì Lucy, dal momento che erano già
diverse volte che sforavano di mezz’ora a lezione.
“No, non ti preoccupare. Non potevamo interrompere a metà. Per me è un
piacere!” le spiegò Elizabeth con dolcezza.
“Ma...Lizzy! Ascolta, mi hai fatto mezz’ora di lezione in più anche
l’altra volta e quella prima pure! Mi sembra un furto non pagarti!” si lamentò
Lucy, ragazza in gamba, tanto quanto onesta.
“Che sciocca che sei! Se mi paghi, mi vedo costretta a non farti più
lezione. Dovrai chiedere alle mie colleghe o a mia madre.”
“D’accordo. Almeno permettimi di offrirti una cena nel locale dove
lavoro! E’ il minimo che possa fare per sdebitarmi con te.”
La ventitreenne ballerina sbuffò rassegnata e si vide costretta ad
accettare il cortese e spontaneo invito della sua amica.
“D’accordo, mi hai convinta!”
“Ottimo! Ceniamo insieme e poi io comincio a lavorare. Dopo la cena,
tu puoi restare quanto vuoi. Sai, al locale ci sono spesso spettacoli
d’intrattenimento, gruppi musicali, band emergenti... Ti va?”
“Ma sì! Sì dai, perché no? Ma prima andiamo a farci la doccia, o
faremo scappare a gambe levate tutti i tuoi clienti!” ci scherzò su Elizabeth
con lo stomaco che già brontolava per la fame.
In effetti, nulla poteva essere meglio di concludere una lezione
privata di danza, andando a mangiare un boccone insieme. Di certo, Elizabeth
non poteva certo sapere che accettando di cenare in quella locale, quella sera,
la sua vita stava per essere stravolta per sempre.
Le due amiche chiacchierarono serene e rilassate lungo la strada,
srotolatasi tra autobus e metro, riguardo a questo e a quell’altro, riguardo
alla danza e al duro lavoro, a cui Elizabeth si sottoponeva ogni volta. Lucy
non poteva fare a meno di domandarsi come facesse a portare avanti sempre
tutto. Conosceva solo una persona come lei, un combinaguai connaturato ed
esperto, che, nonostante i casini in cui spesso e volentieri si cacciava
volutamente, riusciva sempre a lavorare sodo e a tirare avanti la sua baracca.
Trovando anche il tempo di divertirsi. Anzi, era uno che si divertiva anche
troppo, al contrario di Elizabeth, il cui unico svago e divertimento era
costituito dalla danza classica. Ma non le disse nulla. Parlarle di un tipo
come quella canaglia matricolata, quel casinaro combinaguai di Alex Tennence, che
da tempo conosceva, non le pareva una buona idea. Elizabeth era una ragazza
troppo fine e delicata per quella sottospecie di delinquentello del suo
collega. Piuttosto si limitò ad ascoltare i preziosi consigli organizzativi,
che spesso e gratuitamente Elizabeth le dispensava. Lucy si riteneva fortunata
ad avere un’amica come lei.
“Eccolo, è qui! E’ qui che lavoro!” esclamò Lucy entusiasta, indicando
finalmente il locale dall’altra parte della strada.
“Però! Non è male! Che mansione svolgi qui?”
“Cameriera. Mi serve per pagare le lezioni private di danza.”
“E’ ammirevole quello che fai” la stimò Elizabeth.
“Dillo ai miei! Dicono che lo sport sia una perdita di tempo! Va be’,
dai, entriamo!”
Lucy insistette per accomodarsi al tavolo migliore, ma la timida
Elizabeth proprio non voleva saperne. Si era sempre sentita a disagio in mezzo
alla folla, al centro dell’attenzione, tanto era schiva e pudica. Tranne
quand’era sul palco e danzava. Quando danzava era in sogno, in un altro mondo,
in un altro universo. Elizabeth optò per un tavolino semi-nascosto in un
angolino remoto della locale, lontana da tutti per non essere notata e mangiare
in tranquillità e scambiare quattro chiacchiere senza che alcuno ascoltasse la
conversazione. Lucy, comprensiva e gentile, non si offese: sapeva bene quanto
fosse timida e impacciata la sua amica. Elizabeth se la passò davvero bene in
quel tavolino sperduto in fondo al locale. Tutti le davano le spalle, nessuno
la guardava. Come se non esistesse. Era così che voleva sentirsi, quando non
indossava le sue inseparabili scarpette. Dopo la semplice e umile, ma gustosa
cena, Elizabeth decise di fermarsi ancora un po’ dal momento che desiderava
tenere compagnia a Lucy, mentre lavorava, anche se non potevano nemmeno
parlarsi. Ma Elizabeth, la buona Elizabeth era fatta così. Le sembrava un gesto
carino rimanere soltanto per non far sentire sola la sua amica. Credeva
fermamente che bastasse solo la presenza di una persona per donar conforto e
amicizia. In questo caso, compagnia. Inoltre, presto si sarebbe esibita una
band, che suonava regolarmente lì e di cui Lucy aveva tessuto una grande tela
di laudi riguardo il loro innato talento musicale fuori del comune. Mentre
Elizabeth attendeva curiosa l’inizio del concerto, Lucy schizzava come un’equilibrista
da un tavolo all’altro coi vassoi. Era davvero una scheggia. E a suo dire, le
lezioni di danza le avevano portato grandi giovamenti e miglioramenti, per
quanto concerneva controllo ed equilibrio. La giovane e abile cameriera si
rincuorò nel vedere Elizabeth così a suo agio: senza ombra di dubbio era
l’unica persona che conosceva a sentirsi a proprio agio là in fondo. Nessuno
voleva mai quel tavolo. Elizabeth adorava restare inosservata nell’ombra. Bastava
un mezzo sguardo per farla arrossire. Arrossiva sempre e abbassava gli occhi.
Condivideva il suo volto con il rossore da quando era nata. Ma per fortuna
quella sera, nessuno si accorse di lei. Per lo meno, non ancora. C’era soltanto
un manigoldo tanto intraprendente, quanto scaltro, che avrebbe potuto
accorgersi di lei. Un uragano.
“Buonasera, ladies and gentlemen! E’ con grande piacere che siamo
lieti di accogliere ancora una volta sul nostro palco i Troublemakers! Un
grande applauso gente!” annunciò un uomo molto più che eccitato nell’introdurre
la band che avrebbe suonato sul palchetto quella sera.
Sei ragazzi dall’aspetto delinquenziale e dal look alquanto
eccentrico, bizzarro e ribelle, salirono in scena.
“Che look strano!” pensò Elizabeth tra sé e sé mentre osservava
incuriosita quegli strani brutti ceffi.
Ognuno sembrava avere il proprio look e la propria personalità, ma
c’erano alcune caratteristiche che li accomunavano tutti e sei. Una di questa
erano i capelli lunghi, alcuni addirittura li portavano cotonati od ossigenati.
Un look decisamente rock anni ’80. Per non parlare di come fossero vestiti:
jeans stroppati e canottiere dalle bizzarre figure, pieni di strambi
braccialetti. Tutti quanti avevano almeno un tatuaggio. Il cantante, ad
esempio, ne sfoggiava già tre. Sembravano dei delinquenti provenienti dai
bassifondi di Los Angeles. La periferia della città del resto ne era piena. Il
pubblico li accolse con calore, come fossero i propri beniamini, sommergendoli
in una sonora ovazione carica di grida, applausi ed eccitazione. Attaccarono a
suonare. Rock allo stato puro. Musica forte, dai potenti assoli e dalla potente
voce. Tanto forte, che Elizabeth all’inizio dovette tapparsi le orecchie per il
frastuono e il fracasso. Le ci volle un po’ prima di abituarsi a un sound tanto
aggressivo e incisivo. Ma non fu la musica ad attirare l’attenzione di
Elizabeth. Fu uno dei ragazzi a lasciarla interdetta per molto, molto tempo.
Per un tempo indefinito. Il cantante. Un ragazzo, che Elizabeth avrebbe
soltanto dovuto evitare per l’educazione ricevuta, un ragazzo, che non avrebbe
mai dovuto nemmeno guardare. A cui non avrebbe mai dovuto rivolgere nemmeno un
fugace sguardo. L’affascinante figura di quel cantante, avvolta in parte nel
mistero, rivelava un temperamento tanto aggressivo, quanto scatenato e
soprattutto il giovane era dotato di una voce potentissima e fuori dal comune.
E da un carisma magnetico dalla forza di una sesquipedale calamita. Elizabeth
ne venne ipnotizzata.
“Che strana musica! E che strano ragazzo!” si ripeté mille volte in
silenzio, cercando di giustificare a se stessa il fatto che non riuscisse a
distoglierli gli occhi di dosso.
Del resto, sarebbe inutile negare che Elizabeth fosse un po’ ignorante
in fatto di musica: ne aveva una gran cultura solo in parte. Ma quella musica
in fondo in fondo, non era poi così male. E forse non lo era neppure il
cantante, che non faceva altro che saltare e correre da una parte all’altra del
palco, senza neanche avere il fiatone. Elizabeth ne fu attratta come mai nessun
ragazzo l’aveva attratta prima d’ora. Era una bellezza piuttosto particolare: altezza
media, capelli rossicci, lunghi fino a mezza schiena, scalatissimi, dal taglio
originale, un po’ cotonati quella sera. Fisico asciutto e tonico. Viso dai
lineamenti delicati e regolari, ma molto maschili. Un viso unico nel suo
genere. Quello che si dice “un figo da paura.” Ma non fu tanto il bizzarro
aspetto di quello strano ragazzo a costringerla a tenergli gli occhi puntati
addosso, ma proprio il suo carisma. Era di certo un ragazzo dalla forte
personalità, aggressivo e determinato. Metteva tutto se stesso nella sua voce.
Interpretava le canzoni da loro scritte con grande abilità e carattere, dando a
ognuna un’impronta di unicità che le distingueva dal resto della massa
musicale. Un vero talento naturale. Tutto il pubblico nel locale era visibilio,
cantava e urlava scatenandosi con loro, ma non lei. Non Elizabeth. Se ne rimase
lì, in disparte, immobile, in silenzio, ad ammirare rapita quel magnetico
cantante dall’aspetto semi-delinquenziale, come se non avesse mai visto prima
un ragazzo sulla faccia della terra. Attirando così l’attenzione di lui, mentre
cantava. Come avrebbe potuto non notarla, quella dolce fatina, timida e
spaesata, mummificata nell’angolo? Già, una dolce fatina dai lunghi capelli
biondi di seta e dai grandi occhi da gatta trasparenti come l’acqua. Non aveva
mai visto una ragazza tanto delicata in vita sua. E poi c’era qualcosa...
Qualcosa che le altre ragazze non avevano. Quella dolce fatina sembrava essere
circondata da un’aura mistica di serenità in grado di lenire i mali dell’anima.
Tutti si erano scatenati tranne lei. Impossibile non notarla.
Era chiaro che non fosse a suo agio, ma il cantante si accorse
perfettamente di come ella lo stesse guardando. E non si sarebbe di certo
lasciato sfuggire l’occasione. Ricambiò l’interesse, lanciandole un eloquente
sguardo seduttivo, facendole poi un occhiolino come per dirle “ci vediamo
dopo.” Elizabeth si guardò intorno agitata e spaesata, mentre sentiva il fuoco
avvampare sulle candide gote di rosa. Si aspettava di trovare altri tavoli gremiti
di donzelle accanto al suo, ma non ve ne erano. Si capiva lontano un chilometro
che lo scavezzacollo col microfono ce l’aveva con lei. Elizabeth venne colta da
un istinto che la spinse ad abbassare lo sguardo e ad arrossire, com’era solito
accaderle quando si sentiva disagiatamente imbarazzata. Al carismatico e
affascinante cantante di certo non sfuggì quanto la sua dolce fatina fosse
timida, schiva e imbarazzata, addirittura quasi spaventata, ma se ne fregò
altamente, dal momento che continuò a lanciarle seducenti sguardi da Casanova
per tutta la durata dell’esibizione. Elizabeth avrebbe solo voluto alzarsi e
correre via. Era la cosa giusta da fare. D’altro canto, aveva già finito di
mangiare da un pezzo. Avrebbe potuto benissimo andarsene. Anzi, avrebbe solo
dovuto. Ma perché non lo faceva? Perché rimaneva inchiodata lì, su quella
sedia? Che cosa le impediva di muoversi e alzarsi? Non lo sapeva. Rimase lì,
immobile.
Una volta terminata l’esibizione, una band che suonava musica lenta e
romantica rimpiazzò i sei scatenati rocker ed Elizabeth non accennava ancora a
volersi muovere. Molte coppie spostarono i tavoli e iniziarono a ballare. I
ragazzi del rock scesero e si diressero al bancone del bar per ordinare da
bere.
“Ehi Max, dammi una birra, fammi il favore!” esclamò, il cantante
asciugandosi con un braccio la fronte madida di sudore.
“Ecco qua, rockstar! Avete fatto scintille stasera, eh! Spaccate di
brutto!”
“Grazie Max! Intento riuscito!” esclamò il ragazzo soddisfatto, mentre
stappava la bottiglia con sguardo assai furbetto.
“Sei di caccia stasera, eh?” lo prese in castagna il barista, che
ormai lo conosceva da una vita.
“Tu dici?” replicò il cantante in tono canagliesco, prima di
riportarsi disinvolto la bottiglia di birra alla bocca.
“Ti conosco, ormai! Dimmi chi hai puntato stasera, eh, rockstar?”
Il cantante si voltò verso Elizabeth, che, a testa bassa, lo stava
ancora guardando con la coda dell’occhio, e la indicò con un cenno del capo.
“Quella ragazza lì all’angolo, chi è?” chiese il cantante
scavezzacollo, mentre sorseggiava assetato la birra. “Non lo so. Non era mai
venuta prima. Io non l’ho mai vista, non la conosco. Credo che sia un’amica di
Lucy. Le ha offerto la cena. Però! Hai gusti raffinati, rockstar! Davvero un
tipetto niente male” commentò il barista, non sapendo che al giovane potessero
piacere tipe tanto delicate.
“Già. Ora se non ti dispiace, vado a conquistarla!” esclamò sicuro di
sé il ragazzo, appoggiando con grande risolutezza e determinazione la birra sul
bancone.
“Vai, vai rockstar! E buona fortuna!” gli gridò Max, incoraggiandolo.
Ma lui neanche lo sentì. Era già partito all’attacco. Avrebbe dovuto
fare appello a tutto il suo carisma e il suo savoir-faire, vista la timidezza
della preda. Elizabeth, che aveva già lo sguardo basso, tentò di nascondersi
anche di più quando si accorse che quello strano cantante si stava dirigendo
con gran disinvoltura verso di lei. Si mise nervosamente a frugare nella
borsetta, fingendo di cercar qualcosa, come se bastasse per evitare l’inevitabile.
“Ciao! Balliamo?”
Una voce calda e sensuale, ma briosa e allegra al tempo stesso la fece
sussultare, per poi paralizzarla. Sollevò il capo, sperando di essersela solo
immaginata, che il terrore le avesse giocato solo un brutto scherzo, ma così non
era. Sollevò il capo e lui era lì. Era già lì. In tutto suo fascino da
canaglia. Elizabeth non disse nulla. Avrebbe dovuto rifilargli un secco “no
grazie!” e andarsene, ma, non seppe perché, non ci riuscì. Uno strano impulso a
lei sconosciuto la portò ad allungare la mano e a prendere quella di lui, come
se avesse il potere magnetico di una calamita. Un insolito brivido le sgusciò
lungo la schiena. Il cuore batteva sempre più forte, in un crescendo
inarrestabile, che sembrava toglierle il respiro. Lui la condusse al centro
della pista, le mise una mano sul fianco e iniziò a condurla in un leggero
ballo improvvisato e inventato. Elizabeth, una della ballerine più note della
città, si sentì stranamente goffa e impacciata, ma si lasciò guidare da lui per
un po’, non sapendo come gestire quella tempesta di emozioni, che le stava
ribaltando il cuore sottosopra. Guardava basso, fisso verso il pavimento.
Doveva evitare lo sguardo di lui, ma non servì a nulla. Il giovane cantante
scavezzacollo le sollevò il mento con la mano, affinché lei lo guardasse
finalmente negli occhi, in quei suoi occhi grigioverdi da seduttore che da
sempre lo caratterizzavano. Occhi vispi e sensuali, che emanavano luce propria.
Esprimevano tutta la sua sicurezza. Al contrario dello sguardo di Elizabeth,
timido e insicuro, imbarazzato e vergognoso che si rifletteva nei suoi grandi
occhi da gatta, trasparenti come l’acqua. In quel fugace istante in cui fu
costretta a guardarlo, si sentì completamente in suo potere, vittima dell’aura
carisma magnetico che lo circondava. Aveva completamente perso il controllo di
sé. Ma non appena lui le lasciò il mento, il suo volto ricadde di nuovo verso
il basso, come se non sapesse reggersi da solo, come se pesasse un quintale.
Elizabeth poteva sentire il suo sguardo magnetico su di sé. Ogni tanto provava
anche ad alzare appena gli occhi per guardare nei suoi, ma li riabbassava
subito dopo, dopo solo un fugace istante, imbarazzata, spaventata dall’effetto
che egli aveva su di lei. Incoraggiato dal silenzio di quella dolce fatina,
perché nella sua filosofia, chi tace, acconsente, l’intrepido cantante fece
scorrere la sua mano dal fianco al sedere di lei. Elizabeth sgranò gli occhi,
stupefatta da tanta cafonaggine e si irrigidì di colpo. Sentì le guance più in
fiamme che mai, come se stessero prendendo realmente fuoco. Sollevò di scatto
il volto e lo posò repentinamente su quello di lui, come per dirgli “ma come ti
permetti, maleducato?”, ma dalla bocca non le uscì alcun suono. Non fu in grado
di dirgli nulla. Anche lui giocò di sguardo e assunse un’espressione da finto
innocente. Per tentare di tenerlo a bada, Elizabeth riconquistò temporaneamente
il controllo del suo corpo. Il terrore di ciò che provava, per ciò che il tocco
della mano di lui le stava suscitando, fu più forte della timidezza e della
vergogna. Le vinse. Elizabeth gli tolse la mano dal sedere e iniziò a condurre
il ballo con la maestria e la disinvoltura della prima ballerina che era.
“Ma che fai?” le chiese lui, sbuffando con un sorriso divertito, stupito
e incuriosito dal repentino cambiamento di lei.
Elizabeth non gli rispose e si limitò, per così dire, a proporre dei
passi di danza alquanto difficili, tanto che lui dovette distogliere
l’attenzione dal corpo delicato di lei per riuscire a seguirla. Nonostante ciò,
non le guardò mai i piedi. Sempre e solo negli occhi. La sua sicurezza non
venne meno. Elizabeth del resto continuava a non restituire lo sguardo e non
potendo più fissare il pavimento, guardava dritta dritta davanti a sé, verso il
muro. Elizabeth si muoveva con eleganza, leggerezza e maestria. I suoi
movimenti ricordavano il soffice e maestoso battito d’ali di un cigno regale.
Ma il cantante era un tipo che imparava piuttosto in fretta: una volta capito
come Elizabeth si muoveva, non fu difficile per lui seguirla e riprendere la
sua seduzione da dove l’aveva lasciata. Di punto in bianco, smise di seguirla e
riprese le redini del ballo. Afferrò Elizabeth per la vita, la sollevò e la
fece girare in aria.
“Come sei leggiadra!” esclamò, una volta rimessa a terra.
E lei non rispose. Non rispose mai. Sentiva che ormai aveva completamente
perso il controllo di sé. Ormai era in potere del fascino di quel magnetico
cantante dalla voce particolare. Nemmeno il suo talento, la sua arte era
riuscita a liberarla da quel potente e fatale incantesimo. Lui la prese per
mano e le fece fare una giravolta. E poi la tirò di nuovo a sé. I volti a pochi
millimetri di distanza, tanto che Elizabeth riuscì a sentire il suo respiro
sulla bocca. Istintivamente voltò appena il capo di lato, per evitare le virili
labbra di lui. Egli la strinse a sé ancora di più, andando così a rendere il
loro contatto fisico molto più che intimo. E le riportò una mano sul sedere. E
questa volta Elizabeth, meravigliandosi di se stessa, non si irrigidì. Appoggiò
la testa sulla spalla di lui e chiuse gli occhi per qualche istante. Poteva
sentire il cuore di lui batterle contro il petto, il suo respiro sulla testa e
ogni centimetro del suo corpo, tanto era stretto il loro contatto. Lui iniziò a
far scorrere la mano lungo tutta la sua schiena, andando ancora di più ad
aumentarle i brividi, che risalivano con la mano di lui. Elizabeth lo strinse
in un delicato abbraccio, accarezzandogli la canottiera sudata, cosa che invece
di infastidirla, la inebriò in maniera disarmante. Si rese improvvisamente
conto che lo voleva, che lo voleva più di ogni altra cosa al mondo, un fatto
mai avvenuto prima. Ma perché? Perché lui? Non era il bravo e diligente ragazzo
che era stata educata a vedersi a fianco. E poi... Proprio lei lo stava
desiderando, proprio lei che era conosciuta come “la suoretta” della scuola,
per la sua timidezza e pudicità, proprio lei che non era mai neanche uscita con
un ragazzo? Se ne vergognò tantissimo, ma non fece nemmeno in tempo a prendere
consapevolezza della sua vergogna, che venne distratta da una sensazione ancora
più forte. Lui le stava delicatamente baciando il collo, sfoderando tutta la
sua sensualità. Elizabeth si abbandonò completamente alla passione del momento,
esalando un lieve sospiro. E lui lo avvertì.
“Vieni, facciamo un giro” le sussurrò nell’orecchio.
Elizabeth recuperò la borsetta abbandonata al tavolo e si fece
prendere per mano. Per la seconda volta consecutiva. Lo seguì senza domande e
senza ritegno in macchina. Seguirono infiniti istanti di un erotico silenzio
carico di voce. Nessuno dei due parlava, ma entrambi parlavano. Elizabeth
continuò a guardare basso verso il cruscotto, desiderosa di scappare e di
restare al tempo stesso. Rimase lì, di nuovo intrappolata nel suo corpo, che
non si capacitava di muoversi. Lui non mise neanche in moto. Anzi, non aveva
mai avuto nemmeno intenzione di prendere la chiave. Allungò una mano verso il
collo di verso il collo di Elizabeth e la infilò sotto la coltre di capelli, ad
accarezzarle la base della nuca. Elizabeth si voltò di scatto col respiro
affannoso, non sapendo più come gestire se stessa. Lui avvicinò il volto al suo
e la baciò. Elizabeth, di nuovo stupita dall’intraprendenza cafona di quel
ragazzo, per un istante non fu nemmeno in grado di comprendere ciò che stava
accadendo, prima che il suo io represso dalla rigida educazione della famiglia,
del padre in particolare, irrompesse violentemente fuori dalla sua prigione,
spezzandone le sbarre.
Nel momento in cui le labbra si allontanarono, i loro sguardi carichi
di desiderio e passione s’incrociarono, mentre i respiri si facevano più
pesanti e affannosi. Lo sguardo di Elizabeth era completamente cambiato. I suoi
occhi erano languidi e appassionati, i suoi sensi in estasi. All’improvviso non
era più lei. Lo baciò di scatto con un’irruenza e una passionalità che non le
appartenevano, di cui nemmeno conosceva l’esistenza. Stupito, ma molto più che
felice del suo repentino cambiamento, il giovane si spostò a fatica sui sedili
dietro, trascinando lei con sé. Elizabeth si ritrovò, senza nemmeno accorgersi
come, seduta sopra di lui, con le gambe cinte intorno ai suoi fianchi.
Ripresero a baciarsi.
E accadde ciò che accadde.
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